Abstract
Nel
1464 il cardinale veneziano Pietro Barbo è eletto papa con il nome
di Paolo II.
Nel suo palazzo di San Marco aveva iniziato a raccogliere, già prima
dell'elezione, una straordinaria collezione antiquaria, descritta
nell'inventario dell'Archivio di Stato di Roma.
Paolo
II è un appassionato collezionista, un uomo colto e raffinato, che
ama gli studi e i letterati: Leonardo Dati, Giannantonio Pandoni,
Gaspare Biondo, Giannantonio Campano sono solo alcuni degli umanisti
stipendiati di Palazzo. Tra di loro appaiono accademici pomponiani o
personalità a loro vicine, come il cardinale Marco Barbo, suo
nipote, o il Vescovo di Feltre, Angelo Fasolo.
Proprio
l'inventario Barbo aggiunge nuovi dati alla nostra indagine: a
margine del registro, appare, infatti, un'annotazione cifrata
riferibile alla cessione di argenti ad un misterioso personaggio.
Tali caratteri “segreti” potrebbero essere avvicinati, grazie
all'indicazione dell'archivista Lanconelli, a quelli utilizzati
dagli accademici di Pomponio Leto, reclusi nel 1468 a Castel Sant'Angelo per
l'accusa di cospirazione contro la persona del papa. A tal
proposito va evidenziato anche come, nello stretto rapporto tra
letterati e uomini politici cementato ai fini della congiura, abbiano
avuto un ruolo di assoluto rilievo Federico da Montefeltro e Lorenzo
de Medici e le gemme Barbo.
Paolo
II scompare prematuramente nel 1471 in circostanze misteriose; la
vendita al Magnifico di «camagli et gemme de papa Paulo» deve aver
avuto il suo peso anche nell'elezione di Sisto IV della Rovere,
papa successore del Barbo.
La
ricerca muove inizialmente dalla revisione dell'apparato
documentario riferibile agli anni del pontificato di Paolo II
(1464-1471), e si avvale degli appunti inediti di Costantino
Corvisieri, archivista interessato in anni passati allo studio degli
stessi avvenimenti. Tra le varie novità si vuole in questa sede
evidenziare una notizia passata inosservata negli studi e relativa
alla presenza della prima abitazione del Leto, documentata
quest'ultima in via delle Botteghe Obscure prima del trasferimento
dell'umanista sul Quirinale.
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Premessa
L'inventario
del cardinale Pietro Barbo, eletto pontefice col nome di Paolo II nel
1464, è stato il punto di partenza, anni fa, per ricostruire la
favolosa collezione antiquaria che era stata allestita nella
residenza del cardinale veneziano, il palazzo di san Marco a Roma,
oggi palazzo Venezia. L'indagine del contesto storico ha permesso
di ricostruire trame politiche inaspettate, che hanno messo in luce
elementi inevasi legati alla persona del Barbo e all'ambito
umanistico-culturale. Ancor più inaspettato è stato il recupero
degli appunti, e di una prima introduzione per un libro mai edito, di
Costantino Corvisieri, studioso e archivista che molti anni fa
conduceva una ricerca parallela alla mia. Tale miscellanea ha fornito
quel fil rouge utile
al mio lavoro che, passo dopo passo, nel costante confronto, riusciva
a confermare sia i dati dello studioso che i miei, ricostruendo la
maglia di un affascinante intreccio.
Aggiungo
in Appendice parte
della trascrizione della Miscellanea
Corvisieri.
1. Le
Carte di Costantino Corvisieri
Il
Fondo
Costantino Corvisieri ,
consiste in un insieme di circa tredicimila carte (tra appunti, molte
copie di documenti e sorprendenti intuizioni), utili alla conoscenza
della storia della città dal Mille all'Ottocento e necessarie per
il confronto con gli originali, nel caso in cui questi ultimi
esistano ancora; diversamente, in assenza di un originale copiato, le
Carte
Corvisieri
ne costituiscono l'unica testimonianza. Nella miscellanea
appaiono materiali importanti come, ad esempio, l'inventario del
Trecento dei beni della basilica lateranense, i mandati camerali,
l'inventario della collezione di Paolo II Barbo, il Liber
provincialis,
con prezioso folio miniato da Polano, estratti di bollette del Santo
Spirito in Sassia e del palazzo di San Marco. Dal Libro
di conti di Luca da Siena ,
famiglio di Niccolò V, lo studioso annota i nomi degli artisti quali
‹‹Pisanello in San Giovanni in Laterano, Gentile da Fabriano il
28 gennaio 1427, frate Giovanni dipintore›› e ancora, scrive a
margine: ‹‹Beato Angelico?››; prosegue nella sua revisione
dei camerali
con gli anni di Pio II e Paolo II: ‹‹Mino da Fiesole, Antonazzo,
Giacomo da Pietrasanta›› e poi elenca miniatori e scultori.
Grazie ai pagamenti, l'erudito registra i restauri delle strade,
del ponte rotto, della statua di Marco Aurelio o l'acquisto di
anticaglie
.
Ma il grande lavoro
di Corvisieri è stato quello di aver confrontato e raccolto
documenti di diversa collocazione ordinandoli per soggetti. Nei suoi
scritti appare una città in mutazione: sono i tempi delle grandi
fabbriche di S. Pietro, di San Salvatore in Lauro, di S. Maria
Maggiore, di palazzo di Venezia, e le cave di materiali sono ovunque,
come a monte Aventino o presso la petrara
della vigna di ‹‹Nostra Santità›› .
Corvisieri deve aver avuto un interesse specifico per la figura di
Paolo II Barbo: consulta e spesso trascrive i documenti che seguono
le strette relazioni con l'Accademia Pomponiana. Le trame di quella
congiura vengono ricostruite dallo studioso in una serie di appunti
preziosissimi che, anche se non hanno un vero e proprio corpo
organico, tracciano la rete di relazioni tra umanisti e principi del
tempo.
2.
Il cardinale veneziano Pietro Barbo, pontefice di Roma
A
dispetto dei pochi voti ricevuti dai cardinali Carvajal e Scarampo,
il 30 agosto 1464 il conclave, riunito per scegliere il successore di
Pio II Piccolomini (1458-1464), elegge senza nessun tentennamento il
cardinale di San Marco: il veneziano Pietro Barbo, figlio di Niccolò
Barbo e Polissena Condulmer, sorella di papa Eugenio IV, era nato il
26 febbraio del 1418. Avviato al commercio e rimasto orfano di padre,
lo zio pontefice era stato il garante della sua formazione umanistica
e della porpora cardinalizia, ricevuta a poco a più di vent'anni:
dopo l'elezione di Eugenio IV, Pietro Barbo lo raggiunge a Ferrara
per ricevere la tonsura e il cappello cardinalizio col titolo di
Santa Maria Nova a Roma (22 giugno 1440). “Bello di alta statura e
di indole simpatica, aveva l'animo di conquistare l'animo altrui”
,
Pietro Barbo è consacrato papa il 16 settembre 1464, col nome di
Paolo II. Il temperamento del neoeletto è immediatamente manifesto.
