Il
trittico
e la sua vicenda storica
“Per
alias
nostras litteras tibi concessimus, de novo concedimus,
sed
etiam quamdam tabulam depictam, pietatis Domini Nostri
Jesu Christi
et Beatae Mariae Virginis in medio, in portulis vero
illam
claudentibus hinc beatae Annae virginem filiam in
manibus tenentis,
inde autem beatae Margaritae imagines devote
egregieque pietas” .
Con queste parole papa Clemente VII, al secolo Giulio
de' Medici,
confermava con un breve del 23 luglio 1531, la
donazione alla chiesa
cagliaritana di un trittico fiammingo (fig.
1),
Fig. 1 - Bottega dei van der Weyden, Trittico di Clemente VII
olio su tavola, cm. 71 X 154, 1470 ca.
(parte centrale), 1485-95 (ante laterali)
Cagliari, Museo Diocesano, Foto cortesia Archivio Agus
attualmente
custodito presso il Museo Diocesano, adiacente alla
cattedrale .
La donazione faceva seguito al Sacco di Roma, durante
il quale il
“miles Caesarei exercitus” Juan Barsena, agli ordini
del
Connestabile Carlo di Borbone, trafugò dal “cubiculo
et camera
nostra abreptam”, ossia la camera da letto del
pontefice, il
prezioso dipinto con altre reliquie. Imbarcatosi alla
volta della
Penisola Iberica con la refurtiva, a causa di un
fortunale fu
costretto a sbarcare a Cagliari. Temendo che la
tempesta fosse un
segno dell'ira divina per il sacrilego furto, consegnò
quanto
aveva sottratto al convento degli agostiniani della
città sarda, che
si trovava appena fuori le mura a poche decine di
metri dal porto. I
zelanti monaci informarono immediatamente
l'arcivescovo Girolamo di
Villanova, che già il 19 settembre del 1527 istruì il
primo di
cinque processi, terminati il 15 gennaio 1529, durante
i quali ogni
singolo oggetto e reliquia venne dettagliatamente
inventariato,
informando il pontefice dei ritrovamenti .
Quest'ultimo dispose quindi, una volta restituite la
gran parte
delle reliquie, di donare al capitolo cagliaritano il
trittico e una
spina ritenuta parte della corona di Cristo, con
l'obbligo di
esporli “semel in anno in singulis assumptionis beatae
Mariae
Virginis festivitatibus, secundis vesperis honorifice
ac devote per
te et pro tempore existentem Archiepiscopum
calaritanum” .
Il
trittico
(cm. 71 X 154 ),
come
ben descritto dallo stesso pontefice, si compone di
una pannello
centrale (fig.
1a),
1a. - Bottega di Pieter van der Weyden, Addolorata e Imago Pietatis
Trittico di Clemente VII, part., 1470 ca.
Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
costituito
da tre assi di rovere collegate da quattro cavicchi,
racchiuso da una cornice centinata a doppio inflesso e
due ante
laterali chiudibili (figg.
1b
e 1c),
Fig. 1b. Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden
Sant'Anna, Maria e il Bambino, Trittico di Clemente VII, part.
1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
Fig. 1c - Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden
Santa Margherita di Antiochia, Trittico di Clemente VII, part.
1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
non
perfettamente corrispondenti nelle dimensioni al
pannello
centrale ,
le cui cornici sono invece ricavate dallo spessore
della tavola,
formata, in entrambe, da due assi in rovere incollate
tra loro .
Al centro, su un fondo dorato operato a bulino con
piccole incisioni
perpendicolari tra loro, si trova a destra il Cristo
in pietà e a
sinistra la Vergine addolorata, che proiettano la loro
ombra sullo
sfondo, quasi fossero sculture entro una cassa.
Coronato di spine,
con le braccia incrociate davanti al ventre e poggiate
sul margine
basso, la testa leggermente reclinata verso sinistra,
labbra livide e
socchiuse, occhi chiusi e copioso sangue che sgorga
dai fori delle
mani e dalla ferita sul costato, Cristo è
rappresentato nella
consueta tipologia della Imago
Pietatis,
derivante dal prototipo di Santa Croce in Gerusalemme
a Roma
(fig. 17). La Vergine al suo fianco, con gli occhi
arrossati e gonfi
di lacrime, ha il viso incorniciato da un soggolo
bianchissimo,
coperto da un manto azzurro scuro bordato d'oro, da
cui emergono le
mani, che porta, incrociandole, verso il petto.
Nell'anta
destra
(fig. 1c) è rappresentata Santa Margherita di
Antiochia
con le mani giunte da cui emerge una croce, il capo
leggermente
inclinato verso sinistra incorniciato da una folta
capigliatura che
scende sulle spalle, coperte da un manto blu scuro
orlato d'oro su
una veste aderente in prezioso velluto rosso,
affiancata da una
bestia verde dal muso canino che, ammansita, la
osserva. Nell'anta
sinistra (fig. 1b) è invece raffigurata Sant'Anna, con
il viso
rivolto verso sinistra – abbigliata con un mantello
marone e il
viso incorniciato da un soggolo bianco e velo nero –
mentre poggia
la mano sinistra sulla spalla del Bambino Gesù,
stretto dalla Madre
– vestita con una tunica e mantello rossi e capelli
sciolti
ricadenti sulle spalle – che intreccia le dita delle
mani sul petto
del pargolo per reggerlo, mentre quest'ultimo tiene
tra le dita
della mano destra una farfalla o una falena per le
ali. Come nel
pannello centrale, anche le figure di quelli laterali
proiettano la
loro ombra sul fondo, ugualmente dorato e operato con
la medesima
tecnica di quello centrale.
Se
abbiamo
contezza e abbondanza di documentazione di come il
dipinto
giunse a Cagliari nel 1527, non è altrettanto sicura
la provenienza
originaria. Non sappiamo, infatti, con certezza come e
quando il
pontefice acquisì il trittico. L'ipotesi prevalente,
già avanzata
dall'Aru nel 1931
e poi rielaborata e maggiormente dettagliata da altri
studiosi ,
è che l'allora cardinale Giulio de' Medici l'abbia
acquistato
a Bruxelles durante il suo viaggio col cugino
Giovanni, futuro Leone
X, mentre era ospite di Filippo il Bello nel Palazzo
Coudenberg,
senza escludere che l'acquirente sia stato il cugino,
che poi lo
lasciò in Vaticano al suo decesso .
Ipotesi che, in tutti i casi, porta a ritenere che il
dipinto fosse
disponibile alla vendita, quindi già realizzato, dato
il breve
soggiorno dei due fiorentini, che per certo farebbe
escludere una
commissione diretta, forse ipotizzabile per le sole
ante laterali,
quale completamento di una tavola già esistente .
Altra
ipotesi
alternativa sarebbe quella di identificare il trittico
cagliaritano con quello presente nell'inventario di
Margherita
d'Asburgo, redatto nel 1516, descritto con al centro
una Pietà
dipinta da van der Weyden e le ante realizzate da
“Maestro Hans”,
ossia Hans Memling ,
che sarebbe stato donato dalla zia del futuro
imperatore Carlo al
cardinale Giulio de' Medici “come auspicio per i
futuri rapporti
tra la casata asburgica e la Santa Sede”, prima del 28
giugno 1519,
“quando a Francoforte, sostenuto dai banchieri
tedeschi Fugger,
Carlo fu finalmente eletto imperatore” .
Ipotesi, quest'ultima che avevo avanzato
difficilissima da
dimostrare, tanto più che la lettura formale
dell'opera non
farebbe sospettare un intervento di Memling nelle
ante, salvo pensare
ad una errata attribuzione nell'inventario, intendendo
per “Maestro
Hans” un generico collaboratore di van der Weyden,
riconducendo
quindi il tutto al suo atelier, con una datazione
compresa tra il
1459-60 e il 1464, quando presumibilmente Memling
frequentò la
bottega rogieriana .
In tal senso perderebbe di efficacia la lettura
iconografica, per cui
le due ante sarebbero state aggiunte in occasione
della nascita di
Margherita attorno 1480, vista la presenza della santa
che porta il
suo nome, nonché protettrice delle partorienti, da una
parte, e la
Sint-Anna
te
Drieën
dall'altra, che ugualmente richiama il rapporto
madre-figlia .
Al
di
là di tali considerazioni, nulla può farci escludere
che quello
cagliaritano sia una replica fedelissima del perduto
trittico
asburgico, magari uscito dalla bottega dei van der
Weyden o qualcuna
a lei molto prossima. Là sarebbe stato acquistato da
uno dei due
cardinali dopo aver visto quello di Margherita, che
proprio nel 1499
era rientrata, a seguito del decesso del coniuge
Giovanni d'Aragona
avvenuto due anni prima, a Bruxelles dalla Penisola
Iberica per stare
assieme al fratello Filippo, il quale ospitò i de'
Medici a
palazzo, come abbiamo visto. Normalmente, infatti, le
botteghe o gli
artisti ad esse legati, anche dopo il decesso del
maestro,
replicavano soluzioni compositive di successo o che
erano state
commissionate da personaggi di rilievo ,
come sembrerebbe essere il nostro caso, che come
esporrò di seguito,
presenta diverse repliche, sia in forma di trittico,
sia in forma di
dittico della sola parte mediana.
Fortuna
critica
e rilettura formale
La
questione
delle repliche, a mio avviso, unitamente ai risultati
degli
esami diagnostici effettuati in occasione del
restauro, l'analisi
iconologica e quella stilistica, potranno fornire
risposte circa la
paternità e l'origine del dipinto cagliaritano, ma
soprattutto del
suo prototipo. Tuttavia, prima di prendere in esame
tali tematiche è
bene ripercorrere brevemente la fortuna critica del
trittico, le cui
prime notizie risalgono al XIX secolo, prima con una
generica
segnalazione della presenza, presso la sagrestia
interna della
cattedrale di Cagliari, di “tre tavole con tre teste
stimate del
Luca di Olanda”, ossia Lucas van Leyden ;
quindi con le più dettagliate e precise descrizioni
del Valery, che
assegnò l'opera ad un artista vicino a Raffaello ,
e del canonico Giovanni Spano, che invece indicò il
Beato Angelico
,
e che per primi riportarono la vicenda del furto e
della successiva
donazione di Clemente VII, specificando che le notizie
vennero
attinte da “documenti originali nel R. Archivio
Capitolare di
Cagliari” .
