Open
Questions
(Phaidon
Press, 304 pp.) offre uno spaccato all'interno dell'arte
contemporanea attraverso lo sguardo di un'acuta studiosa
e
appassionata curatrice americana: Helen Molesworth. Dopo
un dottorato
su Marcel Duchamp presso la Cornell University,
supervisionato da Hal
Foster ,
Molesworth decide di abbandonare l'accademia per
assumere il ruolo
di curatrice in importanti istituzioni americane quali
il Baltimore
Museum of Art (2000-2), il Wexner Center for the Arts
(2002-7), l'ICA
di Boston (2007-2014) e il MOCA di Los Angeles
(2014-2018).
Il
sottotitolo
– Thirty
years of Writing About Art
– ben illustra l'impianto antologico del libro, che
seleziona
ventiquattro contributi apparsi in riviste accademiche (October,
Documents),
magazines
specializzati (Art
Forum,
Art in America,
Frieze) e
cataloghi
d'arte. La selezione degli scritti è suddivisa in cinque
sezioni
grossomodo cronologiche, che scandiscono anche il
percorso stesso
della Molesworth. Ogni sezione è accompagnata da
un'introduzione
dell'autrice. Alcuni testi presentano anche una
postfazione, che si
rivela uno strumento utile per reinterrogare quanto
scritto in
precedenza, o per puntualizzare sulle condizioni nelle
quali il testo
si è sviluppato.
La
prima
sezione (“The Earliest Shots Across the Bow”)
si apre con un saggio – “Robert Rauschenberg: Before
Bed” –
in pieno stile October,
uscito infatti sullo stesso magazine nel 1993, quando la
studiosa
aveva allora ventisette anni. Il testo analizza il
Rauschenberg prima
del successo internazionale della Biennale di Venezia,
collegando i
primi monocromi neri, eseguiti durante e dopo il Balck
Mountain
College, all'abiezione – cornice teorica, come noto,
quantomai di
moda negli anni Novanta. Degno di nota è anche
l'articolo uscito
per Frieze
nel 1998 dedicato al pittore afroamericano Karry James
Marshall.
Commentando come certe figure appaiono piatte, o altri
elementi
all'interno del campo pittorico flirtino con la
decorazione, il
saggio offre delle letture molto formaliste che
affondano nel
controverso rapporto tra modernismo e alterità razziale.
La
seconda
sezione è strutturata intorno ai contenuti del dottorato
–
dal titolo “At Home with Duchamp: The Readymade and
Domesticity”
–, la cui
ricerca
interseca temi quali la domesticità, il lavoro e il
femminismo, che
diventeranno oggetto anche di esposizioni curate dalla
stessa autrice
.
Molesworth guarda Duchamp non attraverso la lente dello
scandalo e
dell'eccezione, cioè della “teoria dell'avanguardia” ,
bensì tramite la sociologia dei consumi, evidenziando
come i
readymade siano essenzialmente oggetti domestici
destinati a un
pubblico “femminile”. Il saggio più interessante è
quindi
“Rrose Sélavy Goes Shopping” (2005) in cui si propone
una
lettura del readymade parallela all'emergere dei grandi
magazzini e
dello shopping, e dove il concetto di gusto – contro
Duchamp
stesso, ma attraverso l'analisi sociologica di Pierre
Bourdieu –
è espresso nella scelta che l'artista deve comunque
compiere.
La
terza
sezione è intitolata
“Full Time
Employment,
or When I Really Became a Feminist”, e costituisce, dopo
la
parentesi accademica, la messa in pratica delle
metodologie
femministe all'interno del museo, contesto nel quale
Molesworth
sarà riconosciuta come una delle più brillanti curatrici
americane.
Ecco che quindi ci si confronta con la questione della
collezione e
dei suoi canoni, e anche con il problema
dell'allestimento. Il
saggio “Painting with Ambivalence” (2007) riconsidera
tre
pittrici astratte coinvolte nel femminismo degli anni
Settanta: Mary
Heilmann, Howardena Pindell, Joan Snyder. Un contesto di
difficile
affermazione per la pittura astratta, la quale deve
confrontarsi
anche con l'eredità machista dell'Espressionismo
Astratto –
che però diviene, nelle opere delle tre, una lista di
referenti da
risignificare. I colori si fanno infatti acidi e saturi,
più legati
al kitsch dello spettacolo che all'esistenzialismo
trascendentale
dei pittori del secondo dopoguerra. La griglia –
elemento
modernista per eccellenza
– è presente, (si veda in particolare Heilmann) ma senza
un
preciso impianto ortogonale e colorata di rosa.
Molesworth è quindi
costretta a pensare questi elementi in termini non
tautologici,
offrendo delle interpretazioni necessariamente
contestuali e di
genere. Tali interpretazioni si scontrano con il
programma
modernista, chiuso nell'indifferenza del medium
pittorico, ed è
forse per tale motivo, ella conclude, che il
riconoscimento
dell'astrazione pittorica femminile che guarda al
Modernismo fatica
a trovare riconoscimenti all'interno dello spazio
museale americano
– scandito appunto dal “dominio maschile”
dell'astrazione
post war.
