Amelia,
posta
su uno sperone di roccia calcarea, connotata dalle
proprie possenti mura è una città poliedrica per la
stratificazione di epoche e stili architettonici,
situata nell'Umbria Meridionale, in provincia di
Terni. Posta al confine con il Lazio, è circondata da
città come Orte, Orvieto, Todi e Narni. Fondata dagli
Umbri, successivamente passò sotto il dominio dei
Romani con il nome di Ameria. Nel XII secolo fu
dichiarata libero comune e passò da allora in mano
dello Stato Pontificio che qui aveva ottimi contatti
con le famiglie più prestigiose. Tra i personaggi
illustri, Amelia ha dato i natali a Sesto Roscio
Amerino, immortalato da Cicerone in una delle sue
prime arringhe, Alessandro Geraldini che, da
diplomatico alla corte d'Aragona, incoraggiò il
viaggio di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo e
divenne il primo Vescovo di Santo Domingo e d'America.
Nel campo dell'arte e dello spettacolo si passa dal
Pittore Piermatteo d'Amelia (il maestro
dell'annunciazione Gardner) al filosofo e politico
Augusto Vera. Di queste zone sono anche gli attori
Mario Girotti in arte Terence Hill e Gigi Proietti.
L'assetto
urbano
caratterizzato da una zona alta dove svetta la
Cattedrale, l'episcopio, poi scendendo il palazzo
municipale, e una zona bassa con il centro urbano che
si dirama tra la centrale via della Repubblica che
attraversa parte del centro storico e piazza XXI
Settembre (fuori le mura), la città è come un grande
mosaico di epoche che si affacciano sull'Umbria e
mostrano la grandezza dell'ingegneria umana nelle mura
e nelle architetture dei palazzi dalle facciate
austere ma arricchite al proprio interno da sfarzosi
affreschi come quelli dipinti in Palazzo Petrignani.
Amelia è capolista di un comprensorio a vocazione
agricola, quello della catena dei monti Amerini, anche
detto «Amerino», insieme ai comuni di Attigliano,
Alviano, Avigliano Umbro, Baschi, Guardea, Giove,
Lugnano in Teverina, Montecastrilli, Montecchio e
Penna in Teverina. Questo Comprensorio, diviso ad est
dalle colline e ad ovest dai calanchi, meraviglia del
mondo contadino dove si coltiva quello che è proprio
di una terra, dove l'agricoltura, la cultura e la
gastronomia si incontrano per cullare i turisti e
trasmettere pace, è circondato dalle varie Frazioni e
i casolari agricoli che tengono vivo l'ambiente rurale
e le tradizioni popolari.
L'acqua
del
fiume Rio Grande che passa lungo la valle del Fosso
Grande e le dolci montagne con i loro percorsi
sentieristici immersi nella verde macchia, sono il
filo conduttore che abbraccia questi comuni ad Amelia.
Se le Amministrazioni comunali, la provincia e la
regione riuscissero a credere nella cultura e nel
turismo investendo con dei fondi per recuperare i
tanti castelli, ponti e chiese in rovina e a
realizzare vari percorsi turistici andando a creare
delle «sale d'arte »
in ogni borgo (luoghi dove vengono raccolti: oggetti,
vestiari, documenti e fotografe; dei piccoli musei in
quasi ogni Frazione) sicuramente questo ricco
territorio potrebbe essere alla pari della Val
d'Orcia
in
Toscana.
Di certo in queste terre si potrebbe vivere solo di
cultura, basterebbe ampliare l'offerta museale,
recuperando dalle vecchie cantine e dalle sacrestie i
tanti manufatti che hanno arricchito la città e il
comprensorio per lasciare ai posteri, una grande
storia dell'arte e della cultura locale.
Il
museo
archeologico e pinacoteca E. Rosa
Il
Museo
civico archeologico e la Pinacoteca “Edilberto Rosa”
inaugurato il 7 aprile del 2001 sono ospitati
all'interno del palazzo Boccarini, edificio di
fondazione gotica nobilitato da un elegante chiostro
rinascimentale a doppio loggiato realizzato da fra
Egidio Delfini nel XVI secolo, sede dal 1410 del
governatore pontificio di Amelia, Narni e Terni poi
trasformato nei secoli da convento a collegio
Boccarini, si affaccia su piazza Augusto vera e
ancheggia la chiesa di San Francesco. L'edificio è
organizzato tematicamente, disposto su tre piani il
suo allestimento permette di fare un viaggio nei
secoli testimoniando la nascita e lo sviluppo del
centro urbano, riuscendo a riorganizzare tutto il
materiale archeologico e storico artistico della
città, ospitando reperti archeologici e opere d'arte
che vanno dall'epoca preromana al XX secolo. (Fig. 1)
Fig. 1 - Chiostro del complesso Boccarini, Amelia
Foto cortesia comune di Amelia
Foto © di Giovanni Bussetti
Entrando
dalla
porta principale, si è immersi in un breve corridoio
che si apre su due porte laterali; quella di destra
che dà su una sala multimediale e quella di sinistra
che porta alla biglietteria e al museo. Proseguendo si
percorre un altro corridoio dove nella destra, in una
teca in vetro, sono esposte delle teste in marmo di
epoca romana della collezione Spagnoli. Il piano terra
ore una raccolta dei reperti più̀ antichi provenienti
dalla necropoli ellenistica dell'ex consorzio Agrario
durante gli scavi edilizi del 2001 che portarono alla
luce numerose sepolture risalenti al IV sec. a.C. con
oggetti di bronzo ed oro e la sepoltura di un cane
insieme al suo padrone. I reperti più̀ pregiati della
sezione preromana quali frammenti di cotto, piccoli
vasi di varie grandezze usati a contenimento dell'olio
per alimentare le lucerne, gli askos,
monete e oggettistica si trovano all'interno di teche
in vetro mentre i reperti archeologici quali statue,
tombe e altri frammenti marmorei sono esposti su dei
piedistalli colorati in verde chiaro su cui sono
esposte le targhette con i dati dell'opera. Buona
parte di tutto il percorso è avvolto dagli
innumerevoli manufatti romani quali: statue, rilievi,
sarcofagi, elementi d'arredo, are, cippi, iscrizioni;
una raccolta pregevole sulla storia del municipio di
Ameria. La fortuna di questa città di confine tra
l'Umbria e il Lazio è da rintracciare nell'antica
strada della via
amerina
che collegava i primi popoli che abitavano queste
terre, gli umbri, i falisci e i sabini.
La
via
Amerina era una strada di scambi commerciali, non a
caso, molti dei reperti conservati al piano terra,
rinvenuti nella necropoli di Amelia, sono di origine
etrusca e falisca, a testimonianza che il popolo umbro
che abitava queste zone, scambiava i propri prodotti
locali di carattere agricolo con i vicini popoli e gli
altri prodotti. Dunque, La via amerina (datata intorno
al 240 a.C.) è alla base per capire la fortuna di
questa città, rendendola, una strada che in epoca
romana venne basolata e divenne una strada
importantissima poiché diventò un diverticolo della
Cassia. Inizialmente (2001) nel piano terra, erano
ospitati i reperti del santuario di Pantanelli, solo
dopo, nel 2011 il piano è stato modificato per
ospitare i reperti della necropoli preromana, anche
nel 2013 è stata aggiunta una nuova vetrina con i
reperti della tomba n. 52 con gioielli, reperti in
bronzo, ceramiche, specchi, vasi e i resti di un
animale, si tratta dello scheletro di un cane,
mancante di alcune parti che venne trovato vicino alla
sepoltura di un bambino.
Lo
Scheletro
del cane venne sepolto con un pendaglio in bronzo
appeso al collo «ne IV-inizi III sec. a.C.», fu
recuperato vicino ad un sarcofago con resti di un
bambino. Si presenta in forma di scheletro ben
conservato col capo lievemente rialzato e appoggiato
su un masso. Le sepolture di cani nel mondo antico
sono spesso interpretate come legate a sacrifici, alla
funzione di guardiano del defunto oppure di fedeli
compagni del defunto che seguono fino alla morte.
Durante il recupero, il cane è stato distaccato
insieme al suo blocco terreno che ha consentito di
mantenere integra tutta la forma in cui è stato
trovato. Trasportato in laboratorio per la pulizia e
il consolidamento delle porzioni osteologiche, è
stato creato un basamento in gesso con la definitiva
collocazione all'interno del Museo. Nel 2019, anno del
bimillenario di Germanico, è stato realizzato un
video «Ameria» che mostra e ricostruisce la città in
epoca romana con l'anfiteatro che sorgeva dove oggi
esistono i giardini pubblici (si nota ancora una curva
della struttura, disegnata dalla chioma degli alberi)
le terme, il teatro e l'acropoli con il tempio.
Realizzato da Katatexilux e finanziato dalla
fondazione Cassa di risparmio di Terni-Narni.
Primo
piano
Salendo,
al
primo piano oltre alla presenza di alcuni reperti
provenienti dal centro storico della città e databili
nel periodo tardo repubblicano e primo imperiale, la
raccolta mostra vari reperti, dai capitelli marmorei
di ordine ionico e corinzio datati alcuni dal II
secolo d.C. al III secolo d.C. ; Terrecotte
architettoniche con motivi vegetali, databili tra il
II-I secolo a.C. rinvenute in località̀ Nocicchia; statue
senza
testa di
togati
in marmo del I secolo a.C. ; Teste
con
ritratti
maschili e femminili databili sempre intorno alla fine
del I secolo a.C. ; un'Ara
sepolcrale
in
marmo
del II secolo d.C. dedicata a uno schiavo imperiale di
nome Hermes; una lastra di marmo con tralci di ulivo e
simboli, di epoca Augustea. Di questa prima sezione
archeologica spiccano:
L'Erma
del
dio Termine;
un monumento in travertino che raffigura con forme
sbozzate la testa di Terminus. Il manufatto è
formato da un corpo con una base a forma
parallelepipeda
e dalla testa del dio Termine, il dio protettore dei
confini. Del volto sono ben riconoscibili le
orecchie, la bocca e il naso poco evidenziati, gli
occhi e i capelli appena accennati. Databile alla
seconda metà del I secolo a.C., si pensa che sia
stato infisso nel terreno per indicare i limiti di
una fattoria;
L'altare
Funerario
di origine flavia o adrianea, in marmo bianco, già
utilizzato nella cappella Geraldini del Duomo come
pila per l'acqua lustrale, era dedicato a Sessia
Labionilla.