Fu
Enrico
Brunelli a dare una più appropriata definizione
critica,
indicando per la prima volta la matrice fiamminga
dell'opera,
attribuendola a Gérard David e pubblicando il breve
del 1531 .
Successivamente Carlo Aru, mettendo a confronto il
trittico di
Cagliari con le repliche di Strasburgo (fig. 4) e
Bruges (fig. 5),
quest'ultima già attribuita a Simon Marmion ,
giungeva alla conclusione che lo scomparto centrale e
le altre due
repliche derivassero da un prototipo di Rogier van der
Weyden,
confermando infine l'attribuzione a David formulata da
Brunelli .
Tesi ripresa più tardi da Dionigi Scano ,
Raimond Van Marle ,
Renata Serra, Corrado Maltese e Roberto Coroneo in più
occasioni,
anche se questi ultimi tre esclusero David quale
possibile autore,
ritenendo che il trittico fosse una copia rogieriana
più tarda,
vista anche la sagoma della cornice .
Anche
per
Dirk De Vos il trittico cagliaritano, che attribuì al
“Maestro
del fogliame ricamato” con il pannello principale
copiato dal
dittico di Strasburgo di Marmion (fig. 4) ,
deriverebbe da un prototipo elaborato da van der
Weyden, notando come
lo scomparto sinistro faccia parte di un gruppo di
quattro opere
raffiguranti la Madonna
con
il Bambino,
la cui principale sarebbe la Madonna
Chesterfield,
oggi al Saint Luis Art Museum (fig. 19), sviluppata
forse in
parallelo con la Madonna
con
fiore
del Louvre (cm. 75,2 X 56,5, inv. RF 2067) e le sue
repliche, la cui
posizione delle dita del Bambino deriva, a sua volta,
dalla tavola
della collezione Kress di Washington, attribuita a
Robert Campin (cm.
122,2 X 151,2, inv. 1959.9.3). Da tale prototipo
deriverebbe la
variante della Madonna
in
Trono con Bambino
che sfoglia un libro a figura intera, con cinque
repliche già
individuate da Max J. Friedländer .
Sempre da un prototipo rogieriano, per Elisa Bermejo
Martínez,
deriverebbe il dipinto cagliaritano, la replica di
Bruges (fig. 5),
forse dello stesso autore, quella di Strasburgo di
Marmion (fig. 4) e
altre due della sola Vergine addolorata, una presso la
collezione
Marmaillón di Barcellona (fig. 7) e l'altra più tarda
su tela
custodita al Museu del Cau Ferrat di Sitges (fig. 10)
.
Distinte
le
opinioni di André Chastel e Licia Collobi Ragghianti ,
il primo che ritenne l'opera cagliaritana una
“modesta” replica
di un modello rogieriano la parte centrale e di David
le ante, la
seconda che invece riprese l'attribuzione dell'Aru
all'ambito
di David. Posizione quest'ultima ripresa da Federico
Zeri, che
notava come l'opera cagliaritana dimostrerebbe che il
Pontefice
aveva intuito “l'efficacia pietistica dei fiamminghi,
del loro
minutissimo, lenticolare verismo epidermico” .
Considerazione ripresa recentemente anche da Sheryl E.
Reiss ,
che tuttavia, ritenne, assieme a Paula Nuttall, che il
pannello
centrale possa essere uscito dalla bottega dei Bouts,
mentre quelli
laterali da un seguace di van der Weyden .
Più
articolata,
invece, la tesi di Giovanni Zanzu, che a seguito dei
risultati delle indagini diagnostiche effettuate
sull'opera ,
che hanno messo in luce il disegno sottostante e la
tecnica
pittorica, palesemente diversa fra la tavola centrale
e le laterali
;
la scoperta lungo la cornice del marchio dei falegnami
di Bruxelles
,
in uso obbligatorio a partire dal 1454 e l'utilizzo
della biacca
nella preparazione, concluse come il pannello centrale
sia certamente
più antico dei due laterali, che data attorno al 1499,
ma comunque
non precedente all'ultimo quarto del XV secolo, che
andasse esclusa
la mano del “Maestro del fogliame ricamato” indicata
da De Vos,
ma anche quella di van der Weyden, mentre avanzava con
riserva l'idea
che il trittico cagliaritano potesse essere il
prototipo da cui
deriverebbero le repliche di Strasburgo (fig. 4),
Bruges (fig. 5),
nonché quelle della sola Vergine di Barcellona (fig.
7), Parigi
(fig. 8), già segnalata da Friedländer ,
e Belgrado (fig. 9), a cui aggiunse una replica in
collezione privata
delle due ante (fig. 3) .
Sulla scorta anche delle indicazioni di Zanzu, Karl
Schade ritenne
che il trittico fosse stato realizzato da un anonimo
seguace di van
der Weyden attorno al 1499-1500 .
L'attribuzione
al
“Maestro del fogliame ricamato” proposta da De Vos,
condivisa
anche da Aquilin Janssens de Bisthoven e in tempi più
recenti da
Till-Holger Borchert
e
Sara
Mocci ,
è stata riproposta in termini però di “gruppo di
artefici” da
Caterina Limentani Virdis, che – a seguito della
risistemazione del
corpus
individuato per la prima volta da Friedländer
– ha proposto il nome del Maestro della Madonna Grog .
Ipotesi condivisa da Véronique Bücken, che per il
pannello centrale
riprese l'idea di De Vos, ritenendolo copia di quello
di Marmion,
con una datazione attorno al 1500 .
Pareri,
come
si evince da questo breve excursus, abbastanza
discordanti tra
loro, senza che mai si sia giunti ad una convincente
soluzione della
questione. Le ipotesi attributive attorno alle figure
di David o
Bouts sono, a mio avviso, da scartare a priori, non
solo per
questioni stilistiche e tecniche ,
quanto piuttosto per ragioni cronologiche e
geografiche, posto che
inconfutabilmente il trittico venne realizzato a
Bruxelles,
certamente tra la fine del terzo e l'inizio
dell'ultimo quarto
del XV secolo, data la presenza del marchio dei
falegnami di quella
città sulla cornice. Altrettanto è da dirsi per
l'ipotesi che
l'opera cagliaritana sia replica di quella di Marmion
di Strasburgo
(fig. 4) o di quella anonima di Bruges (fig. 5), non
solo perché
queste ultime sono di qualità inferiore, ma anche
perché portano
alcuni dettagli che le differenziano da quella sarda,
come l'assenza
del bordo dorato del mantello di Maria e la differente
definizione
del volto di Gesù, nell'opera di Bruges; la corona di
spine con
aculei allungati e due spilli che tengono fermo il
soggolo, nel caso
di Strasburgo. Dettagli che indicano una
personalizzazione di un
modello comune, evidentemente valso anche per l'opera
cagliaritana,
piuttosto che una dipendenza dell'una dall'altra o
viceversa.
Da
rifiutare sarebbe
anche l'allogazione generica al gruppo di artisti che
passa sotto
lo pseudonimo di “Maestro del fogliame ricamato”, non
solo per le
osservazioni di Zanzu ,
a mio avviso sempre valide, anche se più complesse da
sostenere
visto il nuovo quadro storico-critico di
quell'eterogeneo corpus ,
ma soprattutto perché nel trittico cagliaritano manca
del tutto
quella tendenza ossessiva per i dettagli minutissimi,
resi attraverso
lenticolari punti o piccoli tratti che caratterizzano
sia i paesaggi,
sia i preziosi broccati – entrambi assenti nel dipinto
sardo –
che costituiscono la cifra caratterizzante di quel
gruppo di dipinti,
la cui radice sembrerebbe brugese ,
mentre la “diffusion fut, apparemment, limitée à
Bruxelles” in
un determinato lasso di tempo .
Oltre a mancare quei “motifs de paysage”, sembra
assente anche la
capacità di ibridazione tra distinte soluzioni,
attraverso una
sintesi che porti ad un nuovo modello iconografico,
come avvenne nel
caso del gruppo di cinque Madonne
con
Bambino che sfoglia un libro
(figg. 21 e 22), frutto dell'unione di due modelli
rogieriani
distinti perfettamente integrati fra loro. Il Bambino
e
l'inclinazione della testa della Madre derivano
infatti dal dipinto
della Madonna
con
Bambino che tiene una farfalla
del Saint Louis Art Museum (fig. 18), mentre il manto
e la posizione
del busto di Maria da un disegno riferito alla bottega
di van der
Weyden, oggi al Boijmans van Beuningen Museum di
Rotterdam (mm
21,6x13,3, inv. 9) .
Proprio la Madonna con Bambino di Saint Louis è
ripresa
specularmente nell'anta sinistra del trittico
cagliaritano, senza
subire alcuna rielaborazione di sorta. A ben vedere,
quindi, il
nostro sembrerebbe precedere la successiva soluzione
della Madonna
generalmente riferita al gruppo del “fogliame
ricamato”, il cui
primo esempio sarebbe quella del Groeningemuseum di
Bruges (fig. 21),
riferita al Maestro della Madonna Van Gelder, datata
con certezza tra
il 1476 e il 1482 .
Per
le
medesime ragioni non convince del tutto nemmeno la
possibile
identificazione dell'autore, che comunque non è unico
per tutte e
tre le tavole, con il Maestro della Madonna Grog,
facente parte del
gruppo del fogliame ricamato, proposto dalla Limentani
Virdis,
ripresa da Véronique Bücken .
Le analogie individuate, infatti, possono derubricarsi
a epidermiche
coincidenze grafiche, derivanti per lo più dalla
comune matrice
rogieriana, ma che non trovano conferma nella cifra
stilistica delle
portelle cagliaritane – forse l'unica parte
riconducibile più
genericamente a quei modi
– che risulta irrigidita rispetto al Maestro della
Madonna Grog,
sia nelle nervose falangi di mani e piedi, sia negli
accartocciati
tessuti, sia infine nei chiaroscuri resi attraverso
segni
calligrafici che concorrono a delineare una luce
tendenzialmente
zenitale. Caratteristiche certamente differenti dalla
Madonna
di
Minneapolis
(Minneapolis, Institute of Art, cm. 135,9 x 86,8, inv.
1972.00025, fig.