Nell'intenzione di togliere potere al collegio cardinalizio, il
papa revoca quanto stabilito in conclave pochi giorni prima,
asserendo la esclusiva sovranità pontificia, già avvisata dal suo
predecessore Pio II, e seguendo la linea accentratrice e assolutista
perseguita dallo zio Eugenio IV Condulmer. Paolo II con un'azione
di forza annulla anche i privilegi agli abbreviatori; ne abolisce il
Collegio, ed elimina i laici dall'amministrazione pontificia,
lasciandoli “senza stipendio”: così facendo in breve tempo si
guadagna lo spregio dei letterati e l'opinione di un papa “senza
litterae”, interpretazione che ha condizionato gli studi successivi
fino all'età moderna. Il giudizio che ne dà il Platina nelle sue
Vita͔͔͔͔e
Pontificum,
scritte all'epoca del successore Sisto IV della Rovere, è
certamente mosso dal livore dei ceppi ricevuti in Castel Sant'Angelo
ai tempi di papa Barbo: «Hebbe
così in odio gli studi della Humanità et così li dispreggiava e
vilipendeva, che tutti quelli che vi davano opera soleva egli
chiamare eretici. Per questo confortava et essortava i Romani a non
fare molto perdere tempo a' figlioli loro negli studii di queste
lettere e che assai era e bastava se essi sapevano leggere e
scrivere»
.
Lorenzo de Medici riferisce al duca Francesco Sforza, che «iI
papa ha prohibito a tutti li maestri de scole che non vole Sua
Santità che leggano poeti latini per la heresia intrata in certi che
se dilectavano de certi poeti».
Il
16 giugno 1451 Pietro Barbo riceve il titolo di San Marco, ma deve
aver abitato nel palazzo adiacente a quella basilica già tempo
prima; il cardinale, futuro Paolo II, dopo l'elezione progetta lo
scrigno per un tesoro prezioso, raccolto in un nuovo foro accanto a
quello antico. La data di fondazione (1455) apposta sulle monete
,
ritrovate nelle fondamenta del Palazzo di Venezia, segna l'inizio
dei lavori della fabbrica di san Marco.
(Figg.
1 e 2)
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Fig. 1 - Medaglia card. Pietro Barbo, 1417-1471 (Papa Paolo II, 1464), card. di S. Marco, Washington, National Gallery of Art, fondo Lisa Unger Baskin, bronzo, public domain, 2007.150.4.a. Foto cortesia Cristina Mochi.
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Fig. 2 - Medaglia card. Pietro Barbo, 1417-1471 (Papa Paolo II, 1464), card. di S. Marco, Washington, National Gallery of Art, fondo Lisa Unger Baskin, bronzo, public domain, 2007.150.4.b. Foto cortesia Cristina Mochi.
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Il complesso, che avrebbe
dovuto avere due torrioni (se ne costruì solo uno), era dotato di un
giardino esterno, il magnifico viridarium,
e l'angolo dominato dalla torre
della biscia
(per la sua scala a chiocciola) costituiva la Platea
Nova,
quinta grandiosa per chi arrivava dal Corso. Vivono con lui i nipoti
Giovanni Michiel, Battista Zeno, Giovanni Barbo
e il fratello più giovane di quest'ultimo, Agostino. Il cardinale
provvede alla loro istruzione e al loro mantenimento. L'altro
nipote, Marco Barbo, del quale Michele Canensi non dimentica di
celebrarne la grandezza ,
vivrà, dopo aver ottenuto il titolo di cardinale di San Marco, negli
ambienti più vicini al giardino di palazzo, già residenza
cardinalizia.
Paolo
II condivide l'amore per l'antico con lo zio Eugenio IV, ma
soprattutto con papa Niccolò V Parentucelli (1447-1455), mecenate e
protettore di studiosi e letterati, occupandosi anch'egli dello
Studium
Urbis;
se le lettere antiche con Niccolò V avevano avuto maestri illustri
quali Lorenzo Valla, Poggio Bracciolini, Crysolora e il Bessarione,
ora le cattedre del ginnasio saranno affidate proprio dal Barbo ad
insigni docenti, come Gaspare da Verona o Pomponio Leto. Inoltre, il
papa particolare cura deve aver dimostrato verso i «giovani
volenterosi»,
come già evidenziava Corvisieri basandosi sulla biografia papale
redatta dal cardinal Angelo Maria Querini nel Settecento, se alla
data del 1470, il pontefice concede a Stefano Colonna la somma di 100
ducati per gli studi del figlio Francesco
.
Ad
elezione avvenuta, Paolo II Barbo ha cercato di rinsaldare la Chiesa,
conferirendo nuova coesione ad essa, combattendo favoritismi ed
eresia, e controllando direttamente gli interessi dello suo stato .
Il papa contrasta energicamente le diatribe tra famiglie avversarie e
interviene tra Everso dell'Anguillara (e i Colonna) e gli Orsini .
Nell'intenzione di un controllo più stretto dei Conservatori
capitolini, il pontefice trasferisce la sede papale al centro di
Roma, nel palazzo di san Marco, di certo più vicino al Campidoglio.
Il
dissenso generale che incontrò Paolo II è stato condizionato anche
dalle sue azioni repressive mosse contro gli ambienti religiosi e
curiali, in sospetto di eresia; Stefano Infessura nel suo Diario
della città di Roma
riporta dell'accusa fatta ai “fraticelli de opinione”, setta
pauperistica eretica di Poli, borgo vicino Palestrina, costretta alla
conversione nel 1467 .