Il saggio “How to Install Art as a Feminist” (2010)
rivisita la
prassi, ora comune, di una storia dell'arte “inclusiva”
condotta, secondo l'opinione dell'autrice, ghettizzando
le
artiste in sezioni circoscritte, o disponendo le loro
opere vicino a
quelle dei loro colleghi. Viceversa, sulla scia di Lisa
Ticker e
Mignon Nixon, Molesworth intende la questione spinosa
dell'“influenza” in termini di affinità elettive e
alleanze.
Questo nuovo modello «allows us to think about lines of
influence ad
conditions of production that are organized
horizontally, by
necessarily competing ideas of identification,
attachment, sameness,
and difference, as opposed to our all too familiar
(vertical
narratives) of exclusion, rejection, and triumph» .
Come spazializzare questo modo orizzontale di fare
storia dell'arte
all'interno del museo? Come installare, quindi, le
opere? La parte
più generativa del saggio è sicuramente quando l'autrice
risponde
a questi interrogativi attraverso la propria fantasia
curatoriale,
immaginando che opere di artiste molto diverse si
“tocchino” per
“contagio” ,
scardinando l'effettiva influenza per aprirsi a delle
alleanze
comuni. Ecco, quindi, che la pittura astratta di Synder
dialoga con
la proliferazione di figure mute di Dana Schutz, i
readymade macabri
del sé di Cindy Sherman, e la proiezione coloniale del
femminile di
Wangechi Mutu. Questo approccio sembra fare eco a
Griselda Pollock e
al suo “museo femminista virtuale” :
un museo pensato per accostamenti diacronici dove le
opere «cessano
di essere semplici oggetti da classificare in base alla
valutazione
estetica o alla paternità idealizzata» .
Ma se dalla prospettiva accademica, per Pollock, tale
approccio è
impensabile da attuare entro i canoni attuali, “How to
Install Art
as a Feminist” ha un piglio pratico decisamente più
accattivante
che sembra preannunciare progetti espositivi futuri,
come The
Art of Our Time
(2015)
presso il MOCA di Los Angeles, dove le opere della
collezione erano
reinstallate da Molesworth per affinità elettive
piuttosto che
seguendo parametri da manuale .
Le
ultime
due sezioni contengono saggi più brevi dedicati a
singoli
artisti, e pubblicati in occasione di mostre
monografiche. Gli
artisti sono quasi tutti “established” (Louise Lawler,
Jim
Hodges, Doris Salcedo, Simone Leigh, Deana Lawson, Ruth
Asawa, Lee
Lozano, Cathrine Opie) e l'ultima sezione è dedicata
interamente a
pittori (Luc Tuymans, Dike Blair, Manny Farber, Lari
Pittman, Lisa
Yuskavage, Noah Davis). Una scelta, quest'ultima, che,
sebbene
possa trovare contrasto con i primi interessi
accademici, così poco
“retinici”, affonda la motivazione nella necessità di
riconsiderare un medium, considerato obsoleto dalle
neoavanguardie, e
che negli ultimi anni ha viceversa trovato largo
interesse
commerciale e accademico .
Ciò che colpisce in queste sezioni è l'empatia con cui
Molesworth
scrive per
gli artisti, rimettendo sovente in discussione la sua
posizione
autoriale: dall'iniziale titubanza per le opere di
Simone Leigh –
perché pensate per un pubblico essenzialmente femminile
e nero,
aspetto poi riconosciuto come elemento di forza –, alla
gioia per
l'esuberanza dei décor camp di Lari Pittman;
dall'esperienza
mitica come studente di Manny Farber, alle fantasie
erotiche –
vergognose, perché così poco femministe – sulle opere di
Lisa
Yuskavage. Molte, quindi, paiono le differenze di metodo
se comparate
agli studiosi americani con i quali l'autrice è entrata
in
contatto. Sebbene la curatrice sfrutti il bagaglio
teorico
(soprattutto psicanalitico) che October
ha contribuito a diffondere, la scrittura di Molesworth
tende a una
“sensibilità personale” in grado di entrare in contatto
con
artisti così diversi senza mai scadere in giudizi aspri
o piatte
celebrazioni. Lontana dal “pensiero negativo” alla
Foster o alla
Benjamin Buchloh ,
o dall'impianto così teoricamente denso di una Rosalind
Krauss,
Molesworth accosta a queste metodologie la sua stessa
esperienza,
aggiungendo un filtro personale come strumento
d'interpretazione
dell'opera. Una posizione che contrasta sia con
l'iper-teorizzazione di October
che con la critica formalista del primo Artforum,
e che invece trova ampi riscontri nel journal Documents,
cofondato dalla stessa Molesworth .
