bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Il trittico di Clemente VII a Cagliari.
Storia, prototipo, repliche e iconografia
 

Luigi Agus
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 14 Ottobre 2023, n. 943
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00943.html
Articolo presentato il 26 Settembre 2023, approvato il 10 Ottobre 2023 e pubblicato il 14 Ottobre 2023
Precedente
Successivo
Tutti
Area Ricerca

Il trittico e la sua vicenda storica

Per alias nostras litteras tibi concessimus, de novo concedimus, sed etiam quamdam tabulam depictam, pietatis Domini Nostri Jesu Christi et Beatae Mariae Virginis in medio, in portulis vero illam claudentibus hinc beatae Annae virginem filiam in manibus tenentis, inde autem beatae Margaritae imagines devote egregieque pietas” 1. Con queste parole papa Clemente VII, al secolo Giulio de' Medici, confermava con un breve del 23 luglio 1531, la donazione alla chiesa cagliaritana di un trittico fiammingo (fig. 1),

Fig. 1 - Bottega dei van der Weyden, Trittico di Clemente VII, olio su tavola, cm. 71 X 154, 1470 ca. (parte centrale), 1485-95 (ante laterali), Cagliari, Museo Diocesano. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 1 - Bottega dei van der Weyden, Trittico di Clemente VII
olio su tavola, cm. 71 X 154, 1470 ca.
(parte centrale), 1485-95 (ante laterali)
Cagliari, Museo Diocesano, Foto cortesia Archivio Agus

attualmente custodito presso il Museo Diocesano, adiacente alla cattedrale 2. La donazione faceva seguito al Sacco di Roma, durante il quale il “miles Caesarei exercitus” Juan Barsena, agli ordini del Connestabile Carlo di Borbone, trafugò dal “cubiculo et camera nostra abreptam”, ossia la camera da letto del pontefice, il prezioso dipinto con altre reliquie. Imbarcatosi alla volta della Penisola Iberica con la refurtiva, a causa di un fortunale fu costretto a sbarcare a Cagliari. Temendo che la tempesta fosse un segno dell'ira divina per il sacrilego furto, consegnò quanto aveva sottratto al convento degli agostiniani della città sarda, che si trovava appena fuori le mura a poche decine di metri dal porto. I zelanti monaci informarono immediatamente l'arcivescovo Girolamo di Villanova, che già il 19 settembre del 1527 istruì il primo di cinque processi, terminati il 15 gennaio 1529, durante i quali ogni singolo oggetto e reliquia venne dettagliatamente inventariato, informando il pontefice dei ritrovamenti 3. Quest'ultimo dispose quindi, una volta restituite la gran parte delle reliquie, di donare al capitolo cagliaritano il trittico e una spina ritenuta parte della corona di Cristo, con l'obbligo di esporli “semel in anno in singulis assumptionis beatae Mariae Virginis festivitatibus, secundis vesperis honorifice ac devote per te et pro tempore existentem Archiepiscopum calaritanum” 4.

Il trittico (cm. 71 X 154 5), come ben descritto dallo stesso pontefice, si compone di una pannello centrale (fig. 1a),

1a. - Bottega di Pieter van der Weyden, Addolorata e Imago Pietatis, Trittico di Clemente VII, part., 1470 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
1a. - Bottega di Pieter van der Weyden, Addolorata e Imago Pietatis
Trittico di Clemente VII, part., 1470 ca.
Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus

costituito da tre assi di rovere collegate da quattro cavicchi, racchiuso da una cornice centinata a doppio inflesso e due ante laterali chiudibili (figg. 1b e 1c),
Fig. 1b. Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden, Sant’Anna, Maria e il Bambino, Trittico di Clemente VII, part., 1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
Fig. 1b. Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden
Sant'Anna, Maria e il Bambino, Trittico di Clemente VII, part.
1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus

Fig. 1c - Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden, Santa Margherita di Antiochia, Trittico di Clemente VII , part., 1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus
Fig. 1c - Bottega di Pieter e Goossen van der Weyden
Santa Margherita di Antiochia, Trittico di Clemente VII, part.
1485-95 ca., Cagliari, Museo Diocesano. Foto Archivio Agus

non perfettamente corrispondenti nelle dimensioni al pannello centrale
6, le cui cornici sono invece ricavate dallo spessore della tavola, formata, in entrambe, da due assi in rovere incollate tra loro 7. Al centro, su un fondo dorato operato a bulino con piccole incisioni perpendicolari tra loro, si trova a destra il Cristo in pietà e a sinistra la Vergine addolorata, che proiettano la loro ombra sullo sfondo, quasi fossero sculture entro una cassa. Coronato di spine, con le braccia incrociate davanti al ventre e poggiate sul margine basso, la testa leggermente reclinata verso sinistra, labbra livide e socchiuse, occhi chiusi e copioso sangue che sgorga dai fori delle mani e dalla ferita sul costato, Cristo è rappresentato nella consueta tipologia della Imago Pietatis, derivante dal prototipo di Santa Croce in Gerusalemme a Roma 8 (fig. 17). La Vergine al suo fianco, con gli occhi arrossati e gonfi di lacrime, ha il viso incorniciato da un soggolo bianchissimo, coperto da un manto azzurro scuro bordato d'oro, da cui emergono le mani, che porta, incrociandole, verso il petto.

Nell'anta destra (fig. 1c) è rappresentata Santa Margherita di Antiochia 9 con le mani giunte da cui emerge una croce, il capo leggermente inclinato verso sinistra incorniciato da una folta capigliatura che scende sulle spalle, coperte da un manto blu scuro orlato d'oro su una veste aderente in prezioso velluto rosso, affiancata da una bestia verde dal muso canino che, ammansita, la osserva. Nell'anta sinistra (fig. 1b) è invece raffigurata Sant'Anna, con il viso rivolto verso sinistra – abbigliata con un mantello marone e il viso incorniciato da un soggolo bianco e velo nero – mentre poggia la mano sinistra sulla spalla del Bambino Gesù, stretto dalla Madre – vestita con una tunica e mantello rossi e capelli sciolti ricadenti sulle spalle – che intreccia le dita delle mani sul petto del pargolo per reggerlo, mentre quest'ultimo tiene tra le dita della mano destra una farfalla o una falena per le ali. Come nel pannello centrale, anche le figure di quelli laterali proiettano la loro ombra sul fondo, ugualmente dorato e operato con la medesima tecnica di quello centrale.

Se abbiamo contezza e abbondanza di documentazione di come il dipinto giunse a Cagliari nel 1527, non è altrettanto sicura la provenienza originaria. Non sappiamo, infatti, con certezza come e quando il pontefice acquisì il trittico. L'ipotesi prevalente, già avanzata dall'Aru nel 1931 10 e poi rielaborata e maggiormente dettagliata da altri studiosi 11, è che l'allora cardinale Giulio de' Medici l'abbia acquistato a Bruxelles durante il suo viaggio col cugino Giovanni, futuro Leone X, mentre era ospite di Filippo il Bello nel Palazzo Coudenberg, senza escludere che l'acquirente sia stato il cugino, che poi lo lasciò in Vaticano al suo decesso 12. Ipotesi che, in tutti i casi, porta a ritenere che il dipinto fosse disponibile alla vendita, quindi già realizzato, dato il breve soggiorno dei due fiorentini, che per certo farebbe escludere una commissione diretta, forse ipotizzabile per le sole ante laterali, quale completamento di una tavola già esistente 13.

Altra ipotesi alternativa sarebbe quella di identificare il trittico cagliaritano con quello presente nell'inventario di Margherita d'Asburgo, redatto nel 1516, descritto con al centro una Pietà dipinta da van der Weyden e le ante realizzate da “Maestro Hans”, ossia Hans Memling 14, che sarebbe stato donato dalla zia del futuro imperatore Carlo al cardinale Giulio de' Medici “come auspicio per i futuri rapporti tra la casata asburgica e la Santa Sede”, prima del 28 giugno 1519, “quando a Francoforte, sostenuto dai banchieri tedeschi Fugger, Carlo fu finalmente eletto imperatore” 15. Ipotesi, quest'ultima che avevo avanzato difficilissima da dimostrare, tanto più che la lettura formale dell'opera non farebbe sospettare un intervento di Memling nelle ante, salvo pensare ad una errata attribuzione nell'inventario, intendendo per “Maestro Hans” un generico collaboratore di van der Weyden, riconducendo quindi il tutto al suo atelier, con una datazione compresa tra il 1459-60 e il 1464, quando presumibilmente Memling frequentò la bottega rogieriana 16. In tal senso perderebbe di efficacia la lettura iconografica, per cui le due ante sarebbero state aggiunte in occasione della nascita di Margherita attorno 1480, vista la presenza della santa che porta il suo nome, nonché protettrice delle partorienti, da una parte, e la Sint-Anna te Drieën dall'altra, che ugualmente richiama il rapporto madre-figlia 17.

Al di là di tali considerazioni, nulla può farci escludere che quello cagliaritano sia una replica fedelissima del perduto trittico asburgico, magari uscito dalla bottega dei van der Weyden o qualcuna a lei molto prossima. Là sarebbe stato acquistato da uno dei due cardinali dopo aver visto quello di Margherita, che proprio nel 1499 era rientrata, a seguito del decesso del coniuge Giovanni d'Aragona avvenuto due anni prima, a Bruxelles dalla Penisola Iberica per stare assieme al fratello Filippo, il quale ospitò i de' Medici a palazzo, come abbiamo visto. Normalmente, infatti, le botteghe o gli artisti ad esse legati, anche dopo il decesso del maestro, replicavano soluzioni compositive di successo o che erano state commissionate da personaggi di rilievo 18, come sembrerebbe essere il nostro caso, che come esporrò di seguito, presenta diverse repliche, sia in forma di trittico, sia in forma di dittico della sola parte mediana.


Fortuna critica e rilettura formale

La questione delle repliche, a mio avviso, unitamente ai risultati degli esami diagnostici effettuati in occasione del restauro, l'analisi iconologica e quella stilistica, potranno fornire risposte circa la paternità e l'origine del dipinto cagliaritano, ma soprattutto del suo prototipo. Tuttavia, prima di prendere in esame tali tematiche è bene ripercorrere brevemente la fortuna critica del trittico, le cui prime notizie risalgono al XIX secolo, prima con una generica segnalazione della presenza, presso la sagrestia interna della cattedrale di Cagliari, di “tre tavole con tre teste stimate del Luca di Olanda”, ossia Lucas van Leyden 19; quindi con le più dettagliate e precise descrizioni del Valery, che assegnò l'opera ad un artista vicino a Raffaello 20, e del canonico Giovanni Spano, che invece indicò il Beato Angelico 21, e che per primi riportarono la vicenda del furto e della successiva donazione di Clemente VII, specificando che le notizie vennero attinte da “documenti originali nel R. Archivio Capitolare di Cagliari” 22.

Fu Enrico Brunelli a dare una più appropriata definizione critica, indicando per la prima volta la matrice fiamminga dell'opera, attribuendola a Gérard David e pubblicando il breve del 1531 23. Successivamente Carlo Aru, mettendo a confronto il trittico di Cagliari con le repliche di Strasburgo (fig. 4) e Bruges (fig. 5), quest'ultima già attribuita a Simon Marmion 24, giungeva alla conclusione che lo scomparto centrale e le altre due repliche derivassero da un prototipo di Rogier van der Weyden, confermando infine l'attribuzione a David formulata da Brunelli 25. Tesi ripresa più tardi da Dionigi Scano 26, Raimond Van Marle 27, Renata Serra, Corrado Maltese e Roberto Coroneo in più occasioni, anche se questi ultimi tre esclusero David quale possibile autore, ritenendo che il trittico fosse una copia rogieriana più tarda, vista anche la sagoma della cornice 28.

Anche per Dirk De Vos il trittico cagliaritano, che attribuì al “Maestro del fogliame ricamato” con il pannello principale copiato dal dittico di Strasburgo di Marmion (fig. 4) 29, deriverebbe da un prototipo elaborato da van der Weyden, notando come lo scomparto sinistro faccia parte di un gruppo di quattro opere raffiguranti la Madonna con il Bambino, la cui principale sarebbe la Madonna Chesterfield, oggi al Saint Luis Art Museum (fig. 19), sviluppata forse in parallelo con la Madonna con fiore del Louvre (cm. 75,2 X 56,5, inv. RF 2067) e le sue repliche, la cui posizione delle dita del Bambino deriva, a sua volta, dalla tavola della collezione Kress di Washington, attribuita a Robert Campin (cm. 122,2 X 151,2, inv. 1959.9.3). Da tale prototipo deriverebbe la variante della Madonna in Trono con Bambino che sfoglia un libro a figura intera, con cinque repliche già individuate da Max J. Friedländer 30. Sempre da un prototipo rogieriano, per Elisa Bermejo Martínez, deriverebbe il dipinto cagliaritano, la replica di Bruges (fig. 5), forse dello stesso autore, quella di Strasburgo di Marmion (fig. 4) e altre due della sola Vergine addolorata, una presso la collezione Marmaillón di Barcellona (fig. 7) e l'altra più tarda su tela custodita al Museu del Cau Ferrat di Sitges (fig. 10) 31.

Distinte le opinioni di André Chastel e Licia Collobi Ragghianti 32, il primo che ritenne l'opera cagliaritana una “modesta” replica di un modello rogieriano la parte centrale e di David le ante, la seconda che invece riprese l'attribuzione dell'Aru all'ambito di David. Posizione quest'ultima ripresa da Federico Zeri, che notava come l'opera cagliaritana dimostrerebbe che il Pontefice aveva intuito “l'efficacia pietistica dei fiamminghi, del loro minutissimo, lenticolare verismo epidermico” 33. Considerazione ripresa recentemente anche da Sheryl E. Reiss 34, che tuttavia, ritenne, assieme a Paula Nuttall, che il pannello centrale possa essere uscito dalla bottega dei Bouts, mentre quelli laterali da un seguace di van der Weyden 35.

Più articolata, invece, la tesi di Giovanni Zanzu, che a seguito dei risultati delle indagini diagnostiche effettuate sull'opera 36, che hanno messo in luce il disegno sottostante e la tecnica pittorica, palesemente diversa fra la tavola centrale e le laterali 37; la scoperta lungo la cornice del marchio dei falegnami di Bruxelles 38, in uso obbligatorio a partire dal 1454 e l'utilizzo della biacca nella preparazione, concluse come il pannello centrale sia certamente più antico dei due laterali, che data attorno al 1499, ma comunque non precedente all'ultimo quarto del XV secolo, che andasse esclusa la mano del “Maestro del fogliame ricamato” indicata da De Vos, ma anche quella di van der Weyden, mentre avanzava con riserva l'idea che il trittico cagliaritano potesse essere il prototipo da cui deriverebbero le repliche di Strasburgo (fig. 4), Bruges (fig. 5), nonché quelle della sola Vergine di Barcellona (fig. 7), Parigi (fig. 8), già segnalata da Friedländer 39, e Belgrado (fig. 9), a cui aggiunse una replica in collezione privata delle due ante (fig. 3) 40. Sulla scorta anche delle indicazioni di Zanzu, Karl Schade ritenne che il trittico fosse stato realizzato da un anonimo seguace di van der Weyden attorno al 1499-1500 41.