22), presa quale termine di paragone, dove invece i
tessuti sono
impreziositi da bordi in oro, perle e pietre preziose,
le asperità
grafiche sono ridotte attraverso un più accurato uso
delle velature,
con il risultato che gli arti e i volti risultano
ammorbiditi e
illuminati da una più ovattata luce, meno netta e
tagliente. Se poi
il confronto viene esteso alle altre sette opere
riferite all'anonimo
artista attivo a Bruxelles nell'ultimo quarto del XV
secolo ,
la diversità di mano risulta ancor più convincente e
definitiva,
nonostante sia stato notato un similare “traitement
des visages de
la Vierge et de Sainte Marguerite” rispetto a quelli
dei due
pannelli attribuiti al Maestro custoditi a Rotterdam
(Rotterdam, Boijmans van Beuningen Museum, inv. 3168,
3169). Un
parallelo che non regge nemmeno confrontando i disegni
sottostanti la
pellicola pittorica, visibili attraverso le
riflettografie, tra
quello cagliaritano e le altre opere riferite a questo
maestro .
Perfino
l'indizio
del bianco di piombo o biacca utilizzato per la
preparazione “in così grande quantità”, sia nel
pannello
centrale, che in quelli laterali, che sembrava
indicare con sicurezza
una datazione all'ultimo quarto del XV secolo ,
potrebbe essere al contrario una prova dell'arcaicità
del trittico
cagliaritano. L'imprimitura a biacca su cui venivano
poi stese una
serie di velature traslucide, che più numerose nelle
parti in ombra,
“determinavano la qualità del modellato”, ossia la
tecnica
utilizzata in parte nel pannello centrale, rinvia a
quella di van
Eyck e van der Weyden, poi modificata da Memling e
soprattutto dalle
botteghe fiamminghe di fine Quattrocento, inizio
Cinquecento,
“attraverso una graduale animazione delle forme, per
mezzo di un
progressivo aumento della lavorazione a impasto, cui
corrisponde una
semplificazione del sistema stratigrafico” .
La preparazione della tavola centrale “composta da
carbonato di
calcio e leganti proteici, probabilmente colla
animale” a cui si
sommano “strati di biacca e leganti oleosi […] con
funzioni di
imprimitura «locale», nel senso di prima stesura
pittorica” ,
indica una datazione anteriore almeno al 1470-80,
mentre la maggior
corposità del tratto pittorico dei pannelli laterali,
dove comunque
è data una imprimitura a biacca, porterebbe a datare
questi ultimi
ad una fase successiva, compresa comunque nell'ultimo
quarto del XV
secolo. Periodo a cui andrebbe ascritta anche la
cornice, che è bene
ricordare, è ricavata dallo spessore della tavola
nelle ante
laterali, mentre è applicata a incastro in quella
centrale .
Fatto quest'ultimo, unitamente alla mancata
corrispondenza
dimensionale tra le ante e il pannello mediano ,
che – come è stato dimostrato e come avevo già
sottolineato
– porta a concludere che ante e cornice centrale, dove
compare il
marchio dei falegnami di Bruxelles ,
vennero aggiunte successivamente rimodellando il
pannello della
Pietà,
inizialmente rettangolare, secondo un più aggiornato
gusto che
prevedeva l'adozione della forma con centina a doppio
inflesso .
Tesi che potrebbe trovare ulteriore e definitiva
conferma solo
attraverso un esame dentrocronologico delle tavole,
possibile in
quanto tutte di rovere, che fornirebbe una datazione
quasi ad
annum
delle singole parti.
Le
repliche
Chiarita
per
quanto possibile la cronologia e sottolineata la
difficoltà di
individuare definitivamente uno o più autori del
trittico
cagliaritano, resta quasi certa, anche se non
unanimemente condivisa,
la matrice iconografica rogieriana, che accomuna
l'opera sarda con
le altre repliche esistenti, in buona parte già
segnalate negli
studi .
Queste possono, in linea di massima, essere divise in
due tipologie
principali, una che comprende l'intero trittico
secondo il modello
cagliaritano e l'altra che presenta unicamente le
figure di Maria e
Gesù su due pannelli separati in forma di dittico. Da
quest'ultima,
molto probabilmente, discendono le tipologie che
raffigurano la sola
Addolorata
e in un solo caso la figura del Cristo, che tuttavia
da Imago
pietatis
si trasformerà in una iconografia del tutto nuova,
come vedremo.
Per
quanto
riguarda il primo tipo, oltre all'opera sarda, possono
essere menzionate almeno altre due repliche, purtroppo
incomplete.
Della prima (cm. 59 X 69), passata ad un'asta nel 2011
come copia di
un anonimo spagnolo da Simon Marmion con una datazione
al 1540 circa,
resta il solo scomparto centrale con la Pietà (fig.
2),
Fig. 2 - Anonimo francese o spagnolo
Addolorata e Imago Pietatis
olio su tavola, cm. 59 X 69, 1530-1540 ca.
già asta 01/07/2011. Foto cortesia Archivio Agus
che risulta perfettamente identico e di dimensioni
simili a quello
sardo .
Dell'altra, già pubblicata e attualmente catalogata
come seguace
di Gérard David, restano solo le ante laterali (cm.
71 X 40 ciascuna),
che pur identiche a quelle del trittico di Clemente
VII sono di
maggiori dimensioni (fig.
3).
Fig. 3 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Sant'Anna, Maria e il Bambino, Santa Margherita di Antiochia
olio su tavola, cm. 71 x 40 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca.
già Monaco di Baviera, Galleria Xaver Scheidwimmer (1964)
Foto cortesia archivio Friedländer
Queste
ultime, attualmente in collezione privata, passarono
dalla
Galleria Xaver Scheidwimmer di Monaco di Baviera nel
1964, che a sua
volta le acquisì l'anno prima ad un'asta, come Colijn
de Coter
.
Le due repliche passate sul mercato, pur presentando
la medesima
forma di quella cagliaritana, sono rispetto a
quest'ultima di
qualità nettamente inferiore e certamente più tarde.
I
dittici rintracciati sono tre. Due già ampiamente
documentati sono
quelli del Musée de Beaux-Art di Strasburgo, dato a
Simon Marmion
(cm. 43 X 29 ciascun pannello, fig.
4)
,
Fig. 4 - Simon Marmion (attr.)
Addolorata e Imago Pietatis
dittico, olio su tavola, cm. 43 X 29 (ciascuno scomparto)
1460-70 ca., Strasburgo, Musée de Beaux-Art
Foto cortesia Musée de Beaux-Art di Strasburgo
e del Groeningemuseum di Bruges, assegnato invece ad
anonimo copista
di Marmion della fine del XV secolo (cm. 44 X 30,8
ciascun pannello,
fig.
5)
.
Fig. 5 - Anonimo brussellese, Addolorata e Imago Pietatis
dittico, olio su tavola, cm. 44 X 30,8 (ciascuno scomparto)
1480-90 ca., Bruges, Groeningemuseum. Foto cortesia Groeningemuseum
Il terzo, già al Downside Abbey General Trust, è
apparso
recentemente ad un'asta londinese come seguace di
Simon Marmion e
vede le due tavole invertite, entro una cornice
ottocentesca: la
Vergine, che presenta i risvolti del manto rossi, a
destra e il
Cristo a sinistra (cm. 43,6 X 29,5 ciascun pannello,
fig. 6)
.
Fig. 6 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Addolorata e Imago Pietatis
olio su tavola, cm. 43,6 X 29,5 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca.
già Sotheby's, Londra, asta del 07/05/2020, lotto 5. Foto cortesia Sotheby's
I tre sono di dimensioni pressoché identiche e
derivano con tutta
evidenza dallo stesso prototipo del trittico
cagliaritano, che non a
caso era in origine rettangolare e non centinato .
Tuttavia, quello di Strasburgo e l'ultimo proveniente
dalla
Downside Abbey presentano dettagli differenti rispetto
a quello di
Bruges e al trittico di Clemente VII, come la corona
di spine con
aculei allungati e il risvolto del soggolo della
Vergine fissato con
due spilli.
Molto
probabilmente
da perduti dittici derivano i dipinti che presentano
la
sola Vergine addolorata su tavola, sia del tipo di
Strasburgo, sia di
quello di Bruges, ossia con o senza spilli a fissare
il risvolto del
soggolo che le fascia la testa. Una, su tavola, è
quella segnalata
in Collezione Marmaillón a Barcellona (dimensioni
sconosciute, fig.
7),
Fig. 7 - Anonimo spagnolo
Addolorata, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510-30 ca.
già Barcellona, Collezione Marmaillón. Foto cortesia Archivio Agus
che
riprende la foggia del soggolo di Bruges e Cagliari,
ma presenta
un volume maggiore del busto e un'aureola operata a
bulino con
bordo dentellato .
Una seconda, passata ad un'asta parigina nel 1913 come
Albert Bouts
e proveniente dalla collezione di Édouard Aynard di
Lione (cm. 43 X 30,
fig.
8)
,
Fig. 8 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Addolorata, olio su tavola, cm. 43 X 30, 1500 ca.
già Parigi, asta Galerie G. Petit, 01-04.12.1913, lotto 67
Foto cortesia KikIrpa
era stata già associata al dittico di Strasburgo da
Friedländer ,
anche se presenta, in effetti, un soggolo senza
spilli, ma anche
senza il riporto a doppio strato plissettato, che
invece hanno quelli
di Cagliari e Bruges. Infine, un'ultima è quella già
nella
collezione Van Hassel di Belgrado (dimensioni
sconosciute, fig.
9),
Fig. 9 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510 ca.
già Belgrado, collezione Van Hassel. Foto cortesia KikIrpa
dove
però la Vergine è raffigurata specularmente entro
un'apertura
modanata e centinata, con soggolo senza spilli e senza
risvolti,
molto simile quindi alla replica parigina .
Diverso
il
caso delle altre tre repliche rintracciate, perché più
tarde e
certamente non pertinenti a presunti dittici. Una,
sicuramente
seicentesca, è quella su tela del Museu del Cau Ferrat
di Sitges in
Spagna (cm. 56 X 46, fig.
10),
Fig. 10 - Anonimo spagnolo
Addolorata, olio su tela, cm. 56 X 46
Sitges, Museu del Cau Ferrat. Foto cortesia Archivio Agus
che
è replica molto fedele del tipo di Bruges, ma con
l'aggiunta
di una spada che trafigge il petto della Vergine e il
fondo
uniformemente scuro .
Le altre due, su tavola, sono invece copie tardo
ottocentesche: una
dipendente strettamente dal tipo di Strasburgo, ma con
il mantello
leggermente scostato che lascia intravedere la tunica
rossa (cm. 32,5 X 20, fig.
11),
Fig. 11 - Joseph Van der Veken (attr.)