Il manufatto riporta un testo epigrafico circondato
da colonnine tortili con capitelli corinzi e scene
ed animali mitologici. In basso vi è raffigurato Bacco
a cavallo di un asino al centro insieme al suo
corteggio;
Cassa
di
urna in travertino, Ritrovata
in
località Cinque Fonti, di forma
parallelepipeda
è realizzata in travertino e serviva per contenere
le ceneri funerarie. Ai lati della faccia anteriore
sono scolpite due lesene
con la base
modanata
e un capitello
decorato con motivi vegetali. Al centro una palma
con tre petali legata a due steli che terminano con
coppia di foglioline. Sulla fronte della cassa c'è
una fascia leggermente sporgente dove è scritto : T[itus]
Gnevidius
T[iti] l[ibertus] Secundus fec[it] Suconiae
C[aiae] l[ibertae] Nice matri suae: Il
committente,
un liberto della gens
Gnevidia,
fece fare l'urna per la madre Nice, liberta, donna
della gens
Suconia;
Uno
Scrigno
in marmo,
un contenitore in marmo bianco e di forma
quadrangolare, che risale alla fine del I secolo
a.C., destinato a contenere le offerte, poste in una
cassa in bronzo all'interno, fatte dai fedeli in un
tempio. Si può considerare un antenato delle
cassette per le offerte usate ancora oggi nelle
Chiese. Rilavorato in epoca rinascimentale come
inserto di una fontana, riporta ancora l'iscrizione
originale che ricorda la donazione del marmo per
opera di Tito Roscius Automa, magistrato del
municipio di Amelia (T. ROSCIVS. T . FAVTVM III.
VIR. ITER. DE SVA PECVNIA. DAT. THESAVR. P. LXXV); è
inoltre riportato il peso della cassetta di bronzo
originariamente collocata all'interno, che
costituiva l'attuale cassaforte, 75 librae, pari a
circa 25 kg. (Fig. 2)
Fig. 2 - Statua di Germanico
presso il museo E. Rosa di Amelia
Foto cortesia comune di Amelia
Foto @copy di Giovanni Bussetti
La
statua
di Germanico
La
statua,
rinvenuta nell'agosto del 1963 a seguito di scavi
eseguiti con un mezzo meccanico per la costruzione
di un molino vennero alla luce ad Amelia, fuori
dalla cinta muraria antica, non lontano da porta
"Romana" lungo la via Ortana (che costituiva
probabilmente un tratto della via Amerina),
numerosissimi frammenti di una statua bronzea, di
proporzioni maggiori del vero, raffigurante un
personaggio stante, identificato come Germanico
Cesare ,
principe della famiglia Giulio-Claudia.
La
statua
venne identificata grazie al volto, visto che Roma
produceva varie statue marmoree dei vari illustri
personaggi, sparse nell'impero; oggi, una delle
migliori conservate si trova al Louvre di Parigi,
denominata statua di Germanico in Huftmantel
proveniente dal foro di Gabii ma altri ritratti
marmorei li possiamo rintracciare presso la
Collezione Schloss Erbach in Asia, a Tolosa al Musée
Saint-Raymond. A Roma al Museo Nazionale Romano
durante l'impero si facevano questi ritratti
marmorei, controllati e postati nei vari luoghi,
tutte statue che hanno in comune l'acconciatura dei
capelli e il profilo.
La
statua,
costruita in varie parti fuse separatamente e poi
assemblate, poggiava su una base in calcare,
parzialmente conservata, alla quale era ancora
attaccato il frammento bronzeo del piede destro.
Insieme alla statua vennero alla luce un capitello
con trofei e prore di navi, allusivo probabilmente a
una vittoria navale di Augusto e un'ara. La base
della statua è priva del testo epigrafico che
probabilmente era inciso sul rivestimento non
conservato; uno dei rari esempi di loricati in
bronzo che si sono conservati dall'antichità è il
simbolo più importante della produzione artistica
romana, frutto di un paziente lavoro di restauro «…
che ha permesso il suo completo recupero, con una
ricostruzione che, a parte alcuni dettagli cui si
accennerà, ne restituisce fedelmente l'aspetto
originale ed una chiara leggibilità al complesso
apparato decorativo. Si compone di parti realizzate
separatamente con il metodo della fusione indiretta
di modelli in cera, che furono successivamente
saldate tra loro. Queste parti sono la testa, le
gambe, le braccia, la mano con metà dell'avambraccio
sinistro, il busto loricato. Il paludamentum e la
tunica sono a loro volta composti di più elementi.
Fuse separatamente sono anche la spada, parte del
balteo e la lancia»
. La statua romana, opera di una bottega
ellenistico-orientale e databile intorno alla fine
del II secolo e la prima metà del I secolo a.C.
interamente realizzata in bronzo, alta circa 2,09 m.
sorgeva in origine nel campus
di Ameria, luogo adibito alle funzioni pubbliche,
all'attività fisica e alle esercitazioni militari.
Il Campus
era uno «spazio aperto e recintato da un basso muro
[...] si trovava nelle aree pianeggianti dei
suburbi, spesso in prossimità di mura urbiche o
anfiteatri e ospitava le sepolture di notabili [...]
Un luogo ideale di comunicazione di ideologie in
azione, dove il potere era quanto mai vicino ai
cittadini dell'impero con le sue immagini che
potessero rendere presente nello svolgersi di
attività quotidiane la Vittoria imperiale,
perpetuandola con rituali pubblici in onore di
prìncipi e imperatori»
. Rappresenta un personaggio loricato con la testa
rivolta leggermente a guardare il braccio destro,
proteso nel gesto della adlocutio,
posta su un piedistallo quadrato marmoreo con un
piede in procinto di venire in avanti. Partendo
dall'alto, la testa-ritratto, volta leggermente a
destra, riproduce i tratti fisionomici di Nero
Claudius Drusus Germanicus, che scoperta con i
capelli, come propose Giulia Rocco, la testa venne
realizzata separatamente, lo dimostra la presenza
all'interno dello scollo di ben tre punti di
saldatura in lega di bronzo: «non si tratta ,
infatti, né di codoli residui della fusione, né di
perni destinati a fornire un sostegno sul lato
anteriore alla testa che, come si è detto, è saldata
alla valva posteriore mediante una rosolatura in
metallo»
, la testa originaria era stata staccata e al suo
posto, si instaurò il ritratto di Germanico. Matteo
Caldario, durante i convegni del 24 e 25 maggio 2019
sul bimillenario dalla morte del Germanico, trova
che la spiegazione più «economica» di questo
intervento così radicale: «è che sia intervenuta una
forma violenta di damnatio memoriae a cui seguì il
ripristino del monumento con una nuova identità.
Alla luce della datazione proposta del torso,
l'unico candidato possibile per l'identificazione
del personaggio effigiato nel loricato più antico
sarebbe dunque Caligola, come sostenuto anche da
John Pollini»
. Sta di fatto che, come scrive ancora la Rocco:
«Gambe e braccia furono sostituite o perché
danneggiate o non conservate, oppure perché si
volevano apportare modifiche sostanziali, non
realizzabili altrimenti su parti in bronzo. La
trasformazione avvenne evidentemente anche con
l'intento di cancellare tutti quegli elementi
ritenuti non adatti al nuovo personaggio che la
statua doveva effigiare»
dunque si scelse di raffigurarlo mentre posa il
gesto dell'adlocutio, a ricordare le sue funzioni di
comandante militare. Germanico, simile all'Augusto
di
prima porta,
in veste trionfale, indossa una corazza simile
arricchita al centro da una decorazione, sul volto
«Nelle cavità orbitali erano originariamente
applicati occhi di materiale differente, pasta
vitrea o pietra dura, come in genere si riscontra in
opere bronzee di elevato livello artistico. Le
narici sono forate; gli orecchi, realizzati a
fusione piena, erano stati modellati separatamente e
applicati sulla forma in cera»
.
Il
braccio
sinistro è piegato al gomito e sorregge con la mano
una lancia e le pieghe del manto, che dalla spalla
scende sull'avambraccio. Il braccio destro è alzato
nell'atto di arringare o di parlare all'esercito
prima di andare al combattimento. A coprire il
corpo, oltre alla leggera tunica di lino manicata,
visibile sulle spalle e la parte superiore delle
braccia, che scendeva poi fino a coprire le gambe
con lunghe pieghe verticali, appena mosse, la
possente figura indossa una corazza, Thorax,
loricata sul busto, decorata nella parte alta la
figura di Scilla. Il mostro marino è raffigurato
nell'atto di scagliare una pietra con la mano
destra, circondata da quattro cani randagi che gli
spuntano da sotto il ventre, da una grande coda
attorcigliata nella parte finale e due grandi ali.
La
parte
centrale, destinata a un bassorilievo che mostra la
scena dell'Iliade dove Achille disarciona Troilo da
cavallo. Entrambi sono nudi, Achille con elmo in
testa, tiene per il braccio uno scudo mentre con la
mano destra tenta di aggredire Troilo, su di un
cavallo, afferrandolo per i capelli. Troilo era il
figlio più giovane di Priamo, re di Troia e secondo
l'oracolo di Delfi, i greci non avrebbero vinto la
guerra di Troia se non fosse stato ucciso il giovane
Troilo. Achille, mentre attingeva acqua vicino ad
una fontana, uccide il giovane. L'assimilazione tra
questa storia nella corazza e il germanico, riguarda
proprio la vita dei due giovani, infatti è proprio
la morte giovanile a legarli, la morte del giovane
Troilo come quella del giovane Germanico.
Nella
parte
posteriore della corazza, deturpate dalla forte
ossidazione, vi sono delle figure femminili dalla
corta veste, le Kalathiskos,
danzatrici raffigurate con il busto di prospetto, la
mano destra sulla vita mentre la sinistra piegata in
avanti verso un grande candelabro: «Riprodotto con
estrema attenzione nelle sue varie parti, costituito
da una serie di elementi di forma campaniforme e ad
anello schiacciato sovrapposti, solcati
verticalmente da incisioni. Alla sommità, entro una
ellisse incisa nel modello in cera, si levano lingue
di fuoco con una solcatura mediana. La base, a forma
di parallelepipedo, è decorata da protomi di ariete,
mentre i piedi sono configurati a sfinge alata, dal
corpo ferino desinente in massicce zampe leonine»
. In basso concludono due serie di pteryges,
le
frange
che circondano la parte bassa della corazza,
decorano la prima fila teste di satiri e teste di
leone mentre la seconda ornata con motivi classici,
da palmette realizzate ad agemina.
Il
paludamentum
«consta
anch'esso
di varie parti assemblate: il lembo che ricade sul
braccio sinistro ne maschera la giunzione con il
resto dell'avambraccio e della mano»
ripiegato sulla spalla sinistra scende percorrendo
la schiena con spallacci, ornata da rilievi sia sul
petto che sul dorso. La statua poggia il peso del
corpo sulla gamba destra, mentre il ginocchio
sinistro è leggermente flesso. Ai piedi indossa
calzari in pelle, trattenuti da strisce avvolte
intorno alla caviglia e fermate da un nodo dal quale
scendono le estremità sul piede.
I
frammenti appartenenti alla statua, sostituiti da
copie durante il rimontaggio, sono oggi esposti
all'interno di una teca in vetro, al centro della
sala dedicata a Marcello Barbanera (archeologo,
docente universitario, studioso del mondo antico)
inaugurata alla presenza della magnifica rettrice
dell'Università la Sapienza di Roma, Antonella
Polimeni l' 11 marzo 2022, un articolo dell'ateneo
così lo ricorda: «Docente di Archeologia e Storia
dell'arte greca e romana del Dipartimento di Scienze
dell'antichità e direttore del Museo dell'Arte
classica e del Polo museale della Sapienza, proprio
in quelle sale Barbanera aveva organizzato nel 2019
il convegno internazionale dedicato alla figura di
Germanico in occasione del bimillenario dalla morte.