L'attribuzione al “Maestro del fogliame ricamato” proposta da De Vos, condivisa anche da Aquilin Janssens de Bisthoven e in tempi più recenti da Till-Holger Borchert e Sara Mocci 42, è stata riproposta in termini però di “gruppo di artefici” da Caterina Limentani Virdis, che – a seguito della risistemazione del corpus 43 individuato per la prima volta da Friedländer 44 – ha proposto il nome del Maestro della Madonna Grog 45. Ipotesi condivisa da Véronique Bücken, che per il pannello centrale riprese l'idea di De Vos, ritenendolo copia di quello di Marmion, con una datazione attorno al 1500 46.

Pareri, come si evince da questo breve excursus, abbastanza discordanti tra loro, senza che mai si sia giunti ad una convincente soluzione della questione. Le ipotesi attributive attorno alle figure di David o Bouts sono, a mio avviso, da scartare a priori, non solo per questioni stilistiche e tecniche 47, quanto piuttosto per ragioni cronologiche e geografiche, posto che inconfutabilmente il trittico venne realizzato a Bruxelles, certamente tra la fine del terzo e l'inizio dell'ultimo quarto del XV secolo, data la presenza del marchio dei falegnami di quella città sulla cornice. Altrettanto è da dirsi per l'ipotesi che l'opera cagliaritana sia replica di quella di Marmion di Strasburgo (fig. 4) o di quella anonima di Bruges (fig. 5), non solo perché queste ultime sono di qualità inferiore, ma anche perché portano alcuni dettagli che le differenziano da quella sarda, come l'assenza del bordo dorato del mantello di Maria e la differente definizione del volto di Gesù, nell'opera di Bruges; la corona di spine con aculei allungati e due spilli che tengono fermo il soggolo, nel caso di Strasburgo. Dettagli che indicano una personalizzazione di un modello comune, evidentemente valso anche per l'opera cagliaritana, piuttosto che una dipendenza dell'una dall'altra o viceversa.

Da rifiutare sarebbe anche l'allogazione generica al gruppo di artisti che passa sotto lo pseudonimo di “Maestro del fogliame ricamato”, non solo per le osservazioni di Zanzu 48, a mio avviso sempre valide, anche se più complesse da sostenere visto il nuovo quadro storico-critico di quell'eterogeneo corpus 49, ma soprattutto perché nel trittico cagliaritano manca del tutto quella tendenza ossessiva per i dettagli minutissimi, resi attraverso lenticolari punti o piccoli tratti che caratterizzano sia i paesaggi, sia i preziosi broccati – entrambi assenti nel dipinto sardo – che costituiscono la cifra caratterizzante di quel gruppo di dipinti, la cui radice sembrerebbe brugese 50, mentre la “diffusion fut, apparemment, limitée à Bruxelles” in un determinato lasso di tempo 51. Oltre a mancare quei “motifs de paysage”, sembra assente anche la capacità di ibridazione tra distinte soluzioni, attraverso una sintesi che porti ad un nuovo modello iconografico, come avvenne nel caso del gruppo di cinque Madonne con Bambino che sfoglia un libro 52 (figg. 21 e 22), frutto dell'unione di due modelli rogieriani distinti perfettamente integrati fra loro. Il Bambino e l'inclinazione della testa della Madre derivano infatti dal dipinto della Madonna con Bambino che tiene una farfalla del Saint Louis Art Museum (fig. 18), mentre il manto e la posizione del busto di Maria da un disegno riferito alla bottega di van der Weyden, oggi al Boijmans van Beuningen Museum di Rotterdam (mm 21,6x13,3, inv. 9) 53. Proprio la Madonna con Bambino di Saint Louis è ripresa specularmente nell'anta sinistra del trittico cagliaritano, senza subire alcuna rielaborazione di sorta. A ben vedere, quindi, il nostro sembrerebbe precedere la successiva soluzione della Madonna generalmente riferita al gruppo del “fogliame ricamato”, il cui primo esempio sarebbe quella del Groeningemuseum di Bruges (fig. 21), riferita al Maestro della Madonna Van Gelder, datata con certezza tra il 1476 e il 1482 54.

Per le medesime ragioni non convince del tutto nemmeno la possibile identificazione dell'autore, che comunque non è unico per tutte e tre le tavole, con il Maestro della Madonna Grog, facente parte del gruppo del fogliame ricamato, proposto dalla Limentani Virdis, ripresa da Véronique Bücken 55. Le analogie individuate, infatti, possono derubricarsi a epidermiche coincidenze grafiche, derivanti per lo più dalla comune matrice rogieriana, ma che non trovano conferma nella cifra stilistica delle portelle cagliaritane – forse l'unica parte riconducibile più genericamente a quei modi 56 – che risulta irrigidita rispetto al Maestro della Madonna Grog, sia nelle nervose falangi di mani e piedi, sia negli accartocciati tessuti, sia infine nei chiaroscuri resi attraverso segni calligrafici che concorrono a delineare una luce tendenzialmente zenitale. Caratteristiche certamente differenti dalla Madonna di Minneapolis (Minneapolis, Institute of Art, cm. 135,9 x 86,8, inv. 1972.00025, fig. 22), presa quale termine di paragone, dove invece i tessuti sono impreziositi da bordi in oro, perle e pietre preziose, le asperità grafiche sono ridotte attraverso un più accurato uso delle velature, con il risultato che gli arti e i volti risultano ammorbiditi e illuminati da una più ovattata luce, meno netta e tagliente. Se poi il confronto viene esteso alle altre sette opere riferite all'anonimo artista attivo a Bruxelles nell'ultimo quarto del XV secolo 57, la diversità di mano risulta ancor più convincente e definitiva, nonostante sia stato notato un similare “traitement des visages de la Vierge et de Sainte Marguerite” rispetto a quelli dei due pannelli attribuiti al Maestro custoditi a Rotterdam 58 (Rotterdam, Boijmans van Beuningen Museum, inv. 3168, 3169). Un parallelo che non regge nemmeno confrontando i disegni sottostanti la pellicola pittorica, visibili attraverso le riflettografie, tra quello cagliaritano e le altre opere riferite a questo maestro 59.

Perfino l'indizio del bianco di piombo o biacca utilizzato per la preparazione “in così grande quantità”, sia nel pannello centrale, che in quelli laterali, che sembrava indicare con sicurezza una datazione all'ultimo quarto del XV secolo 60, potrebbe essere al contrario una prova dell'arcaicità del trittico cagliaritano. L'imprimitura a biacca su cui venivano poi stese una serie di velature traslucide, che più numerose nelle parti in ombra, “determinavano la qualità del modellato”, ossia la tecnica utilizzata in parte nel pannello centrale, rinvia a quella di van Eyck e van der Weyden, poi modificata da Memling e soprattutto dalle botteghe fiamminghe di fine Quattrocento, inizio Cinquecento, “attraverso una graduale animazione delle forme, per mezzo di un progressivo aumento della lavorazione a impasto, cui corrisponde una semplificazione del sistema stratigrafico” 61. La preparazione della tavola centrale “composta da carbonato di calcio e leganti proteici, probabilmente colla animale” a cui si sommano “strati di biacca e leganti oleosi […] con funzioni di imprimitura «locale», nel senso di prima stesura pittorica” 62, indica una datazione anteriore almeno al 1470-80, mentre la maggior corposità del tratto pittorico dei pannelli laterali, dove comunque è data una imprimitura a biacca, porterebbe a datare questi ultimi ad una fase successiva, compresa comunque nell'ultimo quarto del XV secolo. Periodo a cui andrebbe ascritta anche la cornice, che è bene ricordare, è ricavata dallo spessore della tavola nelle ante laterali, mentre è applicata a incastro in quella centrale 63. Fatto quest'ultimo, unitamente alla mancata corrispondenza dimensionale tra le ante e il pannello mediano 64, che – come è stato dimostrato e come avevo già sottolineato 65 – porta a concludere che ante e cornice centrale, dove compare il marchio dei falegnami di Bruxelles 66, vennero aggiunte successivamente rimodellando il pannello della Pietà, inizialmente rettangolare, secondo un più aggiornato gusto che prevedeva l'adozione della forma con centina a doppio inflesso 67. Tesi che potrebbe trovare ulteriore e definitiva conferma solo attraverso un esame dentrocronologico delle tavole, possibile in quanto tutte di rovere, che fornirebbe una datazione quasi ad annum delle singole parti.


Le repliche


Chiarita per quanto possibile la cronologia e sottolineata la difficoltà di individuare definitivamente uno o più autori del trittico cagliaritano, resta quasi certa, anche se non unanimemente condivisa, la matrice iconografica rogieriana, che accomuna l'opera sarda con le altre repliche esistenti, in buona parte già segnalate negli studi 68. Queste possono, in linea di massima, essere divise in due tipologie principali, una che comprende l'intero trittico secondo il modello cagliaritano e l'altra che presenta unicamente le figure di Maria e Gesù su due pannelli separati in forma di dittico. Da quest'ultima, molto probabilmente, discendono le tipologie che raffigurano la sola Addolorata e in un solo caso la figura del Cristo, che tuttavia da Imago pietatis si trasformerà in una iconografia del tutto nuova, come vedremo.

Per quanto riguarda il primo tipo, oltre all'opera sarda, possono essere menzionate almeno altre due repliche, purtroppo incomplete. Della prima (cm. 59 X 69), passata ad un'asta nel 2011 come copia di un anonimo spagnolo da Simon Marmion con una datazione al 1540 circa, resta il solo scomparto centrale con la Pietà (fig. 2),

Fig. 2 - Anonimo francese o spagnolo, Addolorata e Imago Pietatis, olio su tavola, cm. 59 X 69, 1530-1540 ca., già asta 01/07/2011. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 2 - Anonimo francese o spagnolo
Addolorata e Imago Pietatis
olio su tavola, cm. 59 X 69, 1530-1540 ca.
già asta 01/07/2011. Foto cortesia Archivio Agus

che risulta perfettamente identico e di dimensioni simili a quello sardo 69. Dell'altra, già pubblicata e attualmente catalogata come seguace di Gérard David, restano solo le ante laterali (cm. 71 X 40 ciascuna), che pur identiche a quelle del trittico di Clemente VII sono di maggiori dimensioni (fig. 3).
Fig. 3 - Anonimo delle Fiandre Meridionali, Sant’Anna, Maria e il Bambino, Santa Margherita di Antiochia, olio su tavola, cm. 71 x 40 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca., già Monaco di Baviera, Galleria Xaver Scheidwimmer (1964). Foto cortesia archivio Friedländer
Fig. 3 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Sant'Anna, Maria e il Bambino, Santa Margherita di Antiochia
olio su tavola, cm. 71 x 40 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca.
già Monaco di Baviera, Galleria Xaver Scheidwimmer (1964)
Foto cortesia archivio Friedländer

Queste ultime, attualmente in collezione privata, passarono dalla Galleria Xaver Scheidwimmer di Monaco di Baviera nel 1964, che a sua volta le acquisì l'anno prima ad un'asta, come Colijn de Coter
70. Le due repliche passate sul mercato, pur presentando la medesima forma di quella cagliaritana, sono rispetto a quest'ultima di qualità nettamente inferiore e certamente più tarde.

I dittici rintracciati sono tre. Due già ampiamente documentati sono quelli del Musée de Beaux-Art di Strasburgo, dato a Simon Marmion (cm. 43 X 29 ciascun pannello, fig. 4) 71,

Fig. 4 - Simon Marmion (attr.), Addolorata e Imago Pietatis, dittico, olio su tavola, cm. 43 X 29 (ciascuno scomparto), 1460-70 ca., Strasburgo, Musée de Beaux-Art. Foto cortesia Musée de Beaux-Art di Strasburgo
Fig. 4 - Simon Marmion (attr.)
Addolorata e Imago Pietatis
dittico, olio su tavola, cm. 43 X 29 (ciascuno scomparto)
1460-70 ca., Strasburgo, Musée de Beaux-Art
Foto cortesia Musée de Beaux-Art di Strasburgo

e del Groeningemuseum di Bruges, assegnato invece ad anonimo copista di Marmion della fine del XV secolo (cm. 44 X 30,8 ciascun pannello, fig. 5) 72.

Fig. 5 - Anonimo brussellese, Addolorata e Imago Pietatis, dittico, olio su tavola, cm. 44 X 30,8 (ciascuno scomparto), 1480-90 ca., Bruges, Groeningemuseum. Foto cortesia Groeningemuseum
Fig. 5 - Anonimo brussellese,
Addolorata e Imago Pietatis
dittico, olio su tavola, cm. 44 X 30,8 (ciascuno scomparto)
1480-90 ca., Bruges, Groeningemuseum. Foto cortesia Groeningemuseum

Il terzo, già al Downside Abbey General Trust, è apparso recentemente ad un'asta londinese come seguace di Simon Marmion e vede le due tavole invertite, entro una cornice ottocentesca: la Vergine, che presenta i risvolti del manto rossi, a destra e il Cristo a sinistra (cm. 43,6 X 29,5 ciascun pannello
, fig. 6) 73.

Fig. 6 - Anonimo delle Fiandre Meridionali, Addolorata e Imago Pietatis, olio su tavola, cm. 43,6 X 29,5 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca., già Sotheby's, Londra, asta del 07/05/2020, lotto 5. Foto cortesia Sotheby's
Fig. 6 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Addolorata e Imago Pietatis
olio su tavola, cm. 43,6 X 29,5 (ciascuno scomparto), 1500-1510 ca.
già Sotheby's, Londra, asta del 07/05/2020, lotto 5. Foto cortesia Sotheby's

I tre sono di dimensioni pressoché identiche e derivano con tutta evidenza dallo stesso prototipo del trittico cagliaritano, che non a caso era in origine rettangolare e non centinato
74. Tuttavia, quello di Strasburgo e l'ultimo proveniente dalla Downside Abbey presentano dettagli differenti rispetto a quello di Bruges e al trittico di Clemente VII, come la corona di spine con aculei allungati e il risvolto del soggolo della Vergine fissato con due spilli.