Addolorata, olio su tavola, cm. 32,5 X 20, 1900 ca.
già Brussels Art Auction, asta del 09/10/2018, lotto 155
Foto cortesia Brussels Art Auction
l'altra
presenta invece la Vergine in controparte con uno
sfondo
paesaggistico caratterizzato da un verde pianoro
solcato da un fiume
a più anse (cm. 40 X 33,
fig. 12).
Fig. 12 - Joseph Van der Veken (attr.)
Madonna orante, olio su tavola, cm. 40 X 33, 1900 ca.
già Fauve, Parigi, asta del 22/04/2023. Foto cortesia Archivio Agus
Entrambe,
passate recentemente all'asta ,
potrebbero essere assegnate al noto falsario del XIX
secolo Joseph
Van der Veken .
Per
quanto riguarda
la sola figura del Cristo è bene menzionare una
tavola, che come si
accennava prima, da Imago
Pietatis,
si trasforma in quello che potremmo definire Risorto
dolente
(cm. 45 X 28,
fig.
13)
Fig. 13 - Dieric Bouts (attr.)
Risorto dolente, olio su tavola, cm. 45 X 28
già Londra, Duits Gallery, asta 18/12/1946. Foto cortesia archivio Friedländer
o per utilizzare una più nota e generica definizione Man
of
Sorrows .
Venduta nel 1947 come Dieric Bouts ,
presenta la medesima posa, resa anatomica e corona di
spine rispetto
al tipo di Cagliari e Bruges, anche se l'autore che
reinterpretò
il modello, aggiunse un mantello sulle spalle annodato
con un nastro
sotto al collo e, naturalmente, lo raffigurò con gli
occhi aperti,
anziché chiusi, pur mantenendo le ferite dei chiodi
sulle mani e
quella del costato.
Per
finire, il
modello della Vergine con le mani incrociate sul petto
venne poi
riproposto da altri che lo utilizzarono per
rappresentare l'Ecce
Homo.
A questa tipologia si rifanno almeno due dipinti su
tavola, uno al
Museo de Arte di Ponce a Porto Rico, dato ad un
copista di van der
Goes (cm. 36 X 26,7, inv. 60.0146, fig.
14)
Fig. 14 - Hugo van der Goes (ambito)
Ecce Homo, olio su tavola, cm. 36 X 26,7, 1470-75
Ponce (Porto Rico), Museo de Arte. Foto cortesia Museo Ponce
e l'altro già in collezione Simkens ad Anversa ed oggi
irrintracciabile (cm. 33,8 X 25, fig.
15)
.
Fig. 15 - Anonimo vicino a Dieric Bouts
Ecce Homo, olio su tavola, cm. 33,8 X 25, 1500-1510 ca.
già Christie’s, Amsterdam, asta del 6.05.1993, lotto 49
Foto cortesia KikIrpa
Il
prototipo
perduto
Un
così
alto numero di repliche e copie, sia della sola parte
mediana,
sia dell'intero trittico, presuppongono un prototipo
certamente
importante e noto, tramandato attraverso disegni o
cartoni per lo
spolvero, come spesso accadeva nelle botteghe
fiamminghe, anche
successivamente al XV secolo .
Evidenti ascendenze rogieriane sono riscontrabili
nelle due ante,
mentre per quanto riguarda la parte centrale, a prima
vista,
sembrerebbe meno scontata una possibile ideazione del
maestro di
Tournai. Forse quest'ultima constatazione ha portato
diversi autori
ad indicare Bouts, David o più semplicemente ritenerlo
replica da
Marmion. Eppure, proprio il pannello mediano (fig. 1a)
parrebbe una
invenzione di van der Weyden, non soltanto per il
Cristo in pietà,
ma anche per l'Addolorata che lo affianca.
La
particolare
postura di quest'ultima, infatti, che, rivolgendo il
suo sguardo dimesso e dolente verso l'immagine di suo
figlio
defunto, incrocia le braccia sul petto con la destra
più avanzata, i
mignoli piegati alla sola prima falange, i pollici
affusolati rivolti
verso l'alto, ma soprattutto l'indice della mano
destra proteso
in avanti quasi a nascondere il medio e indicare il
Figlio, la
ritroviamo – in posizione quasi identica – nella
Madonna dolente
del Trittico
della
Redenzione
del Prado, attribuito all'omonimo maestro,
identificato da alcuni
in Vrancke van der Stockt ,
e databile al 1450 circa (fig.
16)
.
Fig. 16 - Maestro della redenzione del Prado (Vrancke van der Stockt?)
Crocifissione, Trittico della Redenzione, part.
olio su tavola, cm. 195 X 172, 1450 ca., Madrid, Museo del Prado
Foto cortesia Museo del Prado
Per quanto riguarda la posizione delle dita della sola
mano, si
tratta di una soluzione ripresa specularmente da
quella dell'angelo
che suona l'arpa della Vergine
con
Bambino tra due angeli musicanti
ideata da Robert Campin, di cui sono note oltre
sessanta repliche la
cui più antica si trova a Zagabria ,
più volte riproposto anche dal Maestro della Madonna
Grog ,
forse attraverso disegni o cartoni che certamente
erano custoditi
nella bottega dei van der Weyden .
Tornando
al
confronto con la tavola madrilena, oltre la posa
dell'Addolorata,
i paralleli con il trittico cagliaritano sembrerebbero
di più ampio
respiro. Sono condivisi, infatti, anche alcuni
particolari del
Cristo, come i capezzoli minuti, lo sterno con
visibili le
attaccature delle costole, la particolare corona di
spine verdastra
intrecciata, le labbra livide socchiuse che lasciano
intravedere i
denti e il volto con le gote segnate, dettagli che
richiamano tratti
rogieriani presenti nella Crocifissione
dell'Escorial, nella Deposizione
del Prado e nel Trittico
dei
Sacramenti
di Anversa. Analogie che tuttavia non vanno oltre il
dato
compositivo, visto che il trittico del Prado presenta
una più cruda
definizione anatomica che si evidenzia con le
protrudenti nocche
delle dita, ma soprattutto una più densa e corposa
pellicola
pittorica, quasi impastata e materica, rispetto alle
impalpabili
trasparenze delle velature della parte centrale di
quello clementino.
Coincidenze
comunque
sufficienti a dimostrare come si tratti di una
composizione
del maestro di Tournai, molto probabilmente ideata al
rientro del
soggiorno italiano. Del resto, una simile definizione
anatomica del
Cristo, la ritroviamo nella Deposizione del Trittico
di
Miraflores
di Berlino o in quello dei Sacramenti di Anversa,
entrambi autografi
certissimi di van der Weyden. Anche il soggolo con
doppia bordura
plissettata, presente nelle repliche di Cagliari,
Bruges, Barcellona,
Sitges e quella passata in asta nel 2011, trova
preciso riscontro
nella Madonna
Durán
del Prado o nella Maddalena
leggente
di Londra, ad esempio, mentre lo spillo che lo ferma –
presente
negli esemplari di Strasburgo e quello passato
all'asta londinese –
lo ritroviamo nelle pie donne ai piedi della croce del
trittico
dei
Sette Sacramenti
di Anversa e nella Maria di Cleofa della Deposizione
del Prado. Proprio di quest'ultima porzione dello
straordinario
dipinto madrileno, esiste una replica in collezione
privata belga (cm. 48,2 X 33,4) ,
dove lo spillo scompare, esattamente come avviene in
alcune repliche
del nostro caso in esame.
Perfino
l'idea
delle braccia del Cristo che, incrociandosi, poggiano
saldamente sul margine basso della tavola, dando
l'impressione che
questa coincida con il bordo del sarcofago, sembra
un'idea che, pur
ampiamente presente nella ritrattistica di Memling ed
espressa anche
nel Cristo
benedicente
della collezione Lynda e Stewart Resnik ,
fa la sua prima comparsa nel Ritratto
di
Carlo il Temerario
della Gemäldegalerie di Berlino, datato al 1460 circa
o in quello
contemporaneo di Francesco
d'Este
del Metropolitan Museum di New York, entrambi
certamente di van der
Weyden. Altra idea sicuramente rogieriana è il fondo
oro finemente
operato a bulino con piccoli solchi perpendicolari,
che movimentano
la superficie, su cui si proiettano le ombre dei
personaggi in primo
piano, esattamente come avviene nella Deposizione
del Prado, dove l'autore “cherche à créer, aux yeux du
spectateur, une ambiguïté entre sculpture et peinture”
.
Un effetto che ritroviamo puntualmente nel trittico
cagliaritano, nel
dittico di Bruges, in quello di Strasburgo e nel Risorto
dolente
venduto nel 1947 come Dieric Bouts (fig. 13), ma non
nelle altre
repliche, che evidentemente non recepirono questa
straordinaria
innovazione introdotta da van der Weyden.
Il
risultato,
magistralmente reso dall'autore della tavola centrale
del trittico clementino, è quello di un Andachtsbild
costruito attraverso due intensi busti alabastrini
collocati entro
una preziosa cassa lignea dorata, del tutto simile
agli altari
scultorei nordici, il cui punto focale resta comunque
il Cristo in
pietà, ripreso abbastanza fedelmente da quello di
Santa Croce in
Gerusalemme a Roma (fig.
17),
Fig. 17 - Mosaicista anonimo
Imago Pietatis, mosaico, cm. 13 X 19, 1300 ca.
Roma, Museo di Santa Croce in Gerusalemme
Foto cortesia Archivio Agus
come
si è già detto, che forse van der Weyden vide
personalmente
durante il suo pellegrinaggio giubilare del 1450.
Dell'immagine a
mosaico, ritenuta acheropita, riprende fedelmente la
testa, inclinata
verso destra, incorniciata da una folta capigliatura
che lascia
intravedere l'orecchio sinistro; la barba che circonda
le labbra
livide e socchiuse; gli occhi serrati nel sonno
mortale; lo sterno e
le costole bulbosamente sporgenti sotto l'epidermide;
le braccia
smagrite con gli avambracci incrociati subito sopra il
margine basso
della figurazione e infine la ferita del costato e i
fori dei chiodi
nelle mani ben in evidenza. Unica aggiunta che si
concede in nostro è
la corona di spine sul capo, frutto di una evidente
ibridazione con
l'immagine affine dell'Ecce
Homo.