I Fratres,
sulla base di modelli antichi, si erano spinti verso oscene pratiche
sacrileghe, che vennero punite energicamente. Ma tale iniziativa di
papa Barbo era stata animata dallo spirito di riforma che aveva visto
nascere, a Venezia nel 1404, la Congregazione dei canonici regolari
di San Giorgio in Alga, avviata da Ludovico Barbo, suo parente. A
questa comunità di regola agostiniana,
aderirono molti giovani consacrati, tra cui Antonio Correr, Lorenzo
Giustiniani, Marino Querini e lo zio Gabriele Condulmer. Anche se
dobbiamo riconoscere come fondatore della congregazione la figura di
Gabriele Condulmer, va distinto il ruolo di Lorenzo Giustiniani,
elemento propulsore della spiritualità rinnovata della comunità,
nella regola del Vangelo, attraverso le letture di S. Bernardo e di
S. Agostino. Nel 1468 il pontefice Paolo II istituisce la sede della
nuova spiritualità veneziana
nel Convento di San Giorgio a Roma annesso alla chiesa di San
Salvatore in Lauro, secondo la richiesta presentata in curia
dall'ambasciatore veneto a Roma e avanzata da Matteo Carturo,
generale dei canonici di san Giorgio in Alga di Venezia .
La presenza del potere agostiniano in città, così rinsaldato, può
essere giustificata alla luce di tali avvenimenti. Il Pontefice era
stato particolarmente intransigente anche nella lotta contro i
fanatismi: le tangenze tra gli argomenti delle sette religiose
eretiche e i temi frequentati dall'élite culturale-letteraria
furono strettissime e, proprio per evitare tale confusione nelle
condotte, la repressione delle eresie fu da parte di Paolo II
durissima. In relazione ai rapporti tra Pietro Barbo e l'ambiente
umanistico, invece, nuovi aspetti emergono dall'analisi del suo
entourage
più
stretto. Il giovane Barbo aveva studiato con Giorgio Trapezunzio, con
Lotto degli Agli ,
a Firenze ai tempi del trasferimento dello zio papa, con il veronese
Jacopo Rizzoni e aveva frequentato l'aretino Giovanni Tortelli. Più
tardi tra i provisionati,
stipendiati a palazzo, come ricorda Laura Zabeo ,
figurano il letterato fiorentino e amico Leonardo Dati ,
suo primo segretario, il bolognese Lianoro de' Lianori e Cristoforo
da Piacenza, dotto medico di fiducia dell'ecclesiastico - ma anche
familiare e commensale del papa- e Giannantonio Porcellio Pandone,
capace umanista al quale Gaspare da Verona indirizzerà parole
sprezzanti solo per il timore di perdere il ruolo di biografo
papale.
Oltre al Volterrano, è a suo servizio come fiduciario, Gaspare
Biondo, maestro, custode del registro della Camera apostolica il 24
del 1466 ,
e notaio che cura nel 1471 la pubblicazione a stampa della Roma
instaurata
scritta dal ben noto Flavio ,
suo padre. Proprio negli anni del pontificato Barbo, Roma ha già dal
1467 la sua stamperia, aperta dopo il trasferimento da Subiaco
di quell'impresa fondata da due chierici tedeschi Arnold Pannartz e
Conrad Sweynheim, legata all'invenzione dei caratteri mobili in
Germania. Fuor di dubbio, quindi, è l'azione di promozione
culturale e protezione degli ambiti umanistici da parte di Pietro
Barbo. Il veneziano umanista deve essere stato per sua formazione e
provenienza molto lontano dalle fantasie neoplatoniche di Firenze. Il
peculiare interesse del papa per la storia, evidenziato già da
Giuseppe Zippel, «che
ben s'accorda con i suoi interessi antiquari»,
sembrerebbe aver promosso quel processo letterario della memoria
biografica relativa ai pontefici, che difficilmente appare prima
dell'elezione di Paolo II: dal 1464 la corte di Roma registra la
presenza di letterati biografi, che attraverso la narrazione del
vissuto dei pontefici avrebbero guadagnato stima, protezione
personale. Gaspare da Verona, vicino al cardinale Barbo già da anni,
a pochi mesi dall'elezione al pontificato, nei suoi Annales,
compila la prima parte di una biografia papale, sviluppata poi negli
altri libri del De
gestis tempore pontificis maximi Pauli secundi,
sebbene la stesura appaia oggi mutila .
Anche in questo caso, il Barbo è orientato a ripercorrere le linee
dello zio papa. Difatti una tradizione biografica per immagini era
stata avviata già da Eugenio IV, nel ciclo pittorico delle corsie
del Santo Spirito in Sassia (poi restaurato e concluso da Sisto IV)
come ipotizza Stefania Pasti
che, nell'episodio dell'Ingresso
in
Paradiso
del ciclo sistino, vi riconosce il ritratto di Eugenio IV.
Ripristinata la Confraternita del Santo Spirito (utile al
sovvenzionamento dell'ospedale), egli aveva dato avvio al nuovo
cantiere e affidato ai frati con regola agostiniana la cura
dell'istituto .
Ne è precettore il nipote Pietro Barbo.
Dopo il 1478, il
viterbese Michele Canesio redige una nuova biografia
di papa Barbo che sembrerebbe quasi integrare quella sopra menzionata
del veronese. L'autore ha l'intento di difendere Paolo II dalle
accuse del Platina .
Nulla sappiamo invece della Vita di
Paolo II
scritta dal nipote Giovanni, figlio del fratello Paolo Barbo e
indicata da Gaspare da Verona .
Paolo II muore
all'improvviso il 26 luglio del 1471, a soli 54 anni, per un attacco
apoplettico e Platina allude ad un avvelenamento. Aveva mangiato la
sera prima nel giardino. Purtroppo, non aprirà la Porta Santa di
quel Giubileo anticipato e tanto atteso, né vedrà il completamento
dell'amato palazzo di San Marco: i funerali saranno celebrati in San
Pietro.
Lascerà però di sé
una straordinaria collezione.
3. Il fascino
delle pietre. Pietro Barbo collezionista
Già a partire dal
1457/60 fanno parte della favolosa raccolta antiquaria del cardinale
Pietro Barbo mosaici portatili, tavole dipinte bizantine, monete
antiche e cammei documentati nell'inventario dell'Archivio di
Stato di Roma
.
La presa di Costantinopoli del 1453 deve aver contribuito di certo
all'arricchimento della collezione. Eugène Muntz annota nel suo
Les
art à la cours des papes
accanto all'inventario del 1457 che pubblica per intero, un altro
non ben definito del 1471, che dalle sue descrizioni risulterebbe
diverso dal primo. Negli appartamenti verso il viridarium
il cardinale Barbo raccoglie una delle collezioni antiquarie più
ricche del suo tempo: bronzetti, vasi in pietra dura, cammei e
intagli, argenti, monete, icone, mosaici, oggetti liturgici e
paramenta
greci erano distribuiti all'interno delle piccole
camere,
secondo un percorso tipologico suggerito nel registro dell'archivio
di Roma, vero allestimento museografico in
nuce.
