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Open Questions: Thirty years of Writing About Art. Recensione dell'antologia critica della curatrice americana Helen Molesworth  

Matteo Patelli
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Gennaio 2024, n. 949
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00949.html
Articolo presentato il 27 Dicembre 2023, approvato l'8 Gennaio 2024 e pubblicato il 13 Gennaio 2024
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Open Questions (Phaidon Press, 304 pp.) offre uno spaccato all'interno dell'arte contemporanea attraverso lo sguardo di un'acuta studiosa e appassionata curatrice americana: Helen Molesworth. Dopo un dottorato su Marcel Duchamp presso la Cornell University, supervisionato da Hal Foster 1, Molesworth decide di abbandonare l'accademia per assumere il ruolo di curatrice in importanti istituzioni americane quali il Baltimore Museum of Art (2000-2), il Wexner Center for the Arts (2002-7), l'ICA di Boston (2007-2014) e il MOCA di Los Angeles (2014-2018).

Il sottotitolo – Thirty years of Writing About Art – ben illustra l'impianto antologico del libro, che seleziona ventiquattro contributi apparsi in riviste accademiche (October, Documents), magazines specializzati (Art Forum, Art in America, Frieze) e cataloghi d'arte. La selezione degli scritti è suddivisa in cinque sezioni grossomodo cronologiche, che scandiscono anche il percorso stesso della Molesworth. Ogni sezione è accompagnata da un'introduzione dell'autrice. Alcuni testi presentano anche una postfazione, che si rivela uno strumento utile per reinterrogare quanto scritto in precedenza, o per puntualizzare sulle condizioni nelle quali il testo si è sviluppato.

La prima sezione (“The Earliest Shots Across the Bow”) si apre con un saggio – “Robert Rauschenberg: Before Bed” – in pieno stile October, uscito infatti sullo stesso magazine nel 1993, quando la studiosa aveva allora ventisette anni. Il testo analizza il Rauschenberg prima del successo internazionale della Biennale di Venezia, collegando i primi monocromi neri, eseguiti durante e dopo il Balck Mountain College, all'abiezione – cornice teorica, come noto, quantomai di moda negli anni Novanta. Degno di nota è anche l'articolo uscito per Frieze nel 1998 dedicato al pittore afroamericano Karry James Marshall. Commentando come certe figure appaiono piatte, o altri elementi all'interno del campo pittorico flirtino con la decorazione, il saggio offre delle letture molto formaliste che affondano nel controverso rapporto tra modernismo e alterità razziale.

La seconda sezione è strutturata intorno ai contenuti del dottorato – dal titolo “At Home with Duchamp: The Readymade and Domesticity” –, la cui ricerca interseca temi quali la domesticità, il lavoro e il femminismo, che diventeranno oggetto anche di esposizioni curate dalla stessa autrice 2. Molesworth guarda Duchamp non attraverso la lente dello scandalo e dell'eccezione, cioè della “teoria dell'avanguardia” 3, bensì tramite la sociologia dei consumi, evidenziando come i readymade siano essenzialmente oggetti domestici destinati a un pubblico “femminile”. Il saggio più interessante è quindi “Rrose Sélavy Goes Shopping” (2005) in cui si propone una lettura del readymade parallela all'emergere dei grandi magazzini e dello shopping, e dove il concetto di gusto – contro Duchamp stesso, ma attraverso l'analisi sociologica di Pierre Bourdieu – è espresso nella scelta che l'artista deve comunque compiere.