Molto probabilmente da perduti dittici derivano i dipinti che presentano la sola Vergine addolorata su tavola, sia del tipo di Strasburgo, sia di quello di Bruges, ossia con o senza spilli a fissare il risvolto del soggolo che le fascia la testa. Una, su tavola, è quella segnalata in Collezione Marmaillón a Barcellona (dimensioni sconosciute, fig. 7),

Fig. 7 - Anonimo spagnolo, Addolorata, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510-30 ca., già Barcellona, Collezione Marmaillón. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 7 - Anonimo spagnolo
Addolorata, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510-30 ca.
già Barcellona, Collezione Marmaillón. Foto cortesia Archivio Agus

che riprende la foggia del soggolo di Bruges e Cagliari, ma presenta un volume maggiore del busto e un'aureola operata a bulino con bordo dentellato 75. Una seconda, passata ad un'asta parigina nel 1913 come Albert Bouts e proveniente dalla collezione di Édouard Aynard di Lione (cm. 43 X 30, fig. 8) 76,

Fig. 8 - Anonimo delle Fiandre Meridionali, Addolorata, olio su tavola, cm. 43 X 30, 1500 ca., già Parigi, asta Galerie G. Petit, 01-04.12.1913, lotto 67. Foto cortesia KikIrpa
Fig. 8 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Addolorata, olio su tavola, cm. 43 X 30, 1500 ca.
già Parigi, asta Galerie G. Petit, 01-04.12.1913, lotto 67
Foto cortesia KikIrpa

era stata già associata al dittico di Strasburgo da Friedländer
77, anche se presenta, in effetti, un soggolo senza spilli, ma anche senza il riporto a doppio strato plissettato, che invece hanno quelli di Cagliari e Bruges. Infine, un'ultima è quella già nella collezione Van Hassel di Belgrado (dimensioni sconosciute, fig. 9),

Fig. 9 - Anonimo delle Fiandre Meridionali, Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510 ca., già Belgrado, collezione Van Hassel. Foto cortesia KikIrpa
Fig. 9 - Anonimo delle Fiandre Meridionali
Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1510 ca.
già Belgrado, collezione Van Hassel. Foto cortesia KikIrpa

dove però la Vergine è raffigurata specularmente entro un'apertura modanata e centinata, con soggolo senza spilli e senza risvolti, molto simile quindi alla replica parigina
78.

Diverso il caso delle altre tre repliche rintracciate, perché più tarde e certamente non pertinenti a presunti dittici. Una, sicuramente seicentesca, è quella su tela del Museu del Cau Ferrat di Sitges in Spagna (cm. 56 X 46, fig. 10),

Fig. 10 - Anonimo spagnolo, Addolorata, olio su tela, cm. 56 X 46, Sitges, Museu del Cau Ferrat. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 10 - Anonimo spagnolo
Addolorata, olio su tela, cm. 56 X 46
Sitges, Museu del Cau Ferrat. Foto cortesia Archivio Agus

che è replica molto fedele del tipo di Bruges, ma con l'aggiunta di una spada che trafigge il petto della Vergine e il fondo uniformemente scuro 79. Le altre due, su tavola, sono invece copie tardo ottocentesche: una dipendente strettamente dal tipo di Strasburgo, ma con il mantello leggermente scostato che lascia intravedere la tunica rossa (cm. 32,5 X 20, fig. 11),

Fig. 11 - Joseph Van der Veken (attr.), Addolorata, olio su tavola, cm. 32,5 X 20, 1900 ca., già Brussels Art Auction, asta del 09/10/2018, lotto 155. Foto cortesia Brussels Art Auction
Fig. 11 - Joseph Van der Veken (attr.)
Addolorata, olio su tavola, cm. 32,5 X 20, 1900 ca.
già Brussels Art Auction, asta del 09/10/2018, lotto 155
Foto cortesia Brussels Art Auction

l'altra presenta invece la Vergine in controparte con uno sfondo paesaggistico caratterizzato da un verde pianoro solcato da un fiume a più anse (cm. 40 X 33
, fig. 12).

Fig. 12 - Joseph Van der Veken (attr.), Madonna orante, olio su tavola, cm. 40 X 33, 1900 ca., già Fauve, Parigi, asta del 22/04/2023. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 12 - Joseph Van der Veken (attr.)
Madonna orante, olio su tavola, cm. 40 X 33, 1900 ca.
già Fauve, Parigi, asta del 22/04/2023. Foto cortesia Archivio Agus

Entrambe, passate recentemente all'asta
80, potrebbero essere assegnate al noto falsario del XIX secolo Joseph Van der Veken 81.

Per quanto riguarda la sola figura del Cristo è bene menzionare una tavola, che come si accennava prima, da Imago Pietatis, si trasforma in quello che potremmo definire Risorto dolente (cm. 45 X 28, fig. 13)

Fig. 13 - Dieric Bouts (attr.), Risorto dolente, olio su tavola, cm. 45 X 28, già Londra, Duits Gallery, asta 18/12/1946. Foto cortesia archivio Friedländer
Fig. 13 - Dieric Bouts (attr.)
Risorto dolente, olio su tavola, cm. 45 X 28
già Londra, Duits Gallery, asta 18/12/1946. Foto cortesia archivio Friedländer

o per utilizzare una più nota e generica definizione Man of Sorrows 82. Venduta nel 1947 come Dieric Bouts 83, presenta la medesima posa, resa anatomica e corona di spine rispetto al tipo di Cagliari e Bruges, anche se l'autore che reinterpretò il modello, aggiunse un mantello sulle spalle annodato con un nastro sotto al collo e, naturalmente, lo raffigurò con gli occhi aperti, anziché chiusi, pur mantenendo le ferite dei chiodi sulle mani e quella del costato.

Per finire, il modello della Vergine con le mani incrociate sul petto venne poi riproposto da altri che lo utilizzarono per rappresentare l'Ecce Homo. A questa tipologia si rifanno almeno due dipinti su tavola, uno al Museo de Arte di Ponce a Porto Rico, dato ad un copista di van der Goes (cm. 36 X 26,7, inv. 60.0146, fig. 14) 84

Fig. 14 - Hugo van der Goes (ambito), Ecce Homo, olio su tavola, cm. 36 X 26,7, 1470-75, Ponce (Porto Rico), Museo de Arte. Foto cortesia Museo Ponce
Fig. 14 - Hugo van der Goes (ambito)
Ecce Homo, olio su tavola, cm. 36 X 26,7, 1470-75
Ponce (Porto Rico), Museo de Arte. Foto cortesia Museo Ponce

e l'altro già in collezione Simkens ad Anversa ed oggi irrintracciabile (cm. 33,8 X 25, fig. 15) 85.

Fig. 15 - Anonimo vicino a Dieric Bouts, Ecce Homo, olio su tavola, cm. 33,8 X 25, 1500-1510 ca., già Christie’s, Amsterdam, asta del 6.05.1993, lotto 49. Foto cortesia KikIrpa
Fig. 15 - Anonimo vicino a Dieric Bouts
Ecce Homo, olio su tavola, cm. 33,8 X 25, 1500-1510 ca.
già Christie’s, Amsterdam, asta del 6.05.1993, lotto 49
Foto cortesia KikIrpa


Il prototipo perduto

Un così alto numero di repliche e copie, sia della sola parte mediana, sia dell'intero trittico, presuppongono un prototipo certamente importante e noto, tramandato attraverso disegni o cartoni per lo spolvero, come spesso accadeva nelle botteghe fiamminghe, anche successivamente al XV secolo 86. Evidenti ascendenze rogieriane sono riscontrabili nelle due ante, mentre per quanto riguarda la parte centrale, a prima vista, sembrerebbe meno scontata una possibile ideazione del maestro di Tournai. Forse quest'ultima constatazione ha portato diversi autori ad indicare Bouts, David o più semplicemente ritenerlo replica da Marmion. Eppure, proprio il pannello mediano (fig. 1a) parrebbe una invenzione di van der Weyden, non soltanto per il Cristo in pietà, ma anche per l'Addolorata che lo affianca.

La particolare postura di quest'ultima, infatti, che, rivolgendo il suo sguardo dimesso e dolente verso l'immagine di suo figlio defunto, incrocia le braccia sul petto con la destra più avanzata, i mignoli piegati alla sola prima falange, i pollici affusolati rivolti verso l'alto, ma soprattutto l'indice della mano destra proteso in avanti quasi a nascondere il medio e indicare il Figlio, la ritroviamo – in posizione quasi identica – nella Madonna dolente del Trittico della Redenzione del Prado, attribuito all'omonimo maestro, identificato da alcuni in Vrancke van der Stockt 87, e databile al 1450 circa (fig. 16) 88.

Fig. 16 - Maestro della redenzione del Prado (Vrancke van der Stockt?), Crocifissione, Trittico della Redenzione, part., olio su tavola, cm. 195 X 172, 1450 ca., Madrid, Museo del Prado. Foto cortesia Museo del Prado
Fig. 16 - Maestro della redenzione del Prado (Vrancke van der Stockt?)
Crocifissione, Trittico della Redenzione, part.
olio su tavola, cm. 195 X 172, 1450 ca., Madrid, Museo del Prado
Foto cortesia Museo del Prado

Per quanto riguarda la posizione delle dita della sola mano, si tratta di una soluzione ripresa specularmente da quella dell'angelo che suona l'arpa della Vergine con Bambino tra due angeli musicanti ideata da Robert Campin, di cui sono note oltre sessanta repliche la cui più antica si trova a Zagabria 89, più volte riproposto anche dal Maestro della Madonna Grog 90, forse attraverso disegni o cartoni che certamente erano custoditi nella bottega dei van der Weyden 91.

Tornando al confronto con la tavola madrilena, oltre la posa dell'Addolorata, i paralleli con il trittico cagliaritano sembrerebbero di più ampio respiro. Sono condivisi, infatti, anche alcuni particolari del Cristo, come i capezzoli minuti, lo sterno con visibili le attaccature delle costole, la particolare corona di spine verdastra intrecciata, le labbra livide socchiuse che lasciano intravedere i denti e il volto con le gote segnate, dettagli che richiamano tratti rogieriani presenti nella Crocifissione dell'Escorial, nella Deposizione del Prado e nel Trittico dei Sacramenti di Anversa. Analogie che tuttavia non vanno oltre il dato compositivo, visto che il trittico del Prado presenta una più cruda definizione anatomica che si evidenzia con le protrudenti nocche delle dita, ma soprattutto una più densa e corposa pellicola pittorica, quasi impastata e materica, rispetto alle impalpabili trasparenze delle velature della parte centrale di quello clementino.

Coincidenze comunque sufficienti a dimostrare come si tratti di una composizione del maestro di Tournai, molto probabilmente ideata al rientro del soggiorno italiano. Del resto, una simile definizione anatomica del Cristo, la ritroviamo nella Deposizione del Trittico di Miraflores di Berlino o in quello dei Sacramenti di Anversa, entrambi autografi certissimi di van der Weyden. Anche il soggolo con doppia bordura plissettata, presente nelle repliche di Cagliari, Bruges, Barcellona, Sitges e quella passata in asta nel 2011, trova preciso riscontro nella Madonna Durán del Prado o nella Maddalena leggente di Londra, ad esempio, mentre lo spillo che lo ferma – presente negli esemplari di Strasburgo e quello passato all'asta londinese – lo ritroviamo nelle pie donne ai piedi della croce del trittico dei Sette Sacramenti di Anversa e nella Maria di Cleofa della Deposizione del Prado. Proprio di quest'ultima porzione dello straordinario dipinto madrileno, esiste una replica in collezione privata belga (cm. 48,2 X 33,4) 92, dove lo spillo scompare, esattamente come avviene in alcune repliche del nostro caso in esame.

Perfino l'idea delle braccia del Cristo che, incrociandosi, poggiano saldamente sul margine basso della tavola, dando l'impressione che questa coincida con il bordo del sarcofago, sembra un'idea che, pur ampiamente presente nella ritrattistica di Memling ed espressa anche nel Cristo benedicente della collezione Lynda e Stewart Resnik 93, fa la sua prima comparsa nel Ritratto di Carlo il Temerario della Gemäldegalerie di Berlino, datato al 1460 circa o in quello contemporaneo di Francesco d'Este del Metropolitan Museum di New York, entrambi certamente di van der Weyden. Altra idea sicuramente rogieriana è il fondo oro finemente operato a bulino con piccoli solchi perpendicolari, che movimentano la superficie, su cui si proiettano le ombre dei personaggi in primo piano, esattamente come avviene nella Deposizione del Prado, dove l'autore “cherche à créer, aux yeux du spectateur, une ambiguïté entre sculpture et peinture” 94. Un effetto che ritroviamo puntualmente nel trittico cagliaritano, nel dittico di Bruges, in quello di Strasburgo e nel Risorto dolente venduto nel 1947 come Dieric Bouts (fig. 13), ma non nelle altre repliche, che evidentemente non recepirono questa straordinaria innovazione introdotta da van der Weyden.

Il risultato, magistralmente reso dall'autore della tavola centrale del trittico clementino, è quello di un Andachtsbild 95 costruito attraverso due intensi busti alabastrini collocati entro una preziosa cassa lignea dorata, del tutto simile agli altari scultorei nordici, il cui punto focale resta comunque il Cristo in pietà, ripreso abbastanza fedelmente da quello di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (fig. 17),

Fig. 17 - Mosaicista anonimo, Imago Pietatis, mosaico, cm. 13 X 19, 1300 ca., Roma, Museo di Santa Croce in Gerusalemme. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 17 - Mosaicista anonimo
Imago Pietatis, mosaico, cm. 13 X 19, 1300 ca.
Roma, Museo di Santa Croce in Gerusalemme
Foto cortesia Archivio Agus

come si è già detto, che forse van der Weyden vide personalmente durante il suo pellegrinaggio giubilare del 1450. Dell'immagine a mosaico, ritenuta acheropita, riprende fedelmente la testa, inclinata verso destra, incorniciata da una folta capigliatura che lascia intravedere l'orecchio sinistro; la barba che circonda le labbra livide e socchiuse; gli occhi serrati nel sonno mortale; lo sterno e le costole bulbosamente sporgenti sotto l'epidermide; le braccia smagrite con gli avambracci incrociati subito sopra il margine basso della figurazione e infine la ferita del costato e i fori dei chiodi nelle mani ben in evidenza. Unica aggiunta che si concede in nostro è la corona di spine sul capo, frutto di una evidente ibridazione con l'immagine affine dell'Ecce Homo.

A differenza del pannello centrale, frutto evidente di una elaborazione misurata ed equilibrata di elementi formali propriamente rogieriani, quelli laterali sembrano più esito del riutilizzo di un repertorio iconografico – ugualmente riconducibile a van der Weyden – ormai consolidato e diffuso oltre la sua bottega. Non vi è dunque solamente una differente tecnica esecutiva e qualità pittorica, come è stato già notato più volte 96, a distinguere le ante dalla parte centrale del trittico cagliaritano, ma anche un più profondo aspetto compositivo, che apparteneva già al suo prototipo, evidentemente elaborato in due diverse fasi cronologiche e probabilmente da due artefici distinti. Basta solo osservare la disposizione dell'Addolorata e di Cristo, ben distanziati e perfettamente proporzionati rispetto alla dimensione del pannello, originariamente rettangolare, con le loro ombre sullo sfondo che amplificano la sensazione di silente vuoto – che induce il riguardante alla contemplazione – e confrontarla con le dimensioni maggiori dei personaggi delle ante laterali, del tutto fuori scala rispetto non solo a quelle centrali, ma anche alle stesse ante che occupano, tanto da trasmettere quasi un senso di horror vacui, per comprendere come queste singole parti siano frutto di differenti concezioni compositive e formali.

