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Orazio Riminaldi nelle Rime di Giovan Francesco Maia Materdona (1629)  
Simone Andreoni
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 7 Settembre 2024, n. 961
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Articolo presentato il 7 Agosto 2024, accettato l'8 Agosto 2024 e pubblicato il 7 Settembre 2024
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Il pittore Orazio Riminaldi (1593-1630) è ormai riconosciuto dalla critica come il principale esponente del barocco a Pisa, città dove nacque e morì dopo essere stato attivo a Roma per almeno un decennio, pienamente immerso nel contesto artistico cittadino 1. La sua vita e la carriera che ebbe sono state ricostruite da Pierluigi Carofano, Franco Paliaga e Riccardo Lattuada, in una monografia uscita nel 2013 e nel catalogo della mostra sull'artista tenutasi nel 2021. A entrambi i volumi, dunque, egualmente si rimanda per un resoconto esteso sul corpus del pittore e la sua rilevanza critica 2.

In questa sede si desidera tornare sul sonetto che il letterato pugliese Giovan Francesco Maia Materdona (1590-post 1649) dedicò al Riminaldi nelle sue Rime, la cui prima edizione uscì a Venezia nel 1629 3, in lode di un ritratto del poeta eseguito dal maestro pisano. Esso è stato studiato per la prima volta da Pierluigi Carofano e Franco Paliaga: il poeta sarebbe stato il primo a riconoscere il naturalismo del pittore, quest'ultimo lo avrebbe in seguito aiutato a trasferirsi a Pisa dal 1626 al 1627 4. Bisogna sottolineare, in ogni caso, che – per quanto è stato possibile ricostruire finora – si tratta della prima attestazione datata del successo raggiunto dal Riminaldi, altrimenti mai citato nelle fonti a stampa di Roma 5, città che aveva lasciato due anni prima, nel 1627, per tornare a Pisa, chiamato da Curzio Ceuli a decorare la volta della cupola del Duomo 6. Un'attestazione scritta da un letterato, il Maia Materdona, che godette di grande celebrità ai suoi tempi, e che non nacque nel Granducato di Toscana ma a Mesagne, nell'odierna Puglia: la maggior parte dei contemporanei ne lodava l'intelligenza e i versi eleganti che sapeva comporre. Perfino l'arcade Giovan Mario Crescimbeni, nel secolo successivo, avrebbe riconosciuto in lui il principale erede di Giovan Battista Marino e un dotato versificatore, ancorché troppo incline a metafore ardite, con un linguaggio saturo di effetti 7. Per la sua importanza, dunque, si ritiene opportuno trascrivere integralmente il sonetto in onore del Riminaldi:

«Non di cristallo, ORAZIO, e non di rivo

Splendido lampo, o trasparente humore,

ritrasse mai l'effigie mia sì al vivo,

come già l'ha ritratta il tuo valore.

Ma che festi? Io sperava arso d'amore

restar tosto e di vita, e di duol privo:

poco hor mi gioverà s'ella si more;

ch'anco ne' lini tuoi resterò vivo.

Deh, se tanto benigno esser ti vanti,

quanto industre tu sei, per saggio avviso

dipingi i fortunati, e non gli Amanti.

Raddoppi un huom, se d'huom tu pingi un viso;

nel ritrar chi è dolente allunghi i pianti,

nel ritrar chi è felice allunghi il riso» 8.

Lo scopo del presente studio è appurare se questi versi possano essere un ulteriore mezzo per comprendere il corpus dell'artista, pur nella piena consapevolezza che il Maia Materdona fu un poeta e mai un teorico delle belle arti come lo furono Giulio Mancini o Filippo Baldinucci. La sua esaltazione del naturalismo prezioso ed emotivo del Riminaldi, tuttavia, corrisponde alle letture dell'artista che diedero, fra Sette e Ottocento, Ranieri Tempesti e Alessandro da Morrona 9.

