Abstract
Lastra
Dipinta N.I. MANN 152850 (b),
parte della Tomba
Bisoma
rinvenuta ad Afragola nel 1961, presso la località Cantariello (NA).
Conservata
nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), la tomba datata
intorno al 310 a.C. è composta da due sepolture distinte e unite da
un fregio decorativo continuo su cui sono presenti scene pittoriche
su calce raffiguranti figure femminili legate al rito della libagione
e
al mundus
muliebris,
temi ricorrenti nell'arte funeraria campana. La decorazione è resa
con pigmenti naturali, prevalentemente terre e carbone, su un fondo
bianco e senza disegni preparatori, tecnica che conferisce un aspetto
essenziale e spontaneo alle rappresentazioni.
L'analisi
dell'opera evidenza differenze tra le due unità della tomba: la
prima presenta una superficie più ruvida e opaca, mentre la seconda
ha il fondo levigato. Invece, l'iconografia comune rappresenta
figure femminili in abiti tradizionali osco-campani ed è evidente
una gerarchia sociale. La figura principale è rappresentata in scala
maggiore rispetto alla secondaria.
Dal
punto di vista conservativo, l'opera presentava diffuse lacune e
concrezioni calcaree, dovute a infiltrazioni d'acqua e antichi
interventi con materiali inappropriati, come le stuccature in
cemento. Il recente restauro - svolto in occasione di una tesi di
Restauro dell'Accademia di Belle Arti di Napoli - ha previsto il
consolidamento del supporto e la rimozione delle patine e dei
depositi tramite tecniche innovative, come l'uso di nanocalce e gel
di CO₂. Questo intervento, rispettoso dell'autenticità e della
sostenibilità ambientale ha restituito leggibilità all'opera
garantendo che il manufatto possa essere apprezzato come una
testimonianza dell'antichità e del sincretismo culturale tra
influenze capuane e nolane. |
Premessa
La
Lastra
Dipinta N.I. MANN 152850 (b)
fa parte della cosiddetta Tomba
Bisoma 1,
un monumento funerario campano formato da due casse con una parete in
comune
che,
sebbene considerate come
un
unico monumento, in realtà facevano parte di due tombe distinte,
ciascuna con una propria lastra di copertura 2 (Fig. 1).
Fig. 1 - Due tombe dipinte N.I. MANN 152850
Tomba Bisoma, a sinistra l'Unità 1
con la Lastra Dipinta N.I. MANN 152850 (b)
in corrispondenza della testata. ©Intesa Sanpaolo, 1989
Immagine riprodotta con permesso dell'archivio storico dell'istituto bancario
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Per
agevolare lo studio delle due casse da questo momento saranno
identificate come Unità 1 e Unità 2. L'Unità 1 (Tab.
1)
oggetto d'interesse, riguarda la
Lastra Dipinta 152850 (b)
composta a sua volta da due elementi: un blocco inferiore, su cui vi
è la rappresentazione figurata in esame, e un blocco superiore, con
un fregio dipinto. Il primo misura circa 0,76 m², mentre il secondo,
di forma parallelepipeda, ha dimensioni di 1,01 x 0,98 m, con uno
spessore massimo di 0,23 cm. Nel complessivo la Tomba
Bisoma ha una dimensione di circa 0,99 m
(altezza), 2,38 m (lunghezza) e 1,43 m (larghezza).
Tab. 1 - Scheda tecnica dell'opera
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
La
struttura d'insieme si sviluppa su due livelli: il livello inferiore
costituisce le pareti, mentre quello superiore reca il fregio
modanato. Il materiale utilizzato è il tufo giallo napoletano,
lavorato in lastroni giustapposti a secco, senza l'uso di malta. Le
pareti sono
formate da due lastre di diversa lunghezza, sormontate a loro volta
da un fregio caratterizzato da un listello e una gola dritta,
realizzato con blocchi disposti lungo il perimetro delle casse che,
di larghezza variabile, si appoggiavano parzialmente sul terreno,
aggettando all'interno della tomba.
La
decorazione sulle pareti è stata realizzata su uno strato sottile di
calce, privo di aggregato, su cui è stata dipinta la scena figurata.
Entrambe le unità presentano un'unica rappresentazione sulla
testata, mentre le altre pareti sono decorate con motivi semplici.
Nonostante le due testate rappresentino lo stesso tema, ovvero
quello della libagione 3,
differiscono
per alcuni dettagli: nell'Unità 2 una pennellata gialla incornicia
la melagrana, dettaglio assente nell'Unità 1, dove inoltre la
decorazione del mantello a onde correnti della figura principale è
più semplice. I soggetti si differenziato, tra le due unità, anche
per la diversa armonia nelle forme e la proporzione rispetto
all'architettura di sfondo. Anche la disposizione dei volti delle
figure varia tra le due unità. Il volto della figura minore
nell'Unità 2 è disposto interamente al di sotto della linea di
congiunzione dei due elementi costitutivi, mentre il volto della
figura maggiore è inscritta entro il fregio dipinto su quello
superiore. In questo modo il giunto tra i blocchi separa
perfettamente i due volti senza attraversarli con un maggiore
equilibrio e armonia compositiva nell'Unità 2. Invece,
nell'Unità
1 la composizione appare più spontanea e meno calibrata
nell'esecuzione: il volto della figura maggiore è, anche in questo
caso, della stessa dimensione del fregio che però non è
perfettamente inscritto nel blocco superiore ma di dimensione
ridotte, di conseguenza il volto della figura minore è diviso in due
parti dal giunto di contatto dei due elementi.
L'Unità
2 presenta un'intonacatura più levigata rispetto all'Unità 1,
risultando di un colore più opaco in quest'ultima. Le
pareti laterali di entrambe le casse sono decorate con motivi
semplici, con una superficie prevalentemente bianca e una decorazione
di tre linee parallele (nera, rossa, nera) nella metà superiore. Il
fregio presenta girali rosse come quelle della testata, mentre il
listello è decorato con un kyma 4
a ovuli alternati a cuspidi scure su sfondo rosso. Il lato breve
opposto alla testata dell'Unità 1 presenta una decorazione a
foglie color ocra in corrispondenza della fascia mediana rossa
motivo assente nella lastra di fondo dell'Unità 2 (Fig. 2 e Fig.
3)
5.
Fig. 2 - Decorazione a foglie gialle
sulla lastra di fondo dell'Unità 1
Lastra Dipinta N.I. MANN 152850 (e)
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Fig. 3 - Unità 2, Lastra di fondo N.I. MANN 152850 (f)
e le due lastre laterali (i) e (g)
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
La
scena principale della Lastra
Dipinta 152850 (b) ritrae
una donna di profilo dal lato sinistro che con la mano sinistra cinge
al petto una focaccia, mentre con la destra sorregge uno skyphos 6
nero
con decorazioni a motivi lineari rosse (Fig.