Gli interessi di Barbanera spaziavano dalla scultura
greca alla storia del collezionismo,
dall'archeologia della Magna Grecia alla
museografia, ed era interessato ad approfondire la
definizione di arte nella società greca» .
La teca in vetro, al centro della sala, contiene i
seguenti frammenti:
1.
Spallaccio
destro applicato alla corazza, con decorazione a
motivi vegetali e testa di leone.
2.
Margine
superiore della corazza, con colletto e busto di
Scilla nell'atto di scagliare una pietra.
3.
Frammento
pertinente alla parte superiore destra della
corazza, con corpo anguiforme di Scilla e testa
leonina.
4.
Porzione
del fianco destro della corazza, con figura di
Vittoria in volo e teste leonine.
5.
Spada
inserita nel fodero, assicurata con un nodo ad una
sciarpa frangiata, che funge da balteo.
6.
Gancio
della spada, con estremità configurata a testa
d'oca.
7.
Parti
della lancia: tratto di asta con punta a tre lame
dai margini ondulati e tratto di asta con sauroter
foliato.
8.
Frammento
di margine del lato posteriore della corazza, con
testa leonina.
9.
Parte
superiore della gamba sinistra: coscia con panneggio
della tunica e ginocchio.
All'interno
della
sala sono anche esposte le sculture rinvenute nel
1963 lungo la via Ortana oggi via Rimembranze, si
tratta di un capitello figurato, un'ara funeraria
quadrata oltre alla statua bronzea di Germanico
insieme ad un elemento della base parallelepipeda.
Il capitello è di tipo figurato e presenta la stessa
decorazione, con qualche variante, su tutte e
quattro le facce. Al centro del kalathos è
raffigurato un trofeo antropomorfo, retto da un
sostegno verticale, coperto inferiormente da uno
schiniere, che costituisce l'asse di simmetria
dell'intera composizione. Sono rappresentati: un
elmo a calotta, con paragnatidi e cimiero disposto
trasversalmente al capo (crista transversa), e una
corazza anatomica con spallacci, serie di frange
all'attacco delle braccia e gonnellino che copre le
cosce. Ai fianchi del sostegno un elmo con
paragnatidi e lophos si sovrappone a scudi ovali ed
esagonali. Il trofeo regge scudi ovali ed esagonali,
incrociati a coppie. In secondo piano figurano punte
di lancia addossate al cavetto dell'abaco.
Ai
lati
sono prore di nave rappresentate da rostri e da una
polena a testa leonina. I rostri fanno riferimento
ad una battaglia navale, forse alla vittoria
conseguita da Augusto ad Azio nel 31 a.C.: il
capitello, probabilmente relativo ad una colonna
onoraria, sosteneva un secondo elemento, forse una
statua della Vittoria. Il capitello può essere
datato in età augustea (fine del I secolo a.C. -
inizi del I secolo d.C.).
Sempre
nella
medesima stanza sono esposte le teste ritratte in
marmo di Alessandro e Livia. La prima, dai
lineamenti del volto, scolpiti con estrema cura,
ricordano quelli del generale macedone Alessandro
Magno (IV sec. la vittoria di Azio contro Antonio e
Cleopatra (31 a.C.) cominciò a presentarsi come
l'ideale del principe greco. La seconda, ritrae la
principessa Livia, moglie dell'imperatore Augusto, è
rappresentata negli anni della maturità, con il capo
velato e le sembianze di una dea. Il ritratto è
databile alla prima metà del I secolo d.C., e
sicuramente faceva parte di una statua marmorea a
grandezza naturale che avrebbe ornato un importante
edificio pubblico della città.
Conclude
un'ara
funeraria,
un altare di forma
parallelepipeda,
risalente alla seconda metà del I
secolo d.C.
lavorata nel bianco marmo solo su tre dei quattro
lati ed è più larga sulla fronte che sui fianchi.
Nell'iscrizione di dedica, incisa all'interno della
tabula si legge: (M[-]/C (aius) S [-]/Se[-]/ D(edit)
[D(edicativ)], dove si possono leggere delle lettere
che fanno pensare alle iniziali del nome e del
cognome del defunto a cui era stata dedicata. Sia
nella parte frontale che in quelle laterali, il
marmo è decorato con motivi che ricordano ghirlande
di frutta e di alloro, sfingi e protomi di ariete.
Il
Personaggio
Con
Augusto
Roma vide la nascita di un linguaggio artistico
nuovo, interamente volto alla celebrazione del
potere imperiale e alla creazione del consenso
popolare all'azione politica del sovrano. Abbiamo le
prime notizie di germanico nel lato sud dell'Ara
Pacis,
la
costruzione
a poca distanza dal grandioso mausoleo imperiale
fatta innalzare dal senato nella zona di Roma
chiamata Campo Marzio, tra il 13 e il 9 a.C., a
celebrazione del ritorno dell'imperatore dalle
vittoriose campagne militari in Gallia e in Spagna
e, al contempo, della sua azione pacificatrice.
Nella fascia superiore distinta in due parti, corre
un fregio continuo che mostra una lunga processione
di personaggi in toga, probabilmente un'allusione
alla processione realmente avvenuta per
l'inaugurazione del monumento. Fra i partecipanti al
corteo si individuano, accanto ai rappresentanti
delle più importanti cariche istituzionali dello
stato, magistrati e sacerdoti di vario ordine e
grado, guidati dallo stesso Augusto, tutti gli
esponenti più in vista della famiglia
dell'imperatore, la gens Giulia, è proprio qui che
compare Germanico bambino tra Antonia Minore e Druso
Maggiore .
Giulio
Cesare
Germanico al tempo Nerone Claudio Druso, nacque il
24 maggio del 15 a.C.
da Druso maggiore e Antonia minore, rimase orfano
nel 9 a.C., designato da Augusto come suo erede,
venne fatto adottare da Tiberio nel 4 a.C. per farlo
entrare nella successione dinastica dei Giulio-Claudia.
Ereditò
l'appellativo
di Germanico in memoria del padre che, morto a 29
anni, aveva conquistato alcune zone della Germania.
Il 27 giugno del 4 d.C. segna l'inizio della sua
ascesa politica, Tra i suoi primi incarichi
militari-istituzionali ci furono la Questura nel 7
d.C. e nell'8 d.C. le rivolte in Dalmazia e
Pannonia, conquistando poi nel 9 d.C. le città di Splonum
e Seretium
16.
Nell'11
d.C.
Augusto lo invia come proconsole in Germania insieme
a Tiberio, qui gli affida il comando di otto legioni
dislocate in due accampamenti sul Reno con il titolo
di legatus Augusti pro
praetore
17
. Il suo primo consolato risale al 12 d.C. ne seguì
un altro nel 18 d.C. mentre è in Gallia, lo
sopraggiunge la notizia della morte di Augusto,
contemporaneamente, Tiberio gli fa conferire l'imperium
proconsulare
grazie al quale riesce a domare una rivolta in atto
tra le legioni di Germania.
«At
hercule
Germanicum Druso ortum octo apud Rhenum legionibus
imposuit adscirique per adoptionem a Tiberio
iussit, quamquam esset in domo Tiberii filius
iuvenis, sed quo pluribus munimentis insisteret.
Bellum eā tempestate nullum nisi adversus Germanos
supererat, abolendae magis infamiae ob amissum cum
Quintilio Varo exercitum quam cupidine proferendi
imperii aut dignum »
.
La
sua
brillante carriera continua nell'autunno del 14 d.C.
collezionando una serie di vittorie con le campagne
contro i Germani, battute tra l'Elba e il Reno, che
si concluderanno con la vittoria romana nella
pianura detta Idistaviso. Al ritorno a Roma nel 17
d.C. riceve l'onore e il trionfo della popolazione a
seguito del trionfo sulle popolazioni dei Cherusci,
Catti ed Angribari, come rappresentato in monete o
raffigurazioni pittoriche dell'Ottocento. Viene
inviato prima in Oriente, per sedare una sommossa
istigata dal re Artabano, poi in Egitto. Dopo il
ritorno in Siria, retta dal governatore da Gn.
Calpurnio Pisone, a lui ostile, secondo la
tradizione morì nei pressi di Antiochia il 10
ottobre del 19 d.C. contraendo una malattia
in circostanze misteriose, (le circostanze
misteriose della sua morte gettano un'ombra di
sospetto contro Pisone e persino contro lo stesso
Tiberio di cui era nota l'avversione nei confronti
del figlio adottivo). Il corpo di Germanico viene
cremato nel foro di Antiochia e le ceneri
trasportate a Roma per essere deposte nel Mausoleo
di Augusto .
Germanico
fu
un abile e valoroso condottiero, imperatore
dell'esercito romano, combatté soprattutto in
Germania. Sarebbe diventato il terzo imperatore di
Roma dopo Augusto e Tiberio, padre adottivo, ma a
causa della sua prematura morte ad Antiochia, non
riuscì a succedere al trono imperiale. Grandi onori
dopo la sua morte gli vennero tributati nei municipi
,
dove l'ego di Germanico aveva acquisito grande
favore tra l'esercito e il popolo, diventando uomo
di grandi gesta e dunque popolare; un esempio può
essere proprio il «Colosso di Amelia», la statua
infatti è postuma, eretta dopo la sua morte, durante
il regno di Claudio. Per la datazione il problema fu
che nel ritrovamento della statua, non venne trovata
nessuna iscrizione alla base che potesse permettere
ad archeologi e studiosi di catalogare con certezza
il bronzo. Uomo colto, abile oratore, poliglotta,
diplomatico, intelligente, campione di coraggio, non
divenne mai imperatore ma la sua popolarità fu tale
che in molti municipi vi fosse un monumento a lui
dedicato e la statua, innalzata nel campus
esterno della colonia romana di Ameria, resta oggi
come testimonianza della gloria e del grande valore
della gesta che Germanico aveva esportato in tutto
l'impero.
Germanico
Cesare
…a un passo dall'impero
Dal
10
ottobre 2019 al 31 gennaio 2020 è stato dedicato un
anno al Germanico di Amelia, con eventi, conferenze,
convegni e pubblicazioni di libri intorno alla sua
figura. La celebrazione del Bimillenario della morte
di Germanico ha lasciato qualcosa di nuovo nel
museo, un 'installazione multimediale dal titolo Germanico
cesare
…a un passo dall'impero
a cura di Katatexilux
e Marcello Barbanera che ripercorre la vita di
Germanico attraverso il racconto degli eventi
storici e dell'immagine che ci è stata tramandata
tramite l'arte e la musica. Parte del percorso è
dedicato alla ricostruzione 3D della città di Amelia
in epoca imperiale. Inoltre, è stato realizzato
anche un sito web dedicato agli eventi della mostra.
La
mostra
è posta al piano terra, entrando dalla porta
d'ingresso, sulla destra, in uno spazio usato
antecedentemente per l'installazione di mostre
d'arte.
All'interno
lo
spazio è diviso in due sale comunicanti tra loro da
due porte poste ai lati. In una parete nera della
prima sala, è posto un dipinto animato di Benjamin
West Agrippina
approda
a Brindisi con le ceneri di Germanico,
1776, Yale University Art Gallery, New Haven.