L'idea del gruppo della Madonna con Bambino, che tiene con le dita una farfalla, del pannello sinistro (fig. 1b) è ripresa specularmente, come già si è accennato, dalla Madonna Chesterfield, oggi al Saint Louis Museum of Art 97 (cm. 58 X 40, inv. 155:1971, fig. 18)

Fig. 18 - Anonimo brussellese, Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 60 X 41,6, 1470-75 ca., Saint Louis, The Saint Louis Art Museum. Foto cortesia The Saint Louis Art Museum
Fig. 18 - Anonimo brussellese
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 60 X 41,6, 1470-75 ca.
Saint Louis, The Saint Louis Art Museum. Foto cortesia The Saint Louis Art Museum

e da quella di un trittico del Musée de Beaux-Arts di Tournai (cm. 50 X 33, inv. 663, fig. 19),

Fig. 19 - Goswyn van der Weyden (attr.), Trittico del Salve Regina, olio su tavola, cm. 50 X 33 (scomparto centrale), 50 X 11,5 (ante laterali), fine XV secolo, Tournai, Musée de Beaux-Arts. Foto cortesia KikIrpa
Fig. 19 - Goswyn van der Weyden (attr.)
Trittico del Salve Regina, olio su tavola
cm. 50 X 33 (scomparto centrale), 50 X 11,5 (ante laterali)
fine XV secolo, Tournai, Musée de Beaux-Arts. Foto cortesia KikIrpa

dato da qualcuno a Goossen van der Weyden
98. Gruppo rogieriano che deriverebbe, con la modifica della posizione del braccio sinistro del Bambino portato in alto e la mano destra che tiene un fiore, da una tavola già in collezione privata a Leicester 99 (cm. 46 X 27,5, fig. 20),

Fig. 20 - Rogier van der Weyden (seguace), Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 46 X 27,5, 1470-75 ca., già Leicester, Collezione privata. Foto  cortesia archivio Friedländer
Fig. 20 - Rogier van der Weyden (seguace)
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 46 X 27,5, 1470-75 ca.
già Leicester, Collezione privata. Foto cortesia archivio Friedländer

frutto di una rielaborazione di alcune repliche della
Madonna con il fiore del Louvre ritratte a mezza figura. Una iconografia che sarebbe all'origine di un gruppo di almeno cinque dipinti tutti simili che ritraggono la Madonna con Bambino che sfoglia un libro (figg. 21 e 22),

Fig. 21 - Maestro della Madonna Van Gelder, Madonna con Bambino incoronata dagli angeli, olio su tavola, cm. 103 X 75, 1476-82, Bruges, Groeningemuseum. Foto cortesia Art in Flandes
Fig. 21 - Maestro della Madonna Van Gelder
Madonna con Bambino incoronata dagli angeli
olio su tavola, cm. 103 X 75, 1476-82, Bruges, Groeningemuseum
Foto cortesia Art in Flandes

Fig. 22 - Maestro della Madonna Grog, Madonna con Bambino, olio su tavola, cm 135,89x86,84, 1492-98, Minneapolis, Institute of Arts. Foto cortesia Institute of Arts di Minneapolis
Fig. 22 - Maestro della Madonna Grog
Madonna con Bambino, olio su tavola, cm. 135,89 X 86,84, 1492-98
Minneapolis, Institute of Arts. Foto cortesia Institute of Arts di Minneapolis

come già aveva ben chiarito De Vos
100. A questo gruppo il nostro autore aggiunge la Sant'Anna che veste il tipico abito delle Clarisse – mantello marrone, soggolo bianco che circonda il viso e velo nero – con la mano sinistra, dalle dita quasi disarticolate, che sembra arrampicarsi lungo la spalla del Bambino. Una figura che non sembra avere riscontri nel repertorio rogieriano e che ha tutto il sapore di un ritratto, vista la marcata caratterizzazione del volto e l'orientamento del capo, che ricorda, ma è al momento solo una suggestione, alcune raffigurazioni più tarde di Coletta di Corbie (fig. 23),

Fig. 23 - Anonimo, Coletta di Corbie, incisione, dimensioni sconosciute, XVII secolo, Collezione privata. Foto cortesia Archivio Agus
Fig. 23 - Anonimo, Coletta di Corbie
incisione, dimensioni sconosciute, XVII secolo
Collezione privata. Foto cortesia Archivio Agus

deceduta a Gand nel 1447 e anche lei, come Anna, figlia di genitori anziani
101.

La Santa Margherita dell'anta destra (fig. 1c), che a prima vista potrebbe sembrare semplicemente il risultato del ribaltamento speculare della Madonna dell'anta opposta se non addirittura una innovativa soluzione 102, riprende in maniera fedelissima il disegno della Madonna orante del British Museum di Londra riferito alla bottega di van der Weyden 103 (mm. 129 X 100, inv. 1884,0726.27, fig. 24),

Fig. 24 - Rogier van der Weyden (bottega), Madonna orante, disegno, mm. 129 X 100, 1450-70, Londra, British Museum. Foto cortesia British Museum
Fig. 24 - Rogier van der Weyden (bottega)
Madonna orante, disegno, mm. 129 X 100, 1450-70
Londra, British Museum. Foto cortesia British Museum

se non fosse per una leggerissima rotazione del capo verso sinistra della santa. Disegno da cui potrebbero derivare almeno tre dipinti, uno passato dalla Galleria Bachstitz di Berlino nel 1924 (dimensioni sconosciute) 104 e altri due che lo riproducono specularmente: uno presso l'Instituto Gómez Moreno di Granada (dimensioni sconosciute, fig. 25)

Fig. 25 - Rogier van del Weyden (ambito), Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute, 1460-75 ca., Granada, Instituto Gómez Moreno. Foto cortesia archivio Friedländer
Fig. 25 - Rogier van del Weyden (ambito)
Madonna orante, olio su tavola, dimensioni sconosciute
1460-75 ca., Granada, Instituto Gómez Moreno
Foto cortesia archivio Friedländer

105 e l'altro, già in collezione Cardon e poi Del Monte a Bruxelles, venduto all'asta nel 1959 (cm. 27 X 20) 106. Per finire, la sottile croce astile che emerge dalle mani giunte, l'abito in velluto rosso, il mantello azzurro e i capelli sciolti sono ripresi fedelmente dalla medesima santa della tavola con le Sante Margherita e Apollonia della Gemäldegalerie dello Staatliche Museen di Berlino, riferita alla bottega di van der Weyden, con una datazione attorno al 1455 (cm. 51,5 X 27,4, inv. 534c, fig. 26).

Fig. 26 - Rogier van der Weyden (bottega), Sante Margherita e Apollonia, olio su tavola, cm. 51,5 X 27,4, 1455 ca., Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie. Foto cortesia Staatliche Museen
Fig. 26 - Rogier van der Weyden (bottega)
Sante Margherita e Apollonia, olio su tavola, cm. 51,5 X 27,4, 1455 ca.
Berlino, Staatliche Museen, Gemäldegalerie
Foto cortesia Staatliche Museen

Infine, la bestia domata al lato dal muso canino è estremamente simile a quella sconfitta dal
San Giorgio della tavola autografa custodita alla National Gallery di Washington, datata al 1432-35 (cm. 14,3 X 10,5, inv. 1966.1.1). Si tratta, in altre parole, di una immagine rogieriana della Madonna orante con i capelli sciolti che inclina il capo verso destra a cui è aggiunto l'attributo della croce tra le mani e un manto che evocano una simile raffigurazione della santa antiochiese, sempre di van der Weyden, senza tuttavia giungere ad una completa sintesi tra le due iconografie. Una soluzione adottata, molto probabilmente, per simmetria con la Vergine rappresentata nell'anta sinistra, in cui si inserisce, quasi a riempire il vuoto laterale, la bestia, anch'essa ripresa da un'idea rogieriana.

La soluzione definitiva che possiamo vedere unicamente nel trittico cagliaritano (fig. 1), molto probabilmente è quella del dipinto che sta all'origine di tutte le repliche, sia quelle – oramai mutile – del trittico nel suo complesso, sia quelle a dittico della sola parte centrale, con le relative derivazioni soprattutto riguardanti la Vergine addolorata. Che il trittico clementino non possa essere considerato il prototipo lo si può desumere da alcuni dettagli mancanti, ma presenti, ad esempio, nel dittico di Strasburgo riferito a Marmion (fig. 4), come gli spilli che fermano il soggolo della Madonna, probabilmente sfuggiti durante la fase di trasposizione dal disegno alla tavola. Che in origine gli spilli facessero parte della composizione credo possa essere dedotto anche dalle pieghe del riporto del tessuto, estremamente simili tra quello strasburghese e quello cagliaritano, da cui dipende – in modo sempre più semplificato – anche quello di Bruges (fig. 5), che presenta due strati plissettati, anziché i tre del dipinto francese. Altro dettaglio mancante nel trittico sardo è la plissettatura del bordo pettorale del soggolo – visibile invece nei due dittici di Strasburgo e Bruges (fig. 4 e 5) – mentre è presente il doppio bordo dorato del manto, che invece manca a Bruges. Anche alcuni dettagli del Cristo presentano differenze tra le varie repliche, come il rivolo di sangue che scende dall'attaccatura del collo a sinistra, breve e quasi sovrapponibile tra quello strasburghino e quello cagliaritano, più ampio e sdoppiato in quella brugese, o ancora la corona, con spine acuminate e lunghe a Strasburgo, ugualmente acuminate, ma più corte a Cagliari e infine corte e grosse a Bruges. Da questi e altri dettagli, possiamo immaginare che il prototipo perduto del pannello centrale – certamente uscito dalla bottega di van der Weyden tra il 1450-55 e il 1464 – potesse avere una maggiore definizione di alcuni dettagli, come è il caso del soggolo della Vergine o la corona di spine di Cristo, in parte ripresi da Marmion nel dittico francese (fig. 4), ma già tralasciati in quello sardo e quindi in quello di Bruges (figg. 1a e 5). Cosicché dal prototipo dipenderebbero, in maniera indipendente sia quello sardo, sia quello francese, mentre quello brugese deriverebbe da quello di Strasburgo per quanto riguarda la soluzione a dittico e da quello sardo per la semplificazione di alcuni dettagli.

Diverso è il caso delle due ante laterali, probabilmente aggiunte successivamente al prototipo perduto da un artista attivo forse nella stessa bottega rogieriana, ereditata dal figlio Pieter, non oltre il 1480-85, visto che sembra frutto di una fase elaborativa di modelli lasciati dal pittore di Tournai, non ancora matura quanto quella immediatamente successiva, rappresentata dal gruppo del “fogliame ricamato”. In tal senso sarebbe da recuperare la lettura iconologica legata a Margherita d'Asburgo, che già avevo avanzato 107, così da far coincidere la commissione e aggiunta delle ante con la nascita nel 1480 della futura governatrice dei Paesi Bassi, magari in relazione al Trattato di Arras, che prevedeva il matrimonio tra Margherita e il delfino di Francia, futuro Carlo VIII, comunque prima del decesso della madre Maria avvenuto nel 1482. Una ricostruzione che renderebbe perfettamente plausibile l'identificazione del prototipo con il trittico con al centro la Pietà, presente nell'inventario di Margherita del 1516. Quest'ultimo avrebbe, quindi, fatto rientro nelle Fiandre assieme a Margherita attorno al 1492, quando la futura governatrice venne rifiutata dal sovrano francese in favore di Anna di Bretagna. Resterebbe da chiarire l'indicazione inventariale dell'autore delle ante, identificato in maestro “Hans”, ossia Memling. Per spiegare un tale refuso è possibile ipotizzare che l'aggiunta delle due portelle al perduto prototipo venne forse commissionata a Bruges e non a Bruxelles, proprio a quel gruppo di artisti legati direttamente alla bottega di van der Weyden, come il nipote Louis Le Duc o lo stesso Memling, che portarono con loro disegni e cartoni del maestro di Tournai 108. Un gruppo, che probabilmente comprendeva anche Gérard David, Simon Bening e più tardi anche Adriaen Isembrant e Ambrosius Benson, che è stato indicato come possibile incubatore del gruppo del Fogliame ricamato, attivo poi a Bruxelles 109.


Cronologia e interdipendenza delle repliche e loro derivazioni

Il trittico sardo (fig. 1) ebbe una storia molto probabilmente legata alla cronologia di quello asburgico – semmai sia da considerare il prototipo – visto che la parte centrale è più arcaica rispetto alle ante, certamente aggiunte successivamente, assieme alla cornice. La prima, infatti, potrebbe essere stata eseguita da un anonimo brussellese attorno al 1470, forse nella stessa bottega rogieriana diretta dal figlio Pieter, probabilmente in coincidenza o immediatamente dopo rispetto al dittico di Strasburgo, che sembra essere l'unico testimone di alcuni dettagli, che in quello sardo erano già perduti. Rimasta forse in vendita presso la bottega o probabilmente venduta a qualcuno, che poi la cedette ad uno dei de' Medici, venne successivamente rimodellata quando le furono aggiunte le due ante (figg. 1b e 1c), come replica di quelle del prototipo, probabilmente quando i due fiorentini si recarono nelle Fiandre, ospiti di Filippo il Bello, o poco prima. Non è escluso infatti che il trittico cagliaritano possa essere stato un omaggio a Giuliano de' Medici da parte di Filippo il Bello, realizzato presso la bottega dei van der Weyden, che si trovava nel quartiere Cantersteen, collocata tra il mercato, Santa Gudula e non distante dal Palazzo Coudenberg, sede ducale 110.

Da questa replica sembrano derivare le altre due frammentarie note (figg. 2 e 3), databili comunque al principio del XVI secolo, perché di qualità nettamente inferiore a quella sarda e ancor più semplificate. Dal dittico di Strasburgo (fig. 4) deriverebbe invece quello passato in asta nel 2020 (fig. 6), visto che anche questo presenta alcuni dettagli, come gli spilli del soggolo e le spine acuminate, proprie del dipinto francese. Alcune innovazioni, tuttavia, come il risvolto rosso del manto della Vergine, e l'assenza dell'ombra proiettata sullo sfondo, denunciano una rielaborazione più tarda e quasi standardizzata, probabilmente databile all'inizio del XVI secolo.

Diverso, come si diceva, sarebbe il caso del dittico brugese (fig. 5), che invece sembra dipendere molto più dal trittico cagliaritano per quanto riguarda la tendenza alla semplificazione di alcuni elementi, mentre il legame con quello dato a Marmion, si restringerebbe alla soluzione a dittico delle due figure centrali. Si tratterebbe quindi di un'opera databile allo scorcio del XV secolo, forse al penultimo decennio, vista l'ancora viva sensibilità per l'idea statuaria delle due figure, plasticamente percepibile attraverso l'ombra che queste proiettano sullo sfondo.