A
differenza del pannello centrale, frutto evidente di
una elaborazione
misurata ed equilibrata di elementi formali
propriamente rogieriani,
quelli laterali sembrano più esito del riutilizzo di
un repertorio
iconografico – ugualmente riconducibile a van der
Weyden – ormai
consolidato e diffuso oltre la sua bottega. Non vi è
dunque
solamente una differente tecnica esecutiva e qualità
pittorica, come
è stato già notato più volte ,
a distinguere le ante dalla parte centrale del
trittico cagliaritano,
ma anche un più profondo aspetto compositivo, che
apparteneva già
al suo prototipo, evidentemente elaborato in due
diverse fasi
cronologiche e probabilmente da due artefici distinti.
Basta solo
osservare la disposizione dell'Addolorata e di Cristo,
ben
distanziati e perfettamente proporzionati rispetto
alla dimensione
del pannello, originariamente rettangolare, con le
loro ombre sullo
sfondo che amplificano la sensazione di silente vuoto
– che induce
il riguardante alla contemplazione – e confrontarla
con le
dimensioni maggiori dei personaggi delle ante
laterali, del tutto
fuori scala rispetto non solo a quelle centrali, ma
anche alle stesse
ante che occupano, tanto da trasmettere quasi un senso
di horror
vacui,
per comprendere come queste singole parti siano frutto
di differenti
concezioni compositive e formali.
L'idea
del gruppo
della Madonna con Bambino, che tiene con le dita una
farfalla, del
pannello sinistro (fig. 1b) è ripresa specularmente,
come già si è
accennato, dalla Madonna
Chesterfield,
oggi al Saint Louis Museum of Art
(cm. 58 X 40, inv. 155:1971, fig.
18)
Fig. 18 - Anonimo brussellese
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 60 X 41,6, 1470-75 ca.
Saint Louis, The Saint Louis Art Museum. Foto cortesia The Saint Louis Art Museum
e da quella di un trittico del Musée de Beaux-Arts di
Tournai (cm. 50 X 33, inv. 663, fig.
19),
Fig. 19 - Goswyn van der Weyden (attr.)
Trittico del Salve Regina, olio su tavola
cm. 50 X 33 (scomparto centrale), 50 X 11,5 (ante laterali)
fine XV secolo, Tournai, Musée de Beaux-Arts. Foto cortesia KikIrpa
dato
da qualcuno a Goossen van der Weyden .
Gruppo rogieriano che deriverebbe, con la modifica
della posizione
del braccio sinistro del Bambino portato in alto e la
mano destra che
tiene un fiore, da una tavola già in collezione
privata a Leicester
(cm. 46 X 27,5, fig.
20),
Fig. 20 - Rogier van der Weyden (seguace)
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 46 X 27,5, 1470-75 ca.
già Leicester, Collezione privata. Foto cortesia archivio Friedländer
frutto
di una rielaborazione di alcune repliche della Madonna
con
il fiore
del Louvre ritratte a mezza figura. Una iconografia
che sarebbe
all'origine di un gruppo di almeno cinque dipinti
tutti simili che
ritraggono la Madonna
con
Bambino che sfoglia un libro (figg.
21
e 22),
Fig. 21 - Maestro della Madonna Van Gelder
Madonna con Bambino incoronata dagli angeli
olio su tavola, cm. 103 X 75, 1476-82, Bruges, Groeningemuseum
Foto cortesia Art in Flandes
Fig. 22 - Maestro della Madonna Grog
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 135,89 X 86,84, 1492-98
Minneapolis, Institute of Arts. Foto cortesia Institute of Arts di Minneapolis
come
già aveva ben chiarito De Vos .
A questo gruppo il nostro autore aggiunge la Sant'Anna
che veste il
tipico abito delle Clarisse – mantello marrone,
soggolo bianco che
circonda il viso e velo nero – con la mano sinistra,
dalle dita
quasi disarticolate, che sembra arrampicarsi lungo la
spalla del
Bambino. Una figura che non sembra avere riscontri nel
repertorio
rogieriano e che ha tutto il sapore di un ritratto,
vista la marcata
caratterizzazione del volto e l'orientamento del capo,
che ricorda,
ma è al momento solo una suggestione, alcune
raffigurazioni più
tarde di Coletta di Corbie (fig.
23),
Fig. 23 - Anonimo, Coletta di Corbie
incisione, dimensioni sconosciute, XVII secolo
Collezione privata. Foto cortesia Archivio Agus
deceduta
a Gand nel 1447 e anche lei, come Anna, figlia di
genitori
anziani .
La
Santa
Margherita dell'anta destra (fig. 1c), che a prima
vista
potrebbe sembrare semplicemente il risultato del
ribaltamento
speculare della Madonna dell'anta opposta se non
addirittura una
innovativa soluzione ,
riprende in maniera fedelissima il disegno della Madonna
orante
del British Museum di Londra riferito alla bottega di
van der Weyden
(mm. 129 X 100, inv. 1884,0726.27, fig.
24),
Fig. 24 - Rogier van der Weyden (bottega)
Madonna orante, disegno, mm. 129 X 100, 1450-70
Londra, British Museum. Foto cortesia British Museum
se
non fosse per una leggerissima rotazione del capo
verso sinistra
della santa. Disegno da cui potrebbero derivare almeno
tre dipinti,
uno passato dalla Galleria Bachstitz di Berlino nel
1924 (dimensioni
sconosciute)
e altri due che lo riproducono specularmente: uno
presso l'Instituto
Gómez Moreno di Granada (dimensioni sconosciute, fig.
25)
Fig. 25 - Rogier van del Weyden (ambito)
Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute
1460-75 ca., Granada, Instituto Gómez Moreno
Foto cortesia archivio Friedländer
e l'altro, già in collezione Cardon e poi Del Monte a
Bruxelles,
venduto all'asta nel 1959 (cm. 27 X 20) .
Per finire, la sottile croce astile che emerge dalle
mani giunte,
l'abito in velluto rosso, il mantello azzurro e i
capelli sciolti
sono ripresi fedelmente dalla medesima santa della
tavola con le
Sante
Margherita
e Apollonia
della Gemäldegalerie dello Staatliche Museen di
Berlino, riferita
alla bottega di van der Weyden, con una datazione
attorno al 1455 (cm. 51,5 X 27,4, inv. 534c, fig.
26).
Fig. 26 - Rogier van der Weyden (bottega)
Sante Margherita e Apollonia, olio su tavola, cm. 51,5 X 27,4, 1455 ca.
Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie
Foto cortesia Staatliche Museen
Infine,
la bestia domata al lato dal muso canino è
estremamente
simile a quella sconfitta dal San
Giorgio
della tavola autografa custodita alla National Gallery
di Washington,
datata al 1432-35 (cm. 14,3 X 10,5, inv. 1966.1.1). Si
tratta, in altre
parole, di una immagine rogieriana della Madonna
orante con i capelli
sciolti che inclina il capo verso destra a cui è
aggiunto
l'attributo della croce tra le mani e un manto che
evocano una
simile raffigurazione della santa antiochiese, sempre
di van der
Weyden, senza tuttavia giungere ad una completa
sintesi tra le due
iconografie. Una soluzione adottata, molto
probabilmente, per
simmetria con la Vergine rappresentata nell'anta
sinistra, in cui
si inserisce, quasi a riempire il vuoto laterale, la
bestia,
anch'essa ripresa da un'idea rogieriana.
La
soluzione
definitiva che possiamo vedere unicamente nel trittico
cagliaritano (fig. 1), molto probabilmente è quella
del dipinto che
sta all'origine di tutte le repliche, sia quelle –
oramai mutile
– del trittico nel suo complesso, sia quelle a dittico
della sola
parte centrale, con le relative derivazioni
soprattutto riguardanti
la Vergine addolorata. Che il trittico clementino non
possa essere
considerato il prototipo lo si può desumere da alcuni
dettagli
mancanti, ma presenti, ad esempio, nel dittico di
Strasburgo riferito
a Marmion (fig. 4), come gli spilli che fermano il
soggolo della
Madonna, probabilmente sfuggiti durante la fase di
trasposizione dal
disegno alla tavola. Che in origine gli spilli
facessero parte della
composizione credo possa essere dedotto anche dalle
pieghe del
riporto del tessuto, estremamente simili tra quello
strasburghese e
quello cagliaritano, da cui dipende – in modo sempre
più
semplificato – anche quello di Bruges (fig. 5), che
presenta due
strati plissettati, anziché i tre del dipinto
francese. Altro
dettaglio mancante nel trittico sardo è la
plissettatura del bordo
pettorale del soggolo – visibile invece nei due
dittici di
Strasburgo e Bruges (fig. 4 e 5) – mentre è presente
il doppio
bordo dorato del manto, che invece manca a Bruges.
Anche alcuni
dettagli del Cristo presentano differenze tra le varie
repliche, come
il rivolo di sangue che scende dall'attaccatura del
collo a
sinistra, breve e quasi sovrapponibile tra quello
strasburghino e
quello cagliaritano, più ampio e sdoppiato in quella
brugese, o
ancora la corona, con spine acuminate e lunghe a
Strasburgo,
ugualmente acuminate, ma più corte a Cagliari e infine
corte e
grosse a Bruges. Da questi e altri dettagli, possiamo
immaginare che
il prototipo perduto del pannello centrale –
certamente uscito
dalla bottega di van der Weyden tra il 1450-55 e il
1464 – potesse
avere una maggiore definizione di alcuni dettagli,
come è il caso
del soggolo della Vergine o la corona di spine di
Cristo, in parte
ripresi da Marmion nel dittico francese (fig. 4), ma
già tralasciati
in quello sardo e quindi in quello di Bruges (figg. 1a
e 5). Cosicché
dal prototipo dipenderebbero, in maniera indipendente
sia quello
sardo, sia quello francese, mentre quello brugese
deriverebbe da
quello di Strasburgo per quanto riguarda la soluzione
a dittico e da
quello sardo per la semplificazione di alcuni
dettagli.