La raccolta antiquaria di Pietro Barbo era stata concepita sull'idea
del Thesaurus
medievale, come collezione di piccoli oggetti antichi e preziosissimi
ai quali si affiancano mosaici, icone, tappezzerie e panni ricamati.
In un secondo momento il Barbo si interessò anche alla statuaria,
esibita nel viridarium,
il giardino pensile del Palazzo di San Marco. La collezione nel tempo
si arricchisce cambiando anche tipologia - da Thesaurus
a
Museion-
stimolando le scelte del futuro collezionismo romano. La passione
per gli oggetti antichi e preziosi è rintracciabile nei rapporti
epistolari con Maffeo Vallaresso e Ciriaco d'Ancona, personali
agenti antiquari :
Ludovico Carbone in Ferrara nell'orazione del 1460 saluta il
cardinale «rerum
omnium antiquorum studiosissimum»
e Gaspare da Verona, suo biografo, aggiunge «possem
his addere com tabulas et tapetes alaeaque tam grecorum quam
latinorum comparasse, que non parvi pretii esse creduntur»
.
L'avidità di possedere a tutti i costi beni preziosi fu pari nel
Barbo alla vanità di ostentare la sua ricchezza: «ammassò
gioielli per incastonarli sulla sua corona. Il loro valore fu stimato
in ragione di 200.000 fiorini d'oro, e quando più tardi
l'imperatore venne a Roma, quando al Laterano gli mostrava le teste
degli apostoli, Paolo raffrontò uno smeraldo che decorava le loro
custodie con una gemma che portava al dito per vedere quale delle due
fosse più bella…Forse la passione di Paolo per le cose preziose
derivava dal fatto che un tempo, a Venezia, aveva fatto il
mercante…Chi possedeva un tesoro immenso in pietre e gioielli era
lo Scarampo il quale, morendo il 22 marzo del 1465 divorato dalla
rabbia di vedere eletto il suo peggior nemico, lasciò un patrimonio
di più di 200.000 fiorini d'oro. Poiché avrebbe preferito
trasmetterlo in eredità ai turchi piuttosto che a Paolo II, nominò
suoi successori i nipoti; ma il papa dichiarò nullo il testamento,
fece arrestare i nipoti che erano fuggiti, e, ricondottili a Roma, si
impadronì di una cospicua parte dell'eredità. Carri e carri di
monete d'oro e di oggetti preziosi di ogni sorta, che lo Scarampo
aveva fatto spedire a Firenze, furono scaricati in Vaticano.»
La sua collezione privata si presentava già ricchissima ai tempi del
cardinalato; una collezione assai rara, come rara è stata l'idea
di assicurarne la visibilità e di incrementarne il valore
commerciale attraverso la traduzione in placchette bronzee dei
soggetti delle gemme: 240 gemme antiche, comprendenti cammei e
intagli, disposte all'interno di tavole con cornici d'argento
dorato su cui era inciso il nome del Barbo accostato quello di Bacco.
Eugène Muntz per primo segnala nel 1879 ,
la presenza al Museo Correr di Venezia di una riproduzione in bronzo
di un cammeo Medici (Apollo
e Marsia)
“al rovescio di una medaglia ovale col busto di papa Paolo II”.
Fig. 3 - Giuliano di Scipione, Paolo II Barbo
1464, Washington, National Gallery of Art
fondo Lisa Unger Baskin
public domain,1942.9.157.a.
Foto cortesia Cristina Mochi
Gli interessi di Paolo II sono documentati dalle spese di pagamento
dei registri dell'Archivio di Stato di Roma, nel Liber
Bullectarum
o Mandati Camerali. La carica di registri
Camarae magister
tenuta da Gerardo da Volterra
(detto il Volterrano) sarà assunta da Gaspare Biondo, che divenne
dal 1463 segretario pontificio e maestro e custode del Liber
Bullectarum .
Grazie ai mandati risalenti agli anni tra il 1460 e il 1473 riusciamo
a chiarire molte spese di palazzo: dalle carte apprendiamo che nel
1470 sono stati avviati i restauri per il “caballo di Marco
aurelio” ,
e che il papa ha voluto il trasferimento del sepolcro di santa
Costanza
a piazza Venezia. Nei registri appaiono anche i nomi degli artefici e
frequente è la presenza di «Martino
de Centuras et Cola Sachoccia et sociis pittoribus»
.
Gli elenchi degli artisti sono dettagliati: Gaspare de Tozoli
ha credito per “per uno cammeo et una corniola cum due teste et per
metaglie d'argento et rame”, e Niccolò polano prete miniatore,
Giuliano di amideo da Firenze pittore e miniatore, leonardo di
guiduccio scultore e orefice risultano essere impegnati per il papa.
Negli anni relativi al 1471-73, dopo la morte del Barbo, Sisto IV
della Rovere assolve l'impegno di estinguere i debiti del «tempo
di Paolo II, e per gioie e anticaglie -è
citato anche il Cammeo
di Franzia-
per i lavori della fabrica di San Marco»”
,
e paga il credito a «Cristoforo
de la villa e Compagni depinctori per lavori in san Pietro e san
Marco»
;
il 27 marzo viene invece pagato «magistro
Simoni de Francia miniatore per miniature per certi libri»”
.
Per provvedere all'estinzione dei debiti, il papa della Rovere,
successore di Paolo II, istituisce una commissione apposita, composta
dai cardinali Bessarione, Francesco Gonzaga e Angelo Capranica in
carica fino al 1473 .
Negli anni sistini sembra di poter riconoscere la collezione di gemme
di Paolo II in Vaticano (beni della Camera Apostolica) attraverso la
descrizione delle cornici con Bacco, descritte nell'inventario, in
cui vi erano sistemati i cammei. Certamente il pontefice Sisto IV ne
dispone se, per organizzare la crociata, in data 7 aprile 1471, vende
agli «spettabili
signori Laurenzio et Juliano de Medicis»,
gioielli e balassum
in tabula .
Ancora nel settembre del 1471 lo stesso papa concede in pegno le
gemme di Paolo II .
I preziosi avevano di certo avuto “un ruolo sicuro”
anche nei giochi di potere finalizzati all'elezione di Sisto IV:
allegata al dispaccio del 9 febbraio 1472 del carteggio di Lorenzo
de' Medici, Riccardo Fubini rintraccia una polizza per 35.000
ducati in cui si elencano «camagli
et gemme de papa Paulo»
che ho rintracciato a Firenze ,
inviata da papa .