Legata a quest'ultimo dittico e al trittico cagliaritano sembra essere l'Addolorata della collezione Marmaillón di Barcellona (fig. 7), anche se la vecchia immagine disponibile non permette di andare oltre la constatazione che il soggolo sia il medesimo delle due opere. Tuttavia, l'aureola aggiunta farebbe propendere per una datazione più tarda, probabilmente compresa tra il secondo e il terzo decennio del XVI secolo e una produzione forse nemmeno fiamminga, ma iberica, dato anche il fondo oro uniforme e il tipo di aureola. Che questa immagine, del resto, si iniziò a diffondere oltre le Fiandre Meridionali, sembrerebbe trovare riscontro nella più tarda Addolorata su tela del Museu Cau Ferrat di Sitget (fig. 10), la cui soluzione iconografica dipende strettamente dal modello Cagliari-Bruges, ma ancor più semplificato e riadattato al sentimento drammatico del pietismo popolare della prima metà del Seicento. Non a caso, per ulteriormente ribadire il concetto, concorre la spada che trafigge il petto della Vergine e il fondo uniformemente scuro: dalla rogieriana scultura alabastrina collocata entro un prezioso scrigno aureo, passiamo alla riproduzione di una scultura lignea policroma, ripresa durante una tenebrosa processione notturna della Settimana Santa, come ancora oggi se ne vedono per le strade spagnole.

Una strada distinta, ma comunque dipendente dal prototipo originario, con successive interpolazioni, sembrano seguire l'Addolorata già a Parigi (fig. 8) e quella, ripresa specularmente, della collezione Van Hassel di Belgrado (fig. 9). In entrambi i casi, infatti, il soggolo sembra aver perso sia gli spilli, sia il riporto a doppio strato, sia la plissettatura, dati che farebbero propendere per opere realizzate non più attraverso cartoni, quanto piuttosto dedotte da quaderni di appunti, quindi di seconda o terza mano. Resta il fondo oro operato, simile al prototipo, ma senza più ombra nell'esemplare parigino, mentre lascia il posto ad una apertura centinata, con sfondo scuro, modanata lungo gli spigoli attraverso coppie di rocchi, dotati di basamenti poligonali allungati in quella di Belgrado, che diviene una Madonna orante. Soluzione architettonica quest'ultima molto simile a quella adottata, ad esempio, nella parte esterna del Trittico Portinari (Firenze, Uffizi) o nel Salvator Mundi del Dittico di Cristiaan de Hondt, del Maestro del 1499 (Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten). Un risultato, quello di Belgrado, che rinvia a rielaborazioni di fine Quattrocento forse adottate a Gand o in altri centri delle Fiandre Meridionali, dove ormai il prototipo si era diffuso, attraverso appunti o disegni, come si è già detto, ma che sembra passare dal dipinto parigino, certamente precedente.

Non sappiamo, ma è possibile supporlo, se la tavola di Belgrado facesse o meno parte di un dittico; tuttavia, potrebbe aver favorito la circolazione del nostro modello in controparte, sistemato entro una cornice architettonica. Un esempio di possibile derivazione da questa variante può essere l'Ecce Homo e Addolorata di Adriaen Isenbrant del Metropolitan Museum of Art di New York (cm. 105,4 X 92,7, inv. 1904.04.32, fig. 27),

Fig. 27 - Adriaen Isenbrant, Ecce Homo e Addolorata, olio su tavola trasportato su tela, cm. 105,4 X 92,7, 1530-40, New York, Metropolitan Museum of Art. Foto cortesia MET
Fig. 27 - Adriaen Isenbrant
Ecce Homo e Addolorata, olio su tavola trasportato su tela
cm. 105,4 X 92,7, 1530-40, New York, Metropolitan Museum of Art
Foto cortesia MET

datato 1530-40 111. Nel dipinto newyorkese si riprende fedelmente la soluzione dell'Addolorata con le mani incrociate sul petto, testa leggermente inclinata incorniciata da un soggolo bianco e velo scuro e il Cristo stante con gli avambracci incrociati all'altezza del ventre, ma soprattutto l'inquadramento architettonico delle due figure, che sostituisce definitivamente la “cassa aurea” rogieriana.

Legato al nostro modello è senza dubbio quello raffigurato in una tavola, purtroppo pesantemente rifilata sui bordi, che potremmo definire, come già detto, un Risorto dolente o Man of Sorrows, passato ad un'asta londinese nel 1946 (fig. 13), i cui caratteri formali sembrano riconducibili a Dieric Bouts. Del prototipo mantiene tutto, compresa la ferita del costato e i fori sanguinanti delle mani, ma attraverso l'aggiunta di un mantello sulle spalle e gli occhi aperti sembrerebbe un tentativo del pittore di trasformare l'originaria Imago Pietatis, quindi un Cristo morto, in un Ecce Homo, ossia quando Ponzio Pilato mostrò alla folla Gesù flagellato (Gv 19,5), che ovviamente non avrebbe mai potuto avere i segni della crocifissione, che invece presenta. Una ibridazione dal forte sapore escatologico attraverso cui viene raffigurato il Cristo, che levatosi dal sepolcro con ancora i segni della Passione, sta risorgendo alla vita eterna, ritratto secondo la nota profezia di Isaia (Is 53,3-8). Una evoluzione iconografica del modello, che sembra preludere allo stesso Uomo dei dolori di Dieric Bouts della National Gallery di Londra, datato 1470 circa (cm. 43.8 X 37.1, inv. NG1083). Anch'esso, infatti, è dolente, ha le lacrime agli occhi e presenta i segni della crocifissione, ma è vivo e il suo mantello sembra alludere alla resurrezione, vista la presenza di fermagli d'oro con perle e zaffiri che richiamano la gloria celeste, piuttosto che evocare la Passione, come invece serberebbe far pensare quello della tavoletta passata all'asta, più semplicemente fissato attraverso un nastro con fiocco. Le similitudini tra i due dipinti, tuttavia, non si fermano alla sola soluzione iconografica, ma vanno oltre, interessando la costruzione dei volumi anatomici, dal busto alle mani, fino alla testa, le labbra, la barba, il taglio degli occhi e la corona di spine, che documentano se non una identità di mano, almeno la medesima bottega, con una datazione quindi abbastanza precoce, probabilmente precedente al dittico di Bruges (fig. 5) e forse coeva o di poco successiva al pannello centrale cagliaritano (fig. 1a). Una testimonianza interessante che prova la precoce diffusione del modello rogieriano già allo scorcio degli anni Sessanta, che non solamente viene ripreso, ma anche rielaborato, giungendo a forme iconografiche innovative.

Diverso è il caso, invece, dell'Ecce Homo del Museo de Arte di Ponce (fig. 14) e di quello certamente successivo già in collezione Simkens ad Anversa (fig. 15), che derivano dalla Vergine rappresentata nel nostro prototipo. Si riconosce, in particolare, la soluzione delle mani incrociate sul petto e soprattutto la posizione dell'indice della mano destra, in particolare nel dipinto, pur rifilato sui bordi, di Ponce; mentre la testa leggermente inclinata, la capigliatura nettamente bipartita dalla riga centrale e la corona di spine, sembrano replicare in controparte e in modo quasi esatto il Cristo di Cagliari o quello di Bruges. Una nuova reinterpretazione del nostro modello che pare derivare da una perfetta sintesi delle due figure centrali, attraverso cui si giunge all'iconografia dell'Ecce Homo, da cui potrebbero derivare ulteriori soluzioni, come, ad esempio, il Trittico Beughem di Quentin Massys, ora irrintracciabile, ma proveniente dalla Collezione del Visconte Beughem, che lo aveva acquisito dalla Chiesa di Neyghem, passato poi all'asta nel 1945 e nel 1977 112.

Val la pena, infine, prendere in esame anche le due versioni tardo ottocentesche apparse recentemente all'asta, una delle quali assegnata proprio al noto falsario Van der Veken (fig. 11), a cui può essere attribuita anche l'altra più o meno coeva (fig. 12). L'interesse di queste due opere risiede nel fatto che si rifacciano a due distinti esiti iconografici della Vergine addolorata: da una parte quello più “classico” del dittico di Strasburgo (fig. 4), ma con la variante del manto rosso, certamente derivante da repliche successive, come quella passata all'asta nel 2020 (fig. 6); dall'altra nella più tarda soluzione del dipinto già in collezione Van Hassel di Belgrado (fig. 9), andando però a sostituire la finestra da cui affaccia la Vergine con un paesaggio ripreso a volo d'uccello, che richiama quelli tipicamente fiamminghi, trasformando in tal modo una Addolorata in una Vergine orante, esattamente come era già avvenuto nel suo diretto prototipo.


Lettura iconologica

Oltre la differenza compositiva e quella tecnico-esecutiva, a distinguere il pannello centrale da quelli laterali del trittico clementino (fig. 1) è anche la differente concezione iconografica, certamente mutuata direttamente dal suo prototipo. Come già accennato, infatti, nel pannello centrale (fig. 1a), come anche nei dittici ad esso assimilabili e tratti dal medesimo prototipo (figg. 4, 5, 6), è raffigurato il Cristo in pietà con alla sua destra la Vergine dolente, mentre nei laterali Santa Margherita e la genealogia materna di Cristo (figg. 1b e 1c). Un accoppiamento che appare a prima vista improprio, che mette in relazione il momento più alto della Passione, ossia la rappresentazione del Cristo effettivamente morto, con la sua infanzia e una santa, salvo pensare – come avevo già proposto – che le due ante fossero state aggiunte successivamente e che vadano messe in rapporto con l'originaria committenza 113.

La figura dell'Imago Pietatis, come già evidenziato, è ripresa direttamente da quella del piccolo mosaico di Santa Croce in Gerusalemme a Roma (fig. 17). Donato nel 1386 dal nobile Raimondo del Balzo al suo ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa, dove l'aveva acquistato sul Monte Sinai e poi sistemato entro un prezioso trittico reliquiario, la tradizione lo ricollega alla visione che ebbe, durante una celebrazione liturgica, San Gregorio Magno 114. Si tratta di una immagine di origine orientale nota anche come H Ἀκρα Ταπείνωσις (Umiliazione suprema) 115, ὁ βασιλεὺς τῆς δόξης (Re della gloria) o ancora Ο Νυμφίος (Cristo sposo) 116, diffusa a partire dal XII secolo e funzionale ai riti della Settimana Santa 117. La prima definizione si rifà alla profezia di Isaia (Is 53,3-8), come già detto, e lo identifica come l'uomo dei dolori, che si è fatto carico delle sofferenze e dei patimenti dell'umanità; la seconda, presente anche nel cartiglio dell'icona musiva romana, è invece tratta dal Salmo 24 (Sal 24,7-10) e lo identifica come il Signore forte e potente a cui si schiudono le porte; l'ultimo infine si rifà ai tropari bizantini della liturgia dei primi tre giorni della Settimana Santa, nei quali, attraverso la rilettura di vari passi evangelici, si sottolinea “il tema delle nozze divine con l'umanità” 118.

Una immagine che già a fine XIV secolo appariva in forma di dittico con la Vergine addolorata accanto al figlio defunto, destinati soprattutto alla devozione particolare di laici e monaci, come è il caso di quello del monastero di Meteora in Grecia, datato al 1381 circa 119. Nel dipinto greco Cristo morto – come nel nostro caso – è raffigurato a mezzo busto, che contro le leggi gravitazionali, sta ritto sul sepolcro, mentre la madre addolorata, rappresentata nell'altra anta, sembra, con la posizione che assumono mani e braccia, tenere in braccio suo Figlio, esattamente come avveniva in dittici precedenti dove era rappresentata la Madonna con Bambino, come Oδηγήτρια o come Ἐλεούσα, accanto all'Imago Pietatis 120.

Una raffigurazione che si concentra sui soli due protagonisti principali del dramma supremo, la madre dolente e il figlio ormai morto con addosso i segni della sua passione, dove “the two figures visually related, eye to eye, so to speak. The pair of figures calls to mind a pair of actors on the stage of Passion rituals” 121. Un coinvolgimento emotivo diretto evidentemente al riguardante, perfettamente interpretato dalla Vergine che invita il fedele ad immedesimarsi in quell'estremo dolore, espresso attraverso le sue lacrime. È infatti in Maria che “si realizza la conoscenza carnale perfetta, cioè la perfetta visibilità del Verbo incarnato”, in quanto “Dio nell'uomo dei dolori assume incondizionatamente la condizione dell'uomo sfigurato dal peccato e gli insegna ad amare” 122.

Un supremo dolore che nel nostro caso si rende manifesto, pur in modo estremamente composto. Come se l'autore volesse necessariamente trovare un punto di equilibrio tra la concezione della libera compassione di San Bernardo – ben espressa nel testo di Oglerio di Lucedio, in cui si sollecita Maria a versare le lacrime, che tuttavia la stessa, in quanto assunta alla gloria celeste, invita a versare al fedele – e quella della libera scelta della conformazione francescana, dove l'immedesimazione assume un ruolo centrale, a partire dagli scritti di Bonaventura da Bagnoregio 123. Un equilibrio che sembra inserirsi entro una concezione tipicamente quattrocentesca nordica, derivante da testi come il diffusissimo De Imitatio Christi, tradizionalmente ascritto a Tommaso da Kempis, ma anche a Gersone di Vercelli o a Jean de Gerson, in cui è indicato un preciso percorso della vita religiosa, che passando per la mortificazione e la quotidiana pratica delle virtù cristiane, si completa con la consuetudine eucaristica. Proprio l'eucaristia è chiaramente evocata dall'Imago Pietatis, che richiamando quella romana collegata alla presunta visione di San Gregorio Magno, diviene “trasposizione, in immagine, del dogma della transustanziazione, mistero che si compie sull'altare durante la consacrazione” 124. Immagine che non solo tiene espressamente conto del prototipo romano, ma anche delle rivelazioni di Santa Brigida, che sembra trovare piena corrispondenza nel gruppo centrale, dove Maria presenta suo Figlio defunto, esattamente come viene descritto dalla santa svedese: “il colore della morte ne ricoprì tutte le membra […]; le costole sporgevano talmente che era possibile contarle […] Le braccia erano rigide e non riuscii a piegarle per incrociarle sul petto, ma solo sul ventre” (IV, 70).

Per quanto riguarda le ante laterali, che andrebbero ricondotte ad una successiva ideazione, certamente postuma rispetto a van der Weyden, sembrano avere la funzione di amplificare e integrare la preghiera del devoto riguardante, attraverso un testo figurato, che sostituisce quelli epigrafici, spesso utilizzati in ambito fiammingo.

La Madonna con Bambino dell'anta sinistra (fig. 1b), come abbiamo già osservato, riprende in maniera molto fedele, ma speculare, quella del Saint Louis Art Museum (fig. 18), riproposta anche nel Trittico di Tournai (fig. 19). Si tratta di una precisa riproposizione compositiva, priva tuttavia di quei dettagli d'oreficeria minuta che segnano il bordo dell'abito della Vergine e del prezioso cuscino in broccato posato sul davanzale dove siede il Bambino, presente anche nel dipinto di Leicester (fig. 20), che sembra essere il prototipo di questo piccolo gruppo di opere. Una semplificazione forse frutto di adattamento formale rispetto al pannello centrale, probabilmente riletta in chiave arcaicizzante dal maestro che eseguì il prototipo. Il gruppo della Madonna con Bambino venne forse volutamente ripreso specularmente rispetto al prototipo, affinché Gesù sembri porgere una farfalla o una falena, che delicatamente tiene con indice e pollice, al riguardante. Un segno preciso che rinvia al significato profondo rivestito da quegli insetti, legati, da una parte, alla costante ricerca del divino nelle tenebre, per la falena 125, dall'altra a quello dell'anima umana risorta che viene accolta dalle mani di Cristo, per la farfalla 126.