Frontalmente un sistema di proiettori video immerge
il visitatore, in un filmato che racconta la storia
di Germanico arrivando fino al Settecento dove è
possibile ascoltare estratti di testi composti
da:Georg Philipp Telemann Germanicus 1704; Nicola
Porpora Germanico
in
Germania,
1773; Georg Friedrich Händel Germanico, 1706-1710.
Nella
seconda
sala sono esposti su una parete nera 8 dipinti
animati con schermo al posto della tela, racchiusi
in cornici dorate lignee, posti in ordine
cronologico con le opere di: Peter Paul Rubens, Agrippina
e
Germanico,
1614, National Gallery of Art, Washington; Gavin
Hamilton, Agrippina
approda
a Brindisi con le ceneri di Germanico,
1765-1772, Tate Britain, Londra; François-André
Vincent, Germanico
seda
la rivolta,
1768, École nationale supérieure des beaux-arts,
Pargi; Benjamin West, Agrippina
in
lutto con le ceneri di Germanico,
1773, Ringling Museum, Sarasota; Benjamin West,
Segeste e sua figlia davanti a Germanico, 1773,
Windsor Castle, Royal Collection, Londra; Alexander
Runciman, Agrippina
approda
a Brindisi con le ceneri di Germanico,
1781, Scottish National Gallery of Modern Art,
Edimburgo; Heinrich Friedrich Füger, Morte
di
Germanico,
1789, Akademie der bildenden Künste, Vienna;
Joseph
Mallord
Turner, Agrippina
approda
a Brindisi con le ceneri di Germanico,
1839, Tate Britain, Londra. Nella parete frontale è
posto uno schermo che riassume la storia e il
ritrovamento della statua mentre ai due lati, sono
poste due busti con copie di ritratto di Augusto,
anonimo, Ny Carlsberg Glyptotek, Copenaghen e Livia,
anonimo, Musées Occitanie, Tolosa.
Secondo
piano
La
sezione
archeologica continua in parte al secondo piano con
Il
leone
funerario;
un leone in travertino, dalle proporzioni naturali,
è accovacciato su una base
parallelepipeda,
disposto in posizione frontale, con il dorso
inarcato, le zampe piegate ad angolo
retto
e aderenti alla base come a suggerire uno stato di
allerta. La testa è molto voluminosa, grazie alla
ricca criniera, rispetto al resto del corpo.
Rinvenuto nell'area suburbana meridionale. Sculture
di questo tipo, raffigurante un animale appartenente
alla nota classe di sculture leonine, disposte a
coppie, erano una decorazione comune sui monumenti
funebri tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.
Posto
in
un altro spazio è il coperchio di un
monumento funerario
databile intorno al I secolo a.C e il I secolo d.C
con una particolare iscrizione «VITOR» all'interno
del timpano che ricorda il mestiere del defunto. Si
tratta infatti di un artigiano che lavorava
intrecciando il vimini per produrre oggetti, simile
al canestraio della società contadina. Nel timpano,
sopra la scritta, sono riconoscibili gli strumenti
del mestiere come un attrezzo a punta piatta, forse
un raschiatoio per decorticare i rami e, un
coltello, per recidere i vimini sporgenti dopo
l'intreccio nella costruzione di un oggetto.Termina
la visita del secondo piano, dove si trova anche una
zona archeologia altomedievale con decorazioni,
inserti e motivi di derivazione Longobarda, il focus
è concentrato nella pinacoteca che racchiude la
storia recente della città dal punto di vista
pittorico e una parte della collezione Spagnoli e
Conti Palladini. Qui c'è la vita culturale del
museo, la stanza con circa ottanta sedie è il luogo
ideale per le conferenze, i matrimoni, presentazioni
di libri o altre attività.
Pinacoteca
La
Pinacoteca
comunale, ricavata in un ambiente separato dallo
spazio archeologico da una parete in legno, sono
esposte: una statua lignea, quattro tempere su
tavola, un affresco e quindici dipinti ad olio
provenienti due dal palazzo comunale, porta romana,
dalla chiesa di san Michele Arcangelo, dalla chiesa
di sant'Angelo (oggi scuola di musica) e da palazzi
privati. Precede una piccola galleria con ritratti
di personaggi illustri amerini, poi, sulla destra,
si entra nello spazio principale, una sala
rettangolare ricoperta da pannelli in legno che
viene circondata da interessanti opere che mostrano
il periodo di particolare floridezza per la città
dove lavorarono artisti come: Livio Agresti con la «Crocifissione
con
le Sante Firmina e Olimpiade,
datato 1557, forse proveniente dalla Cattedrale», di
Giacinto Gimignani «San
Michele
Arcangelo scaccia il demonio, 1677»,
e
artisti della cerchia di Sebastiano Conca con «La
conversione
di San Girolamo Emiliani,
post 1767».
Sulla
destra
della piccola galleria sono presenti i ritratti di
Giacomo Mandosi, del cardinale Braschi Onesti, di
prospero Mandosi oltre alla grande tela della Battaglia
di
Elvas,
opera di un pittore della seconda metà del XVII
secolo che rappresenta il coinvolgimento militare
del condottiero Giovanni Vannicelli su di un cavallo
nella battaglia di Elvas del 1659, di cui vengono
enumerate le varie fasi. Giovanni II Vannicelli,
membro della nobile famiglia che esercitava una
sorta di signoria su Lugnano. Di ritorno dal
Portogallo, dove, come ci informa l'iscrizione, era
stato nominato luogotenente generale della
cavalleria dell'esercito per il re Alfonso, Giovanni
fu annoverato tra i nobili con il titolo di hidalgo
e barone di Altamura.
Su
di
un lato sinistro, sopra un cilindro in legno, poggia
una statua lignea che rappresenta forse una Santa? o
la vergine Maria? sicuramente una donna in piedi con
i capelli raccolti, in pessime condizioni. La figura
dalle braccia mancanti indossava un grande vestito a
fondo bianco con dei motivi floreali, presenti
visibilmente ancora in parte nel retro. Proviene
dalla collezione Conti Palladini e pare provenga da
un mercatino dell'antiquariato di Viterbo.
Vicina
alla
statua, posta su un cavalletto è la raffigurazione
su una tavola della Madonna
Assunta
datata XIX secolo, originariamente posta, fino al
2014 sopra porta romana, e trasportata al museo dopo
il restauro, rappresenta la vergine Maria incoronata
circondata da una schiera di Angeli.
Il
ritratto
postumo di Alessandro
Geraldini,
identificato dalla scritta in alto a sinistra: Alex
Geraldinus Ep[iscupu] s.S[ancti]. Dom[inici]
Occidental[ium] primo vescovo d'America, colui che
scrisse l'Itinerarium dove raccontò notizie su
Colombo e le nuove terre scoperte, un dipinto olio
su tela datato intorno al XVII secolo. Rappresenta
il vescovo Geraldini
, seduto su una sedia con la mantellina e la cotta
bianca, mentre con la mano destra, tiene un
bigliettino bianco. Fu oggetto di restauro nel 1990
e venne alla luce che il ritratto fu eseguito
apportando alcune varianti ad uno preesistente,
dipinto nel 1628
dal pittore bolognese Tommaso
Campana,
a rivelarlo è una scritta sul retro della tela.
Appena entrati nella sala rettangolare della
pinacoteca, il primo dipinto sulla sinistra, di
grandi dimensioni, è La
Vergine
che libera San Girolamo Emiliani opera
su
tela con cornice dorata della cerchia di Sebastiano
Conca, proveniente dalla chiesa di Sant'Angelo, dove
occupava l'altare di sinistra del transetto. La
scena rappresenta la conversione del Santo dove la
vergine maria in gloria tra gli angeli che compare
di fronte a San Girolamo Emiliani, fondatore della
Congregazione dei Padri Somaschi.
La
Crocefissione
è opera del pittore forlivese (Forlì 1508 - Roma
1580) Livio Agresti. È stata dipinta utilizzando la
tecnica della tempera
su
tavola,
datata e firmata nel 1557.
Tra il 1557 e il 1560 compone un insieme di opere
nell'Umbria meridionale, peraltro in buona parte
firmate; per Amelia, dove dipinge la Crocifissione
con
i santi Firmina e Olimpiade, che
peraltro,
costituisce la prima opera certa rispecchiando la
svolta di Agresti, per Narni, con un'Annunciazione
ora nel Museo civico e una Consegna
delle
chiavi
nel Duomo, e per Terni, con una Circoncisione
nel Duomo.
Livio,
sembra
incuriosito dalla configurazione urbana della città:
in un suo disegno raffigurante Gesù che guarisce un
cieco, conservato al Louvre nella Cab. des dessins,
inserisce come sfondo un borgo su un colle che
sembra proprio Amelia; sono riconoscibili le mura
con le sue torri difensive lungo il tratto verso
Porta Leone, la Porta Romana, il campanile di San
Francesco. Pur trattandosi di uno schizzo sommario
si manifesta l'interesse dell'artista per il luogo,
giunto a notorietà forse a seguito dell'intervento
del Sangallo sulle mura oltre che per le sue
Antichità, città erede della classicità al pari di
Roma
. In quest'opera della pinacoteca civica, sono
raffigurati i due martiri protettori di Amelia,
Firmina e Olimpiade, Firmina raffigurata alla destra
di cristo che consegna la città al Salvatore mentre
Olimpiade, con dietro un cavallo, è alla sinistra
mentre al centro campeggia la croce con Gesù
inchiodato; alla base della croce si può ancora
leggere parte di un'iscrizione nella calce “… fecit/1557”
che ci restituisce con certezza l'anno di
realizzazione .
Un'interessante curiosità è quella del ritratto
dell'artista dipinto sul braccio del soldato
Olimpiade
.
Proveniente
dalla
chiesa di San Michele Arcangelo, disposto fino agli
anni ‘80 all'interno del palazzo comunale è invece
l'opera che raffigura proprio l'arcangelo,
riconosciuto come guida delle anime al cielo,
vestito come un soldato loricato, con grandi ali e
un mantello rosso è tra due angeli, intento a
liberare le anime dall'inferno. Il dipinto è firmato
e datato in basso, vicino a un masso, dove è scritto
(Yacinthus Gimignanus/ pistori pingeb./ A.S 1677).
Al
centro
della sala, uno affresco restaurato che rappresenta
un colonnato di cinque arcate di cui due in entrambi
i lati uguali e sormontate da un timpano triangolare
mentre l'arcata centrale è più grande e ospita,
verso la destra, un angelo e al di sotto due volti
di persone. In gran parte danneggiato, proviene
dalla chiesa di San Francesco e, si tratterebbe di
una parte delle «storie di una Santa» con mano
riconoscibile al Maestro dell'Assunta di Amelia
a cui è attribuita anche l'Assunzione
della
vergine
posta in Duomo. L'attribuzione viene da Corrado
Fratini che scrive: «L'ipotesi
che
questo episodio sia da considerare di origine
amerina è corroborata da un argomento ben più
solido rappresentato dall'esistenza di una grande
decorazione ad affresco, legata ad uno dei più
importanti monumenti della cittadina umbra: la
chiesa di San Francesco, che dovrebbe costituire
un'ulteriore tappa nel percorso di questo nuovo
pittore. Purtroppo, il lavoro deve considerarsi
perduto ma nelle immagini che presento si possono
cogliere strette aderenze con i dipinti già
esaminati, in particolare ritengo di poter
positivamente raffrontare la testa della Santa in
alto a destra con il viso della Vergine che riceve
l'omaggio dei Magi nella predella di Santa Maria
Maggiore. Sulla base di questo importante
riconoscimento e di altri segnali che si colgono
nel panorama artistico di Amelia penso di poter
indicare nella cittadina umbra la base di attività
del neonato
artefice
che suggerirei di chiamare provvisoriamente
Maestro dell'Assunta sembra più significativo»
.