Alla morte di Paolo
II, la collezione, tra le più ricche d'Europa, è smembrata e poi
dispersa. Suo nipote Marco, cardinale, muore in povertà nella tenuta
vaticana di S. Martinello. Gli appartengono libri per 8000 ducati. E'
probabile che la raccolta di marmi sia stata lasciata nel palazzo di
san Marco. Qualche cammeo rimane al cardinale Gonzaga (+ 1483),
collezionista protetto da Paolo II, mentre altre pietre apparterranno
ad Agostino Chigi, nel palazzo dei Banchi ;
senza dubbio il nucleo più ricco di cammei confluirà nella raccolta
di Lorenzo dei Medici (per accordi con Sisto IV) (Fig.
4). Dopo il 1468, papa Paolo II matura l'idea di trasferirsi al
Vaticano data l'inagibilità del palazzo di San Marco, a causa dei
lavori relativi all'estensione della fabbrica sul fianco della
basilica .
Non è escluso però che la scelta del pontefice possa essere stata
incoraggiata anche per una maggiore sicurezza personale.
Fig. 4 - Tazza Farnese
Museo Archeologico Nazionale
MANN, Napoli. Dalla collezione Barbo poi Medici
Public domain
Foto cortesia Cristina Mochi
4. Cammei e intagli. L'inventario Barbo dell'Archivio di Stato di
Roma
L'inventario
del cardinale Barbo è un volume cartaceo, con filigrane diverse,
costituito da 142 fogli raccolti in coperta di pergamena; sulla costa
appare la data 1457 e sul fronte quella del 1460, sotto
l'intestazione, evidente annotazione più tarda: In
nomine domini, amen Anno a nobilitate domini millesimo
quadrigentesimo septimo, die vero lunae decima octava mensis julii,
factum et inceptum fuit inventarium omnium honorum, equiis exceptis,
reve.mi in Christo patris et domini, domini Petri miserazione divina
tituli sancti Marci Sanctae romanae ecclesiae presbyteri, Cardinalis
Venetarum, per me Johannem Pierti, publicum apostolica et imperiali
auctoritatibus notarium, in presentia ejusdem reve.mi domini
Cardinalis, in modum et formam qui sequitur
Il
documento è diviso in più sezioni, non tutte redatte nello stesso
momento e dalla stessa mano: vi sono elencati in successione cammei,
bronzi, monete, pietre incise, tavole eburnee, argenterie,
tappezzerie, e nell'elenco appaiono anche i libri (parte non più'
presente nell'inventario).
La
straordinaria collezione antiquaria era stata raccolta negli anni del
cardinalato e sistemata nel corpo più antico della costruzione.
Il
registro è opera di tre mani diverse: ad una prima stesura del
notaio Johannes Pierti, che redige l'inventario nel 1457, si
aggiungono poi i fascicoli del 1460. Una terza mano pone annotazioni
a margine della lista dell'inventario, annotazioni preziosissime
che indicano la stima dei pezzi, le donazioni o le vendite. Appaiono
anche nomi che ci permettono di ricostruire con precisione
l'entourage
personale del cardinale: donatus dna
Lucretiae, datum est
banco de baronçellis, dmnus
Pius habuit in die sue assumptionis, donatum
Rafaeli familiare d rothomagensi, donatum est f. Alixandro.
L'inventario
è stato pubblicato integralmente da Eugène Muntz nella sua
monumentale opera Les arts à la cour des
papes del 1878. Dopo il trasferimento
dell'Archivio di Stato di Roma dal convento di Campo Marzio (luogo
in cui lo consulta Muntz) all'attuale sede presso S. Ivo alla
Sapienza, l'inventario Barbo è confluito nella sezione
dell'Appendice Camerale I, al n° 24, con l'intestazione
Inventarium domini cardinalis Sancti Marci
antequam esset papa Paulus II.
5.
Argentum, seu vasa argentea pro altaria
portatilia
Insieme
a quella spettante ai cammei e agli intagli, è questa la parte
dell'inventario più curata, per informazioni e descrizioni
capillari. Gli argenti sono descritti minuziosamente e se ne annota
il peso in libbre. Al folio
53 r appare a margine la nota di cessione a terzi (Fig. 5).
Fig. 5 - Inventario Barbo, copia
Archivio di Stato di Roma
Camerale I, Appendice 24, f. 53r, caratteri cifrati
Foto cortesia Cristina Mochi
I
caratteri sono indecifrabili. Ne parla Muntz nel suo
saggio, ma non riesce a decifrare il messaggio. Massimo Miglio
riconosce la grafia di papa Paolo II alla luce del confronto operato
con le lettere autografe del Barbo nell'Archivio Segreto Vaticano
.
Tali segni particolari sono da riconoscere come caratteri cifrati in
uso certamente in ambito commerciale a Venezia e negli scambi delle
segreterie di corte già dal primo Rinascimento. Ma essi sono in uso
anche presso gli umanisti al tempo di Paolo II: Lanconelli
dell'Archivio di Stato di Roma, molti anni fa, mi riferiva che
caratteri simili si riscontrano presso gli accademici pomponiani
rinchiusi a Castel Sant'Angelo, che, ormai in carcere dopo la
cattura del 1468, lasciano messaggi criptici sugli intonaci. È
impossibile sciogliere con certezza il significato o cercare un nome
nella nota dell'inventario, ma è più facile intuire le relazioni
tra il pontefice umanista e la cerchia colta e intellettuale dello
Studium
Urbis
e delle accademie romane. Perché nascondere quel nome? Miglio
riconosce Lucrezia.
Forse Lucrezia d'Alagno, amante di Alfonso di Napoli, esule a Roma,
protetta dal cardinale Barbo e residente presso San Marco; oppure
potrebbe essere Lucrezia Farnese, figlia di Ranuccio il Vecchio,
citata nella biografia di Paolo II di Gaspare da Verona ,
e residente in prossimità del palazzo cardinalizio. Ma nessuna
ipotesi è del tutto convincente.
L'annotazione
non è sfuggita a Corvisieri, che nei suoi appunti accosta la scritta
a margine del nostro codice a certe carte di cancelleria di Fausto
Maddaleni Capodiferro, segretario del cardinale Giovanni Colonna.
Quest'ultimo, zio di Pompeo Colonna e strettissimo parente del noto
Francesco Colonna da Palestrina, protegge gli accademici nel proprio
palazzo. Il registro di Maddaleni è ora nella Biblioteca Vaticana e
vi è all'interno una legenda per decifrare i messaggi cifrati .