4).
Fig. 4 - Particolare del skyphos nero
con decorazioni a motivi lineari rosse
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
La
figura a sua volta
sovrasta
un fregio a girali, mentre di lato vi è un'ulteriore figura
femminile più piccola - probabilmente a simboleggiare una differenza
di status
sociale - che sostiene una oinochoe 7
nera nella mano destra e una situla 8
a
doppio manico nella sinistra di colore giallo ocra 9.
Al centro della scena, sopra lo skyphos,
è raffigurata una grande melagrana rossa, da cui scende una
pennellata che simboleggia l'essenza del frutto.
Le
due donne sono caratterizzate da tipici abiti del tempo: la figura a
destra indossa un abito chiaro con una cintura dorata decorata con
motivi rossi, un drappeggio bianco bordato di rosso e una mantellina
rossa chiusa sul petto. Inoltre, indossa cinque collane, quattro
delle quali rosse e una con pendenti gialli; i capelli scuri sono
raccolti in un copricapo nero a sua volta trattenuto da una fascia
rossa. L'altra figura è
vestita e ornata in maniera simile, ma ha
i capelli corti e sciolti sulla spalla.
L'iconografia
delle tombe di Afragola segue un modello gerarchico, dove le figure
minori, spesso accompagnatrici della protagonista, sono rappresentate
in scala ridotta rispetto ai personaggi principali. Queste figure
femminili indossano abiti tipici del costume osco, caratterizzati da
stoffe leggere, cinture alte e acconciature elaborate 10.
Ipotizzando
la fase di realizzazione della Tomba Bisoma
è possibile sostenere che il terreno venne scavato per creare una
controcassa quadrangolare, con un fondo battuto e privo di lastra
pavimentale. Successivamente, le lastre perimetrali e centrali del
lato divisorio vennero posizionate e seguite dal fregio, quest'ultimo
posto a chiusura delle lastre. La suddivisione e il posizionamento
degli elementi ne facilitò
il trasporto e l'installazione, considerando che la Lastra
152850 (b) pesa all'incirca 273 kg. Le
pareti vennero realizzate in più parti, con i massi sbozzati in
cava, poi trasportati e montati in situ,
mentre le lastre angolari probabilmente vennero tagliate
diagonalmente per scaricare il peso sulla parete adiacente, evitando
il cedimento interno della struttura.
Le
informazioni sulla tomba sono state ottenute tramite osservazione
diretta della Lastra Dipinta 152850 (b),
necessarie per la ricognizione degli altri elementi conservati,
ulteriormente supportate da fotografie dell'allestimento museale.
Tuttavia, non è stato possibile documentare accuratamente tutte le
lastre e i blocchi a causa della loro disposizione sfavorevole in
deposito. Pur trattandosi di due tombe distinte, esse sono
inventariate con lo stesso numero, ovvero “MANN 152850”, con ogni
elemento identificato dalla lettera a alla z. La testata dell'Unità
1 è inventariata come MANN 152850 (b), comprendendo sia la lastra
della parete sia il fregio, che originariamente non erano uniti, ma
lo sono stati successivamente per mantenere la continuità della
decorazione figurata.
La
scoperta della Tomba
Bisoma
avvenne nella contrada Cantariello, a sud-est di Afragola, un'area
oggi commerciale e attraversata dall'Autostrada del Sole A1 11.
Le due tombe facevano parte di una piccola necropoli situata nelle
campagne vicine al cimitero moderno di Afragola, confinante con i
comuni di Casoria, Acerra, Cardito, Caivano e Casalnuovo di Napoli.
Prima della scoperta, il terreno apparteneva a tre sorelle, Bianca,
Franca e Lidia De Simone, alle quali fu riconosciuto un premio per il
ritrovamento 12.
Nel
VI secolo a.C., Afragola si trovava nella pianura campana, tra le
antiche città di Atella, Capua e Napoli. Sebbene nel IV secolo a.C.
non fosse un centro urbano organizzato, il territorio era
probabilmente in contatto con la vicina e prospera Capua. Alla fine
del IV secolo a.C., la Campania meridionale subì una
ristrutturazione urbana e territoriale 13,
con Capua e Nola come centri principali di produzione, collegati alla
Campania meridionale attraverso il valico di Nocera 14.
Le pitture di Afragola confermano i rapporti con Capua. Rinvenute
prive del corredo funerario, le due tombe sono state datate
stilisticamente alla fine del IV secolo a.C. 15.
Dopo
la scoperta avvenuta il 27 luglio 1961, la Tomba
Bisoma
fu trasferita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN 16),
dove venne sottoposta a un accurato lavoro di pulitura e
conservazione. Questo processo fu ritenuto essenziale per preservare
le delicate pitture e la struttura della tomba, garantendo che
potesse essere studiata e ammirata in futuro.
Successivamente,
la tomba fu esposta in una mostra intitolata "Pittura italica"
17,
che durò oltre trent'anni, dimostrando l'importanza di questo
ritrovamento all'interno delle collezioni del MANN 18
L'esposizione ha permesso di valorizzare l'eccezionale patrimonio
archeologico della Campania, offrendo al pubblico una rara
opportunità per osservare da vicino le testimonianze artistiche
antiche.
Attualmente,
la tomba è custodita nei depositi del MANN, noti come Cavaiole,
un'area dedicata alla conservazione dei materiali lapidei. Le lastre
e i blocchi dipinti della tomba sono stati allestiti su una struttura
in metallo nel deposito.
La
Tomba
Bisoma
di Afragola rappresenta un unicum
tra le tombe a cassa 19
per via della sua configurazione strutturale insolita e delle
decorazioni pittoriche 20,
che evidenziano un incontro tra diverse tradizioni artistiche campane
21.
La complessità architettonica e il valore artistico delle pitture
sottolineano l'importanza di questo monumento che offre un prezioso
sguardo sulle tradizioni funebri e sulle influenze culturali che si
intrecciavano nella Campania del IV secolo a.C. 22.
Fina Serena Barbagallo
Organizzazione
delle tombe di Afragola e influenze stilistiche
Le
tombe di Afragola offrono una significativa testimonianza
dell'incontro tra due modelli decorativi capuani del IV secolo a.C.
Il primo modello si focalizza su figure umane rappresentate sulla
testata superiore, circondate da cornici dipinte e motivi secondari
sulle pareti laterali. Questo modello è stato successivamente
influenzato dalla scuola nolana, che ha introdotto figure anche sulle
pareti laterali delle tombe, conferendo una connotazione narrativa 23.