Madonna
col
bambino tra San Giovanni Battista e San
Francesco
L'opera
risale
al 1469 e proviene dal palazzo comunale dove
risiedeva al centro della sala consiliare. Si tratta
di una pala d'altare, in ,
composta da una tavola centrale, la lunetta e una
predella (alcune parti della cornice laterali sono
state perdute, oggi sostituite con parti in legno
che mantengono integra la pala). Al centro,
leggermente dietro alle due figure è seduta su di un
trono, la Madonna,
con lo sguardo rivolto in basso a guardare suo
figlio Gesù seduto sulle sue gambe, il quale tiene
in mano un piccolo uccello, Dal fondo dorato
emergono in primo piano San Giovanni Battista che
sorregge una croce e indica con la mano destra Gesù,
mentre alla sinistra della vergine vi è San
Francesco il quale tiene a sua volta una croce e le
Sacre Scritture, si porta la mano sinistra al petto
e guarda con devozione Gesù. Nella lunetta è
raffigurato l'Eterno benedicente affiancato da due
Cherubini mentre nella predella, circoscritti in dei
cerchi, sono dipinti una Santa o forse la Madonna,
una Imago
Pietatis
e
un Santo, forse Giovanni evangelista, a ricordare la
scena della morte di Cristo dove sotto la croce
rimasero Maria e il giovane apostolo .
Gli
studiosi
ritengono sia stata eseguita da un pittore
umbro-laziale vissuto a contatto con Piermatteo
d'Amelia. La tavola sembra eseguita a due mani, da
una parte riflette lo stile di Piermatteo che pare
abbia eseguito l'Imago
Pietatis
, dall'altra risente dello stile di Antoniazzo
soprattutto nelle due figure dei santi e nella
Madonna che somiglia a quella di Evangelista
Aquilani (al quale si può forse attribuire la pala)
che per la chiesa collegiata di San Nicolò di
Collescipoli, realizzò una Madonna con bambino,
molto simile alla tavola di Amelia.
U.
Gnoli
ritiene che la tavola mostri l'influsso al tempo
stesso nella pittura perugina del Vannucci e della
pittura romana di Pinturicchio e di Antoniazzo, per
l'ambientazione della scena in uno spazio
immateriale e senza tempo, ancora legata al fondo
d'oro con arabeschi.
Di
certo
si individua la presenza di mano diverse
nell'esecuzione delle figure dei santi e della
vergine rispetto alla cimasa con l'eterno
benedicente che richiama sia al sant'Antonio abate
sia alla cultura fiorentina e di Verrocchio.
Ma
tra
le opere più pregevoli e interessanti, proveniente
dal palazzo comunale, è certamente la tavola su «Sant'Antonio
Abate»
dipinta da uno dei pittori più importanti del
rinascimento umbro, Piermatteo d'Amelia conosciuto
come “Maestro
dell'Annunciazione
Gardner”,
uno
dei protagonisti del rinascimento umbro insieme al
Pinturicchio e al Perugino. (Fig. 3)
Fig. 3 - Piermatteo Manfredi d'Amelia, Sant'Antonio Abate, 1475
tempera su tavola, cm. 180 X 100
esposta presso la pinacoteca del museo E. Rosa di Amelia
Foto cortesia comune di Amelia
La
tavola
di Sant'Antonio Abate
Di
particolare
prestigio, essendo l'unica opera che la città
possiede su Piermatteo di Manfredi d'Amelia (Amelia
1445 - 1508 circa), la tavola, attribuita per prima
dallo Gnoli nel 1923, è posta su un angolo destro
della sala, all'interno di una teca in vetro per
proteggerla. L'opera misura 160 x 81 cm, ed è una
tempera su Tavola, proveniente dal convento
francescano di San Giovanni Battista in Amelia. Nel
1992 venne trovato un documento del 1474
nell'Archivio di Stato di Terni, che conteneva un
finanziamento concesso dal convento di San Giovanni
Battista In canale ad Amelia per una tavola e un
altare dedicati a Sant'Antonio Abate. Grazie a
questo documento è stato possibile identificare con
certezza l'opera come un dipinto di Piermatteo
d'Amelia. Il consiglio dei dieci del comune di
Amelia, dopo aver individuato il «podii
megliorutii»,
il
vocabolo
Poggio di Miglioruzzo, con una delibera del 17
agosto 1465 edificò la chiesa tra il 1465 e il 1570
che sarebbe servita per ospitare gli Osservanti.
Come riporta Lucilla Vignoli: «Nell'archivio della
Porziuncola di Santa Maria degli Angeli di Assisi è
conservato un breve di Paolo II, datato 1469,
indirizzato al vescovo di Amelia, nel quale si
concede il privilegio del possesso totale del
convento agli Osservanti»
. Il complesso, all'interno del territorio,
costituiva un vero e proprio polo sanitario, gestito
dai frati conventuali; al suo interno esistevano
vari servizi come uno studio di Logica dove si
tenevano lezioni su «casi di coscienza» con studenti
del luogo. Sappiamo la descrizione del complesso
anche grazie all'aiuto di padre Antonio da Orvieto
che scrive nel 1717 una
Cronologia della provincia serafica dell'Umbria,
dove colloca la tavola del Santo all'interno di una
macchina d'altare, simile a quella della chiesa
dell'Annunziata in Amelia. «Del
convento
di S.Giambattista d'Amelia […] sopra del detto
Poggio di Migliorozzo [...] fu eretto questo
Convento […] non più grande che di due piccoli
Dormitorj. ed una Chiesa di mediocre capacità, e
liscia ne' suoi lati. In oggi però si rende così
vagha, ed infine divota la detta Chiesa, che di
poco la cede nella bellezza alle più belle della
Provincia. Ha ella un Maestoso Capo d'Altar
Maggiore, la cui Cappella nell'ordine Corinthio,
benché tutta di legno dipinto a pietra mischia, è
nulladimeno assai piacevole nella sua bella
disposizione, e molto più ammirabile in un
preziosissimo Quadro, che rinchiude fra le sue
quattro colonne, ed in un'altro [sic], fatto a
mezza sfera, che termina fino alla Volta della
Chiesa la sopraddetta Cappella [...] Nel corpo
della Chiesa si vedano quattro Cappelle nobili
sfondate tutte dipinte, e co' loro Quadri di buona
mano; le due alla destra dedicate la prima al
miracolosissimo S. Pietro d'Alcantara, e a seconda
al Santissimo Crocifisso, sono di stucco dipinto a
pietra mischia nell'ordine Toscano: e l'altre due
alla sinistra, la prima è consagrata al Glorioso
S. Antonio di Padova, e la seconda allo Sposalizio
di Maria Vergine con S. Giuseppe, sono di legno,
ricoperto paramente a mischio d'ordine innominato
nell'architettura. Quest'ultimo Quadro è assai
stimato, ed è copia d'un originale di Carlo
Maratta, al vivo riportato da buon pennello;
l'Altare di questa Cappella è privilegiato un
giorno la settimana; ed ha dietro, verso la parte
dell'Orto, un Cimitero, in cui si vede qualche
pittura antica. Finiscono d'abbellire la detta
Chiesa alcuni buoni Quadri grandi, e piccoli
partitamente disposti, fra quali è un S. Antonio
Abbate di giusta statura d'un Uomo, dipinto in
grossa tavola, che sembra della medesima mano del
Quadro dell'Altar Maggiore. Fu questa Chiesa
nell'anno 1695, alli 17 di Aprile ad istanza de'
Religiosi consagrata da Monsignor Giuseppe
Crispino Vescovo d'Amelia, e ciò fu fatto con
tutta pompa, e solennità, come apparisce
dall'Istromento, che ne fu fatto, la cui copia
localizzata si conserva fra l'altre Scritture del
Convento nella Camera del p Guardiano.» (Fig. 4).
Fig. 4 - Piermatteo Manfredi d'Amelia, Sant'Antonio Abate
1475, particolare
Foto cortesia comune di Amelia
Foto © di Giovanni Bussetti
La
cronologia
dell'opera, secondo la Vignoli, è da fissare intorno
al 1481, anno della realizzazione del polittico di
Orvieto, prima della fase romana, nel momento in cui
Piermatteo rientra in Umbria dopo l'esperienza
Fiorentina
infatti risulta documentato ad Amelia il 25 ottobre
1475, il 29 settembre 1476, l'8 febbraio 1479, in
qualità di testimone per alcuni atti .
Il Santo Antoniano, egiziano di nascita, morto nel
357 d.C., era un uomo semplice che predicava la
povertà, eremita in una grotta nel deserto, la sua
devozione si ampliò quando le sue reliquie vennero
traslate nel monastero di Vienne (Francia).
Piermatteo trasforma il Santo, in un religioso del
suo tempo, un monaco anziano e in barba come scritto
in un inventario dell'epoca
. Assiso su un trono marmoreo bianco con dietro uno
sfondo dorato, la possente figura viene mostrata il
volto riposato, quello di un saggio signore dalla
barba lunga e bianca che con un viso stanco, solcato
dalle rughe del tempo, emana tranquillità e pace,
circondato in alto dall'aureola. Indossa la tunica e
la cocolla scura dove è stato ricamato il Tau:
simbolo dei francescani. Con la mano destra benedice
e con il braccio regge il bastone con la campanella,
simbolo di riconoscimento che oltre ad essere un
attributo degli eremiti è anche un segno di
riconoscimento che utilizzavano i frati dell'ordine
per annunciarsi quando arrivavano per la questua ,
mentre con la mano sinistra regge il libro delle
sacre scritture aperto dalla copertina rossa
sporgente dal perimetro. In basso, sulla sinistra,
posto vicino ai suoi piedi, un piccolo maialino
(altro attributo) guarda il Santo e amplifica la
statuaria presenza del Santo che si può così
riconoscere. Il porcellino: «evoca la tradizione
medievale del permesso concesso agli antoniani di
poter allevare maiali nella città, per ricavarne il
grasso usato nella cura del fuoco di Sant'Antonio»
infatti il Santo si lega alle funzioni sanitarie e
infermieristiche dei conventi
e tramite il maialino insieme al simbolo Tau
rappresentano
la
funzione terapeutica che aveva il lardo di maiale,
usato per la realizzazione di unguenti contro
l'ergotismo. Alcuni maiali erano anche assegnati ai
monaci per il proprio sostentamento, contrassegnati
con la lettera «T», la stessa che portavano nel
cucito dell'abito.
«Seppur
provato
da alcune difficili vicende conservative, il dipinto
su tavola è uno dei capolavori di Piermatteo, nel
quale emerge la formazione del pittore amerino nella
bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio. La
figura possente del vecchio Santo racconta
l'attenzione di Piermatteo d'Amelia nella
definizione degli aspetti plastici della figura,
esaltati da un disegno e da un chiaroscuro sapiente»
.