La terza sezione è intitolata “Full Time Employment, or When I Really Became a Feminist”, e costituisce, dopo la parentesi accademica, la messa in pratica delle metodologie femministe all'interno del museo, contesto nel quale Molesworth sarà riconosciuta come una delle più brillanti curatrici americane. Ecco che quindi ci si confronta con la questione della collezione e dei suoi canoni, e anche con il problema dell'allestimento. Il saggio “Painting with Ambivalence” (2007) riconsidera tre pittrici astratte coinvolte nel femminismo degli anni Settanta: Mary Heilmann, Howardena Pindell, Joan Snyder. Un contesto di difficile affermazione per la pittura astratta, la quale deve confrontarsi anche con l'eredità machista dell'Espressionismo Astratto – che però diviene, nelle opere delle tre, una lista di referenti da risignificare. I colori si fanno infatti acidi e saturi, più legati al kitsch dello spettacolo che all'esistenzialismo trascendentale dei pittori del secondo dopoguerra. La griglia – elemento modernista per eccellenza 4 – è presente, (si veda in particolare Heilmann) ma senza un preciso impianto ortogonale e colorata di rosa. Molesworth è quindi costretta a pensare questi elementi in termini non tautologici, offrendo delle interpretazioni necessariamente contestuali e di genere. Tali interpretazioni si scontrano con il programma modernista, chiuso nell'indifferenza del medium pittorico, ed è forse per tale motivo, ella conclude, che il riconoscimento dell'astrazione pittorica femminile che guarda al Modernismo fatica a trovare riconoscimenti all'interno dello spazio museale americano – scandito appunto dal “dominio maschile” dell'astrazione post war. Il saggio “How to Install Art as a Feminist” (2010) rivisita la prassi, ora comune, di una storia dell'arte “inclusiva” condotta, secondo l'opinione dell'autrice, ghettizzando le artiste in sezioni circoscritte, o disponendo le loro opere vicino a quelle dei loro colleghi. Viceversa, sulla scia di Lisa Ticker e Mignon Nixon, Molesworth intende la questione spinosa dell'“influenza” in termini di affinità elettive e alleanze. Questo nuovo modello «allows us to think about lines of influence ad conditions of production that are organized horizontally, by necessarily competing ideas of identification, attachment, sameness, and difference, as opposed to our all too familiar (vertical narratives) of exclusion, rejection, and triumph» 5. Come spazializzare questo modo orizzontale di fare storia dell'arte all'interno del museo? Come installare, quindi, le opere? La parte più generativa del saggio è sicuramente quando l'autrice risponde a questi interrogativi attraverso la propria fantasia curatoriale, immaginando che opere di artiste molto diverse si “tocchino” per “contagio” 6, scardinando l'effettiva influenza per aprirsi a delle alleanze comuni. Ecco, quindi, che la pittura astratta di Synder dialoga con la proliferazione di figure mute di Dana Schutz, i readymade macabri del sé di Cindy Sherman, e la proiezione coloniale del femminile di Wangechi Mutu. Questo approccio sembra fare eco a Griselda Pollock e al suo “museo femminista virtuale” 7: un museo pensato per accostamenti diacronici dove le opere «cessano di essere semplici oggetti da classificare in base alla valutazione estetica o alla paternità idealizzata» 8. Ma se dalla prospettiva accademica, per Pollock, tale approccio è impensabile da attuare entro i canoni attuali, “How to Install Art as a Feminist” ha un piglio pratico decisamente più accattivante che sembra preannunciare progetti espositivi futuri, come The Art of Our Time (2015) presso il MOCA di Los Angeles, dove le opere della collezione erano reinstallate da Molesworth per affinità elettive piuttosto che seguendo parametri da manuale 9.