Vale
quindi
la pena citare il saggio "Why
Is
the Sky Blue and Other Questions Regarding Writing"
della stessa autrice, uscito su Documents
nel 1996 e ricomparso adesso nel volume edito da
Phaidon: «I like
[…] writing that exhibits a personal sensibility, yet it
also
somewhat aloof [...] I prefer criticism that is
generative of
questions and possibilities to criticism that is
prohibitive or
corrective» .
Tale descrizione potrebbe applicarsi direttamente alla
curatrice
stessa. Ma sorgono altre domande, visto che l'emergere
della
curatela all'interno del sistema dell'arte ha
profondamente
cambiato il ruolo critico, arrivato a farsi, secondo
Foster,
“post-critical” .
Fine della critica, quindi? Open
Questions
non sembra
affatto una deposizione dell'analisi critico-antagonista
per la
complicità del mercato e del sistema dell'arte, ma
sembra
continuare, con altri mezzi, tale ruolo all'interno
dello spazio
museale – in questo senso, la terza sezione del volume
si rivela
decisiva. Un'attività non priva di rischi ,
ma piena di moltissime “open questions” alle quali
Molesworth,
nel corso del volume, sembra offrire risposte unendo
strumenti
teorici ad esperienze personali, approcci smaccatamente
revisionisti
tanto quanto «rispetto e
gentilezza»
per gli artisti.
In
conclusione,
attraverso il percorso di uno dei curatori più
influenti, Open
Questions
risulta essere un prezioso strumento per indagare
l'evoluzione
della critica d'arte e della curatela negli ultimi
trent'anni
negli Stati Uniti. Nonché per entrare in contatto con
approcci
metodologici e pratiche di artisti attraverso una
letteratura di
primaria importanza.
NOTE
Molesworth aveva già incontrato Foster quando
quest'ultimo era Senior Instructor per l'Indipendent
Study Program del Whitney Museum (1989-90), un programma
di formazione indipendente in forma seminariale per
storici dell'arte, curatori e artisti.
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
BÜRGER
1984
Peter
BÜRGER,
Theory of
the
Avant-garde,
Manchester
University Press, 1984.
DAY
2010
Gail
DAY,
Dialectical
passions: negation in postwar art theory,
Columbia University Press, 2010.
DOUGLAS
2018
Sarah DOUGLAS, “Prior to
Her
Firing, Curator Helen Molesworth Made Public Statements
Critical of
Museum Practices, MOCA” in ARTnews,
21 marzo 2018
https://www.artnews.com/art-news/news/prior-firing-curator-helen-molesworth-made-public-statements-critical-museum-practices-moca-10009/
[ultimo accesso 27 dicembre 2023]
FOSTER
2012
Hal
FOSTER,
“Post-Critical” in October,
no 139, 2012, pp. 3-8.
GRAW
2018
Isabelle
GRAW,
The Love of
Painting, Genealogy of a Success Medium,
Sternberg Press, Berlino, 2018.
JOSELIT
2009
David
JOSELIT,
"Painting beside itself" in October,
no 130, 2009, pp. 125-134.
KRAUSS
1979
Rosalind
KRAUSS,
"Grids" in October,
no 9, 1979, pp. 51-64.
MIRANDA
2016
Carolina
A.
MIRANDA, “Column: 9 ways in which Helen Molesworth's
permanent
collection show at MOCA is upending the story of art” in
Los Angeles Times, 8 gennaio 2016
https://www.latimes.com/entertainment/arts/miranda/la-et-cam-tour-of-moca-permanent-collection-helen-molesworth-20160107-story.html
[ultimo accesso 27 dicembre 2023].
MOLESWORTH
1996
Helen
MOLESWORTH,
“Why Is the Sky Blue and Other Questions Regarding
Writing”, in Documents,
no 7, Autunno 1996, pp. 16-19.
MOLESWORTH
ET AL. (A CURA DI) 2004
Helen
MOLESWORTH
ET AL.
(A CURA DI), Work
Ethic
(Catalogo della mostra, The Baltimore Museum of Art
Molesworth, 12
Ottobre 2003 - Gennario 4, 2004,) Penn State Press,
2003.
MOLESWORTH
2010
Helen
MOLESWORTH,
“How to Install Art as a Feminist” in Connie Butler,
Alexandra Schwartz (a
cura di),
Modern Women:
Women
Artists at The Museum of Modern Art, The
Museum
of Modern Art, New York, 2010, pp. 498-513.
MOLESWORTH
2023
EAD.,
Open
Questions: Thirty years of Writing About Art,
Phaidon Press, Londra / New York, 2023.
POLLOCK
2007
Griselda
POLLOCK,
Encounters
in
the virtual feminist museum: Time, space and the
archive,
Routledge, 2007.
IL LIBRO
Open Questions:
Thirty years of Writing About Art
Helen Molesworth
Donna Wingate (a cura di)
Phaidon Press, Londra / New York, 2023
ISBN: 9781838666057
Lingua: Inglese
Numero di pagine: 304
Illustrazioni: colori
€ 34,95
https://www.phaidon.com/store/art/open-questions-thirty-years-of-writing-about-art-9781838666057/
|