La tavola, prima dell'abbandono definitivo, fu data
dai proprietari al comune di Amelia dove alloggerà
nel palazzo comunale fino all'avvento del museo
civico. Pier Matteo Manfredi d'Amelia è stato dunque
«l'esponente
di
un umanesimo caratterizzato dal contrasto tra
l'acuta coerenza delle sue composizioni spaziali e
pittoriche e il freno rappresentato dal suo
conservatorismo iconografico»
.
A
cosa potrebbe essersi ispirato Piermatteo nel
dipingere la tavola di Amelia?
Certamente,
per
impostazione, un Simile dipinto si trova
temporaneamente alla galleria nazionale dell'Umbria,
firmato come «Maestro del 1418, Sant'Antonio Abate
in trono e committenti, tempera su tavola,
collezione privata» dove il Santo è seduto in un
trono marmoreo bianco, regge il bastone alla sua
destra e tiene il libro chiuso alla sinistra. In
basso spunta il maialino nero, identico a quello di
Amelia, lo si riconosce dalla chiazza bianca
all'altezza della spalla del suino
. Apparso per la prima volta nell'affresco «Effetti
del Buon Governo sulla città e sul contado» di
Ambrogio Lorenzetti a Siena, lo ritroviamo in un
altro affresco datato 1375 e il 1308 all'interno
dell'Oratorio trecentesco di S. Bartolomeo a Prato
dove viene raffigurato sant'Antonio abate in piedi e
alla sua destra il maialino; sempre nella stessa
chiesa è presente un altro affresco di Sant'Antonio
abate
con quattro storie della sua vita,
eseguito probabilmente da Arrigo di Niccolò tra il
1374 e il 1446 in cui nel vestiario e nelle pose si
possono rintracciare similitudini con la tavola del
Maestro di Perugia come il libro rosso chiuso tenuto
alla sinistra, il bastone ligneo a destra e i due
abiti con il contrasto tra nero e marrone chiaro.
Negli ambienti fiorentini, anche Masaccio, nel trittico
di
San Giovenale,
tempera su tavola del 1422 per la chiesa di San
Pietro sita in Cascia di Reggello, raffigura il
Santo con il maialino alla sinistra della Vergine
col bambino. Simile al Masaccio, è anche un'altra
tempera su tavola del 1420 circa, di Michelino da
Besozzo che nello Sposalizio
mistico
di Santa Caterina,
esposto a Siena nella Pinacoteca nazionale, mostra
il Santo, immerso nel fondo dorato, sempre alla
sinistra della Vergine mentre tiene un bastone su
cui si appoggia e in basso a guardarlo, il maialino.
Questo che si andava creando negli anni poteva
dunque essere l'immaginario che si era creato
intorno alla figura del Santo con il maialino nero
di cinta senese o suino nero cinghiato di Norcia, la
campanella, il libro rosso, la lunga barba e il suo
vestiario, un eco tanto da arrivare fino ad Amelia
dove Piermatteo lo immortalerà per il convento
francescano di San Giovanni Battista in canale,
fuori le mura, oggi in via Roma .
Un sant'Antonio abate è da segnalare in un affresco
quattrocentesco della chiesa di Sant'Agostino a
Cascia dove il Santo è riconoscibile per l'emblema
antoniano della campanella e la lunga barba,
raffigurato su una parete vicino l'ingresso, posto
in piedi, mentre legge un libro. In basso, a
guardarlo, si vede il maialino nero a riposo; un
altro affresco simile si trova sempre a Cascia nella
chiesa-museo di Sant'Antonio abate. Forse,
Piermatteo, durante il suo soggiorno nella città
dove, secondo Zeri, probabilmente dipinse gli
affreschi del martirio
di
Santa Margherita d'Antiochia
e
lasciò un suo autoritratto
mentre indossa un berretto rosso, potrebbe aver
visto le altre opere e quindi ispirarsi
.
Per
continuare
ad indagare sulle influenze della figura del Santo,
bisogna ritornare in queste zone dove alcune
similitudini si possono rintracciare con la scultura
raffigurante Sant'Antonio
abate,
conservata in un angolo della navata laterale di
sinistra nella Cattedrale di San Giovenale a Narni.
L' opera mostra delle generiche analogie con la
tavola di Amelia, raffigura il Santo assiso su un
tronetto in legno con la mano destra benedicente
mentre appoggia la mano sinistra su un libro dorato
con al centro un fiore con sei petali e otto foglie
che lo circondano. La statua lignea è firmata in
basso sul bordo, dove si legge OPVS LAVRENTII
PETRIA. A.L. VECHIETTA DE SENIS A CCCCLXXV; di
Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta, nel 1474
inizialmente per la chiesa di sant'Antonio, oggi non
più esistente. La statua e la tavola di Piermatteo
trovano similitudini nel dipinto del 1475 di Benozzo
Gozzoli nella controfacciata della collegiata di
Santa Maria Assunta a San Gimignano, dove le
analogie sono accentuate dalle pose con la mano
destra benedicente e la mano sinistra poggiata su un
libro rosso, dal vestiario che contraddistingue il
Santo, dalla lunga barba del saggio e dal maialino
che guarda il Santo e indossa al collo la
campanella. Un'altra scultura della seconda metà del
XV secolo, in legno policromo è presente a Massa
Martana, nella chiesa Nuova, che presenta il Santo,
in piedi con la mano benedicente e il bastone. Ad
Amelia si può segnalare l'affresco quattrocentesco
sito nella chiesa di San Girolamo, dove il Santo,
accanto alla Vergine, dalla folta barba bianca e
lunga, tiene il bastone con la campanella e il libro
rosso delle sacre scritture. L'affresco è simile a
quello di Avigliano Umbro, posto in un brandello di
muro nella chiesa di Sant'Angelo dove nell'affresco
datato 1455 il Santo, raffigurato insieme alla
Madonna col bambino e San Bernardino da Siena, è in
piedi e anche qui riporta il bastone con la
campanella e il libro rosso. A Toscolano, nella
parete laterale della chiesa della SS. Annunziata,
Piermatteo dipingerà un Sant'Antonio abate per
impostazione del viso e della mano destra
benedicente identica a quella della tavola di
Amelia. Attualmente il convento di San Giovanni
Battista in Amelia (sede primaria dell'opera di
Piermatteo), fondato nel 1469, versa in un
preoccupante stato di degrado e abbandono, a seguito
della soppressione postunitaria venne abitato dai
frati riformati fino al 1891 quando poi fu
abbandonato
e in seguito trasformato in una residenza stile liberty.
Proprio in quegli anni venne redatto un manoscritto
cartaceo, conservato oggi a Perugia nella Biblioteca
comunale Augusta, dal titolo:
INVENTARIO E DESCRIZIONE DEGLI OGGETTI DI BELLE
ARTI RINVENUTI NELLE CHIESE O CASE DELLE
CORPORAZIONI O COLLEGIATE SOPPRESSE DELL'UMBRIA
e nella sezione Circondario di Amelia - Mandamento
di Amelia - Comune di Amelia - Convento di S.Giov.
Battista - Minori Riform. Conviv. vengono censiti i
seguenti dati inerenti alla Tavola di Pier Matteo; «Pittura;
tavola
a tempra, esistente entro il Convento sopra il
cancello dell'infermeria, che rappresenta
S.Antonio Abate. Siede il Santo in seggio
riccamente architettato; ambi figurano su campo
dorato e a sinistra in basso vedesi un piccolo
porco- Opera condotta con singolare maestria; sono
belle le proporzioni della figura; buono il
colorito, ricche e ben piegate le vesti, austero e
nobile il collo ed il tutto risalta l'eccellenza
del disegno; Alta M. 175; in condizioni buone»
.
Intorno a questi anni, la tavola potrebbe essere
stata requisita e portata all'interno del Palazzo
Comunale (ex Palazzo Cansacchi) che negli anni si
stava trasformando in un grande deposito di
straordinario valore per la città. (Fig. 5)
Fig. 5 - Piermatteo Manfredi d'Amelia, Sant'Antonio Abate
1475, dettaglio sul maialino di cinta senese o cinghiato di Norcia
Foto cortesia comune di Amelia - Foto @copy; di Giovanni Bussetti
Un
museo
all'avanguardia
L'intero
percorso
museale è interamente fruibile per le persone con
disabilità, infatti, oltre ai grandi e spaziosi
ambienti dove muoversi, è presente un grande
ascensore che porta a tutti i piani che altrimenti
sarebbero raggiungibili solo grazie a una grande
scalinata. Oltre alla grande e prestigiosa storia il
museo ospita un segmento interamente dedicato al
laboratorio didattico, l'Archeospazio, un'aula
didattica realizzata nel 2013 dedicata ai ragazzi,
alle famiglie e alle scuole, dove giocando insieme
all'operatore museale si approfondisce e si studia
in modo creativo, diverso dallo studio sui libri,
l'archeologia e la storia romana delle città. Lo
spazio dove si impara l'archeologia e la storia
antica utilizzata sia con le scuole e gli operatori,
oppure come una stanza aperta dove le famiglie
possono intrattenersi con i propri figli imparando i
giochi degli antichi romani o ricostruire le mura
come un puzzle. Con l'ausilio di strumenti
installati nella sala è possibile toccare con la
mano l'abbigliamento dell'epoca e conoscere i
passatempi o altre curiosità. Inoltre, è stata
realizzata una mappa che si ispira al video su Ameria
e
consente alle famiglie di girare la città in
autonomia. Durante l'emergenza da pandemia Covid-19
prenotandosi attraverso il sito del museo, la
struttura proponeva alle scuole delle visite
virtuali dove i ragazzi potevano stare veramente
dentro il museo, specifica sulla statua del
germanico, oppure sono stati realizzati degli
approfondimenti con didattica a distanza con lezioni
teoriche sugli antichi romani.
Il
polo
si è arricchito di alcune installazioni multimediali
ed immersive con l'aiuto delle musiche, delle
immagini e della voce del narratore che racconta le
gesta e le vicende legate al generale; la prima
installazione, posta in una zona mostra dal titolo «Germanico
Cesare
…a un passo
dall'impero»
inaugurata nel 2019 in occasione del bimillenario
della sua morte con lo scopo di immergere il
visitatore nella vita e nelle opere che hanno
celebrato le gesta di Germanico, la seconda dal
titolo «Ameria»
che
racconta
l'evoluzione della città romana ricostruendola
com'era visibile grazie ad un televisore e la terza,
dietro la statua del Germanico che racconta le
vicende del generale attraverso un video immersivo.
Lo spazio riesce a garantire anche l'allestimento di
personali e piccole mostre come, ad esempio, quella
su Piermatteo
d'Amelia
e il Rinascimento nell'Umbria meridionale Dal 12
dicembre al 2009 al 2 maggio 2010 Rubens,
allegoria della fede, la sibilla persica dal
14
ottobre 2016 all'8 gennaio 2017 dove l'opera inedita
è stata posta su una parete rossa della pinacoteca.