Le ultime due sezioni contengono saggi più brevi dedicati a singoli artisti, e pubblicati in occasione di mostre monografiche. Gli artisti sono quasi tutti “established” (Louise Lawler, Jim Hodges, Doris Salcedo, Simone Leigh, Deana Lawson, Ruth Asawa, Lee Lozano, Cathrine Opie) e l'ultima sezione è dedicata interamente a pittori (Luc Tuymans, Dike Blair, Manny Farber, Lari Pittman, Lisa Yuskavage, Noah Davis). Una scelta, quest'ultima, che, sebbene possa trovare contrasto con i primi interessi accademici, così poco “retinici”, affonda la motivazione nella necessità di riconsiderare un medium, considerato obsoleto dalle neoavanguardie, e che negli ultimi anni ha viceversa trovato largo interesse commerciale e accademico 10. Ciò che colpisce in queste sezioni è l'empatia con cui Molesworth scrive per gli artisti, rimettendo sovente in discussione la sua posizione autoriale: dall'iniziale titubanza per le opere di Simone Leigh – perché pensate per un pubblico essenzialmente femminile e nero, aspetto poi riconosciuto come elemento di forza –, alla gioia per l'esuberanza dei décor camp di Lari Pittman; dall'esperienza mitica come studente di Manny Farber, alle fantasie erotiche – vergognose, perché così poco femministe – sulle opere di Lisa Yuskavage. Molte, quindi, paiono le differenze di metodo se comparate agli studiosi americani con i quali l'autrice è entrata in contatto. Sebbene la curatrice sfrutti il bagaglio teorico (soprattutto psicanalitico) che October ha contribuito a diffondere, la scrittura di Molesworth tende a una “sensibilità personale” in grado di entrare in contatto con artisti così diversi senza mai scadere in giudizi aspri o piatte celebrazioni. Lontana dal “pensiero negativo” alla Foster o alla Benjamin Buchloh 11, o dall'impianto così teoricamente denso di una Rosalind Krauss, Molesworth accosta a queste metodologie la sua stessa esperienza, aggiungendo un filtro personale come strumento d'interpretazione dell'opera. Una posizione che contrasta sia con l'iper-teorizzazione di October che con la critica formalista del primo Artforum, e che invece trova ampi riscontri nel journal Documents, cofondato dalla stessa Molesworth 12.

Vale quindi la pena citare il saggio "Why Is the Sky Blue and Other Questions Regarding Writing" della stessa autrice, uscito su Documents nel 1996 e ricomparso adesso nel volume edito da Phaidon: «I like […] writing that exhibits a personal sensibility, yet it also somewhat aloof [...] I prefer criticism that is generative of questions and possibilities to criticism that is prohibitive or corrective» 13. Tale descrizione potrebbe applicarsi direttamente alla curatrice stessa. Ma sorgono altre domande, visto che l'emergere della curatela all'interno del sistema dell'arte ha profondamente cambiato il ruolo critico, arrivato a farsi, secondo Foster, “post-critical” 14. Fine della critica, quindi? Open Questions non sembra affatto una deposizione dell'analisi critico-antagonista per la complicità del mercato e del sistema dell'arte, ma sembra continuare, con altri mezzi, tale ruolo all'interno dello spazio museale – in questo senso, la terza sezione del volume si rivela decisiva. Un'attività non priva di rischi 15, ma piena di moltissime “open questions” alle quali Molesworth, nel corso del volume, sembra offrire risposte unendo strumenti teorici ad esperienze personali, approcci smaccatamente revisionisti tanto quanto «rispetto e gentilezza» 16 per gli artisti.

In conclusione, attraverso il percorso di uno dei curatori più influenti, Open Questions risulta essere un prezioso strumento per indagare l'evoluzione della critica d'arte e della curatela negli ultimi trent'anni negli Stati Uniti. Nonché per entrare in contatto con approcci metodologici e pratiche di artisti attraverso una letteratura di primaria importanza.

                  
                  
                  

NOTE

1 Molesworth aveva già incontrato Foster quando quest'ultimo era Senior Instructor per l'Indipendent Study Program del Whitney Museum (1989-90), un programma di formazione indipendente in forma seminariale per storici dell'arte, curatori e artisti.

2 MOLESWORTH ET AL. (A CURA DI) 2004.

3 Cfr. BÜRGER 1984.

4 Cfr. KRAUSS 1979.

5 «ci permette di pensare linee di influenza e condizioni di produzione che sono organizzate orizzontalmente, misurandosi necessariamente con idee di identificazione, attaccamento, identità e differenza, in contrasto con le nostre fin troppo familiari (narrazioni verticali) di esclusione, rifiuto, e trionfo.» MOLESWORTH 2010, ristampato in MOLESWORTH, 2023, pp.122-3 (traduzione mia).