Il secondo modello, privo di figure umane, è caratterizzato da un
approccio architettonico, con colonne dipinte che sorreggono una
trabeazione e un tetto decorato a doppio spiovente 24.
Le
tombe di Afragola sono particolari per l'uso di un fregio continuo
che percorre sia le testate sia le pareti laterali, unendo elementi
stilistici di entrambi i modelli capuani. Questo fregio, decorato con
fasce tripartite, si interrompe solo agli angoli delle testate, dove
una pennellata nera segna il confine tra la decorazione secondaria e
la figura principale.
Il
fenomeno di fusione stilistica è ulteriormente evidenziato dalla
Tomba
Weege 25
di Capua (Fig.
5)
25,
dove le figure umane sono inserite in un contesto architettonico,
simile a quello delle tombe afragolesi, di colonne di sostegno a una
trabeazione, alternate a edicole nelle quali si intravedono scorci di
giardini 26.
Fig. 5 - Tomba Weege 25
disegni delle pareti laterali, Capua
©L'ERMA di Bretscheneider, BENASSAI 2001
Immagine concessa con permesso dell'Editore
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Altri
esempi intermedi, come la Tomba
3 di Capua
a San Prisco 27
e
la necropoli di Jan
Palach 28,
mostrano una commistione tra figure umane centrali e decorazioni
architettoniche, suggerendo una continuità e un'influenza reciproca
tra le varie tradizioni pittoriche campane. Questi esempi sono simili
alle tombe di Afragola, che permettono anche di ipotizzare la
ricostruzione della Tomba Weege 18 di Capua, che conserva solo la testata ma si può immaginare organizzata in maniera analoga 29.
Fina Serena Barbagallo
La
pittura funeraria della necropoli Cantariello: tecniche e iconografia
Le
pitture funerarie campane del IV secolo a.C. riflettono l'influenza
greca 30
soprattutto
nella prospettiva e nella tridimensionalità 31,
ma la maggior parte mantengono un forte legame con la ceramografia
contemporanea, utilizzando una linea di contorno per definire le
figure e colori vivaci per esaltarne i dettagli. Le tombe di Afragola
dimostrano questa tendenza, con una particolare attenzione ai
dettagli iconografici e all'uso del colore 32.
Questo
stile si confronta con una tecnica esecutiva tipica dei πίνακες
λευκωμένοι (tavole imbiancate) 33,
un
tipo di decorazione ceramografica nata ad Atene nel secondo quarto
del V secolo a.C. e usato fino alla fine dello stesso secolo,
principalmente utilizzata per piccoli unguentari o lekythoi
34
a scopo funerario. La tecnica delle lekythoi
prevedeva l'uso essenziale della linea di contorno per rendere le
figure e l'impiego di quattro colori fondamentali: bianco per il
fondo, rosso, giallo e nero 35
per gli elementi figurativi.
La
pittura funeraria della necropoli Cantariello rappresenta un esempio
significativo dell'arte antica, in cui si fondono tecnica pittorica
appena descritta e simbolismo. Difatti, le figure dipinte mostrano un
uso costante della linea di contorno per definire le forme e
l'impiego di una palette cromatica ridotta a quattro colori
principali. Questo approccio, sebbene simile a quello riscontrato in
altre pitture funerarie della stessa epoca, presenta delle varianti
stilistiche che riflettono l'autonomia del pittore rispetto alle
tradizioni consolidate.
Un
aspetto degno di nota è l'evidente volontà, da parte dell'artista,
di discostarsi dalla rigida dipendenza dalla linea di contorno nera,
tipica delle opere coeve. Questa indipendenza si manifesta in
particolare nella rappresentazione degli abiti, resi con ampie
campiture di colore che non sono delimitate da alcun bordo. Le
pennellate nere vengono utilizzate principalmente per definire gli
incarnati, e talvolta si notano sotto le campiture rosse, creando una
profondità di strati pittorici. In alcuni casi, la linea di contorno
è colorata, come si osserva nel bordo rosso che separa il mantello
dalla focaccia di colore giallo, segno di una ricerca di variazione
stilistica.
La
linea di contorno e lo sfondo omogeneo, insieme, annullano il volume
e lo spazio, ma l'artista riesce comunque a creare una luminosità
interna all'opera. Questa è ottenuta attraverso l'uso di colori
caldi su uno sfondo bianco, applicati con pennellate rapide e
sinuose, che conferiscono vivacità alle figure rappresentate. Anche
se la profondità spaziale è ridotta, alcuni elementi, come le mani
e i piedi delle figure, risultano sproporzionati rispetto al corpo,
probabilmente per suggerire un'illusione di profondità, un artificio
stilistico che potrebbe trovare precedenti nella pittura greca 36.
Fina Serena Barbagallo
L'iconografia
funeraria: un repertorio simbolico codificato
La
scelta dei soggetti da rappresentare nelle pitture funerarie era
fortemente legata al sesso del defunto, con un repertorio
iconografico relativamente limitato dal quale il committente poteva
attingere 37.
In particolare, per le sepolture femminili, l'iconografia era
composta da temi prestabiliti che rappresentavano la donna in diverse
posture e con vari attributi simbolici.
Lo
studio di Benassai ha identificato tre principali gruppi tematici
ricorrenti nelle tombe femminili della Campania:
figura
femminile stante,
la donna è rappresentata in piedi, con in mano oggetti simbolici
come fiori, specchi e ciste (Fig.
6)
38, (Fig.
7)
39;
Fig. 6 - Weege 22, particolare della testata, Capua
©L'ERMA di Bretscheneider, BENASSAI 2001
Immagine riprodotta con permesso dell'Editore
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Fig. 7 - Weege 19, Capua
©L'ERMA di Bretscheneider, BENASSAI 2001
Immagine riprodotta con permesso dell'Editore
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
due
figure femminili, simile al primo gruppo, ma
con due donne che sostengono in mano oggetti diversi;
figura
femminile seduta in trono, in questo caso la
donna è raffigurata in posizione seduta, spesso con attributi
specifici che la caratterizzano.
Oltre
a questi gruppi principali, esistono alcuni esempi isolati che si
discostano da queste categorie. Uno dei casi più noti è la Lastra
della tomba di Cuma,
dove una figura femminile seduta su un trono è raffigurata mentre si
specchia, assistita da una seconda figura di dimensioni minori. A
differenza delle scene dei gruppi precedenti, che si svolgono su uno
sfondo neutro, in questo caso l'ambiente assume una connotazione di
interno, con la presenza di uno zoccolo decorato da un fregio a onde
continue, che suggerisce un angolo della stanza 40.