Pur trattandosi di caratteri diversi dai nostri, la nota e ne
ribadisce l'uso ancora nel XVI secolo tra gli ambienti politici. La
rete di relazioni ricostruita da Costantino Corvisieri fa luce anche
sugli stretti legami tra Roma e la corte di Urbino: nel manoscritto
Urb. lat. 998, appaiono 72 cifrari utilizzati dalla cancelleria di
Federico da Montefeltro. Alla c. 26 v., dove appare trascritto
l'alfabeto criptico, mi sembra anche di poter leggere card.
sti Marci.
6.
Paolo II e l'entourage
culturale. Gli anni della congiura
Dall'ottobre
del 1468 papa Paolo II si trasferisce in Vaticano a causa dei lavori
di Palazzo san Marco
quando in città era arrivata anche la peste. Il pontefice teme
l'avanzata degli eserciti di Ferrante d'Aragona e la visita di
Federico III a Roma è ulteriore fonte di preoccupazioni. L'umanista
Antonio Patrizi Piccolomini è incaricato di redigere la cronaca
degli avvenimenti .
I sospetti legati alle trame politiche sono confermati dalla
circolazione di dispacci cifrati .
Durante una passeggiata nei giardini vaticani anni prima di
quell'ottobre del 1468 Leonardo Dati invita Leon Battista Alberti a
interessarsi alla crittografia, per meglio intercettare gli
exploratores
e per rendere più sicura la propria corrispondenza. L'Alberti
scriverà il De
Componendis Cifris nel
1467.
Sempre
nella cerchia accademica, Evangelista Maddaleni Capodiferro, già
ricordato, registra sul suo brogliaccio annotazioni cifrate. Il
letterato è anche l'autore di Naevia,
dedicata ai cardinali Niccolò Ridolfi, Francesco Salviati, Innocenzo
Cybo .
Qualche
mese prima del trasferimento di Paolo II nel palazzo di S. Pietro, il
28 febbraio del 1468 dei «docti
gioveni, poeti e philosophi»,
tra loro è Pomponio Leto, sono accusati di eresia e di immoralità,
rinchiusi in Castel Sant'Angelo, interrogati e torturati. Agostino
de' Rosii, ambasciatore milanese presso il Vaticano scrive a
Galeazzo Maria Sforza:
«havevano
facti una certa secta za più dì, de persone assay, et tute volta
multiplicava de gente de ogni condicione, la più parte famigli de
cardinali et de prelati. Et costoro tenevano opinione che nun fusse
che altro mondo che questo, et morto il corpo morisse l'anima, et
demum che ogni cosa fusse nulla se non attendere a tuti piaceri e
voluptà, sectatori di Epicuro e de Aristippo, dummodo potesseno far
senza scandalo, non za per tema de Dio, sed dela iusticia del mondo,
havendo in homnibus respecto al corpo, perchè l'anima tenevano per
niente. Et ita non facevano altro che godere manzando carne la
quadragesima, non andar mai a la messa, se non curar de le viglile,
ne de santi et al tucto contempnendo papa, cardinali, giesia
catholica universale. Dicevano che santo Francesco era stato un
ypocrita et demum se facevano beffe de dio e de li santi, vivando al
suo modo usavano maschi e femine promiscue et indifferenter cum
singulis similibus etc. Se vergognevano esser domandati per nome
christiani. propterea se li Havevano facti mutare et se chiamaveno li
sosprascripti nomi stranieri de simile…»
.
Si
parla di eresia, sodomia e congiura intentata ai danni di Paolo II.
Gli Accademici di Pomponio Leto, accomunati dalla passione per le
antichità, erano soliti riunirsi presso la casa del Leto sul
Quirinale, ove discutevano di filosofia, letteratura, e arte,
organizzando passeggiate archeologiche, letture, banchetti e
rappresentazioni di opere classiche.
Giulio
Pomponio Leto ,
era figlio illegittimo di Giovanni da Sanseverino e fratello di
Roberto principe di Salerno, e decise nel 1450 di trasferirsi a Roma,
dove studia con Valla, con Pietro e Teodoro Gaza e con Pietro Odo da
Montopoli. Evidentemente in buoni rapporti con l'allora papa Paolo
II, nel 1464, subentra a Pietro Odo nell'insegnamento di Retorica
alla Sapienza. Leto già dal 1457 raccoglie intorno a sé un gruppo
di umanisti, denominato Accademia Romana o Pomponiana. Il Leto abita
in un primo periodo Ad
apothecas obscura ,
alle botteghe oscure, a poca distanza dal palazzo di san Marco,
notizia evidenziata da Magister ,
ma passata inosservata. Trasferitosi a Monte Cavallo sul Quirinale,
la casa sarà restaurata nel 1479 e
ingrandita per un nuovo acquisto: «la
sua casa sul Quirinale era piena zeppa di frammenti di antica
architettura e scultura, di iscrizioni e di monete antiche. Qui dove
tutto ricordava il paganesimo romano, raccoglievansi i suoi scolari
ed amici»,
con lo scopo precipuo di promuovere il latinismo più puro. «In
casa si sprofondava in mezzo agli scrittori antichi, che ornava di
note marginali e ricopiava con calligrafia ferma ma fine»
.
Tra di loro era l'uso di datare le proprie opere ab
urbe condita.
Del Leto non si conosce il vero nome, ma sappiamo quelli dei sodales
più noti, citati dal Sabellico
anni più tardi: Bartolomeo Sacchi di Pastena detto il Platina,
futuro segretario di Sisto IV e protetto dal cardinale Francesco
Gonzaga, Filippo Bonaccorsi (Callimaco), Emilio Boccadelli, Marco
Romano (Asclepiade), Marino Veneto (Glauco?), Pietro Demetrio da
Lucca (Petreio), Giovan Battista Capranica (Flavius Pantagato), Paolo
da Pescina (Paolo Marso), Agostino Campano .
Il cardinale Bessarione ne diventa protettore. I sacerdotes
Achademiae riconoscevano
come unico maestro il Leto, nominato Pontifex
Maximus.
Il 28 febbraio del 1468 gli accademici, quasi tutti pieschi, sono
quindi accusati di congiura: Petreio (Pietro Ammannati Piccolomini)
aveva confessato che Callimaco Esperiente e altri complici avevano
deciso di uccidere il papa il 2 marzo, mentre si recava alla basilica
di S. Marco. Callimaco, Petreio, Glauco Condulmer (segretario del
cardinale Bartolomeo Roverella) fuggirono da Roma; altri si
rifugiavano nel Regno di Napoli; Bartolomeo Platina (allora
segretario del cardinale Francesco Gonzaga, protetto di papa Paolo),
Lucido Fosforo Fazino, Antonio Settimuleio Campano, Agostino Maffei
verranno rinchiusi in Castel S. Angelo, sotto la custodia di Rodrigo
Sánchez de Arévalo, consigliere e custode. Pomponio Leto è
arrestato a Venezia nel 1468: era partito qualche mese prima,
lasciando Roma, divenendo precettore di Andrea Contarini e Luca
Michiel, parenti di Paolo II.