Diverso
è
il caso delle due ante laterali, probabilmente
aggiunte
successivamente al prototipo perduto da un artista
attivo forse nella
stessa bottega rogieriana, ereditata dal figlio
Pieter, non oltre il
1480-85, visto che sembra frutto di una fase
elaborativa di modelli
lasciati dal pittore di Tournai, non ancora matura
quanto quella
immediatamente successiva, rappresentata dal gruppo
del “fogliame
ricamato”. In tal senso sarebbe da recuperare la
lettura
iconologica legata a Margherita d'Asburgo, che già
avevo avanzato
,
così da far coincidere la commissione e aggiunta delle
ante con la
nascita nel 1480 della futura governatrice dei Paesi
Bassi, magari in
relazione al Trattato di Arras, che prevedeva il
matrimonio tra
Margherita e il delfino di Francia, futuro Carlo VIII,
comunque prima
del decesso della madre Maria avvenuto nel 1482. Una
ricostruzione
che renderebbe perfettamente plausibile
l'identificazione del
prototipo con il trittico con al centro la Pietà,
presente
nell'inventario di Margherita del 1516. Quest'ultimo
avrebbe,
quindi, fatto rientro nelle Fiandre assieme a
Margherita attorno al
1492, quando la futura governatrice venne rifiutata
dal sovrano
francese in favore di Anna di Bretagna. Resterebbe da
chiarire
l'indicazione inventariale dell'autore delle ante,
identificato
in maestro “Hans”, ossia Memling. Per spiegare un tale
refuso è
possibile ipotizzare che l'aggiunta delle due portelle
al perduto
prototipo venne forse commissionata a Bruges e non a
Bruxelles,
proprio a quel gruppo di artisti legati direttamente
alla bottega di
van der Weyden, come il nipote Louis Le Duc o lo
stesso Memling, che
portarono con loro disegni e cartoni del maestro di
Tournai .
Un gruppo, che probabilmente comprendeva anche Gérard
David, Simon
Bening e più tardi anche Adriaen Isembrant e Ambrosius
Benson, che è
stato indicato come possibile incubatore del gruppo
del Fogliame
ricamato, attivo poi a Bruxelles .
Cronologia
e
interdipendenza delle repliche e loro derivazioni
Il
trittico
sardo (fig. 1) ebbe una storia molto probabilmente
legata
alla cronologia di quello asburgico – semmai sia da
considerare il
prototipo – visto che la parte centrale è più arcaica
rispetto
alle ante, certamente aggiunte successivamente,
assieme alla cornice.
La prima, infatti, potrebbe essere stata eseguita da
un anonimo
brussellese attorno al 1470, forse nella stessa
bottega rogieriana
diretta dal figlio Pieter, probabilmente in
coincidenza o
immediatamente dopo rispetto al dittico di Strasburgo,
che sembra
essere l'unico testimone di alcuni dettagli, che in
quello sardo
erano già perduti. Rimasta forse in vendita presso la
bottega o
probabilmente venduta a qualcuno, che poi la cedette
ad uno dei de'
Medici, venne successivamente rimodellata quando le
furono aggiunte
le due ante (figg. 1b e 1c), come replica di quelle
del prototipo,
probabilmente quando i due fiorentini si recarono
nelle Fiandre,
ospiti di Filippo il Bello, o poco prima. Non è
escluso infatti che
il trittico cagliaritano possa essere stato un omaggio
a Giuliano de'
Medici da parte di Filippo il Bello, realizzato presso
la bottega dei
van der Weyden, che si trovava nel quartiere
Cantersteen, collocata
tra il mercato, Santa Gudula e non distante dal
Palazzo Coudenberg,
sede ducale .
Da
questa
replica sembrano derivare le altre due frammentarie
note
(figg. 2 e 3), databili comunque al principio del XVI
secolo, perché
di qualità nettamente inferiore a quella sarda e ancor
più
semplificate. Dal dittico di Strasburgo (fig. 4)
deriverebbe invece
quello passato in asta nel 2020 (fig. 6), visto che
anche questo
presenta alcuni dettagli, come gli spilli del soggolo
e le spine
acuminate, proprie del dipinto francese. Alcune
innovazioni,
tuttavia, come il risvolto rosso del manto della
Vergine, e l'assenza
dell'ombra proiettata sullo sfondo, denunciano una
rielaborazione
più tarda e quasi standardizzata, probabilmente
databile all'inizio
del XVI secolo.
Diverso,
come
si diceva, sarebbe il caso del dittico brugese (fig.
5), che
invece sembra dipendere molto più dal trittico
cagliaritano per
quanto riguarda la tendenza alla semplificazione di
alcuni elementi,
mentre il legame con quello dato a Marmion, si
restringerebbe alla
soluzione a dittico delle due figure centrali. Si
tratterebbe quindi
di un'opera databile allo scorcio del XV secolo, forse
al penultimo
decennio, vista l'ancora viva sensibilità per l'idea
statuaria
delle due figure, plasticamente percepibile attraverso
l'ombra che
queste proiettano sullo sfondo.
Legata
a
quest'ultimo dittico e al trittico cagliaritano sembra
essere
l'Addolorata
della collezione Marmaillón di Barcellona (fig. 7),
anche se la
vecchia immagine disponibile non permette di andare
oltre la
constatazione che il soggolo sia il medesimo delle due
opere.
Tuttavia, l'aureola aggiunta farebbe propendere per
una datazione
più tarda, probabilmente compresa tra il secondo e il
terzo decennio
del XVI secolo e una produzione forse nemmeno
fiamminga, ma iberica,
dato anche il fondo oro uniforme e il tipo di aureola.
Che questa
immagine, del resto, si iniziò a diffondere oltre le
Fiandre
Meridionali, sembrerebbe trovare riscontro nella più
tarda
Addolorata
su tela del Museu Cau Ferrat di Sitget (fig. 10), la
cui soluzione
iconografica dipende strettamente dal modello
Cagliari-Bruges, ma
ancor più semplificato e riadattato al sentimento
drammatico del
pietismo popolare della prima metà del Seicento. Non a
caso, per
ulteriormente ribadire il concetto, concorre la spada
che trafigge il
petto della Vergine e il fondo uniformemente scuro:
dalla rogieriana
scultura alabastrina collocata entro un prezioso
scrigno aureo,
passiamo alla riproduzione di una scultura lignea
policroma, ripresa
durante una tenebrosa processione notturna della
Settimana Santa,
come ancora oggi se ne vedono per le strade spagnole.
Una
strada
distinta, ma comunque dipendente dal prototipo
originario, con
successive interpolazioni, sembrano seguire l'Addolorata
già a Parigi (fig. 8) e quella, ripresa specularmente,
della
collezione Van Hassel di Belgrado (fig. 9). In
entrambi i casi,
infatti, il soggolo sembra aver perso sia gli spilli,
sia il riporto
a doppio strato, sia la plissettatura, dati che
farebbero propendere
per opere realizzate non più attraverso cartoni,
quanto piuttosto
dedotte da quaderni di appunti, quindi di seconda o
terza mano. Resta
il fondo oro operato, simile al prototipo, ma senza
più ombra
nell'esemplare parigino, mentre lascia il posto ad una
apertura
centinata, con sfondo scuro, modanata lungo gli
spigoli attraverso
coppie di rocchi, dotati di basamenti poligonali
allungati in quella
di Belgrado, che diviene una Madonna
orante.
Soluzione architettonica quest'ultima molto simile a
quella
adottata, ad esempio, nella parte esterna del Trittico
Portinari
(Firenze, Uffizi) o nel Salvator Mundi del Dittico
di
Cristiaan de Hondt,
del Maestro del 1499 (Anversa, Koninklijk Museum voor
Schone
Kunsten). Un risultato, quello di Belgrado, che rinvia
a
rielaborazioni di fine Quattrocento forse adottate a
Gand o in altri
centri delle Fiandre Meridionali, dove ormai il
prototipo si era
diffuso, attraverso appunti o disegni, come si è già
detto, ma che
sembra passare dal dipinto parigino, certamente
precedente.
Non
sappiamo,
ma è possibile supporlo, se la tavola di Belgrado
facesse
o meno parte di un dittico; tuttavia, potrebbe aver
favorito la
circolazione del nostro modello in controparte,
sistemato entro una
cornice architettonica. Un esempio di possibile
derivazione da questa
variante può essere l'Ecce
Homo
e Addolorata
di Adriaen Isenbrant del Metropolitan Museum of Art di
New York (cm. 105,4 X 92,7, inv. 1904.04.32, fig.
27),
Fig. 27 - Adriaen Isenbrant
Ecce Homo e Addolorata, olio su tavola trasportato su tela
cm. 105,4 X 92,7, 1530-40, New York, Metropolitan Museum of Art
Foto cortesia MET
datato
1530-40 .
Nel dipinto newyorkese si riprende fedelmente la
soluzione
dell'Addolorata con le mani incrociate sul petto,
testa leggermente
inclinata incorniciata da un soggolo bianco e velo
scuro e il Cristo
stante con gli avambracci incrociati all'altezza del
ventre, ma
soprattutto l'inquadramento architettonico delle due
figure, che
sostituisce definitivamente la “cassa aurea”
rogieriana.
Legato
al
nostro modello è senza dubbio quello raffigurato in
una tavola,
purtroppo pesantemente rifilata sui bordi, che
potremmo definire,
come già detto, un Risorto
dolente
o
Man
of
Sorrows,
passato ad un'asta londinese nel 1946 (fig. 13), i cui
caratteri
formali sembrano riconducibili a Dieric Bouts. Del
prototipo mantiene
tutto, compresa la ferita del costato e i fori
sanguinanti delle
mani, ma attraverso l'aggiunta di un mantello sulle
spalle e gli
occhi aperti sembrerebbe un tentativo del pittore di
trasformare
l'originaria Imago
Pietatis,
quindi un Cristo morto, in un Ecce
Homo,
ossia quando Ponzio Pilato mostrò alla folla Gesù
flagellato (Gv
19,5), che ovviamente non avrebbe mai potuto avere i
segni della
crocifissione, che invece presenta. Una ibridazione
dal forte sapore
escatologico attraverso cui viene raffigurato il
Cristo, che levatosi
dal sepolcro con ancora i segni della Passione, sta
risorgendo alla
vita eterna, ritratto secondo la nota profezia di
Isaia (Is 53,3-8).
Una evoluzione iconografica del modello, che sembra
preludere allo
stesso Uomo
dei
dolori
di Dieric Bouts della National Gallery di Londra,
datato 1470 circa
(cm. 43.8 X 37.1, inv. NG1083). Anch'esso, infatti, è
dolente, ha le
lacrime agli occhi e presenta i segni della
crocifissione, ma è vivo
e il suo mantello sembra alludere alla resurrezione,
vista la
presenza di fermagli d'oro con perle e zaffiri che
richiamano la
gloria celeste, piuttosto che evocare la Passione,
come invece
serberebbe far pensare quello della tavoletta passata
all'asta, più
semplicemente fissato attraverso un nastro con fiocco.