Quella di Luciano Ventrone con Matrix,
oltre
la realtà
dal 5 agosto 2017 al 25 febbraio 2018, con oltre
trenta dipinti del maestro. Aristodemo
Zingarini,
pittore d'Amelia
dall' 8 aprile al 22 maggio 2023, dove si riscopre
la figura del celebre amerino che ha immortalato nei
suoi dipinti, esposti tra i reperti archeologici,
persone e paesaggi, oggi in varie collezioni private
di cui due alla Galleria Nazionale dell'Umbria. Il
museo non deve essere visto come un deposito, ma
come un luogo di studio dove si possono ampliare le
proprie conoscenze e le curiosità, infatti oggi il
museo si è arricchito anche grazie all'utilizzo di
un proprio sito web https://ameliamusei.it/
che
nella
«Home» presenta le seguenti voci: Eventi (con la
programmazione dei vari appuntamenti in cui anche il
museo è coinvolto); Musei (con i vari siti del
circuito museale, gli orari di apertura e i contatti
di riferimento); Esperienze & Tour (dove si
possono prenotare le visite per vari siti); Scuole
& Famiglie (dove si possono prenotare visite
guidate per le scuole o le famiglie, oppure fare
delle attività laboratoriali, legate
all'Archeospazio); Biglietto circuito (si elencano i
prezzi dei vari biglietti o le varie attività); La
città (un breve elenco di dodici tappe per conoscere
la città e i suoi monumenti); Ospitalità (presenta
un elenco di varie strutture ricettive o di aziende
locali dove gli ospiti di queste strutture possono
usufruire di una convenzione con Sistema Museo,
richiedendo il voucher per visitare il Circuito
Museale. Lo stesso discorso vale per chi presenta le
seguenti tessere: Touring Club, FAI, Torre
dodecagonale, Circuito Ambienti Medievali di Narni,
Area Archeologica di Otricoli, Museo Nazionale
Etrusco di Villa Giulia a Roma, Narni Sotterranea,
Pozzo di San Patrizio di Orvieto, Cascata delle
Marmore); Podcast (un'area riservata per ascoltare
varie storie su argomenti che riguardano la storia
della città come, l'Intervista a Marcello Barbanera
in Il
Germanico
al museo di Amelia.
Il
circolo
culturale Don Vincenzo Luchetti
In
Umbria
esistono vari musei della civiltà contadina che
raccontano tramite gli antichi oggetti il microcosmo
di quelle case rurali autosufficienti con la stalla
al piano terreno, l'abitazione al primo piano munita
di cucina, camera da letto e a volte il bagno, e la
soffitta in genere adibita a granaio, oggi quasi
scomparse. Questa stagione terminerà nell'immediato
dopoguerra quando tra la fine degli anni Cinquanta e
l'inizio degli anni SesSanta a causa dell'esodo
massiccio dalle campagne verso le città per il
crescente sviluppo economico, arrestando la ricerca
di quel cibo lento, affermato poi dalla nascita del
primo fast food. A questo, si andrà a contrapporre
la nascita nel 1986 del movimento Slow Food, fondato
da Carlo Petrini, per la tutela del cibo e delle
tradizioni locali.
A
Castel dell'Aquila
, frazione del comune di Montecastrilli, il circolo
culturale “Don Vincenzo Luchetti” aiutato dalla
comunità, ha recuperato la propria storia attraverso
la costruzione di una mostra permanente della
civiltà contadina con circa 3.500 utensili
inventariati provenienti dalle famiglie del luogo
che ha come asse tematico la cultura del
"riutilizzo". La spinta del gruppo è iniziata per
valorizzare e mostrare le proprie radici passate che
non possono essere perse o tramandate solo dai
libri. Così Cristina Foiani, in una testimonianza,
spiega il lavoro svolto: «Abbiamo
pensato
di raccogliere gli oggetti delle soffitte, a
gruppetti, il pomeriggio, andavamo nelle soffitte
delle famiglie, per cercare oggetti e materiali,
poi la sera ci dedicavamo a lavarli e a custodirli
in attesa di poterli mettere in mostra».
L'esposizione permanente degli «Arnesi e strumenti
della civiltà contadina», progettata nel 1985 e
ubicata dal 1989 (anno dell'inaugurazione)
stabilmente all'interno dei locali della scuola
media del paese, arricchita da diverse fotografie
d'epoca, comprendeva: un grande ambiente diviso in
cinque sale tematiche dove la prima sala conteneva
gli arnesi per i lavori esterni, la seconda era
dedicata agli ambienti della cucina con il ciclo
produttivo del pane, del vino e del formaggio, la
terza con gli ambienti delle camere da letto e il
bucato, la quarta dedicata agli ambienti femminili e
un'ultima sala tematica con i mestieri più gettonati
ad esempio: il fabbro, il calzolaio, il boscaiolo.
Momentaneamente, a causa di esigenze dovute alla
struttura, la mostra è in attesa di essere collocata
in un nuovo luogo. Un articolo del “Corriere
dell'Umbria” del 29 maggio 1989 dal titolo «A Castel
dell'Aquila un'esposizione sugli strumenti della
civiltà contadina» riporta quanto affermò nel suo
intervento, l'allora presidente della provincia di
Terni Zefferino Cerquaglia: «Le
certezze
del passato devono contribuire a rafforzare
l'impegno nella costruzione del presente e
dell'immediato futuro» soffermandosi
sulla
ricerca delle proprie radici socio-culturali e la
progettazione di una nuova Europa.
Questa
mostra
sulla civiltà contadina è stata il trampolino di
lancio per la realizzazione di un nuovo spazio,
dedicato ad un altro stile di vita contrapposto. La
svolta avviene quando Irene Barcherini ,
dopo aver contribuito, come altre famiglie, a donare
gli antichi utensili e oggetti al circolo per la
realizzazione della mostra sulla civiltà contadina,
capendo che al giorno d'oggi quegli antichi utensili
erano apprezzati e valorizzati, decide di donare
svariati oggetti e altre realtà inerenti alla storia
della propria famiglia che rispecchia a pieno lo
stile di vita borghese. Questi oggetti, invece che
essere stati cancellati dal passato, vennero
conservati da svariati anni, proprio dalla signora
Irene e provengono dalle varie case di proprietà
come Frattuccia, Collicello, Amelia e Roma. Oggi il
museo, inaugurato il 16 aprile 2016 alla presenza
del sindaco Fabio Angelucci, del GAL ternano, delle
autorità comunali e provinciali, sorge fuori le mura
di Castel dell'Aquila, all'interno del parco Venere.
Inizialmente, la struttura, ad opera del comune di
Montecastrilli, doveva ospitare il museo della
civiltà contadina ma dato che il locale non era
stato costruito in modo funzionale
, il circolo culturale, visto i tanti oggetti della
signora Irene, decise di realizzare in
quell'ambiente una sezione distaccata, realizzando
il museo della “civiltà borghese” che prese il nome
di CIT (centro informazioni del territorio). Lo
spazio venne diviso in settori che oggi ripercorrono
i vari ambienti e stili di vita di una famiglia
aristocratica, in questo caso, la famiglia
Barcherini. Ad attirare da subito l'occhio del
visitatore sono di certo gli abiti delle nozze dei
genitori di Irene oltre che ad una serie di oggetti
quali cappelli, vestiti e persino un costume da
bagno, foto d'epoca e santini, oggetti di vita
quotidiana anteposta a quella contadina come, ad
esempio, le porcellane inglesi o i ricordi dei tanti
viaggi di famiglia. Quella del circolo culturale
“Don Vincenzo Luchetti” è una storia di speranza e
resilienza di un territorio che non abbandona le
proprie radici e semina grano in attesa che venga
(si spera presto) la buona stagione per il raccolto,
a beneficio di tutta la comunità e tutto il
comprensorio Amerino. Sarebbe ora che un'istituzione
quale il comune (in primis) la Regione o la
provincia possa pubblicizzare ed aiutare
concretamente questa realtà che è un prestigioso
presidio culturale per la valle del Fosso
Grande
e
per tutto il comprensorio amerino. Rimane comunque
l'amaro in bocca sentendo il Prof. Giuseppe
Maccaglia ricordare San Giovanni Battista nel
deserto che predicava l'arrivo del signore «Vox
clamantis
in deserto»
ma era una voce che gridava nel deserto, chi poteva
ascoltarla?
Valorizzare
il
territorio
Amelia,
oltre
ad essere una delle città più antiche d'Italia, è
certamente una perla dell'Umbria e di questa
nazione, e come tale, va tutelata in ogni minimo
aspetto. Amelia è come una bella poesia, una città
magica che ti fa perdere nei propri vicoli tra
chiese e palazzi, tra case popolari e ville, tra
ruderi e rovine romane, fatta di salite e ripide
discese. Il paesaggio che custodisce questo
agglomerato urbano, sempre in continuo movimento
dall'attività dell'uomo che cambia i colori della
campagna tramite le coltivazioni dei cereali e il
lento cambio delle stagioni. Lo scopo di questo
testo vuole essere quello di far scoprire una
piccola città umbra e un territorio ricco di
tradizioni e folklore, con un grande potenziale per
il futuro; una piccola “val
d'orcia”
nel sud dell'Umbria che negli ultimi anni sta
iniziando a fare dei grandi passi in avanti, capendo
che la cultura conservata nei musei, nei palazzi e
nelle chiese deve andare a stretto contatto con gli
artigiani, gli agricoltori e le varie strutture del
luogo, capaci di creare una sinergia tale da avere
in futuro un territorio ricco dove la gente decide
di rimanere a vivere e a lavorare. Sarebbe dunque
giusto, riniziare a pensare gli spazi museali e la
valorizzazione dei vari siti chiusi o in
decadimento, avendo così un'offerta culturale più
ampia che permetta di attrarre più turisti
possibili, stimolando anche l'economia locale,
prevalentemente organizzata da artigiani,
agricoltori e attività turistiche, tre elementi che
costituiscono la base della locomotiva economica di
questa zona. Amelia ha un ottimo museo archeologico
al passo con i tempi e una semplice pinacoteca; la
città ha un grande patrimonio che non riesce a
mettere in mostra, si pensi ad esempio ai tanti
manoscritti, documenti, ai vari oggetti o vestiari
provenienti dalle chiese, perché non mettere in
mostra tutto questo tesoro? davvero il passato è
tutto scomparso o non si può mettere in mostra
perché sono presenti dei vincoli? Credo che
rovistando nelle cantine, nei soffitti dei palazzi o
nelle chiese di competenza del comune, della diocesi
o di liberi cittadini che vogliano donare dei beni
alla comunità, si possa trovare molto della storia
passata di questa città che, invece di andare persa
o finire nelle mani di un rivenditore, potrebbe
essere custodita nel museo. Un museo locale, come
questo di Amelia, deve poter raccontare tutta la
storia della città, arrivando sino ai nostri giorni,
magari inserendo persino i pittori novecenteschi e
quelli contemporanei. Il museo e tutto il complesso
di San Francesco ha bisogno di essere più vivo e
magari una soluzione potrebbe essere quella che in
futuro la biblioteca comunale
possa comunicare, tramite l'apertura di una porta,
con l'attuale chiostro Boccarini, per rendere il
polo più attrattivo e completo. Ad oggi si potrebbe
pensare ad un'installazione permanente su Piermatteo
che racconti l'artista a tutto tondo con le sue
opere sparse nel mondo e i suoi affreschi presenti
ancora sul territorio, perché questa città deve
saper valorizzare e far conoscere a pieno il suo
miglior artista che altrimenti sembra essere
dimenticato e scarsamente considerato, cosa che,
come cittadini, non possiamo in nessun modo
permetterci.