L'umanista,
accusato dalla Repubblica per empietà e sodomia e condannato, scampa
alla gogna grazie all'estradizione richiesta dal papa che obbligava
Venezia alla consegna dell'empio al tribunale ecclesiastico. Leto è
colpevole anche per aver scritto un libro immorale, di cui poco
sappiamo. Una volta a Roma, Pomponio sarà imprigionato e prima del
maggio 1469, dopo la “difesa” tanto nota, liberato. Proprio da
quell'anno riprenderà le sue lezioni nello Studium.
Anche Pomponio dichiara la sua innocenza ma vero è che nessuno degli
imputati aveva negato la congiura. Papa Barbo quindi conosce
Pomponio, lo protegge reclamandolo da Venezia a Roma, gli restituisce
la cattedra a La Sapienza.
Tra
i destinatari degli scritti del Leto appare Angelo Fasolo da
Chioggia, vescovo di Feltre, che visse nella famiglia del pontefice
Barbo e i cui rapporti con la cerchia dei letterati prossimo al Leto
sono ampiamente documentati .
Sventata la congiura, a nulla servirà la strenua difesa del vescovo
nei confronti del giovane protetto e familiare Settimuleio Antonio
Campano; rilasciato dopo la cattura, egli morirà nel 1469 a seguito
delle torture subite. Accademico pomponiano è pure Gaspare Biondo,
notaio apostolico e segretario pontificio: il Leto gli dedica sia una
vita del poeta Stazio sia l'edizione a stampa di Nonio Marcello .
Ma anche Paolo II ha contatti diretti con la cerchia degli
accademici. Dai registri camerali sappiamo che Giannantonio Campano
ha uno stipendio e Leonardo Montagna, provisionato,
scrive epigrammi ai cardinali Francesco Gonzaga e Marco Barbo, a
Niccolò Perotti, e a Pomponio Leto prigioniero a Castel
Sant'Angelo .
Montagna è a servizio dei cardinali Lorenzo Zane, nipote e tesoriere
del papa, e Roverella. Il cardinale Marco Barbo presiede alla
commissione dell'inchiesta contro gli accademici. Questi ultimi
per assenza di prove, in riferimento ai capi di imputazione, eresia,
sodomia, immoralità saranno liberati nel 1469, ad esclusione del
Platina (nel 1471). Il sodalizio viene comunque abolito e riprenderà
le adunanze solo con il pontificato di Sisto IV, quando, nel 1478,
l'Accademia Romana verrà riconosciuta come confraternita
religiosa .
Non
possiamo ritenere i sospetti di Paolo II del tutto infondati, né
credere ad una generica accusa di eresia. Su Filippo Bonaccorsi era
caduto il sospetto di aver tramato con Maometto II, ai fini di
rovesciare il governo pontificio. A tale proposito, Paola Medioli
Masotti
ha indagato i fatti relativi alla congiura dei pomponiani
individuando la possibile alleanza tra letterati e principi italiani
(e con Maometto II). La corrispondenza medicea illustra con chiarezza
i disegni ambigui dell'alleanza -Napoli, Firenze, Milano- lega
filopapale. Federico da Montefeltro, fino a questi anni principale
braccio armato della difesa del papa, temendo per la stabilità dei
propri possessi sembrerebbe aver avuto dei ripensamenti. I contatti
con l'ambiente romano sono testimoniati anche dalle annotazioni dei
prestiti dei codici della Biblioteca urbinate agli accademici del
Leto .
In
relazione all'accusa di eresia, è ancora la corrispondenza a
fornire maggiori dettagli: Daniele Conti
studia la lettera privata di Agostino Patrizi Piccolomini inviata
poco dopo la congiura ad Antonio Monelli, fratello di Giovanni
Monelli familiaris
del pontefice, per aggiornarlo sugli eventi di Roma.
La
relazione stretta tra Patrizi e Pomponio è attestata oltre dalla
presenza della missiva, anche dai codici copiati o annotati dallo
stesso Leto nella sua ricchissima biblioteca privata. La lettera cui
fa riferimento lo studioso ci informa che «la
letteratura classica, per questi elegantioli,
si era sostituita in tutto alla teologia cristiana al punto da
sfociare non solo in un generico anticlericalismo, ma nella negazione
stessa del cristianesimo»,
posizione piuttosto rischiosa nella Roma di papa Barbo. Ma allo
stesso tempo il documento riferisce, attraverso le conversazioni tra
il Patrizi e Marco Franceschini ,
la necessità di «dissimulazione
sotto
il cui velo le opinioni sulla religione cristiana venivano coperte»
.
Marco Antonio Franceschini, citato nella lettera, è un accademico
coinvolto, familiare di Giannantonio Campano, pomponiano e
provisionato di Paolo II. Franceschini, molto legato al Bonaccorsi
(Callimaco), lo seguirà a Chio. Purtroppo, la storiografia papale
non segue gli eventi legati alla congiura né aggiunge elementi utili
alla ricostruzione dei fatti: la biografia di Gaspare Veronese non ci
è arrivata per gli anni relativi al 1468, e La
vita di Paolo II
del Canensis evita discretamente ogni allusione alla congiura. A
questo si aggiunge l'ulteriore assenza dei registri della Camera
Urbis
per agli anni 1468-74, corrispondenti al pontificato di Paolo II.
Sebbene il Platina, ormai bibliotecario, confermi la presenza degli
Annales
del veronese in Biblioteca Vaticana ancora nel 1475 - i testi sono
ceduti in prestito a Pomponio Leto-, i volumi del 1468 sono
scomparsi.
Zippel,
nel 1904 non maschera il sospetto di un'azione mirata volta a
cancellare i dati relativi a personaggi di rilievo legati all'ambito
curiale, quando dichiara, la scomparsa del volume riferibile ai fatti
del 1468. Lo studioso riconosce il testo nel codice della
magliabechiana di Firenze, descritto nell'indice settecentesco,
ancora oggi introvabile:
«De
temporibus clementissimi pontificis Pauli II Quintum volumen per
Gasparem Veronensem; cod. chart in-4°, scrit.. saec. XV, serico
rubro tectus. In adversa tituli parte sequentes versus adnotati sunt
:
Sunt
deleta meis quaedam, derosaque chartis:
Magnatum
imperium, qui sic voluere, peregi
“Incipit:
Cum ob suspicionem pestis [a. 1468] Roma abire statuissem, diuque
cogitassem
mecum
quo locorum me conferre commodius possem, tandem in eam ivi
sententiam, ut satius mihi foret Sermonetum proficisci, ubi mensibus
duobus et medio magna voluptate laetitiaque
permansi.