La necessità di tornare sul sonetto al Riminaldi è giustificata anche dall'analisi comparata degli altri ventitré componimenti a tema artistico delle Rime del 1629 10, la quale dimostra che l'ermeneutica del Maia Materdona è meno profonda, e ovviamente meno specifica rispetto alle Vite del Baglione, o alle Notizie del Baldinucci. La fedeltà dell'artista alla natura che contraddistingue il sonetto al Riminaldi, invero, è uno dei temi ricorrenti nelle Rime, con espressioni sempre molto simili. Cavalier d'Arpino, gli ignoti Gaspare Torelli e Marcantonio Vinta, nonché il pittore provinciale e attardato Giovan Pietro Zullo, al pari di Tiziano Vecellio, sono tutti egualmente lodati per aver vinto l'arte mediante la loro fedeltà alla natura 11. Si sarebbe dunque tentati di sottovalutare la validità del sonetto al Riminaldi del Maia Materdona come testimonianza, ma il confronto con il Marino, riferimento primario del poeta 12, induce a ritenere che ci si sbaglierebbe. La ricerca ha dimostrato che alcuni elogi nella Galeria a maestri oggi svalutati o dimenticati, ad esempio Lucilio Gentiloni ed Ercole Abbadi 13, sono basati sull'effettivo successo goduto da loro mentre erano in vita. Malgrado Luigi Lanzi ritenesse entrambi immeritevoli di essere lodati dal Marino 14, è ormai acquisito che il primo fu un disegnatore ritenuto capace di imitare efficacemente Bartolomeo Passarotti, procacciatore di disegni di Tiziano e Raffaello per Cesare d'Este e parte della cerchia del cardinale Ippolito, della stessa famiglia 15. Ercole Abbadi, invece, fu al servizio degli Estensi a Modena e venne incaricato di restaurare la Madonna del San Sebastiano di Correggio 16. Non sono state condotte ricerche sugli artisti oggi ignoti o svalutati che il Maia Materdona lodò nelle sue Rime, ma è comunque certo che Giovan Pietro Zullo fosse più dotato di quanto potremmo ritenere oggi, come lascia supporre il sonetto ecfrastico che gli dedicò Daniele Geofilo Piccigallo e i cinque componimenti encomiastici su di lui scritti da Donato Antonio Cito 17.

Nel sonetto a lui dedicato, dunque, Orazio Riminaldi riesce a ritrarre il poeta in una maniera che il Maia Materdona ritiene, adottando un punto di vista comparativo, emozionante come quella scelta da Giovan Pietro Zullo per effigiare la madre di questi, ma ciò non può invalidare la fondatezza dei giudizi del poeta in materia di belle arti, per quanto strano ciò possa suonare. Giudizio, in questa sede, si deve intendere come «facoltà attiva dell'intelletto, che paragona le idee, e ne ricava delle conseguenze», la quale «supplisce alla mancanza delle nostre cognizioni, mentre presume che le cose siano in una certa maniera» 18. Nelle Rime del Maia Materdona una delle premesse certe del giudizio del poeta in materia di belle arti è scritta nei due versi che aprono il primo sonetto in lode del Cavalier d'Arpino:

«Lessi, GIUSEPPE, anch'io più di una volta,

Che l'Arte è di Natura imitatrice» 19.