6 IVI, p. 128 (traduzione mia).

7 Cfr. POLLOCK 2007.

8 IVI, p. 10.

9 MIRANDA 2016, np.

10 Cfr. JOSELIT 2009 e GRAW 2018.

11 Cfr. DAY 2010, pp. 184-200.

12 Documents (1992-2004) è stato un journal trimestrale che accoglieva recensioni di mostre, contributi d'artista e saggi interdisciplinari sull'arte e la cultura visuale contemporanea. Sebbene di breve durata e in parte oggi poco ricordata, l'attività editoriale di Documents risulta essere importante come voce critica all'interno delle culture warscaratterizzate dall'emergere delle identity politics e dal tumulto post 9/11 – a cavallo del nuovo millennio in America. Vista anche la scarsa reperibilità del journal al di fuori del contesto americano, è un peccato che il solo contributo di Documents in Open Question sia il saggio sopracitato del 1996.

13 MOLESWORTH, 1996, ristampato in MOLESWORTH, 2023, pp. 28-29.

14 Cfr. FOSTER, 2012, pp. 3-8.

15 Molesworth è stata infatti licenziata nel 2018 dal suo ruolo di chief curator presso il MOCA di Los Angeles per scontri dovuti con il direttore a causa della programmazione curatoriale, Cfr. DOUGLAS, 2018.

16 MOLESWORTH, 1996, ristampato in MOLESWORTH, 2023, p. 31 (traduzione mia).

 

                    
                    
                    
                    
                    
                    
                    
                    
                    

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

BÜRGER 1984
Peter BÜRGER, Theory of the Avant-garde, Manchester University Press, 1984.

DAY 2010
Gail DAY, Dialectical passions: negation in postwar art theory, Columbia University Press, 2010.

DOUGLAS 2018
Sarah DOUGLAS, “Prior to Her Firing, Curator Helen Molesworth Made Public Statements Critical of Museum Practices, MOCA” in ARTnews, 21 marzo 2018 https://www.artnews.com/art-news/news/prior-firing-curator-helen-molesworth-made-public-statements-critical-museum-practices-moca-10009/
[ultimo accesso 27 dicembre 2023]

FOSTER 2012
Hal FOSTER, “Post-Critical” in October, no 139, 2012, pp. 3-8.

GRAW 2018
Isabelle GRAW, The Love of Painting, Genealogy of a Success Medium, Sternberg Press, Berlino, 2018.

JOSELIT 2009
David JOSELIT, "Painting beside itself" in October, no 130, 2009, pp. 125-134.

KRAUSS 1979
Rosalind KRAUSS, "Grids" in October, no 9, 1979, pp. 51-64.

MIRANDA 2016
Carolina A. MIRANDA, “Column: 9 ways in which Helen Molesworth's permanent collection show at MOCA is upending the story of art” in Los Angeles Times, 8 gennaio 2016
https://www.latimes.com/entertainment/arts/miranda/la-et-cam-tour-of-moca-permanent-collection-helen-molesworth-20160107-story.html
[ultimo accesso 27 dicembre 2023].

MOLESWORTH 1996
Helen MOLESWORTH, “Why Is the Sky Blue and Other Questions Regarding Writing”, in Documents, no 7, Autunno 1996, pp. 16-19.

MOLESWORTH ET AL. (A CURA DI) 2004
Helen MOLESWORTH ET AL. (A CURA DI), Work Ethic (Catalogo della mostra, The Baltimore Museum of Art Molesworth, 12 Ottobre 2003 - Gennario 4, 2004,) Penn State Press, 2003.

MOLESWORTH 2010
Helen MOLESWORTH, “How to Install Art as a Feminist” in Connie Butler, Alexandra Schwartz (a cura di), Modern Women: Women Artists at The Museum of Modern Art, The Museum of Modern Art, New York, 2010, pp. 498-513.

MOLESWORTH 2023
EAD., Open Questions: Thirty years of Writing About Art, Phaidon Press, Londra / New York, 2023.

POLLOCK 2007
Griselda POLLOCK, Encounters in the virtual feminist museum: Time, space and the archive, Routledge, 2007.

                   
                   
                   
                   
                   
                   
                   
                   
                   
                   
                   

IL LIBRO

Open Questions: Thirty years of Writing About Art
Helen Molesworth
Donna Wingate (a cura di)
Phaidon Press, Londra / New York, 2023
ISBN: 9781838666057
Lingua: Inglese
Numero di pagine: 304
Illustrazioni: colori
€ 34,95

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