Quare, cum vel apertissime viderem Honoratum [Caietanum] eius oppidi
dominum unice a Paulo Secundo amari, et Paulum Secundum amari ab eo,
institui litteris mandare quae vidi eo toco celeberrimo; nec enim
illa rephrensione dignus ero, si in vita Pontificis summi inseruero
quaedam poene singularia, quae in ea regione cognovi, etc.;»
Dalla
revisione del Fondo Magliabechiano del 1883 il volume non è più
nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Innegabile è però, seppur in
assenza di carte d'archivio, che l'epoca di Paolo II definisce la
centralità di una Roma ritrovata
(centro propulsivo
ne sarebbe stato Palazzo Venezia) nell'ottica più piena della
Renovatio
Urbis:
convergono
in città le istanze antiquariali veneto-padovane -che
indirizzano le scelte del collezionismo quattrocentesco romano-
e che -proprio
a Roma-incontrano
gli interessi degli accademici pomponiani
e della cerchia degli umanisti. Alla spinta verso il nuovo
contribuiscono con operosa solerzia le manifestazioni di pietà
religiosa e sociale;
la Roma descritta nei Mirabilia
Urbis c'è
ancora, ma è una città cristiana che si integra alla memoria
classica e allo studio delle sue vestigia, e si confronta con realtà
culturali distinte; Roma è diventata territorio di confine e di
scambio di linguaggi antichi e di libertà moderne.
Fig. 6 - Jean du Vivier (attr.)
Reliquiario di Montalto
in oro, argento, pietre preziose, perle e sardonice
Montalto Marche, Museo Sistino vescovile
appartenuto a Paolo II
Public domain
Foto cortesia di Cristina Mochi
(vedi nota 47)
Appendice
Le
Carte di Costantino Corvisieri-Misc. Corv., Biblioteca Vallicelliana,
Roma
Cap.
I
Istituzione
e vicende dell'Accademia Urbana, delle sue leggi, riti e istituti,
dei suoi molteplici fini e dei suoi sollazzi academici
Stato
della letteratura italiana nel tempo che surse l'Accademia Urbana
Eugenio
IV fu il primo ad edificare il Ginnasio romano. V.
Fulvio Antic. di R., l. IV, c. XL!, Venezia.
Ad Eugenio successe Niccolò V assai benemerito delle arti e delle
lettere; fu grande ricercatore di codici -v. i miei doc. vaticani ed
anche Zannelli nel Giorn. Arcadico-
Guidò
l'emulazione negli altri principi d'Italia. Si parli della caduta
di Costantinopoli che hasse tanti dotti e tanti libri in Italia e
particolarmente in Roma e Venezia. Invenzione della stampa. Il
Sabellico la chiamò invenzione mandata dal cielo che con incredibile
celerità aveva riempito non solo l'Italia ma quasi tutta l'Europa
d' una mirabile opulenza di libri-Opera Venetiis Albertinum de
lisona vercellensium, 1502, pag. 59, f. 2, epistola ad Benedictum
Cornarum. Sforzi e viaggi degli italiani per ritrovare i testi degli
antichi classici greci e latini. Munificenza dei sovrani a questo
scopo. Risorgimento spontaneo delle belle arti. Capitani italiani
espertissimi della guerra Federico duca d'Urbino, Francesco Sforza
duca di Milano e Gian Giacopo Trivulzio.-v. Rolmini, la vita del
magno Trivulzio, t. I, in princ.- amore per le antichità, persino i
notari ammaniorarono i loro sigilli a guisa di cippi o di altre
anticaglie; ne ho avuto qualche saggio nell'archivio Napoli
parlarne a Narducci-Era di quei tempi di vita tra principati e
repubbliche. Gli uni mal fermi nel trono circondato da sospetti e
gelosie e le altre incerte per l'importante ambizione dei grandi-v.
Muratori, Annali dei tempi-
Saraceni
in Italia. Carlo VIII invade Napoli e caccia gli Aragonesi. Quei che
dicono essere i s… contrari allo studio delle arti e delle
lettere perché non quita le ragioni nella loro politica non
troverebbero riscontro nel secolo XV che fu latt….. di vicende,
e pare si avanzò tanto nel sapere artistico e letterario. Dal
Collegio degli abbreviatori del Varco Maggiore istituito da Pio II,
così il Platina nella vita di Paolo II-Erat quidem illum
collegium…v. Vita Pii II per campanum, op. Muratori, t. 9,pag. 20,
pag.81- Renazzi St. Dell'Università, t.1, p. 171.-Intorno agli
equivoci dei letterati tes…. degli abbreviatori ha trattato il
conte Bossi nella trad. della vita di Leone X dal volgare t. IV note
aggiornate p. 158- perchè Roma attirava tanto i letterati a farvi
dimora. Si può spiegare con i grandi mezzi che avevano di
beneficenza.
Pomponio
Leto
capitolo
II
Della
istituzione dell'Academia Romana e della sua prima calamità sotto
Paolo II
Secondo
il Ginguene st. della Letteratura Italiana V.7 p.1 c. 4, p.3, senza
cercare alcun testimonio fissa l'istituzione dell'accademia
nell'anno 1457, cioè in quello stesso anno in cui … che morto
Lorenzo Valla gli successe Pomponio Leto nella cattedra di Eloquenza-
Il se rendit tres jeune ou il etude d'habord
…L'uso
di cambiare il nome per affettazione di antichità fu comune alla
celebre accademia di Napoli, fondata dal Panormita e promossa poi dal
Pontano, ce ne racconta Apostolo Zeno e il padre Roberto da Fano, il
quale ha anche pubblicato il catalogo degli accademici che la
componevano; e tra i primi si annoveravano , oltre il Panormita
medesimo Facio, Lorenzo Valla, Giovanni Pontano, che poi similmente
fu il primo a cambiar nome, chiamandosi Gioviano, e che fu proprio
imitato dal Sannazaro, dal Galateo, dal Parrasio, dall'Attilio, da
Pietro Summonte, da Francesco Paderico, e da altri centinaia di
eruditi, del Regno di Napoli, che tutti facevano membri di questa
Accademia.
NOTE
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