Si tratta di un modo di vedere la pittura e la scultura molto diffuso, invero quasi obbligato per chi volesse scrivere di arte tra il XVI e il XVII secolo, tant'è vero che si trova in Lodovico Dolce, nel Vasari, nell'Agucchi, in Giulio Mancini e in Vincenzo Giustiniani 20. Esso però è importante perché testimonia, benché in maniera indiretta, il legame tra il Maia Materdona e il Marino, il quale nelle Dicerie Sacre definiva pittura e scultura «sagaci imitatrici della natura» 21. È necessario ribadire il legame tra i due perché il primo amava visceralmente le opere del secondo, al pari degli intellettuali nelle accademie che frequentò: degli Oziosi a Napoli, degli Umoristi a Roma, dei Gelati e quella della Notte a Bologna. Nonché nella cerchia della famiglia Ludovisi 22. Rimane traccia nelle Rime del Maia Materdona di quanto egli fosse stato influenzato dagli scambi intellettuali in quei sodalizi e dalla metodologia descrittiva del marinismo: ad esempio, nelle liriche in lode di Giovanni Valesio, Agostino Tassi, Guercino, Guido Reni e Piermarino Stella per aver realizzato dei notturni 23. Come è noto, Marino cercava di abbattere i confini tra pittura e scrittura 24. Probabilmente, con quelle liriche il Maia Materdona ambì a fare lo stesso. Allo stato attuale delle conoscenze, infatti, non è possibile accertare se la serie di dipinti sulla notte sia esistita davvero oppure se si tratti di un caso di variatio su un contenuto identico ma declinato in modi diversi: un genere in cui il Maia Materdona si era già cimentato con Le buone feste, opera in prosa uscita nel 1624 25.

Per comprendere se il sonetto in lode di Orazio Riminaldi possa davvero facilitare la comprensione della sua arte, occorre un termine di paragone. Dei versi, cioè, che siano stati scritti riportando non fatti storici, ma giudizi in merito a un artista di cui rimangano a oggi le opere. Tra le varie liriche possibili, sembra particolarmente opportuno focalizzare l'attenzione sull'evocativo epitaffio di Masaccio nella chiesa del Carmine a Firenze, scritto da Annibal Caro in italiano e pubblicato anche nella Torrentiniana 26. Esso dimostra che talora nei versi encomiastici si possono ritrovare consonanze con i giudizi critici coevi sulla storia delle belle arti, e possono sintetizzarli. Invero, la consonanza di vedute tra Annibal Caro e il Vasari è tanto palese perché il letterato fu un suo fedele consigliere, che revisionò anche la prima edizione delle Vite 27: ciò malgrado, la quartina a Masaccio merita comunque di essere adottata come termine di paragone e, pertanto, di essere riproposta in questa sede perché rimase attuale per secoli. Francesco Maria Niccolò Gabburri la trascrisse nelle Vite di pittori perché la ritenne composta «con tutta ragione»:

«Pinsi e la mia pittura al ver fu pari.

L'atteggiai, l'avvivai, le diedi moto,

Le diedi affetti, insegni il Buonarroti

A tutti gli altri e da me solo impari» 28.

Laddove il Caro sceglie un ordine delle parole lineare, il Maia Materdona opta per una diversa disposizione delle parole, che enfatizzi i loro risvolti emotivi e coreografici. Sembra aver avuto un valore esemplare, per il poeta pugliese, il sonetto che Giovanni della Casa scrisse in lode del Vecellio per avere effigiato Elisabetta Querini, la donna da lui amata: «Ben veggio io, Tiziano, in forme nuove», citato dal Vasari e studiato anche dall'arcade Domenico Maria Manni 29. La scelta del Maia Materdona di inserire il nome del pittore come proposizione incidentale nel primo verso, e di concluderlo con un enjambement, sembra richiamare infatti «Ben veggio io, Tiziano, in forme nuove». Il distico al termine della prima quartina nel sonetto al Riminaldi «ritrasse mai l‘effigie mia sì al vivo, / come già l‘ha ritratta il tuo valore» 30 è ordinato in maniera prossima al parlato, come fa anche monsignor della Casa nella conclusione di tutte le strofe. Si veda ad esempio: «in vostre vive carte e parla, e spira / veracemente, e i dolci membri move». Così come il Maia Materdona, rivolgendosi al Riminaldi, gli dice: «Raddoppi un huom, se d'huom tu pingi un viso, / nel ritrar chi è dolente allunghi i pianti,/ nel ritrar chi è felice allunghi il riso», allo stesso modo il cuore del monsignore «doppio ritrov[a] / il suo conforto, ove talor sospira; / e mentre che l'un volto, e l'altro mira, / brama il vero trovar, né sa ben dove». Per il Maia Materdona, infine, Orazio Riminaldi è «industre», mentre per Giovanni della Casa Tiziano è «oscuro fabbro a sì chiara opra eletto». Che il monsignore potesse avere un valore esemplare per il Maia Materdona non è sorprendente: egli era rinomato per la maestà con cui scriveva delle pitture delle donne che ha amato, e perché le sue rime avevano per scopo precipuo la meraviglia: fu scelto per essere uno dei numi tutelari dell'Accademia della Notte a Bologna, con cui entrò in contatto il Maia Materdona 31. Se il legame tra il sonetto al Riminaldi e quello a Tiziano fosse davvero consapevole, saremmo di fronte a un caso di «raffinata riscrittura della realtà secondo un codice esemplare» tipico del petrarchismo tra Cinque e Seicento 32. La stessa operazione messa in atto dal Marino con le carriere di Lucilio Gentiloni ed Ercole Abbati.