La pittura funeraria della necropoli Cantariello non è solo un
esempio di arte decorativa, ma rivela anche una profonda connessione
con il mondo simbolico e rituale dell'epoca. L'abilità tecnica del
pittore, evidente nell'uso del colore e delle pennellate, si combina
con un repertorio iconografico consolidato, che riflette l'importanza
del contesto funerario e la rappresentazione simbolica del defunto.
Nonostante le limitazioni imposte dalla tradizione, l'artista ha
saputo introdurre variazioni stilistiche che conferiscono dinamismo e
profondità all'opera, rendendola unica nel suo genere. Le
tombe di Afragola rappresentano un punto di incontro delle tradizioni
artistiche capuane, integrando elementi decorativi e stilistici che
testimoniano l'evoluzione della pittura funeraria campana del IV
secolo a.C. La somiglianza stilistica con le tombe capuane suggerisce
una possibile origine comune, confermando l'importanza di Capua come
centro di produzione artistica influente nella Campania meridionale.
Infine,
le tombe dipinte di Afragola, con la loro
iconografia legata alla libagione e al mundus
muliebris, offrono uno spaccato significativo
delle pratiche funerarie dell'Italia meridionale nel IV secolo a.C.
La raffigurazione della libagione, con la sua prospettiva gerarchica
e la presenza di oggetti dal profondo significato simbolico, non solo
celebra il defunto, ma sottolinea anche il ruolo centrale della donna
nel contesto rituale e sociale del periodo. La peculiarità delle
tombe di Afragola, come l'uso della situla, ci ricorda l'importanza
di studiare questi manufatti in un contesto più ampio, in cui
tradizione e innovazione si incontrano per creare una sintesi unica
tra arte, rituale e simbolismo.
Fina Serena Barbagallo
Tecnica
esecutiva e stato di conservazione della Lastra
Dipinta
Per
comprendere la particolarità dell'opera in questione si ritiene
che sia essenziale studiarne nel dettaglio la tecnica esecutiva e lo
stato di conservazione, oltre al restauro con cui è stato possibile
riportare alla luce un reperto artistico di notevole interesse
storico. L'opera, ricavata da una roccia tufacea gialla, presenta una
tecnica che unisce l'uso di calce come preparazione pittorica a una
metodica esecutiva rapida ed essenziale. L'analisi dello stato
conservativo ha rivelato, inoltre, una serie di problematiche legate
al degrado della superficie dipinta, dovute a fattori ambientali e
tecniche di conservazione adottate. L'intera superficie, priva di
disegni preparatori, è stata dipinta con pigmenti a base di terre 41
e nero di carbone, applicati principalmente con la tecnica
dell'affresco, sebbene alcune aree suggeriscano l'uso del
mezzo-fresco. La rapidità esecutiva è evidente dall'assenza di
suddivisione del lavoro in giornate e dalla presenza di segni
lasciati dall'uso di strumenti come pennelli larghi e altri utensili
che mostrano movimenti imprecisi.
Il
degrado è stato causato sia dalle condizioni ambientali sia da
interventi di restauro precedenti. Il supporto presentava una
disgregazione diffusa e distacchi localizzati dovuti a infiltrazioni
d'acqua e alla conseguente cristallizzazione di sali. Lo strato
dipinto, compatto nella parte più superficiale, soffriva il cattivo
stato di conservazione della preparazione a calce 42
che in molte aree si presentava disgregata e microfratturata,
conseguenza della diffusione su tutta l'area dei cretti da ritiro
(Fig.
8).
Fig. 8 - Micro-fratturazioni della preparazione a calce
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Questi
ultimi, insieme alla presenza di
bolle d'aria e bottaccioli diffusi su
tutta la superficie, sono dovuti alla tecnica esecutiva piuttosto
rapida. La preparazione
solo in alcune zone circoscritte, visibili
dalle lacune, appariva più solida e meno microfratturata
probabilmente grazie ai fenomeni di riprecipitazione di carbonati e
silicati trasportati in forma di ioni dall'acqua d'infiltrazione.
Le lacune, diffuse su tutta la superficie e per lo più causate dalla
movimentazione, erano caratterizzate da spessori diversi: alcune, con
la perdita solo del colore, portavano a vista la preparazione; altre
più profonde, con la perdita totale dello strato preparatorio,
mettevano in evidenza il supporto tufaceo (Fig. 9)
Fig. 9 - Diffusione delle lacune
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
I
fenomeni di esfoliazione, distacco e scagliatura erano stati
individuati, in quanto particolarmente evidenti, lungo i bordi delle
lacune, dove il colore, ridotto a una pellicola sottilissima, tendeva
a separarsi dall'intonaco.
La
presenza di una patina grigia di natura carbonatica, visibile
soprattutto in corrispondenza delle campiture cromatiche, ha indicato
un processo di ricristallizzazione del carbonato di calcio 43.
Le
incrostazioni e concrezioni, particolarmente concentrate nella metà inferiore del dipinto e di
notevole durezza, coprivano ampie porzioni della decorazione
originale, risultando composte prevalentemente da calcite 44 (Fig. 10).
Fig. 10 - Concrezioni e incrostazioni calcaree
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Le
colature presenti nella parte superiore del dipinto, individuate come
carbonato di calcio in forma microcristallina, potrebbero giustificare anche la
presenza delle concrezioni calcaree nella zona bassa della
superficie. Si può infatti dedurre che la concrezione si sia formata
per deposizione delle componenti carbonatiche solubilizzate nelle
parti alte del dipinto (Fig. 11).
Fig. 11 - Colature di carbonato di calcio
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Alla
permanenza nel sottosuolo erano invece legate le concrezioni calcaree
meno estese ma più tenaci. Questa tipologia di incrostazione era
presente solo nella parte inferiore destra del dipinto, in
corrispondenza del piede della figura. La superficie dipinta era
inoltre interessata da depositi di varia natura e macchie organiche,
attribuibili a precedenti interventi di restauro.
La
Lastra Dipinta
rappresenta un caso di studio significativo per comprendere le sfide
di conservazione di questa tipologia di manufatti antichi. La
combinazione di fattori tecnici ed esecutivi, unita alle difficoltà
di conservazione in ambienti non ideali, ha portato a uno stato di
conservazione complesso che ha richiesto interventi mirati per
preservare la preziosità storica e artistica dell'opera.
Maria Teresa Giugliano
Analisi
degli interventi conservativi pregressi
Nel
corso degli anni Sessanta, poco dopo l'arrivo delle due casse al
Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sono stati eseguiti
interventi conservativi urgenti sull'opera in esame.