Le
similitudini tra i due dipinti, tuttavia, non si
fermano alla sola
soluzione iconografica, ma vanno oltre, interessando
la costruzione
dei volumi anatomici, dal busto alle mani, fino alla
testa, le
labbra, la barba, il taglio degli occhi e la corona di
spine, che
documentano se non una identità di mano, almeno la
medesima bottega,
con una datazione quindi abbastanza precoce,
probabilmente precedente
al dittico di Bruges (fig. 5) e forse coeva o di poco
successiva al
pannello centrale cagliaritano (fig. 1a). Una
testimonianza
interessante che prova la precoce diffusione del
modello rogieriano
già allo scorcio degli anni Sessanta, che non
solamente viene
ripreso, ma anche rielaborato, giungendo a forme
iconografiche
innovative.
Diverso
è
il caso, invece, dell'Ecce
Homo
del Museo de Arte di Ponce (fig. 14) e di quello
certamente
successivo già in collezione Simkens ad Anversa (fig.
15), che
derivano dalla Vergine rappresentata nel nostro
prototipo. Si
riconosce, in particolare, la soluzione delle mani
incrociate sul
petto e soprattutto la posizione dell'indice della
mano destra, in
particolare nel dipinto, pur rifilato sui bordi, di
Ponce; mentre la
testa leggermente inclinata, la capigliatura
nettamente bipartita
dalla riga centrale e la corona di spine, sembrano
replicare in
controparte e in modo quasi esatto il Cristo di
Cagliari o quello di
Bruges. Una nuova reinterpretazione del nostro modello
che pare
derivare da una perfetta sintesi delle due figure
centrali,
attraverso cui si giunge all'iconografia dell'Ecce
Homo,
da cui potrebbero derivare ulteriori soluzioni, come,
ad esempio, il
Trittico
Beughem
di Quentin Massys, ora irrintracciabile, ma
proveniente dalla
Collezione del Visconte Beughem, che lo aveva
acquisito dalla Chiesa
di Neyghem, passato poi all'asta nel 1945 e nel 1977 .
Val
la
pena, infine, prendere in esame anche le due versioni
tardo
ottocentesche apparse recentemente all'asta, una delle
quali
assegnata proprio al noto falsario Van der Veken (fig.
11), a cui può
essere attribuita anche l'altra più o meno coeva (fig.
12).
L'interesse di queste due opere risiede nel fatto che
si rifacciano
a due distinti esiti iconografici della Vergine
addolorata:
da una parte quello più “classico” del dittico di
Strasburgo
(fig. 4), ma con la variante del manto rosso,
certamente derivante da
repliche successive, come quella passata all'asta nel
2020 (fig.
6); dall'altra nella più tarda soluzione del dipinto
già in
collezione Van Hassel di Belgrado (fig. 9), andando
però a
sostituire la finestra da cui affaccia la Vergine con
un paesaggio
ripreso a volo d'uccello, che richiama quelli
tipicamente
fiamminghi, trasformando in tal modo una Addolorata
in una Vergine
orante,
esattamente come era già avvenuto nel suo diretto
prototipo.
Lettura
iconologica
Oltre
la
differenza compositiva e quella tecnico-esecutiva, a
distinguere
il pannello centrale da quelli laterali del trittico
clementino (fig.
1) è anche la differente concezione iconografica,
certamente mutuata
direttamente dal suo prototipo. Come già accennato,
infatti, nel
pannello centrale (fig. 1a), come anche nei dittici ad
esso
assimilabili e tratti dal medesimo prototipo (figg. 4,
5, 6), è
raffigurato il Cristo in pietà con alla sua destra la
Vergine
dolente, mentre nei laterali Santa Margherita e la
genealogia materna
di Cristo (figg. 1b e 1c). Un accoppiamento che appare
a prima vista
improprio, che mette in relazione il momento più alto
della
Passione, ossia la rappresentazione del Cristo
effettivamente morto,
con la sua infanzia e una santa, salvo pensare – come
avevo già
proposto – che le due ante fossero state aggiunte
successivamente e
che vadano messe in rapporto con l'originaria
committenza .
La
figura
dell'Imago
Pietatis,
come già evidenziato, è ripresa direttamente da quella
del piccolo
mosaico di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (fig.
17). Donato nel
1386 dal nobile Raimondo del Balzo al suo ritorno dal
pellegrinaggio
in Terra Santa, dove l'aveva acquistato sul Monte
Sinai e poi
sistemato entro un prezioso trittico reliquiario, la
tradizione lo
ricollega alla visione che ebbe, durante una
celebrazione liturgica,
San Gregorio Magno .
Si tratta di una immagine di origine orientale nota
anche come H Ἀκρα
Ταπείνωσις (Umiliazione suprema) ,
ὁ βασιλεὺς τῆς δόξης (Re della gloria) o ancora
Ο Νυμφίος (Cristo sposo) ,
diffusa a partire dal XII secolo e funzionale ai riti
della Settimana
Santa .
La prima definizione si rifà alla profezia di Isaia
(Is 53,3-8),
come già detto, e lo identifica come l'uomo dei
dolori, che si è
fatto carico delle sofferenze e dei patimenti
dell'umanità; la
seconda, presente anche nel cartiglio dell'icona
musiva romana, è
invece tratta dal Salmo 24 (Sal 24,7-10) e lo
identifica come il
Signore forte e potente a cui si schiudono le porte;
l'ultimo
infine si rifà ai tropari bizantini della liturgia dei
primi tre
giorni della Settimana Santa, nei quali, attraverso la
rilettura di
vari passi evangelici, si sottolinea “il tema delle
nozze divine
con l'umanità” .
Una
immagine
che già a fine XIV secolo appariva in forma di dittico
con
la Vergine addolorata accanto al figlio defunto,
destinati
soprattutto alla devozione particolare di laici e
monaci, come è il
caso di quello del monastero di Meteora in Grecia,
datato al 1381
circa .
Nel dipinto greco Cristo morto – come nel nostro caso
– è
raffigurato a mezzo busto, che contro le leggi
gravitazionali, sta
ritto sul sepolcro, mentre la madre addolorata,
rappresentata
nell'altra anta, sembra, con la posizione che assumono
mani e
braccia, tenere in braccio suo Figlio, esattamente
come avveniva in
dittici precedenti dove era rappresentata la Madonna
con Bambino,
come Oδηγήτρια o come Ἐλεούσα, accanto all'Imago
Pietatis
.
Una
raffigurazione
che si concentra sui soli due protagonisti principali
del dramma supremo, la madre dolente e il figlio ormai
morto con
addosso i segni della sua passione, dove “the two
figures visually
related, eye to eye, so to speak. The pair of figures
calls to mind a
pair of actors on the stage of Passion rituals” .
Un coinvolgimento emotivo diretto evidentemente al
riguardante,
perfettamente interpretato dalla Vergine che invita il
fedele ad
immedesimarsi in quell'estremo dolore, espresso
attraverso le sue
lacrime. È infatti in Maria che “si realizza la
conoscenza carnale
perfetta, cioè la perfetta visibilità del Verbo
incarnato”, in
quanto “Dio nell'uomo dei dolori assume
incondizionatamente la
condizione dell'uomo sfigurato dal peccato e gli
insegna ad amare”
.
Un
supremo
dolore che nel nostro caso si rende manifesto, pur in
modo
estremamente composto. Come se l'autore volesse
necessariamente
trovare un punto di equilibrio tra la concezione della
libera
compassione di San Bernardo – ben espressa nel testo
di Oglerio di
Lucedio, in cui si sollecita Maria a versare le
lacrime, che tuttavia
la stessa, in quanto assunta alla gloria celeste,
invita a versare al
fedele – e quella della libera scelta della
conformazione
francescana, dove l'immedesimazione assume un ruolo
centrale, a
partire dagli scritti di Bonaventura da Bagnoregio .
Un equilibrio che sembra inserirsi entro una
concezione tipicamente
quattrocentesca nordica, derivante da testi come il
diffusissimo De
Imitatio
Christi,
tradizionalmente ascritto a Tommaso da Kempis, ma
anche a Gersone di
Vercelli o a Jean de Gerson, in cui è indicato un
preciso percorso
della vita religiosa, che passando per la
mortificazione e la
quotidiana pratica delle virtù cristiane, si completa
con la
consuetudine eucaristica. Proprio l'eucaristia è
chiaramente
evocata dall'Imago
Pietatis,
che richiamando quella romana collegata alla presunta
visione di San
Gregorio Magno, diviene “trasposizione, in immagine,
del dogma
della transustanziazione, mistero che si compie
sull'altare durante
la consacrazione” .
Immagine che non solo tiene espressamente conto del
prototipo romano,
ma anche delle rivelazioni di Santa Brigida, che
sembra trovare piena
corrispondenza nel gruppo centrale, dove Maria
presenta suo Figlio
defunto, esattamente come viene descritto dalla santa
svedese: “il
colore della morte ne ricoprì tutte le membra […]; le
costole
sporgevano talmente che era possibile contarle […] Le
braccia erano
rigide e non riuscii a piegarle per incrociarle sul
petto, ma solo
sul ventre” (IV, 70).
Per
quanto
riguarda le ante laterali, che andrebbero ricondotte
ad una
successiva ideazione, certamente postuma rispetto a
van der Weyden,
sembrano avere la funzione di amplificare e integrare
la preghiera
del devoto riguardante, attraverso un testo figurato,
che sostituisce
quelli epigrafici, spesso utilizzati in ambito
fiammingo.
La
Madonna
con Bambino dell'anta sinistra (fig. 1b), come abbiamo
già
osservato, riprende in maniera molto fedele, ma
speculare, quella del
Saint Louis Art Museum (fig. 18), riproposta anche nel
Trittico di
Tournai (fig. 19). Si tratta di una precisa
riproposizione
compositiva, priva tuttavia di quei dettagli
d'oreficeria minuta
che segnano il bordo dell'abito della Vergine e del
prezioso
cuscino in broccato posato sul davanzale dove siede il
Bambino,
presente anche nel dipinto di Leicester (fig. 20), che
sembra essere
il prototipo di questo piccolo gruppo di opere. Una
semplificazione
forse frutto di adattamento formale rispetto al
pannello centrale,
probabilmente riletta in chiave arcaicizzante dal
maestro che eseguì
il prototipo. Il gruppo della Madonna con Bambino
venne forse
volutamente ripreso specularmente rispetto al
prototipo, affinché
Gesù sembri porgere una farfalla o una falena, che
delicatamente
tiene con indice e pollice, al riguardante. Un segno
preciso che
rinvia al significato profondo rivestito da quegli
insetti, legati,
da una parte, alla costante ricerca del divino nelle
tenebre, per la
falena ,
dall'altra a quello dell'anima umana risorta che viene
accolta
dalle mani di Cristo, per la farfalla .