Al gruppo madre-figlio di Saint Louis e Tournai (figg. 18 e 19), il nostro aggiunge Sant'Anna, ritratta dietro al Bambino, con la mano sinistra appoggiata alla spalla sinistra di quest'ultimo. Un'aggiunta che, come si è già detto, non sembra avere diretti riferimenti con la produzione rogieriana, fatta eccezione forse per le dita disarticolate della mano, il cui modello sembra simile a quello da cui deriva la mano destra della Vergine che regge il libro del cosiddetto gruppo del “fogliame ricamato” (figg. 21 e 22). Una figura, anzi, che ha tutto il sapore di un “ritratto” ripreso quasi dal vivo di una clarissa, simile ad alcune raffigurazioni più tarde di Coletta di Corbie (fig. 23), come si è già detto. La presenza di Anna, tuttavia, collega direttamente l'anta del dipinto cagliaritano con il trittico di Tournai (fig. 19), dove nelle portelle è riportata una lunga orazione composta dal Salve Regina e l'Ave Maria, con tuttavia l'aggiunta della formula di invocazione ad Anna, ossia la cosiddetta “Corona di Sant'Anna”. Secondo una leggenda, questa preghiera sarebbe stata dettata dalla stessa Vergine ad un pellegrino originario di Roma nella cattedrale di Reims 127, per poi essere raccolta dall'erudito benedettino Jean Trithème, che per primo la pubblicò 128. Una invocazione, nel caso di Tournai, e una raffigurazione, in quello di Cagliari, spiegabili anche attraverso l'amplificarsi del culto verso la madre della Vergine e il suo collegamento con l'immacolatismo, culminato nell'inserimento nel Breviario Romano della festa liturgica di Anna da parte di papa Sisto IV nel 1481, data che confermerebbe come le ante del prototipo scomparso vennero aggiunte quasi in coincidenza con la nascita di Margherita d'Asburgo.

Proprio a quella che diverrà governatrice dei Paesi Bassi, sembra far riferimento la Santa Margherita d'Antiochia, sua omonima, raffigurata nell'anta destra (fig. 1c), santa che, secondo la tradizione, subì il martirio sotto Massimiano il 20 luglio 290, all'età di soli 15 anni. Secondo la narrazione agiografica, la giovane, figlia di un pagano di nome Teodoxio, si convertì al cristianesimo già all'età di dodici anni e venne notata dal prefetto Olibrio, che perseguitava i cristiani, il quale l'avrebbe voluta come moglie. Fatala rapire dai suoi uomini, ella rivelò la sua fede e la ferma volontà di restare vergine, cosicché Olibrio la rinchiuse in carcere. Ricomparsa al cospetto del prefetto, quest'ultimo la invitò nuovamente alla conversione, ma visto il reiterato rifiuto la fece appendere nuda e percuotere a sangue con verghe sottili. Margherita continuava a pregare e maledire il crudele prefetto, il quale acuì le torture attraverso lame che squarciarono la sua pelle, ma la santa resisteva ancora e fu così messa nuovamente in prigione. Nella cella, dove continuava a pregare, apparve un drago che la inghiottì, ma la croce che era ormai impressa nella sua anima, fece gonfiare tanto il drago, che si squarciò lasciando Margherita indenne. Seguì poi l'apparizione di un diavolo, che le rivelò essere il fratello del dragone che lei aveva appena sconfitto. La santa sottomise anche quest'ultimo schiacciandolo sotto al calcagno e apparve così una croce e una colomba, accompagnate da una voce che la benediceva. L'indomani, sconfitto anche il demonio, Margherita venne riportata al cospetto del prefetto che la fece ustionare con ferri caldi e poi immergere nell'acqua, da cui uscì indenne. Vista la resistenza della giovane antiochiena, Olibrio la fece portare fuori dalle mura della città dove venne decapitata 129. L'iconografia del nostro dipinto fa esplicito riferimento al momento della sua seconda carcerazione, seguita ad una serie di torture subite per il rifiuto alla conversione, quando le apparve il dragone pronto ad inghiottirla.

Pur trattandosi, evidentemente, di una santa che personifica la fede più indomita e forte, è chiaro che la sua presenza va necessariamente collegata alla committenza, che come spesso accadeva chiedeva venissero raffigurati santi omonimi a quelli del mecenate o della persona a cui era destinata l'opera. Nel nostro caso l'ipotesi più logica è quella, pur suggestiva e difficilmente dimostrabile, di associare la presenza di questa santa a Margherita d'Asburgo, collegandola con la sua nascita, avvenuta il 10 gennaio 1480: “una circostanza oltremodo lieta richiamata ben due volte in entrambi gli sportelli: da una parte con la raffigurazione della generatio Christi, nella quale riveste particolare importanza Maria, che non a caso porta lo stesso nome della madre della nascitura, e dall'altra con la raffigurazione della santa che porta lo stesso nome della figlia dell'imperatore” 130. Le ante nel trittico, prototipo delle repliche note, vennero aggiunte quindi – forse per un voto – in occasione della nascita di Margherita, che lo tenne fino almeno al 1516, quando risulta documentato presso la sua dimora, come abbiamo visto, anno da cui se ne perdono le tracce.

Del resto, la lettura complessiva dell'opera, secondo la lezione cagliaritana che al momento risulta l'unica completa, al centro rimanda chiaramente al mistero eucaristico che si manifesta nell'Imago Pietatis, indicata da Maria, unica mediatrice perché co-dolente di suo Figlio. Le ante laterali, invece, sono funzionali alla preghiera: da una parte quella alla Vergine e Sant'Anna, secondo la “Corona di Sant'Anna”, dall'altra quelle per la richiesta di intercessione presso la santa protettrice della destinataria da proteggere. Un'opera che quindi si configura come Andachtsbild, da utilizzarsi per le celebrazioni domestiche o itineranti, destinate alla salvezza futura dell'anima della committente, affidata a Cristo – la farfalla o falena tenuta con le dita dal Bambino – attraverso le preghiere a Maria, Anna e naturalmente a Santa Margherita, sua patrona, raffigurata a destra. Elementi che certamente dovette cogliere il cardinale de' Medici, unitamente allo stile pittorico di “Fiandra”, che era ritenuto “più devoto che il modo italiano”, come sosteneva Francisco de Hollanda nei suoi Dialoghi romani del 1546 131.


Conclusioni

Una lettura, questa, che sembra confermare quanto già asserito in merito alle questioni stilistiche, formali e storiche, che riconducono necessariamente le repliche ad un unico prototipo, da considerarsi scomparso, realizzato in due distinte fasi: la prima, riguardante la sola parte mediana, dallo stesso van der Weyden o la sua bottega tra il 1450-55 e il 1464 e la seconda che invece riguardò l'aggiunta delle ante, realizzate attorno al 1480-82, molto probabilmente opera della medesima bottega brussellese, gestita ormai dal figlio Pieter, oppure in quella del nipote Louis Le Duc a Bruges. L'unica testimonianza del trittico nella sua completezza è rappresentata da quello cagliaritano (fig. 1), confermata dagli altri due esemplari più tardi, ma frammentari, con la stessa soluzione iconografica (figg. 2 e 3). Che esistesse invece una tavola corrispondente alla sola parte centrale (fig. 1a), ne danno testimonianza i tre diversi dittici rimasti (figg. 4, 5, 6), tra i quali il più antico, certamente precedente all'aggiunta delle ante nel prototipo, sembra essere quello dato a Marmion, oggi a Strasburgo, dove sono riportati alcuni dettagli – come il soggolo della Vergine con triplo riporto plissettato fermato da spilli e la corona acuminata di Cristo (fig. 4) – che presto scompariranno nella maggior parte delle repliche successive, ivi incluse quelle della sola Addolorata (figg. 7, 8, 9, 10, 11, 12) o dell'unica raffigurante il Risorto dolente (fig. 13).

Ricostruito in tal modo lo scomparso prototipo, è possibile affermare che anche il trittico cagliaritano seguì un simile percorso, anche se cronologicamente più avanzato. La parte centrale (fig. 1a), più antica delle ante, come già ribadito, venne realizzata utilizzando forse gli stessi cartoni del prototipo, nella stessa bottega dei van der Weyden, diretta ormai da Pieter, secondogenito di Rogier, a mio avviso attorno o poco dopo il 1470 e là probabilmente restò per anni. Le due ante laterali (figg. 1b e 1c) invece – aggiunte al pannello centrale attraverso la cornice realizzata da un falegname brussellese – vennero dipinte molto più tardi, probabilmente in coincidenza o poco prima del soggiorno dei due de' Medici nel palazzo di Coudenberg, dalla medesima bottega vanderweychiana sita nel quartiere di Cantersteen, in cui era già attivo Goossen, figlio di Pieter e Catharina van der Noot, prima del suo trasferimento ad Anversa, dove divenne cittadino nel 1498-99 132. Anche per le portelle furono quasi sicuramente utilizzati i medesimi disegni o cartoni del prototipo, poi reimpiegati per le successive repliche, come quelle Scheidwimmer (fig. 3). Complesso individuare, entro quella vasta bottega 133, i due possibili autori del trittico clementino, posto che dell'opera Pieter, ad esempio, poco o nulla sappiamo, salvo non sia da individuare nel Maestro della Leggenda di Santa Caterina, come qualcuno ha proposto, pur senza riscontri oggettivi 134. In tal caso la sua mano sarebbe da escludere, anche se resterebbe comunque valida la ricostruzione appena proposta e quindi la bottega van der Weyden diretta da Pieter.

                    
                    
                    

NOTE

1 Brunelli 1901, p. 420; Tasca 2000, p. 429.

2 Bilardi-Longobardi 2006, pp. 81-82.

3 Tasca 2000, pp. 379-430.

4 Brunelli 1901, p. 420; Aru 1931, p. 17; Tasca 2000, p. 429; Mocci 2021, pp. 33-34.

5 Le dimensioni del trittico non sono date in modo univoco nella bibliografia, differendo spesso notevolmente da una fonte all'altra, tanto da risultare spesso incongruenti. Per questo lavoro si è preferito riportare quelle pubblicate in Aru 1931, p. 17, riprese successivamente da Serra 1962, p. 207; Coroneo, scheda 92, in: Serra 1990, p. 202 e Bilardi-Longobardi 2006, p. 86. Diversamente Schade 2001, p. 381, riporta per la parte centrale cm. 60,8 X 66 e cm. 64 X 31 per ciascuna anta laterale, mentre aperto sarebbe cm. 84 X 161 (sic!); Véronique Bücken, scheda 67, in: Bücken-Steyaert 2013, p. 286, riferisce per il pannello centrale cm. 60 X 66 e cm. 63 X 31 per le ante; infine, Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150, riporta invece cm. 60 X 66, per quella centrale e cm. 63 X 61 (sic!) le laterali. Va menzionata inoltre la scheda ICCD 20/ 00044063, compilata a suo tempo da Giovanni Zanzu, che riporta, per l'intero, la dimensione di cm. 60 X 148.

6 Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150.

7 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 970; Zanzu 1992, p. 38.

8 Su questo tipo di iconografia si veda: Bertelli 1969, pp. 40-55; Belting 1981, pp. 1-16; Belting 1996, p. 20.

9 Spano 1856, p. 37; Spano 1861, Trittico, p. 140; Spano 1861, Guida, p. 57, riteneva fosse Santa Marta di Betania.

10 Aru 1931, p. 17.

11 Chastel 2010 (1983), pp. 75-76; Schade 2001, pp. 62, 381, nota 2; Reiss 2005, pp. 360-361; Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150; Borchert 2017, pp. 37-39.

12 Reiss 2005, p. 361.

13 Zanzu 1992, p. 43; Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150; Borchert 2017, pp. 38-39.

14 Koldeweij 1997, p. 117.

15 Agus 2009, p. 200.

16 Sulla controversa questione della frequentazione della bottega di van der Weyden da parte di Memling, si veda: Lane 2014, pp. 21-25.

17 Agus 2009, pp. 198-199.

18 Lorne Campbell, The Workshop of the van der Weyden Family, in: Gombert-Martens 2007, p. 53.

19 Casalis 1836, p. 212.

20 Valery 1837, pp. 174-175.

21 Spano 1856, p. 34; Spano 1861, Trittico, pp. 139-142; Spano 1861, Guida, p. 57.

22 La Marmora 1868, p. 37, nota 2.

23 Brunelli 1901, pp. 419-420; Brunelli 1907, p. 47, in nota.

24 Friedländer 1923, p. 168; Michel 1927, p. 142.

25 Aru 1931, pp. 19-23.

26 Scano 1927, p. 12.

27 Van Marle 1934, p. 472.

28 Serra 1962, pp. 207-208; Maltese-Serra 1969, pp. 322-324; Serra 1980, pp. 32, 103, nota 38; Serra 1982, p. 90; Coroneo, scheda 92, in: Serra 1990, p. 202. Tesi ripresa anche da Bilardi-Longobardi 2006, pp. 81-82.

29 De Vos 1971, p. 97, nota 65.

30 Friedländer 1969 (1926), pp. 81-82; De Vos 1971, pp. 97-99.

31 Bermejo Martínez 1980, pp. 122-123.

32 Chastel 2010 (1983), pp. 75-76; Collobi Ragghianti 1990, pp. 81-82.

33 Zeri 2001, p. 24.

34 Reiss 2005, p. 361.

35 Nuttall 2004 p. 291, nota 48; Reiss 2005, p. 360, nota 101.

36 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, pp. 969-975.

37 Ivi, pp. 970-971.

38 Zanzu 1992, pp. 41-42, 44, nota 35, identifica erroneamente il marchio con quello dei pittori, mentre si tratta, essendo il compasso con la pialla, di quello dei falegnami di Bruxelles. Per l'identificazione del marchio si veda: Verougstraete-Van Schoute 1990, pp. 185-200.

39 Friedländer 1923, p. 168.

40 Zanzu 1992, pp. 36-44.

41 Schade 2001, p. 381.

42 Janssens de Bisthoven 1983, p. 37; Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150; Borchert 2017, pp. 37-39; Mocci 2021, pp. 35-36.

43 Gombert-Martens 2005.

44 Friedländer 1969 (1926), pp. 82-83 (nn. 84-89), 86-87 (nn. 128-131), 91 (nn. 162-163), 100-101; Friedländer 1975 (1935), pp. 13-14.