Un
primo intervento evidente ha riguardato le stuccature, differenziate
sia per il materiale utilizzato sia
per la modalità di esecuzione. Le
stuccature in gesso, eseguite grossolanamente e visibili anche sulle
campiture cromatiche, sono state applicate principalmente lungo i
bordi del dipinto per colmare le giunture tra le lastre. Questo
intervento era mirato a migliorare l'aspetto estetico in vista della
presentazione museale, ma ha avuto conseguenze sulla lettura
complessiva dell'opera, poiché la continuità visiva tra le lastre
adiacenti è stata compromessa.
Un'altra
tipologia di stuccatura, realizzata in cemento, era visibile ai lati
e sul retro della lastra. Questa scelta, sebbene discutibile dal
punto di vista conservativo ed estetico, è stata probabilmente
dettata dalla necessità di fornire un sostegno strutturale alla
malta che teneva uniti i due blocchi costitutivi. La malta cementizia
rinvenuta durante il restauro attuale, caratterizzata da aggregati di
diversa granulometria, ha dimostrato che l'adesione tra le lastre è
stata ottenuta principalmente grazie a questo materiale, con il
cemento applicato superficialmente per rafforzare ulteriormente la
giuntura. Tuttavia, l'utilizzo di una malta cementizia ha interrotto
la continuità della stesura pittorica originale, introducendo uno
spessore artificiale che è stato successivamente compensato con una
malta di colore bianco caricata con additivi organici.
L'alterazione
della patinatura superficiale è stata un altro aspetto significativo
degli interventi conservativi pregressi. Durante la fase di pulitura,
è emerso uno strato di colore giallo particolarmente diffuso nella
parte inferiore del dipinto, che si manifestava in alcune zone come
una crosta, plausibilmente derivante dall'alterazione di un prodotto
organico applicato durante il restauro novecentesco 45.
Negli anni Sessanta, era infatti consuetudine utilizzare resine
naturali per saturare i colori e nascondere fenomeni di degrado che
compromettevano la lettura del dipinto.
In
sintesi, gli interventi conservativi eseguiti negli anni Sessanta
sulla Lastra Dipinta
riflettevano le tecniche e le scelte estetiche dell'epoca, ma avevano
anche introdotto nuove sfide per la conservazione a lungo termine
dell'opera. L'uso di materiali inappropriati, come il cemento, e
l'applicazione di patinature artificiali avevano causato ulteriori
complicazioni compromettendo l'integrità e la leggibilità del
dipinto, rendendo necessarie ulteriori analisi e interventi per
preservare questa testimonianza artistica.
Maria Teresa Giugliano
Restauro
sostenibile: innovazione e rispetto per l'autenticità della Lastra Dipinta
Il
restauro della Lastra Dipinta è
stato eseguito utilizzando metodologie rispettose dei materiali
originali, con particolare attenzione a garantire un basso impatto
ambientale.
I
primi interventi hanno previsto il consolidamento dei materiali
costitutivi tramite l'impiego di nanocalce e nanoparticelle di
silice, mentre la pulitura è stata condotta con soluzioni specifiche
per rimuovere depositi e concrezioni. Le tecniche utilizzate sono
state selezionate per garantire l'efficacia dei metodi senza
compromettere l'integrità dell'opera. L'approccio estetico finale ha
mantenuto l'autenticità del manufatto, differenziando le stuccature
dall'originale per rispettarne la storia conservativa.
Le
diverse fasi sono state eseguite con un'accurata attenzione alle
caratteristiche e alle condizioni specifiche del manufatto. Il
processo ha previsto una valutazione preliminare dello strato
dipinto, per determinare la resistenza del film pittorico e
identificare i pigmenti sensibili all'acqua di cui solo le campiture nere hanno
mostrato una particolare vulnerabilità (Fig. 12)
Fig. 12 - Test di resistenza dei colori
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
La
fragilità dello strato a calce ha richiesto un consolidamento 46,
utilizzando un prodotto a base di idrossido di calce nanofasico
disperso in alcool isopropilico 47
coadiuvato all'applicazione di una soluzione acquosa di CO2
48 (Fig. 13).
Fig. 13 - Pulitura della superficie pittorica
con impacchi di soluzione di ammonio bicarbonato supportata dal gel
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
In
questo caso specifico è stato eseguito il consolidamento di tutta
l'area fino agli strati più interni delle superfici (fino a 1 cm),
e al fine di ridurre i tempi di
carbonatazione della nanocalce, sono state applicate soluzioni
acquose di CO2
nebulizzata. Questo consolidamento ha permesso di
procedere con gli interventi di pulitura successivi senza
compromettere l'integrità del dipinto.
L'azione
della nanocalce non è stata sufficiente per ristabilire la
riadesione dei sollevamenti del colore, delle scaglie d'intonaco,
dei frammenti totalmente distaccati e la perdita di soluzioni di
continuità tra gli strati. In questi casi ci si è orientati verso
l'utilizzo di una dispersione acquosa di un copolimero acrilico con
granulometria molto fine 49.
Una
fase cruciale del restauro è stata la pulitura della superficie
dipinta. Le tecniche utilizzate sono state selezionate con attenzione
per rispettare la delicatezza del manufatto, evitando danni e
garantendo la rimozione sicura dei depositi. Tra queste, l'uso di
una soluzione basica di bicarbonato di ammonio al 5% in acqua
demineralizzata, supportata da un gel rigido omogenizzato 50,
ha permesso di ottenere risultati efficaci senza compromettere la
stabilità dell'intonaco 51.
Tuttavia, per le aree più resistenti, è stato necessario ricorrere
a trattamenti diversi come l'uso di PVA Borace 52.
Per la rimozione delle concrezioni carbonatiche è stato usato il
metodo della soluzione acquosa di CO2
53,
il meno invasivo fra quelli testati 54,
che ha permesso di recuperare gran parte dei toni originali del
colore.
La
patina carbonatica di colore grigio, in seguito alla pulitura,
interferiva ancora visivamente con la lettura delle pennellate
colorate. Per questo motivo, si è scelto di non rimuoverla ma di
assottigliarla qualora avesse interferito con la lettura
dell'immagine, poiché la sua presenza era da attribuirsi a
fenomeni di ri-carbonatazione legati alla particolare storia
conservativa del manufatto 55.
La patina ed eventuali residui
di concrezione più tenaci sono stati trattati con gel poliacrilico 56
preparato come fluido viscoso al 4% in acqua demineralizzata 57.
Per
la rimozione delle macchie gialle di natura organica sono state
individuate, attraverso il Trisolv 58,
le miscele solventi idonee per la rimozione delle resine naturali
invecchiate 59.
Il
consolidamento del supporto tufaceo, essenziale per garantire la
coesione e la stabilità del manufatto, è stato ottenuto attraverso
l'uso di una dispersione acquosa di nanoparticelle di silice 60
,
un materiale scelto per la sua compatibilità con il supporto
originale e la sua capacità di non alterare l'aspetto cromatico
del manufatto (Fig. 14).