Questa
città
ha bisogno di amore, di essere conservata così
com'è, spetta a noi, giovani e meno giovani,
l'azione di valorizzare quello che abbiamo e di
renderlo accessibile a quanti vogliano visitare,
studiare e apprezzare la bellezza che i nostri avi
ci hanno lasciato. Si può pensare, come scritto
all'inizio di questo testo, al fatto di poter
realizzare in futuro, le cosiddette «Sale d'arte»,
riconvertendo un'abitazione all'interno dei vari
centri storici o abitazioni in campagna oppure anche
una grande stanza o altro luogo, realizzando un
piccolo spazio pubblico, anche destinato a ospitare
piccole mostre o altri eventi, con lo scopo di
conservare la storia del luogo, mettendo in mostra
anche oggetti di vita. Al 2023 Amelia è esente dalla
grande omologazione di massa delle grandi città
europee che prediligono le grandi catene di
abbigliamento o fast food, più che una città è un
grande paese a misura d'uomo, dove si trovano ancora
gli artigiani con le proprie botteghe e si vendono i
prodotti alimentari a Km 0. Amelia è il fulcro
sociale e turistico di questo comprensorio ed è
proprio da questa città che dovrebbe partire
un'offerta museale degna della sua storia; per
questo, necessita anche di una struttura museale più
ampia che potrebbe trovare spazio in un altro
palazzo, magari già di proprietà pubblica. La
raccolta civica potrebbe allargarsi ad altri
reperti, come documenti e mappe d'archivio, vecchi
libri come quello sugli statuti trecenteschi,
vestiari sacri, altri dipinti o strappi di affreschi
da vecchie chiese in rovina per cercare di
recuperare il salvabile. Quando una città diventa
attrattiva con una vasta offerta museale che arriva
sino al Novecento o addirittura al contemporaneo,
allora si riescono ad intercettare una vasta gamma
di possibili persone, studiosi e turisti che
sarebbero attirati da questo luogo. Ad esempio, si
potrebbe iniziare da un semplice inserimento di
targhette nei dipinti delle chiese che riportino i
dati essenziali in merito all'opera che si sta
osservando come accade già nella Concattedrale di
San Giovenale a Narni.
Si
potrebbe
anche prendere spunto da quello che è stato già
fatto a Todi, dove la cripta della concattedrale
della Santissima Annunziata è stata adibita a luogo
espositivo; ad Amelia tutti gli oggetti sacri quali:
ostensori, reliquiari, ampolle, pisside e calici,
croci, croce a stile, candelieri, incensiere, libri
sacri e vestiari non potrebbero essere conservati in
teche di vetro ed essere esposte? Perché ancora oggi
si fatica a capire che l'arte e la cultura di una
città dovrebbero essere visibili a tutti i cittadini
e che la loro fruizione potrebbe portare ad un
guadagno e quindi lavoro, turismo, trasmissione di
conoscenza, attivando così un flusso e un circolo
economico che aiuterebbe a sostentare anche le opere
di restauro e messa in sicurezza? Basta entrare in
alcune chiese del territorio dove molti oggetti
sacri, stampe o libri sono abbandonati a loro
stessi, lasciati in stato di degrado (specie
l'umidità, la muffa, la polvere o i tarli che
danneggiano irreparabilmente quell'opera), questo
non per colpa dei sacerdoti o della diocesi, ma
semmai per la mancanza di sacerdoti e la chiusura,
durante la settimana, delle canoniche e delle
chiese. «Una
volta
-spiega il pittore Severino Della Rosa in un
incontro nel Duomo di Amelia- quando
si
rovinava un pezzo di muro, andavo io stesso con il
pennello a riparare la fessura. Un tempo si dava
più accuratezza alle cose, ora invece, sembra che
non importi più nulla a nessuno
» e di fatti, non ha tutti i torti, basti guardare
la zona laterale della facciata del Duomo, in
direzione della torre civica, dove da alcuni anni,
dopo il lungo restauro terminato nel 2016, una
grondaia, a causa del vento, si è già piegata,
facendo ricadere tutta l'acqua sulle tegole delle
cappelle che con il tempo si sono (per giunta)
deteriorate.
Le
muse,
divinità greche femminili che grazie al loro canto
custodivano la cultura e le arti per non farle
dimenticare nel tempo, di certo, oggi potrebbero
risiedere negli odierni musei, luoghi stabili dove
far ispirare colui che vi si addentra per conoscere
delle storie fatte di materia concreta come le
statue o le tele. Certamente si potrebbe scrivere
che ad Amelia le giovani muse vivono nel museo ma
rimangono nascoste; la questione è quella legata ai
dipinti di epoca novecentesca della collezione
Conti-Palladini. Era il 1987 quando Luciana Conti,
vedova di Aldo Paladini, donò al Comune di Amelia la
sua collezione di beni mobili, tra cui alcuni quadri
di valore e numerosissimi libri di notevole
interesse culturale che donandole alla comunità
hanno dimostrato un grandissimo gesto d'amore per la
città. «...io
sottoscritta
Luciana Conti vedova Palladini, nelle mie piene
facoltà mentali, esprimo qui le mie ultime
volontà...lascio...al Comune di Amelia tutti i
quadri appesi in camera mia, nel saloncino e in
sala da pranzo. Sono tutti di gran valore,
comprati nelle gallerie di Milano e Roma o
direttamente negli studi degli stessi artisti…
».
In
riconoscenza
di ciò alla famiglia Conti Paladini è stata
intitolata una sala della Biblioteca Comunale di
Amelia. Le opere in questione sono di: Luigi
Bartolini, Il
pesatore,
1945 circa, stampa: acquaforte e puntasecca, cm. 35
X 25; Piero Marussig, Natura
morta,
1930 circa, olio su tela, cm. 50 X 30; Massimo
Campigli, Donna
con
aureola,
1960 circa, carboncino su carta, cm. 75 X 55;
Filippo De Pisis, Natura
morta,
1930 circa, olio su tela, cm. 45 X 70; Mino Maccari,
Ritratto
di
donna,
1950 circa, olio su tela, cm. 34 X 34; Mino Maccari,
figure
e
figuranti,
1950 circa, olio su tela, cm. 34 X 34; Carlo Levi, Interno
di
cella,
1934, olio su tela, cm. 35 X 77; Carlo Levi, Ritratto
di
donna,
1930 circa, olio su tela, cm. 42 X 32; Carlo Levi, L'artista
stanco,
1930 circa, olio su tela, cm. 35 X 45; Corrado
Cagli, Vaso
di
girasoli,
1936 circa, olio su tela, cm. 60 X 50; Fausto
Pirandello, Le
lavandaie,
1940 circa, olio su tela, cm. 109 X 92; Giuseppe
Capogrossi, Profilo
pensiero
di donna,
1938, penna e inchiostro su carta, cm. 34 X 34;
Giovanni Omiccioli, Terrazze,
1945, penna e matita su carta, cm. 34 X 36; Arnaldo
Ciarrocchi, Piazza
Navona,
1940, calcografia, cm. 27 X 42; Giacomo Manzù, Uomo
con
anatra,
1930, puntasecca, cm. 25 X 30; Antonio Corpora, Ritratto
di
donna seduta,
1947 circa, penna e inchiostro su carta, cm. 26 X
18; Emilio Greco, Nudo, 1960, penna
e
inchiostro su carta,
cm. 35 X 22; Renzo Vespignani, Testa
equina,
1960 circa, cromo calcografia, cm. 35 X 22; Cesare
Zavattini, Clown,
1970 circa, tempera su tavola; Cesare Zavattini, Tavolinetto
da
salotto,
1970 circa, tempera acquerellata su carta.
Tutti
questi
artisti hanno segnato la storia del ‘900 e
rappresentano un percorso articolato di correnti e
espressioni artistiche diverse nel colore, nella
linea, nella forma e nell'armonia. Certo, questa
eccezionale donazione avrebbe potuto arricchire la
pinacoteca e invece furono resi visibili al pubblico
solo tra il 17 dicembre 2005 e il 27 maggio 2006 in
una mostra dal titolo “Amelia e i maestri del
Novecento” e dal 1° agosto al 15 settembre 2019 in
occasione del periodo estivo e del Palio dei
Colombi, nella sala mostra del Museo Archeologico
dove la mostra si arricchì anche di oggetti d'arredo
e piccole sculture, esposte per la prima volta. Ad
oggi si potrebbe pensare di collocare questi
dipinti, temporaneamente, nel piano nobile di
palazzo Petrignani, garantendo così una continua
riscoperta e fruibilità visiva di queste opere che
altrimenti rimarrebbero nascoste; ma muse così
belle, non possono rimanere lontane dalla vista
dell'uomo.
Quando
verrà
creato un nuovo spazio museale più ampio che riesca
ad accogliere queste opere, e quando verrà creato un
percorso che vada dal medioevo al ‘900, allora,
l'offerta della pinacoteca sarà più esaustiva. Come
è successo per Aristodemo Zingari, Podestà e pittore
novecentesco Amerino, riscoperto grazie alla mostra
"Aristodemo
Zingarini,
pittore amerino"
svolta dall' 8 aprile al 22 maggio 2023, dove la
pinacoteca e parte del museo archeologico sono stati
trasformati in un'area mostra con dipinti
dell'autore, proveniente da collezioni di privati
cittadini (di cui, due opere in custodia alla
Galleria Nazionale dell'Umbria); anche per il
pittore Antonio Mancini (1852-1930), che anziano,
soggiornò ad Amelia, ospite a Villa San Giovanni
dove dipinse alcuni quadri, la città, secondo il
maestro Severino Della Rosa, potrebbe essere florida
di alcune opere e se in futuro si venisse a
delineare una seria pinacoteca, allora, qualche
cittadino, seguendo l'esempio dei Conti-Palladini,
potrebbe donarle in mano alla città.
Il
maestro
Della Rosa conserva nella sua piccola collezione
privata, opere di artisti recenti e di alcuni che
hanno soggiornato nel passato ad Amelia, oltre a
svariati antichi oggetti. Secondo il maestro, anche
altri cittadini potrebbero conservare nelle proprie
abitazioni, opere di artisti che soggiornarono in
città, raffigurando paesaggi o volti di persone
ormai scompare. Se in futuro, ci fosse la
possibilità di ampliare la pinacoteca o restaurare e
creare uno nuovo spazio per la conservazione dei
dipinti e degli altri manufatti (oggi esposti
nell'ultimo piano del museo E. Rosa) anche il
maestro, sarebbe disposto a donare alcune opere per
far sí che la collezione si ampli.
Oggi
il
comprensorio amerino si può definire come un
territorio in fermento che grazie alla
valorizzazione culturale, sentieristica, sportiva e
gastronomica, può guardare al futuro, mantenendo
vive le proprie tradizioni, l'amore per questa terra
e per i suoi beni culturali, cercando di mantenere
attive e fiorenti le città e i borghi che animano e
rendono vivo tutto il paesaggio con il suo tessuto
sociale e culturale.
NOTE
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