45 Limentani Virdis 2007, pp. 99-100.

46 Véronique Bücken, scheda 67, in: Bücken-Steyaert 2013, pp. 286-287.

47 Zanzu 1992, p. 42.

48 Ibidem, sostiene che la pulitura dell'opera sarda “ha permesso una lettura della superficie cromatica che, insieme ad una accurata visione degli originali e un confronto con le riflettografie e le foto all'infrarosso su diverse opere” del Maestro del fogliame ricamato, portava ad escludere l'ipotesi di una identità di mano, anche solo per i pannelli laterali, per i quali indicava la possibilità di considerare forse Colijn de Coter. Tuttavia, il fatto si tratti di un gruppo di opere dipinte da almeno sei artisti distinti, che vanno dallo stesso Coter a van den Bossche, fino al Maestro della Leggenda di Santa Caterina, il Maestro della Madonna Grog, ecc., rende difficile verificare su quali opere Zanzu effettivamente fece il confronto, fatto che non ci permette di comprovare la tesi. Tuttavia, la pubblicazione delle fotografie all'infrarosso e le riflettografie dell'intero corpus riferito al gruppo del fogliame ricamato, in: Gombert-Martens 2007, pp. 195-210, permette di confermare la tesi di Zanzu, visto che il disegno sottostante di tutte le opere non è accostabile a quello cagliaritano, ben visibile nelle immagini pubblicate in: Zanzu-Bensi-Seracini 1987, pp. 969-973; Zanzu 1992, pp. 40-43; Zanzu 1997.

49 Didier Martens, Le groupe des œuvre au Feuillage brodé: quelques propositions, in: Gombert-Martens 2005, p. 65; Florence Gombert, Regrouper et exposer les œuvres attribuées à un atelier de maître anonyme, in: Gombert-Martens 2007, pp. 23-30.

50 Maryan W. Ainsworth, The Master of the Embroidered Foliage Group – a Brussels of Bruges Workshop?, in: Gombert-Martens 2007, pp. 153-163.

51 Didier Martens, Le groupe des œuvre au Feuillage brodé: quelques propositions, in: Gombert-Martens 2005, p. 59; tesi ripresa anche da: Florence Gombert, Regrouper et exposer les œuvres attribuées à un atelier de maître anonyme, in: Gombert-Martens 2007, pp. 23-30.

52 I cinque dipinti, ritenuti del medesimo autore da Friedländer 1969 (1926), pp. 81-82, sono custoditi rispettivamente presso la National Gallery of Scotland (cm. 90,5 X 76,5); al Groeningemuseum di Bruges (cm. 103 X 75, inv. 0.1660); al Musée de Beaux-Arts di Lille, al centro di un trittico (cm. 105 X 86, la parte centrale e cm. 105 X 38 ciascuna anta); all'Institute of Arts di Minneapolis (cm. 135,9 X 86,8) e infine allo Sterling and Francine Clark Art Institute di Williamstown (cm. 99 X 66, inv. 1968.299). Le tavole sono rispettivamente assegnate, da Florence Gombert, Une Vierge pour modèle, in: Gombert-Martens 2005, p. 39, a Colijn de Coter, la prima e l'ultima; al Maestro della Madonna Van Gelder, la seconda e infine al Maestro della Madonna Grog le due restanti.

53 Florence Gombert, Une Vierge pour modèle, in: Gombert-Martens 2005, p. 39.

54 Didier Martens, in: Gombert-Martens 2005, p. 74; Peter Klein, Dentrochronological Analyses of Some Paintings of the Master of the Embroidered Foliage, in: Gombert-Martens 2007, p. 104.

55 Limantani Virdis 2007, pp. 99-100; Véronique Bücken, scheda 67, in: Bücken-Steyaert 2013, pp. 286-287.

56 Mocci 2021, p. 36.

57 Didier Martens, Le groupe des œuvre au Feuillage brodé: quelques propositions, in: Gombert-Martens 2005, p. 60.

58 Véronique Bücken, scheda 67, in: Bücken-Steyaert 2013, p. 287.

59 Le riflettografie del trittico sardo sono state pubblicate in: Zanzu-Bensi-Seracini 1987, pp. 969-975 e Zanzu 1997, mentre quelle relative al gruppo del fogliame ricamato in: Gombert-Martens 2007, pp. 195-210.

60 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 971; Zanzu 1992, p. 42.

61 Galassi 1997, p. 131.

62 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 971; Zanzu 1992, p. 40.

63 Zanzu 1992, p. 38.

64 Till-Holger Borchert, Cat. 23, in: Borchert 2014, p. 150.

65 Agus 2009, p. 197.

66 Zanzu 1992, pp. 41-42; Zanzu 1997.

67 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 972: “the central table is older than the side one, and it was rectangular shaped at first; later it got the shape we can see with the present frame and this is all, probably at the end of the ‘400 or at the beginning of the ‘500”.

68 Friedländer 1923, p. 168; Aru 1931, pp. 17-19; Serra 1962, pp. 207-208; Maltese-Serra 1969, pp. 322-324; Bermejo Martínez 1980, pp. 122-123; Collobi Ragghianti 1990, pp. 81-82; Zanzu 1992, pp. 36, 41, 43; Limentani Virdis 2007, p. 101; Borchert 2017, pp. 37-39.

69 Baron Ribeyre & Associés, Parigi, asta del 01/07/2011, lotto 23. Dipinto su tre assi di pino assemblati e datato al 1540 circa, in asta è passato come una “copie espagnole d'un original perdu, oeuvre d'un artiste flamand du XVIe siècle dont une copie ancienne est conservée au musée Groeningen à Bruges qui est considérée comme une copie de Simon Marmion”.

70 Kunsthandel, Monaco, asta del 18-19/10/1963, lotto 200, pubbl. in “Die Weltkunst”, n. 17, XXXIII (1963), p. 15; Zanzu 1992, p. 43; Archivio Friedländer, XV_021_0103, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/4743 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00)

71 Friedländer 1923, p. 168; Michel 1927, p. 127; Aru 1931, pp. 17-19; Hoffman 1969, p. 244, nota 7; Hoffman 1973, p. 275, nota 54; Zanzu 1992, p. 36; Jacquot 2006, pp. 28-31.

72 Aru 1931, pp. 17-19; Hosten-Strubbe 1935, p. 135; Zanzu 1992, p. 36; De Vos 1999, p. 25; Limentani Virdis 2007, p. 101, che tuttavia lo confonde con quello di Strasburgo.

73 Sotheby's, Londra, asta del 07/05/2020, lotto 5.

74 Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 972.

75 Bermejo Martínez 1980, p. 122; Zanzu 1992, p. 41.

76 Parigi, asta Galerie G. Petit, 01-04/12/1913, lotto 67, p. 83.

77 Friedländer 1923, p. 168; Zanzu 1992, p. 41.

78 Zanzu 1992, p. 41; Archivio Kikirpa, Bruxelles, n. 40004344, link: https://balat.kikirpa.be/object/40004344 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

79 Bermejo Martínez 1980, p. 123.

80 La prima: Brussels Art Auction, asta del 09/10/2018, lotto 155, p. 50. La seconda: Druot, Parigi, asta del 21/01/2023, lotto 2 e poi: Fauve, Parigi, asta del 22/04/2023.

81 Sulla biografia e le questioni inerenti Joseph Van der Veken (1872-1964), si veda: Serck 2005.

82 Per un approfondimento su questa iconografia, si veda: Belting 1981, pp. 3-4.

83 Pubblicato in: “The Burlighton Magazine”, 81, 477 (1942), p. V; Londra, Duits Gallery, asta 18/12/1946; Archivio Friedländer, XV6330, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/6383 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00); Archivio RKD, n. 103972.

84 L'opera proviene dalla Fundación Luis A. Ferré; già attribuita a Dieric Bouts, è stata più recentemente ricondotta all'ambito di van der Goes. Held 1965, pp. 79, 234; Friedländer 1969 (1926), pp. 88, 122 (n. 144).

85 Venduto in due aste: Christie's, Amsterdam, asta del 14/11/1991, lotto 120; Christie's, Amsterdam, asta del 6/05/1993, lotto 49; Archivio Kikirpa, n. 50005428, link: https://balat.kikirpa.be/object/50005428 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

86 Un caso eclatante che testimonia lo scambio di disegni, materiale grafico e modelli, fu senza dubbio quello che vide contrapposti Gérard David e il lombardo Ambrosius Benson, tra il 1519 e il 1520. La vicenda iniziò quando il lombardo richiese la restituzione di due casse contenenti progetti di opere, miniature, un piccolo libro con teste e nudi, un dipinto della Vergine realizzato per il padre, una Pietà, una Maddalena e altre cose che aveva lasciato presso il maestro fiammingo. Richiese inoltre alcuni modelli provenienti dalla casa di Adriaen Ysembrandt, nonché decori noleggiati da Albrecht Cornelis per due fiorini. David, che lo aveva accolto nel suo atelier, rispose alla principessa d'Este, che chiedeva conto delle lamentele di Benson, che si trattava di suoi modelli e che anzi il collega infedele gli doveva sette sterline lorde. Benson, per rifonderlo, promise di lavorare tre giorni a settimana per David, anche se ne farà appena venti in tutto. Successivamente sappiamo che David venne imprigionato per aver nascosto presso casa sua beni di Benson.

87 Koreny 2003, pp. 271-273.

88 Lorne Campbell, José Juan Pérez Preciado, scheda 9, in: Lorne Campbell 2015, pp. 120-127.

89 Maryan W. Ainsowrth, n. 47, in: Ainsowrth-Christiansen 1998, p. 220.

90 Didier Martens, in: Gombert-Martens 2005, p. 76. Le repliche dei due angeli ai lati della Vergine del pannello londinese, sono ripresi anche da altri autori, sempre di area fiamminga in diversi trittici, che in alcuni casi ripropongono anche la Vergine con Bambino centrale, cfr. Schade 2001, pp. 166-167, 176-183.

91 Lorne Campbell, The Workshop of the van der Weyden Family, in: Gombert-Martens 2007, p. 50.

92 Archivio Friedländer, XV0769, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/5077 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

93 Till-Holger Borchert, Cat. 17, in: Borchert 2014, p. 138.

94 Henderiks 2021, p. 126.

95 Il concetto a cui si fa riferimento in questa sede è quello espresso in: Panofsky 2015 (1927), pp. 11-15, che pur messo in discussione più volte, resta sempre valido, soprattutto per le immagini destinate alla devozione privata, probabilmente utilizzate anche durante le funzioni religiose particolari, ove forma e contenuto risultano congiunti nell'ottica della “teoria dei tipi” (Typenlehere). In tal senso diviene significativa la distinzione tra immagine rappresentativa, immagine narrativa e appunto Andachtsbild, soprattutto se vista attraverso il concetto di omologia, come ben sottolinea Vargiu 2016, pp. 43-55, saggio a cui si rinvia per un completo inquadramento del problema. Lo stesso autore, in due saggi successivi, inquadra la problematica da una parte ripercorrendo l'etimo del termine e i suoi significati (Vargiu 2020), dall'altra inquadrandolo entro la produzione panofskyana, attraverso anche un confronto con la critica che si è occupata della questione (Vargiu 2021).

96 Aru 1931, p. 22; Zanzu 1992, p. 43.

97 De Vos 1971, p. 97; Zanzu 1991, p. 42.

98 Schade 2001, pp. 216-217.

99 Archivio Friedländer, XV1261, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/5574 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

100 De Vos 1971, pp. 97-99.

101 Devo il suggerimento al collega e amico prof. Stefano Valeri, che doverosamente ringrazio. Ad avallare questa ipotesi potrebbe concorrere anche il disegno sottostante, messo in luce dalle indagini diagnostiche, che ha evidenziato come “there are differences between the drawing and the final version: a face profile with drawn hair locks that goes down upright along S. Anna's face the chin is more interior” [Zanzu-Bensi-Seracini 1987, p. 970], segno chiaro di una rielaborazione di una precedente soluzione compositiva, che forse prevedeva un'altra figura, ugualmente femminile.

102 Véronique Bücken, scheda 67, in: Bücken-Steyaert 2013, p. 287.

103 Friedländer 1967 (1924), p. 49, n. 129b; Russel-Rayner-Bescoby 2016, p. 18, 29, 31-39, 80.

104 Archivio Friedländer, XV1582, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/5915 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

105 Archivio Friedländer, XV0800, link: https://www.kikirpa.be/friedlaender/5109 (consultato il 23/08/2023, h. 12.00).

106 Sotheby's Londra, asta del 24/06/1959, lotto 27.

107 Agus 2009, pp. 198-199.

108 Maryan W. Ainsworth, The Master of the Embroidered Foliage Group – a Brussels of Bruges Workshop?, in: Gombert-Martens 2007, p. 152.

109 Ivi, pp. 154-163.

110 Lorne Campbell, The Workshop of the van der Weyden Family, in: Gombert-Martens 2007, p. 46.

111 Maryan W. Ainsowrth, Véronique Sintobin, n. 101, in: Ainsowrth-Christiansen 1998, pp. 374-376. Dalle analisi riflettografiche e a RX sul dipinto newyorkese, si è scoperto che il Cristo, nella versione iniziale, aveva il capo ruotato leggermente verso la Vergine, la quale presentava una freccia che gli trafiggeva il petto.

112 Schade 2001, pp. 324-325.

113 Agus 2009, pp. 198-199.

114 Bertelli 1969.

115 Belting 1981, p. 4.

116 De Palma 2004, p. 248.

117 Belting 1981, pp. 6-7.

118 De Palma 2004, p. 249.

119 Belting 1981, p. 7.

120 Ivi, p. 9.

121 Ivi, p. 8.

122 Bino 2019, p. 166.

123 Ivi, pp. 165-177; Bino 2021, pp. 34-38.

124 De Palma 2004, p. 250.

125 Chevalier-Gheerbant 2021, p. 434.

126 Hall 2010, p. 172.

127 De Barry 1640, p. 212. Secondo quanto riportato nel testo del gesuita francese, la vicenda relativa presunta apparizione della Vergine al pellegrino romano all'interno della cattedrale di Reims era riportata in un “tableau assez ancien, escrit en lettre Gotique”. Si trattava evidentemente di una epigrafe dipinta risalente al XV secolo, di cui si è persa ogni traccia.

128 Didier Martens, in: Gombert-Martens 2005, pp. 70-72, la formula aggiunta, menzionata al capitolo XIII del De laudibus sanctissime matris Anne tractatus perquam utilis domini Johannis Tritthemius, ecc., pubblicato in prima edizione nel 1494, è la seguente: “Et benedicta sit honestissima mater tua sancta Anna, ex qua sine macula caro tua processit virginea”.

129 Ferrato 1867.

130 Agus 2009, pp. 198-199.

131 Paula Nuttal, Memling e la pittura italiana, in: Borchert 2014, p. 47.

132 Lorne Campbell, The Workshop of the van der Weyden Family, in: Gombert-Martens 2007, pp. 48-49.

133 La bottega di Rogier van der Weyden, alla scomparsa del maestro avvenuta il 18 giugno 1464, passò all'unico figlio pittore Pieter, a cui si affiancò per gli affari l'energica madre Elisabeth Goffaert, almeno fino al 1477, anno del suo decesso. Pieter capitalizzò la fama del padre realizzando opere nel suo stile, con l'ausilio di diversi collaboratori, ognuno con una precisa specializzazione. A bottega di Rogier operavano, oltre Pieter, diversi artisti, come il Maestro della Redenzione del Prado (forse identificabile con Vrancke van der Stockt), il Maestro della Leggenda di Santa Caterina (che qualcuno identifica con Pieter van der Weyden) e forse il nipote Louis Le Duc. A questi si aggiungono diversi altri residenti nel quartiere, come il miniaturista Dreux Jehan, i pittori Pieter van Coninxloo con il figlio Jaspar, Jan van Wijngaerden, Elisabeth Goffaert e il fratello Jan, imparentato a sua volta con Colyn de Coter o van der Couteren, attraverso la moglie Gertrude van Couteren. A bottega erano certamente custoditi disegni, cartoni e bozzetti non solo realizzati da Rogier e i suoi aiutanti, ma anche quelli ereditati da Robert Campin. Materiale a cui ebbero accesso anche artisti come Colyn de Coter e Bernard van Orley. Lorne Campbell, The Workshop of the van der Weyden Family, in: Gombert-Martens 2007, pp. 46-53.