Fig. 14 - Consolidamento del supporto tufaceo
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
La
pulitura della superficie è stata eseguita con una soluzione di
tensioattivo non ionico 61
al 2% in acqua demineralizzata trattando la superficie con l'ausilio
di un supporto meccanico.
Un
altro aspetto significativo del restauro è stato la rimozione delle
stuccature non idonee, realizzate in interventi precedenti. La loro
eliminazione è stata decisa in base alla loro efficacia sia dal
punto di vista estetico sia conservativo.
Alcune
stuccature, ritenute ancora valide e funzionali, sono state
mantenute, mentre altre sono state rimosse o assottigliate per
garantire una migliore integrazione con il supporto originale. Questo
ha permesso di preparare la superficie per l'applicazione di nuove
stuccature, che sono state eseguite con materiali scelti per la loro
compatibilità e la loro capacità di imitare la tessitura del tufo e
della superficie pittorica 62.
La
fase finale ha riguardato la restituzione estetica della Lastra
Dipinta,
con particolare attenzione alla problematica delle lacune presenti
sulla superficie. Dopo aver valutato l'interferenza delle lacune
sulla percezione complessiva dell'opera, è stato deciso di
eseguire delle stuccature in leggero sottolivello, differenziate
dall'originale per rispettarne l'autenticità 63.
L'approccio scelto ha permesso di esaltare la percezione totale
dell'immagine, garantendo la leggibilità del dipinto, pur
limitando le integrazioni pittoriche (Fig. 15 e Fig. 16).
Fig. 15 - Prima del restauro
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Fig. 16 - Dopo il restauro
Foto cortesia di Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
Il restauro della Lastra Dipinta
è stato eseguito con un approccio metodologico che ha privilegiato
la compatibilità dei prodotti con i materiali originali e il
rispetto per l'autenticità del manufatto. Le tecniche e i
materiali scelti, come l'uso della nanocalce e della dispersione di
silice, hanno garantito un restauro di tipo conservativo. Altri
interventi hanno dimostrato l'efficacia, anche per i dipinti
murali, di metodi rispettosi dell'ambiente come l'uso della
soluzione acquosa di CO2.
Il risultato finale è un'opera restaurata che mantiene intatta la
sua integrità storica e artistica, rappresentando una testimonianza
tangibile della storia campana.
Maria Teresa Giugliano
Conclusioni
La
scoperta e la conservazione della Tomba Bisoma
presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli hanno garantito la
salvaguardia di un eccezionale esempio del patrimonio culturale.
Questo monumento non solo arricchisce la nostra comprensione della
storia e dell'arte antica, ma fornisce anche preziose informazioni
sulle dinamiche culturali e le influenze reciproche che hanno
caratterizzato la regione nel corso dei secoli. La Lasta
Dipinta di Afragola, infatti, rappresenta un
capitolo cruciale nella storia dell'archeologia, offrendo uno
spaccato significativo delle pratiche funerarie, dell'arte e delle
interazioni sociali dell'epoca. La sua conservazione ha consentito di
studiare in dettaglio le complessità delle civiltà antiche e le
loro evoluzioni, contribuendo così a una più profonda comprensione
delle radici storiche e culturali del Mediterraneo.
Fina Serena Barbagallo e Maria Teresa Giugliano
NOTE
1
Il termine ‘bisoma'
fa riferimento a una sepoltura destinata a due individui e indica,
in archeologia, le caratteristiche urne cinerarie etrusche
contenenti due corpi.
Si veda: Bisoma,
in “Vocabolario Treccani online”,
Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Roma, consultabile al seguente link:
Link, (ultimo accesso in data
08/08/2024).
2 JOHANNOWSKY 1989, pp. 216-217.
3 Le due tombe dipinte di Afragola offrono un interessante esempio
della rappresentazione del tema della libagione, ricorrente sia
nella pittura funeraria lucana che in quella sannitica. Questa
iconografia, tipica del rituale funebre, riveste un ruolo centrale
nella cultura visiva dell'Italia meridionale tra il IV e il III
secolo a.C., con radici profonde nel mondo greco. In particolare, la
scena raffigurata nelle tombe di Afragola ricalca il secondo dei
gruppi tematici individuati da Benassai, in cui si vede una figura
più bassa a sinistra pronta a offrire del vino a un'altra figura di
dimensioni maggiori. Cfr. BENASSAI 2001, pp. 159-160. Il tema della
libagione è rappresentato secondo uno schema fisso, sviluppatosi
soprattutto nell'ultimo quarto del IV secolo a.C. nelle stele
attiche o comunque nell'area egea. Questo schema segue una chiara
prospettiva gerarchica, in cui il personaggio secondario,
solitamente a sinistra, è ridimensionato rispetto a quello
principale, posto a destra. Nella scena di Afragola, a sinistra, una
donna di profilo destro tiene in mano alcuni oggetti, tra cui un
contenitore per il vino, mentre la figura principale, di dimensioni
maggiori e di profilo sinistro, regge tra le mani altri oggetti o
raccoglie quelli che le vengono offerti. Questo tipo di
rappresentazione, fortemente influenzato dalla tradizione artistica
greca, non si limita a descrivere un semplice atto di offerta, ma
suggerisce una complessa simbologia legata alla vita dopo la morte,
in cui la libagione assume un valore sacro e rituale. I contenitori
utilizzati, come le skyphoi
e le oinochoai,
non erano infatti adoperati esclusivamente per i riti funebri, ma
anche nella vita quotidiana, creando così un ponte simbolico tra la
dimensione terrena e quella ultraterrena. Cfr.
JOHANNOWSKY 1972, p. 160.
4 Il
termine deriva dal greco e indica una cornice con profilo ondulato o
gola. Il Kyma
ionico ha
un profilo convesso o a gola (ossia con la curva superiore concava e
quella inferiore convessa) intagliato a ovoli e dardi alternati.
Il Kyma
lesbio o lesbico è
una cornice a gola convessa in alto, intagliata a foglie e dardi o a
fiori di croco e dardi. Si veda: Aemilia
online. Archeologia della via Emilia.
Museo Civico Archeologico Etnologico, link di riferimento.
http://www.aemiliaonline.it/reperti/glossario-1/kyma,
(ultimo accesso in data 13/09/2024).
5
Immagine tratta da CACCAVALE, DE ROSA, PICCIRILLI 1991,
p. 35. La
pubblicazione è edita dalla casa editrice “Quaderni
dell'A.R.C.A.” non più attiva già dalla fine del secolo
scorso.