Che il Maia Materdona avesse composto i suoi versi in lode del Riminaldi avendo una autentica conoscenza della sua arte, e fosse genuinamente consapevole del suo valore, sembra essere dimostrato dal ricorrere in esso di una espressione tipica dell'arte europea tra gli anni Novanta del Cinquecento e il quinto decennio del Seicento: «al vivo». Nelle Rime, essa compare solamente nel sonetto in lode del Riminaldi, perciò sembra lecito supporre che si tratti di una valutazione specifica, nata grazie all'osservazione diretta del ritratto eseguito dall'artista. Anche se non ci sono prove che sia mai stato realizzato. Tra Cinque e Seicento, rappresentare un paesaggio, una persona, un oggetto o un animale «dal vivo», «au vif», «naar het leven», divenne una vera moda con varie possibilità di interpretazione, che oggi sembrano talora perfino incompatibili fra loro, come ha sintetizzato Sheila McTighe 33. «Al vivo», nel sonetto al Riminaldi, e la conclusione con il riferimento al piangere e al ridere, richiama la definizione della parola vivacità in ambito artistico che diede Filippo Baldinucci:

«qualità delle figure ben dipinte o scolpite: ... un certo che di spiritoso, che consiste ... in tre parti della faccia, cioè negli occhi, che sieno desti, e non addormentati, massimamente nel guardar fiso alcuna cosa, onde paiono aver'abbondanza di spiriti; nelle narici assai aperte, come chi nel respirare, tira e manda fuori molta copia d'aria; e nell'aprir la bocca sempre un poco più del bisogno, tutt'e'tre proprie degli adirati, che però mostrano gran vivacità: conviensi alla gioventù, alla virilità, ed alle femmine sfacciate» 34.

Quando uscì la prima edizione delle Rime del Maia Materdona, nel 1629, il poeta aveva trentanove anni 35. Probabilmente, Riminaldi era riuscito a rendere la forza della sua maturità nel ritratto che gli fece: Alessandro da Morrona, in effetti, ritenne che quel pittore avesse superato il suo maestro Orazio Gentileschi nella resa degli incarnati grazie al chiaroscuro. Aggiunge, inoltre, che il Riminaldi «pennelleggiò con gusto nobile e maschio» 36.

Sembra ora opportuno discutere due opere che mostrano oggi le doti di quel pittore come ritrattista nella sua giovinezza da caravaggista e, presumibilmente, dopo il raggiungimento della maturità. Entrambe sono correlate di iscrizioni seicentesche col nome del pittore: l'Autoritratto degli Uffizi (fig. 1), realizzato forse intorno al 1620 37

Fig. 1 - ORAZIO RIMINALDI, Autoritratto, 1620 circa, olio su tela, 67 x 53,3 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi, © Wikimedia Commons. Foto cortesia di Simone Andreoni
Fig. 1 - ORAZIO RIMINALDI, Autoritratto, 1620 circa
olio su tela, 67 x 53,3 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
© Wikimedia Commons, Foto cortesia di Simone Andreoni

e il disegno raffigurante il volto di donna di tre quarti dell'Albertina a Vienna (fig. 2).