134 Ivi, p. 48.




                      
                      
                      
                      

BIBLIOGRAFIA

Agus 2009

Luigi Agus, Rinascimento in Sardegna. Saggi di storia, arte e letteratura, Cagliari 2009.


Ainsworth-Christiansen 1998

Maryan W. Ainsworth, Keith Christiansen (edd.), From van Eyck to Bruegel. Early Netherlandish Painting in The MetropolitanMuseum of Art, New York 1998.


Aru 1931

Carlo Aru, Il Trittico di Clemente VII nel tesoro del duomo di Cagliari, in: Mélange Hulin de Loo, Bruxelles-Parigi 1931, pp. 16-23.


Belting 1981

Hans Belting, An image and its function in the liturgy: the Man of Sorrows inByzantium, in: “Dumbarton Oaks Papers”, 34/35 (1980-1981), pp. 1-16.


Belting 1996

Hans Belting, Giovanni Bellini. La Pietà, Modena 1996.


Bermejo Martínez 1980

Elisa Bermejo Martínez, La pintura de los primitivos flamencos en España, tomo I, Madrid 1980.


Bertelli 1969

Carlo Bertelli, The Image of Pity in Santa Croce in Gerusalemme, in: Douglas Fraser, Howard Hibbard, Milton J. Lewine (edd.), Essays in the History of Art Presented to Rudolf Wittkower, Londra 1969, pp. 40-55.


Bilardi-Longobardi 2006

Donatella Bilardi, Francesca Longobardi, Il tesoro della cattedrale nel Museo del Duomo di Cagliari, Monastir (CA) 2006.


Bino 2019

Carla M. Bino, ‘Imago pietatis'. La libertà della somiglianza nel dramma medievale dellaPassione, in: Nicolangelo D'Acunto, Elisabetta Filippini, Libertas: secoli X-XIII, Atti del Convegno internazionale (Brescia, 14-16 settembre 2017),Milano 2019, pp. 181-200.


Bino 2021

Carla M. Bino, Visibilità della fama, infamia della croce e un nuovo concetto di gloria, in: “Manthicora”, 11 (2021), pp. 27-40.


Borchert 2014

Till-Holger Borchert (ed.), Memling. Rinascimento fiammingo, Ginevra-Milano 2014.


Borchert 2017

Till-Holger Borchert, Ars devotionis: Reinventing the Icon in Early Netherlandish Painting, in: Bernard Coulie (ed.), Paths to Europe: From Byzantium to the Low Countries, Cinisello Balsamo (MI) 2017, pp. 28-49.


Brunelli 1901

Enrico Brunelli, Un trittico di Gerard David (?) sottratto al Vaticano nel 1527, in: “L'Arte”, IV (1901), pp. 419-420.


Brunelli 1907

Enrico Brunelli, Opere d'arte decorativa nel tesoro del duomo di Cagliari, in: “L'Arte”, X (1907), pp. 47-52.


Bücken-Steyaert 2013

Véronique Bücken, Griet Steyaert, L'heritage de Rogier van der Weyden. La peinture a Bruxelles 1450-1520, Bruxelles 2013.


Campbell 2015

Lorne Campbell (ed.), Rogier van der Weyden y los reinos de la península Ibérica, Madrid 2015.


Casalis 1836

Goffredo Casalis, Dizionario geografico, storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Redi Sardegna, vol. III, Torino 1836.


Chastel 2010 (1983)

André Chastel, Il sacco di Roma. 1527, Torino 2010 (prima ed. 1983).


Chevalier-Gheerbrant 2021

Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli. Miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori,numeri, Milano 202116.


Collobi Ragghianti 1990

Licia Collobi Ragghianti, Dipinti fiamminghi in Italia 1420-1570, Bologna 1990.


De Barry 1640

Paul de Barry, Le paradis ouvert a Philagie par cent dévotions a la Mère de Dieu, Lione 1640.


De Palma 2004

Luigi Michele De Palma, Corpus Christi e Imago Pietatis. Origini e sviluppi di un'iconografiaeucaristica, in: “Odegitria”, XI (2004), pp. 239-271.


De Vos 1971

Dirk de Vos, De Madonna-en-Kindtypologie bij Rogier van der Weyden en enkele mindergekende Flemalleske voorlopers, in: “Jahrbuch der Berliner Museen”, 13 (1971), pp. 60-161.


De Vos 1999

Dirk De Vos, Musée Groeninge Bruges, Gand 1999.


Ferrato 1867

Pietro Ferrato (ed.), Leggenda di Santa Margherita V. M. Testo inedito del buon secolo citato dagliaccademici della Crusca, Venezia 1867.


Friedländer 1923

Max J. Friedländer, Einige tafelbilder Simon Marmions, in: “Jahrbuch für Kunstwissenschaft” (1923), pp. 167-170.


Friedländer 1967 (1924)

Max J. Friedländer, Early Netherlandish Painting. II. Rogier van der Weyden and the Master ofFlémalle, New York-Washington 1967 (prima edizione tedesca 1924).


Friedländer 1969 (1926)

Max J. Friedländer, Early Netherlandish Painting. IV. Hugo van der Goes, New York-Washington 1969 (prima edizione tedesca 1926).


Friedländer 1975 (1935)

Max J. Friedländer, Early Netherlandish Painting. XII. Jan van Scorel and Pieter Coeck vanAelst, New York-Washington 1975 (prima edizione tedesca 1935).


Galassi 1997

Maria Clelia Galassi, La tecnica pittorica dei primitivi fiamminghi, in: Piero Boccardo, Clario di Fabio, Pittura fiamminga in Liguria. Secoli XIV-XVII, Cinisello Balsamo (MI) 1997, pp. 127-149.


Gombert-Martens 2005

Florence Gombert, Didier Martens, Le Maître au Feuillage brodé. Primitifs flamands. Secrets d'ateliers,catalogo della mostra, Parigi 2005.


Gombert-Martens 2007

Florence Gombert, Didier Martens, Le Maître au Feuillage brodé. Démarche d'artistes et méthoded'attribution d'œuvres à un peintre anonyme des anciens Pays-Bas du XVe siècle, Lille 2007.


Hall 2010

James Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Milano 201010.


Held 1965

Julius Samuel Held, European and American Paintings. Museo de Arte de Ponce, Ponce 1965.


Henderiks 2021

Valentine Henderiks, D'Or et de Dieu: Rogier van der Weyden et la révolution du fond dorédans la peinture du XVe siècle, in: “Annales de la Société Royale d'Archéologie de Bruxelles”,77 (2021), pp. 119-135.


Hoffman 1969

Warren Hoffman, Simon Marmion re-considered, in: “Scriptorium”, 2, 23 (1969), pp. 243-271.


Hoffman 1973

Warren Hoffman, Simon Marmion or “The Master of the Altarpiece of Saint-Bertin”, in: “Scriptorium”, 2, 27 (1973), pp. 263-290.


Hosten-Strubbe 1935

Ernest Hosten, Egied Idesbald Strubbe, Catalogue illustré du Musée Communal des Beaux-Arts à Bruges, Bruges 1932.


Jacquot 2006

Dominique Jacquot, Le musée des Beaux-Arts de Strasbourg, Strasburgo 2006.


Janssens de Bisthoven 1983

Aquilin Janssens de Bisthoven, Corpus de la peinture des anciens Pays-Bas méridionaux au quinzièmesiècle. Musée communal des Beaux-arts (Musée Groeninge), Bruges, tome 1, Bruxelles 1983.


Koldeweij 1997

Jos Koldeweij, Gli anonimi e i grandi maestri del XV secolo, in: Bert W. Meijer (ed.), La pittura in Europa. La pittura nei Paesi Bassi, I, Milano 1997, pp. 19-145.


Koreny 2003

Fritz Koreny, Drawings by Vrancke van der Stockt, in: “Master Drawings”, 3, XLI (2003), pp. 266-292.


La Marmora 1868

Alberto de La Marmora, Itinerario dell'Isola di Sardegna tradotto e compendiato con note dal canonicoGiovanni Spano, Cagliari 1868.


Lane 2014

Barbara G. Lane, Hans Memling: vita e opere, in: Till-Holger Borchert (ed.), Memling. Rinascimento fiammingo, Ginevra-Milano 2014, pp. 19-37.


Limentani Virdis 2007

Caterina Limentani Virdis, Il trittico di Clemente VII del Capitolo di Cagliari, in: Caterina Limentani Virdis, Maddalena Bellavitis (edd.), Nord/Sud. Presenze e ricezioni fiamminghe in Liguria, Veneto e Sardegna.Prospettive di studio e indagini tecniche, Padova 2007, pp. 97-102.


Maltese-Serra 1969

Corrado Maltese, Renata Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in: Ferruccio Barreca et all., Sardegna, Venezia 1969, pp. 177-408.


Michel 1927

Edouard Michel, A propos de Simon Marmion, in: “Gazette de Beaux-Arts”, 69, II (1927), pp. 141-154.


Mocci 2021

Sara Mocci, I musei diocesani di Sardegna e un inedito San Cristoforo (XV secolo), in: “OADI. Rivista dell'Osservatorio per le Arti Decorative inItalia”, 23, XII (2021), pp. 29-42.


Nuttall 2004

Paula Nuttall, From Flanders to Florence. The impact of Netherlandish Painting.1400-1500, New Haven-Londra 2004.


Panofsky 2005 (1927)

Erwin Panofsky, Imago pietatis. Un contributo alla storia tipologica dell'Uomo dei dolorie della Maria Mediatrix (1927), in: “Annali di critica d'arte”, XI (2015), pp. 9-30.


Reiss 2005

Sheryl E. Reiss, Adrian VI, Clement VII, and Art, in: Kenneth Gouwens, Sheryl E. Reiss (edd.), The Pontificate of Clement VII. History, Politics, Culture, Aldershot-Burlington 2005, pp. 341-364.


Russel-Rayner-Bescoby 2016

Joanna Russell, Judith Rayner, Jenny Bescoby, Northern European Metalpoint Drawings: technical examination and analysis, London 2016.


Scano 1927

Dionigi Scano, Note d'arte sul Sacco di Roma: maggio 1527-maggio 1927, in: “Mediterranea”, VII (1927), p. 12.


Schade 2001

Karl Schade, Ad excitandum devotionis affectum: kleine Triptychen in deraltniederländischen Malerei, Weimar 2001.


Serck 2005

Myriam Serck (ed.), L'affaire Van der Veken, Catalogo della mostra, Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique,Bruxelles (27 gennaio, 20 febbraio 2005), Bruxelles 2005.


Serra 1962

Renata Serra, scheda 83, in: Corrado Maltese, Arte in Sardegna dal V al XVIII, Roma 1962, p. 207-208.


Serra 1980

EAD., Retabli pittorici in Sardegna nel Quattrocento e nel Cinquecento, Roma 1980.


Serra 1982

EAD., Pittura e scultura dal Medioevo all'Ottocento, in: Manlio Brigaglia (ed.), La Sardegna. 1. La geografia, la storia, l'arte e la letteratura, Cagliari 1982, p. 90.


Serra 1990

EAD., Pittura e scultura dall'età romanica alla fine del ‘500, Storia dell'Arte in Sardegna, Nuoro 1990.


Spano 1856

Giovanni Spano, Guida del duomo di Cagliari, Cagliari 1856.


Spano 1861, Trittico

ID., Trittico antico della Cattedrale, in “Bullettino Archeologico Sardo”, VII (1861), pp. 139-142.


Spano 1861, Guida

ID., Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari 1861.


Tasca 2000

Cecilia Tasca, Il Sacco di Roma (1527) e la donazione di Clemente VII alla Cattedraledi Cagliari di alcune reliquie e di un trittico fiammingo, in: Luisa D'Arienzo (ed.), Gli anni santi nella storia, Atti del Congresso Internazionale, Cagliari 16-19 ottobre 1999, Cagliari 2000, pp. 379-430.


Valery 1837

Valery (Antoine-Claude Pasquin), Voyage en Corse, a l'Ile d'Elbe, et en Sardaigne, tomo II, Parigi 1837.


Van Marle 1934

Raimond Van Marle, The development of the Italian School of Painting, The Hague 1934, vol. XV, p. 472.


Vargiu 2016

Luca Vargiu, Figure e Bilanci. Saggi sparsi di filosofia dell'arte, Milano-Udine 2016.


Vargiu 2020

ID., Su alcuni nodi teorici di Imago pietatis di Erwin Panofsky, in: Luca Vargiu, Alberto Virdis (edd.), Esperienze e interpretazioni della morte tra Medioevo e Rinascimento, Ancona 2020, pp. 19-33.


Vargiu 2021

ID., Tipo, simbolo e forma simbolica in Imago Pietatis e negli altri scritti panofskiani del 1927, in: Rita Pamela Ladogana, Simona Campus (edd.), Percorsi nella Storia dell'arte. Giornate di studi in onore di Maria LuisaFrongia, Atti del convegno (7-8 giugno 2016), Cagliari 2021, pp. 189-199.


Verougstraete-Van Schoute 1990

Hélène Verougstraete-Marcq, Roger Van Schoute, Marques des menuisiers de Bruxelles sur le cadres des peintures aux XVe et XVIe sieclès, in: C. Van Vlierden, Maurits Smeyers (edd.), Merken Opmerken. Merk-en meestertekens op kunstwerken in de zuidelijkeNederlanden en het Prinsisdom Luik. Typologie en methode, Loviano 1990, pp. 185-200.


Zanzu 1992

Giovanni Zanzu, Il trittico di Clemente VII del Duomo di Cagliari. Analisi diagnostichee problemi di attribuzione, in: “Kermes. Arte e tecnica del restauro”, 13, V (1992), pp.36-44.


Zanzu 1997

Giovanni Zanzu, Il Trittico di Clemente VII. XII settimana dei Beni Culturali,Pinacoteca Nazionale di Cagliari, 14-21 aprile 1997, Cagliari 1997.


Zanzu-Bensi-Seracini 1987

Giovanni Zanzu, Paolo Bensi, Maurizio Seracini, The Triptych of Clemens VIIth. Diagnostic Analysis, in: Kirsten Grimstad (ed.), ICOM Committee for Conservation. Triennial meeting, 8th, Sydney,Australia, 1987, Los Angeles 1987, vol. II, pp. 969-975.


Zeri 2001

Federico Zeri, Pittura e controriforma. L'arte senza tempo di Scipione da Gaeta, Vicenza 2001.

                      
                      
                      
PDF
QrCode

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali

BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it