6 Lo
skyphos
è un bicchiere di origine greca, con un corpo tronco-conico
rovesciato e due anse orizzontali sotto il bordo. Cfr. BEJOR,
et.
al.,
2013,
p. 435.
7 L'oinochoe
è un recipiente per contenere, attingere e versare. Si tratta di
una brocca rotonda o trilobata, dotata di un'unica ansa verticale,
spesso sormontante, utile appunto a impugnare il vaso per versare i
liquidi, in genere il vino. Ivi,
p.
433.
8 La situla è un contenitore a forma tronco-conica allargato in alto
e provvisto di due maniglie mobili. Cfr. DUCATI
1936.
9 Gli oggetti raffigurati tra le mani delle figure femminili nelle
pitture delle tombe di Afragola non si limitano alla sfera della
libagione, ma evocano anche un'altra dimensione, quella
erotico-afrodisiaca, strettamente connessa al mundus
muliebris, ovvero
l'universo femminile. Tale simbolismo si manifesta attraverso la
rappresentazione di fiori, colombe e soprattutto di focacce,
elementi che, sebbene connessi al rituale, richiamano anche aspetti
della sfera privata e domestica delle donne. In questo contesto, la
libagione e il matrimonio si sovrappongono come momenti cruciali
nella vita sociale femminile. La presenza degli oggetti simbolici,
oltre alla loro funzione rituale, rappresenta una metafora del
passaggio della donna da una condizione a un'altra, unendo
idealmente la sfera della morte con quella del matrimonio, inteso
come rito di passaggio. Cfr.
BENASSAI
2001,
p.
160. Un elemento
peculiare e distintivo delle due tombe dipinte di Afragola è la
presenza della situla, un recipiente utilizzato principalmente per
contenere liquidi, solitamente associato a contesti cerimoniali. La
situla compare nelle due testate delle tombe, costituendo un caso
unico in tutta la pittura funeraria campana. Questo oggetto,
raramente presente in altre rappresentazioni simili, conferisce
ulteriore specificità a queste tombe e potrebbe indicare
un'influenza di tradizioni pittoriche diverse o l'esistenza di
pratiche rituali locali particolari.
Cfr. CACCAVALE, DE ROSA, PICCIRILLI 1991, p.
38.
10 Per
la trattazione completa degli aspetti iconografici Cfr. GIUGLIANO
2024, pp. 35-45.
11 Si suggerisce la consultazione
dell'immagine fotografica relativa alla Tomba
Bisoma al momento del rinvenimento, eseguita
durante gli scavi condotti dalla Soprintendenza alle Antichità di
Napoli, corrispondente al neg. n. D/174, inv. 152850, e conservata
presso l'archivio fotografico del Museo Archeologico Nazionale di
Napoli (MANN).
12 Cfr. Archivio Museo
Archeologico Nazionale di Napoli, (da questo momento MANN),
Afragola-Località Cantariello, Rinvenimento di 2 tombe sannitiche
dipinte in proprietà De Simone Bianca, Franca e Lidia, Relazione
dell'Ingegnere De Rosa Paolo, A1-27, a:10/55.
13 Cfr.
BENASSAI
2001, p.
263.
16 Archivio Museo
Archeologico Nazionale di Napoli (da questo momento AMANN),
Afragola-Località Cantariello. Rinvenimento di 2 tombe sannitiche
dipinte in proprietà De Simone Bianca, Franca e Lidia, telegramma
ministeriale n° 505 del 24 luglio 1961, A1/27, 9005. La Tomba
Bisoma venne alla
luce in seguito a una scoperta fortuita precedente ai lavori
ufficiali disposti da parte della Soprintendenza delle Antichità di
Napoli. Cfr.: AMANN, Afragola, Relazioni dell'Ispettore Onorario
Paolo De Rosa. Rinvenimenti durante la costruzione dell'autostrada
Napoli-Bari; in località Masseria, Cantariello, al Rione Marconi,
nel fondo Mulino Vecchio; nell'area del cimitero, A1-27, II fasc.,
3873/s., All. n°7. Un'attività clandestina era ormai da tempo
radicata nel territorio di Afragola a opera di tombaroli che,
credendo nell'esistenza di un tesoro nascosto durante la Seconda
guerra mondiale, avevano avviato scavi illeciti;
AMANN, Afragola-Località
Cantariello, Rinvenimento di 2 tombe sannitiche dipinte in proprietà
De Simone Bianca, Franca e Lidia, Relazione dell'Ingegnere De Rosa
Paolo, A1-27, a:10/55. In
seguito a numerosi sopralluoghi compiuti dall'Ispettore ingegnere
Paolo De Rosa, finalizzati ai lavori di costruzione dell'Autostrada
del Sole Napoli-Bari, era stato ipotizzato l'interesse
archeologico del territorio di Afragola. Lo scavo ufficiale da parte
della Soprintendenza ebbe inizio il 19 luglio del 1961, sotto la
direzione dell'Ispettore Werner Johannowsky, portando alla luce le
due casse con una parete in comune; AMANN,
Afragola, Relazioni
dell'Ispettore Onorario Paolo De Rosa. Rinvenimenti durante la
costruzione dell'autostrada Napoli-Bari; in località Masseria,
Cantariello, al Rione Marconi, nel fondo Mulino Vecchio; nell'area
del cimitero, A1-27, II fasc., 3873/s., All. n°7.
17 Il 10 agosto del 1961 la
direzione dell'Ufficio degli Scavi di Pompei, con un documento
firmato da Maiuri, dispone che la squadra di restauratori degli
scavi inizi al più presto i lavori di restauro della tomba dipinta
data l'urgenza.
AMANN,
Afragola-Località Cantariello. Rinvenimento di 2 tombe sannitiche
dipinte in proprietà De Simone Bianca, Franca e Lidia, A1-27,
a:10/55. Cfr.:
DE FRANCISCIS
1967, p. 75.
18 L'ultima notizia relativa all'esposizione risale al 1999, quando
fu fotografata per un volume dedicato alle Collezioni del MANN. Si
fa riferimento alle fotografie di Luciano Pedicini pubblicate in:
SAMPAOLO
1989.
19
La caratteristica più significativa della Tomba
Bisoma è la sua
insolita configurazione strutturale che si presenta come due tombe a
cassa affiancate e con una parete in comune. La tipologia a cassa
semplice (53%) è la più diffusa in Campania, seguita dalla tomba a
camera (34%) e infine dalle tombe a semi-camera (9%) o pseudo-camera
(3%). mentre la tomba a doppia cassa (1%) rinvenuta ad Afragola
costituisce un unicum perché non trova riscontro con altri casi
simili. Cfr.: BENASSAI
2001, p. 127. Questo
sistema costruttivo sembra confrontabile con una modalità simile
attestata sporadicamente a Napoli per le tombe a semi-camera della
necropoli di Castel Capuano del III secolo a.C.