Fig. 2 - ORAZIO RIMINALDI, Capo di giovane donna, s. d., pietra rossa su carta marroncina, 19,5 x 15,9 cm, Vienna, Albertina. © Albertina.  Foto cortesia di Simone Andreoni
Fig. 2 - ORAZIO RIMINALDI, Capo di giovane donna, s. d.
pietra rossa su carta marroncina, 19,5 x 15,9 cm
Vienna, Albertina. © Albertina. Foto cortesia di Simone Andreoni

Poiché l'obiettivo del presente studio non è fare connoisseurship, le due opere risultano meritevoli di trattazione in questa sede perché il nome del Riminaldi, scritto rispettivamente sul retro della tela e sul bordo inferiore del foglio, dimostra che egli fu ritenuto capace di creare entrambe. Le loro caratteristiche stilistiche, così come si possono cogliere oggi, sembrano coincidere in modo particolare col giudizio che Ranieri Tempesti nel Settecento diede del pittore, esteso in seguito dal da Morrona 38. In effetti, l'Autoritratto è all'opposto delle caratteristiche della vivacità così come connotata dal Baldinucci. Orazio ha gli occhi aperti, ma guarda verso sinistra; il suo volto è in penombra, con le labbra serrate. Non cerca l'osservatore: è quest'ultimo che si imbatte nell'artista. I dettagli sono pochi: questo quadro sembrerebbe piuttosto un bozzetto. Senza contrasti luministici eccessivi nell'incarnato e nei panneggi, e neppure pennellate impetuose. Si direbbe, perciò, l'elaborazione di un artista «pieno ... del più vivace e tenero sentimento» che cerca nella Natura quanto «più piace e dolcemente inganna», al pari del disegno dell'Albertina, che sembrerebbe quasi un'attualizzazione seicentesca di una testa disegnata dal Verrocchio, con una certa aggraziata attenzione al naturale, evidente nella capigliatura. Precisamente ciò che i committenti italiani più sensibili al classicismo si aspettavano e che, plausibilmente, il Riminaldi aveva imparato ad adottare, giacché parve nato per emulare Domenichino, come scrissero sia il da Morrona sia Luigi Lanzi 39.

È ormai acquisito che i giudizi formulati da letterati e poeti sui pittori, definibili in inglese come criticism, non possono essere considerati scientifici e neppure storici: semplicemente, formalizzano come il poeta ha reagito all'opera 40. «Non di cristallo, ORAZIO, e non di rivo» è meritevole di considerazione perché racconta una moda artistica del primo Seicento, quella dell'«al vivo», e completa, da un punto di vista emotivo, la visione critica sul Riminaldi che ebbero i letterati toscani e pisani. Quel sonetto risulta, quindi, un valido mezzo ermeneutico per comprendere come era percepita l'arte di quel caravaggesco atipico che fu il pittore pisano, giacché completa con una dimensione emotiva i resoconti del Tempesti e del da Morrona sul Riminaldi, aggiungendo ulteriori spunti di riflessione.

                            
                       

NOTE

1 LATTUADA 2021, p. 45. PALIAGA 2021, p. 25.

2 CAROFANO E PALIAGA 2013, Orazio Riminaldi 2021.

3 MAIA MATERDONA 1629, p. 71.

4 CAROFANO E PALIAGA 2013, pp. 11-12. PALIAGA 2021, p. 28.

5 PIERGUIDI 2013, p. 92.

6 FABBRI 2019, pp. 186-197.

7 SACCO 1625, p. 88; ERRICO 1634, p. 141; Memorie 1672, p. 8. CRESCIMBENI 1730, IV, p. 170.

8 MAIA MATERDONA 1629, p. 71.

9 CAROFANO E PALIAGA 2013, pp. 17-18.

10 MAIA MATERDONA 1629, pp. 18, 28, 69-84.

11 MAIA MATERDONA 1629, pp. 28, 70, 72, 76, 84. CALÒ 1969, pp. 194-195. RIZZO 1989, p. 439. FOSCARINI, VETRUGNO, BOLOGNINI 2000, in part. pp. 80-81.