Al
gruppo
madre-figlio di Saint Louis e Tournai (figg. 18 e 19),
il
nostro aggiunge Sant'Anna, ritratta dietro al Bambino,
con la mano
sinistra appoggiata alla spalla sinistra di
quest'ultimo.
Un'aggiunta che, come si è già detto, non sembra avere
diretti
riferimenti con la produzione rogieriana, fatta
eccezione forse per
le dita disarticolate della mano, il cui modello
sembra simile a
quello da cui deriva la mano destra della Vergine che
regge il libro
del cosiddetto gruppo del “fogliame ricamato” (figg.
21 e 22).
Una figura, anzi, che ha tutto il sapore di un
“ritratto” ripreso
quasi dal vivo di una clarissa, simile ad
alcune
raffigurazioni più tarde di Coletta di Corbie (fig.
23), come si è
già detto. La presenza di Anna, tuttavia, collega
direttamente
l'anta del dipinto cagliaritano con il trittico di
Tournai (fig.
19), dove nelle portelle è riportata una lunga
orazione composta dal
Salve Regina e l'Ave Maria, con tuttavia l'aggiunta
della formula
di invocazione ad Anna, ossia la cosiddetta “Corona di
Sant'Anna”.
Secondo una leggenda, questa preghiera sarebbe stata
dettata dalla
stessa Vergine ad un pellegrino originario di Roma
nella cattedrale
di Reims ,
per poi essere raccolta dall'erudito benedettino Jean
Trithème,
che per primo la pubblicò .
Una invocazione, nel caso di Tournai, e una
raffigurazione, in quello
di Cagliari, spiegabili anche attraverso
l'amplificarsi del culto
verso la madre della Vergine e il suo collegamento con
l'immacolatismo, culminato nell'inserimento nel
Breviario Romano
della festa liturgica di Anna da parte di papa Sisto
IV nel 1481,
data che confermerebbe come le ante del prototipo
scomparso vennero
aggiunte quasi in coincidenza con la nascita di
Margherita d'Asburgo.
Proprio
a
quella che diverrà governatrice dei Paesi Bassi,
sembra far
riferimento la Santa Margherita d'Antiochia, sua
omonima,
raffigurata nell'anta destra (fig. 1c), santa che,
secondo la
tradizione, subì il martirio sotto Massimiano il 20
luglio 290,
all'età di soli 15 anni. Secondo la narrazione
agiografica, la
giovane, figlia di un pagano di nome Teodoxio, si
convertì al
cristianesimo già all'età di dodici anni e venne
notata dal
prefetto Olibrio, che perseguitava i cristiani, il
quale l'avrebbe
voluta come moglie. Fatala rapire dai suoi uomini,
ella rivelò la
sua fede e la ferma volontà di restare vergine,
cosicché Olibrio la
rinchiuse in carcere. Ricomparsa al cospetto del
prefetto,
quest'ultimo la invitò nuovamente alla conversione, ma
visto il
reiterato rifiuto la fece appendere nuda e percuotere
a sangue con
verghe sottili. Margherita continuava a pregare e
maledire il crudele
prefetto, il quale acuì le torture attraverso lame che
squarciarono
la sua pelle, ma la santa resisteva ancora e fu così
messa
nuovamente in prigione. Nella cella, dove continuava a
pregare,
apparve un drago che la inghiottì, ma la croce che era
ormai
impressa nella sua anima, fece gonfiare tanto il
drago, che si
squarciò lasciando Margherita indenne. Seguì poi
l'apparizione di
un diavolo, che le rivelò essere il fratello del
dragone che lei
aveva appena sconfitto. La santa sottomise anche
quest'ultimo
schiacciandolo sotto al calcagno e apparve così una
croce e una
colomba, accompagnate da una voce che la benediceva.
L'indomani,
sconfitto anche il demonio, Margherita venne riportata
al cospetto
del prefetto che la fece ustionare con ferri caldi e
poi immergere
nell'acqua, da cui uscì indenne. Vista la resistenza
della giovane
antiochiena, Olibrio la fece portare fuori dalle mura
della città
dove venne decapitata .
L'iconografia del nostro dipinto fa esplicito
riferimento al
momento della sua seconda carcerazione, seguita ad una
serie di
torture subite per il rifiuto alla conversione, quando
le apparve il
dragone pronto ad inghiottirla.
Pur
trattandosi,
evidentemente, di una santa che personifica la fede
più
indomita e forte, è chiaro che la sua presenza va
necessariamente
collegata alla committenza, che come spesso accadeva
chiedeva
venissero raffigurati santi omonimi a quelli del
mecenate o della
persona a cui era destinata l'opera. Nel nostro caso
l'ipotesi
più logica è quella, pur suggestiva e difficilmente
dimostrabile,
di associare la presenza di questa santa a Margherita
d'Asburgo,
collegandola con la sua nascita, avvenuta il 10
gennaio 1480: “una
circostanza oltremodo lieta richiamata ben due volte
in entrambi gli
sportelli: da una parte con la raffigurazione della generatio
Christi,
nella quale riveste particolare importanza Maria, che
non a caso
porta lo stesso nome della madre della nascitura, e
dall'altra con
la raffigurazione della santa che porta lo stesso nome
della figlia
dell'imperatore” .
Le ante nel trittico, prototipo delle repliche note,
vennero aggiunte
quindi – forse per un voto – in occasione della
nascita di
Margherita, che lo tenne fino almeno al 1516, quando
risulta
documentato presso la sua dimora, come abbiamo visto,
anno da cui se
ne perdono le tracce.
Del
resto,
la lettura complessiva dell'opera, secondo la lezione
cagliaritana che al momento risulta l'unica completa,
al centro
rimanda chiaramente al mistero eucaristico che si
manifesta
nell'Imago
Pietatis,
indicata da Maria, unica mediatrice perché co-dolente
di suo Figlio.
Le ante laterali, invece, sono funzionali alla
preghiera: da una
parte quella alla Vergine e Sant'Anna, secondo la
“Corona di
Sant'Anna”, dall'altra quelle per la richiesta di
intercessione
presso la santa protettrice della destinataria da
proteggere.
Un'opera che quindi si configura come Andachtsbild,
da utilizzarsi per le celebrazioni domestiche o
itineranti, destinate
alla salvezza futura dell'anima della committente,
affidata a
Cristo – la farfalla o falena tenuta con le dita dal
Bambino –
attraverso le preghiere a Maria, Anna e naturalmente a
Santa
Margherita, sua patrona, raffigurata a destra.
Elementi che
certamente dovette cogliere il cardinale de' Medici,
unitamente
allo stile pittorico di “Fiandra”, che era ritenuto
“più
devoto che il modo italiano”, come sosteneva Francisco
de Hollanda
nei suoi Dialoghi
romani
del 1546 .
Conclusioni
Una
lettura,
questa, che sembra confermare quanto già asserito in
merito
alle questioni stilistiche, formali e storiche, che
riconducono
necessariamente le repliche ad un unico prototipo, da
considerarsi
scomparso, realizzato in due distinte fasi: la prima,
riguardante la
sola parte mediana, dallo stesso van der Weyden o la
sua bottega tra
il 1450-55 e il 1464 e la seconda che invece riguardò
l'aggiunta
delle ante, realizzate attorno al 1480-82, molto
probabilmente opera
della medesima bottega brussellese, gestita ormai dal
figlio Pieter,
oppure in quella del nipote Louis Le Duc a Bruges.
L'unica
testimonianza del trittico nella sua completezza è
rappresentata da
quello cagliaritano (fig. 1), confermata dagli altri
due esemplari
più tardi, ma frammentari, con la stessa soluzione
iconografica
(figg. 2 e 3). Che esistesse invece una tavola
corrispondente alla
sola parte centrale (fig. 1a), ne danno testimonianza
i tre diversi
dittici rimasti (figg. 4, 5, 6), tra i quali il più
antico,
certamente precedente all'aggiunta delle ante nel
prototipo, sembra
essere quello dato a Marmion, oggi a Strasburgo, dove
sono riportati
alcuni dettagli – come il soggolo della Vergine con
triplo riporto
plissettato fermato da spilli e la corona acuminata di
Cristo (fig.
4) – che presto scompariranno nella maggior parte
delle repliche
successive, ivi incluse quelle della sola Addolorata
(figg. 7, 8, 9, 10, 11, 12) o dell'unica raffigurante
il Risorto
dolente
(fig. 13).
Ricostruito
in
tal modo lo scomparso prototipo, è possibile affermare
che anche
il trittico cagliaritano seguì un simile percorso,
anche se
cronologicamente più avanzato. La parte centrale (fig.
1a), più
antica delle ante, come già ribadito, venne realizzata
utilizzando
forse gli stessi cartoni del prototipo, nella stessa
bottega dei van
der Weyden, diretta ormai da Pieter, secondogenito di
Rogier, a mio
avviso attorno o poco dopo il 1470 e là probabilmente
restò per
anni. Le due ante laterali (figg. 1b e 1c) invece –
aggiunte al
pannello centrale attraverso la cornice realizzata da
un falegname
brussellese – vennero dipinte molto più tardi,
probabilmente in
coincidenza o poco prima del soggiorno dei due de'
Medici nel
palazzo di Coudenberg, dalla medesima bottega
vanderweychiana sita
nel quartiere di Cantersteen, in cui era già attivo
Goossen, figlio
di Pieter e Catharina van der Noot, prima del suo
trasferimento ad
Anversa, dove divenne cittadino nel 1498-99 .
Anche per le portelle furono quasi sicuramente
utilizzati i medesimi
disegni o cartoni del prototipo, poi reimpiegati per
le successive
repliche, come quelle Scheidwimmer (fig. 3). Complesso
individuare,
entro quella vasta bottega ,
i due possibili autori del trittico clementino, posto
che dell'opera
Pieter, ad esempio, poco o nulla sappiamo, salvo non
sia da
individuare nel Maestro della Leggenda di Santa
Caterina, come
qualcuno ha proposto, pur senza riscontri oggettivi .
In tal caso la sua mano sarebbe da escludere, anche se
resterebbe
comunque valida la ricostruzione appena proposta e
quindi la bottega
van der Weyden diretta da Pieter.
NOTE
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