12 RUSSO 2006.

13 MARINO 1620 Galeria, pp. 11, 30.

14 LANZI 1825, p. 406 nota *.

15 GUBBIOTTI 2010, p. 42 e nota 41.

16 GHIDIGLIA QUINTAVALLE 1960.

17 GEOFILO PICCIGALLO 1609, p. 48. CITO 1619, pp. 177-179. LOFANO 2022.

18 Dizionario filosofico 1785, p. 114

19 MAIA MATERDONA 1629, p. 72.

20 MAHON 1947, pp. 126-127. MANCINI 1956, p. 13. GIUSTINIANI 1981.

21 MARINO 1620 Dicerie, p. 1r.

22 ISEPPI E TOMEI 2022, pp. 130-138.

23 MAIA MATERDONA 1629, pp. 79-83.

24 RIZZARELLI 2013.

25 RUSSO 2006. ISEPPI E TOMEI 2022, p. 132.

26 VASARI 1966-1987 Torrentiniana, p. 115.

27 AGOSTI 2021, pp. 53, 80, 82.

28 GABBURRI 1730-1742,vol. IV.

29 MANNI 1757, XIX, p. 75. VASARI 1966-1987 Giuntina, p. 309.

30 MAIA MATERDONA 1629, p. 71.

31 OTTAVIANI 2010, pp. 197, 281-282. ISEPPI E TOMEI 2022, pp. 87-88.

32 BOLZONI 2015.

33 MCTIGHE 2020, pp. 15-17; 19-23.

34 BALDINUCCI 1681, p. 181.

35 RUSSO 2006.

36 CAROFANO E PALIAGA 2013, p. 17.

37 CAROFANO 2021, pp. 222-223, n. 35.

38 CAROFANO E PALIAGA 2013, pp. 17-18.

39 LANZI 1795-1796, pp. 234-235.MCTIGHE 2020, p. 23.

40 LAND 1986, p. 217.

                                                                  
                                                                  
                                                                  

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PALIAGA 2021

Franco PALIAGA, Una partenza e un ritorno: Orazio Riminaldi tra Pisa e Roma, in Orazio Riminaldi. Un maestro pisano tra Caravaggio e Gentileschi (Catalogo della mostra, Pisa, 28 maggio – 5 settembre 2021), a cura di Pierluigi Carofano e Riccardo Lattuada, Firenze, EDIFIR-Edizioni Firenze, 2021, pp. 25-44.

PIERGUIDI 2013

Stefano PIERGUIDI, Caravaggio e il ciclo della galleria di palazzo Mattei, in “Storia dell'arte”, 136, 36, pp. 87-98.

RIZZARELLI 2013

Giovanna RIZZARELLI, Descrizione dell'arte e arte della descrizione nelle «Lettere» e nella «Galeria» di Giovan Battista Marino, in Barocke Bildkulturen, a cura di R. Stillers e C. Kruse, Wiesbaden, Harrassowitz, 2013, pp. 81-105.

RIZZO 1989

Giorgio RIZZO (a cura di), Gianfrancesco Maia Materdona: opere, Lecce, Milella, 1989.

RUSSO 2006

Emilio RUSSO, MAIA MATERDONA, Gianfrancesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Edizioni Treccani, 2006, ad vocem, https://www.treccani.it/enciclopedia/gianfrancesco-maia-materdona_(Dizionario-Biografico)/ .

SACCO 1625

Francesco SACCO, Saggi di poesia di Francesco Sacco divisi in suggetti Amorosi, sacri, heroici, Heroici, funerali, e varij, Roma, per il Mascardi, 1625.

VASARI 1966-1987 Giuntina

Giorgio VASARI, Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, Firenze, S. P. E. S. già Sansoni, 1966-1987, https://www.memofonte.it/home/files/pdf/vasari_vite_giuntina.pdf .

VASARI 1966-1987 Torrentiniana

ID., Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, Firenze, S. P. E. S. già Sansoni, 1966-1987, https://www.memofonte.it/home/files/pdf/vasari_vite_torrentiniana.pdf .


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