Cfr.: BORRIELLO
1985, p. 266.
21 Non è possibile ricostruire un contesto attendibile al rinvenimento
della Tomba Bisoma,
la necropoli che ospitava la sepoltura, costituita da nove tombe per
lo più femminili e una appartenente a un bambino, fa ipotizzare
però che le sepolture si riferissero a una piccola comunità o un
nucleo famigliare allargato. L'insediamento rurale era situato
nell'entroterra di Neapolis ma doveva essere in stretto rapporto
anche con Capua a giudicare dalle affinità stilistiche delle
pitture. Cfr.: BENASSAI
2001, p. 243. Le due tombe con una parete in comune sono le uniche
dipinte e disposte in una posizione centrale della necropoli, per
questa ragione si può ipotizzare che appartenessero a due donne di
un maggiore prestigio nella piccola comunità. Per una descrizione
completa di tutte le tombe rinvenute e dei relativi corredi, quando
presenti, si veda: CACCAVALE, DE ROSA, PICCIRILLI 1991, pp. 39-41.
22 Un'analisi comparativa delle lastre dipinte della Campania rivela
una tradizione di pitture funerarie che varia a seconda della
località. La produzione nolana, ad esempio, rappresenta
l'espressione più complessa e matura della pittura funeraria
campana, caratterizzata da rappresentazioni figurate su tutte le
superfici disponibili, incluse le testate e le pareti laterali. In
contrasto, la scuola capuana predilige una diversa concezione dello
spazio all'interno della tomba, concentrando la decorazione figurata
sulla testata, mentre le pareti laterali sono spesso prive di
decorazioni o caratterizzate da motivi semplici. Cfr.: BENASSAI
2001,
pp. 157, 225, 230.
26 Questa decorazione è una prima ricerca prospettica e di profondità
spaziale del tutto inedita per il periodo proto-ellenistico, e nella
quale Capua si dimostra all'avanguardia, facendosi precursore del
secondo stile romano-campano. Cfr.: PRISCO,
VALENZUELA
2000, p. 44.
30
Nella pittura funeraria campana di IV secolo a.C. traspare
l'adesione da parte degli artigiani alle nuove tecniche pittoriche
introdotte in Grecia dalla metà del IV sec. a.C. e giunte in Italia
attraverso la mediazione dei centri ellenici di Taranto e Neapolis.
Cfr.: Ivi,
p. 266.
31 Nel IV sec. sono solo pochi gli esempi di questo tipo come quelli
nolani. La maggior parte dei dipinti è invece più semplice ed
essenziale.
32 BENASSAI 2001,
p. 266.
33 PELLEGRINO SESTIERI
2021.
34 La lekythos
è un'ampolla per olii e sostanze profumate, dotata di un'unica
ansa a nastro verticale. Venne elaborata dai ceramisti attici nella
seconda metà del VI secolo a.C. In principio aveva un corpo
globulare allungato a profilo continuo; successivamente si sviluppa
la forma con bocchello troncoconico, spalla a spigolo e corpo
cilindrico che conosce grande fortuna per tutto il V secolo a.C.
Cfr.: BEJOR, et.
al. 2013, p.
435.
35 PELLEGRINO SESTIERI
2021.
36 JOHANNOWSKY 1972, p.
378.
37 BENASSAI 2001,
p. 153. Poiché si trattava di soggetti sempre molto simili, nella
maggioranza dei casi, la pertinenza della sepoltura è determinata
dal corredo di accompagnamento. Ibidem.
41Ocra Gialla e Terra Rossa.
42 Lo strato pittorico più superficiale risulta molto più compatto
rispetto che in profondità. Questo fenomeno potrebbe portare a
supporre che la costruzione della tomba sia avvenuta in modo molto
rapido e che sia stata chiusa con gli intonaci umidi perché il rito
funebre avveniva con le superfici ancora fresche. La pratica di
chiudere le tombe con gli intonaci ancora umidi è diffusa e
riscontrata anche per le altre tipologie tombali, come mostrano
molti segni lasciati sulle pareti. Cfr.:
FERRUCCI 2005, pp.
103-133.
Di
conseguenza la carbonatazione potrebbe essere rimasta incompleta in
assenza di anidride carbonica sufficiente, compromettendo la
solidità dell'intonaco, in quanto la reazione chimica avviene
prima in superficie, a contatto con l'aria, e poi lentamente in
profondità. Cfr.:
ANSELMI,
et. al., 1978, pp. 16-17.
43 La composizione della patina grigia è stata individuata attraverso
l'analisi FTIR. L'indagine rivela che la componente principale è
il carbonato di calcio e in subordine sono presenti anche silicati.
44 Anche in questo caso è stata eseguita un'analisi FTIR che ha
rivelato una maggiore componente di carbonato di calcio e silicati
in percentuale minore.
45 La diffusione delle macchie gialle di natura organica e le
testimonianze degli ex restauratori del museo, permettono di
avanzare l'ipotesi della presenza di una patina artificiale.
46 La preparazione a calce si presentava estremamente fragile
danneggiandosi anche se sottoposta a minime sollecitazioni
meccaniche. La superficie non era quindi in grado di sopportare
alcun trattamento sia che fosse a secco che con sistemi acquosi o
utilizzando solventi, liberi o supportati. Non è stato possibile,
infatti, neanche eseguire una prima cauta depolveratura con un
pennello a setole morbide in quanto anche solo questa operazione
avrebbe provocato perdita di materiale in maniera non controllata.
47 Il prodotto - Nanorestore Plus®
- è stato scelto per la sua compatibilità con il materiale
costitutivo del manufatto e perché garantisce una migliore
penetrabilità rispetto ai sistemi acquosi, grazie alla bassa
tensione superficiale del solvente alcolico. Il prodotto è stato
diluito ulteriormente al 50% in alcool isopropilico per favorirne la
veicolazione in tutta la stratigrafia poiché, se utilizzato puro,
ostruendo le crettature dell'intonaco, sarebbe rimasto in
superficie. Le applicazioni successive sono state programmate con
percentuali sempre maggiori. Il consolidamento doveva
necessariamente essere eseguito prima della pulitura e per questo
motivo si è preferito non procedere con l'applicazione estensiva
della nanocalce sulla superficie, al fine di non rischiare di
fissare i prodotti di degrado, ostacolando le operazioni successive.
La nanocalce è stata quindi applicata con l'uso di un pennello
partendo dal centro delle lacune e con iniezioni lungo i bordi, in
modo da accedere direttamente alle aree fortemente disgregate della
preparazione presenti al di sotto della pittura (in maggior parte
decoesa rispetto allo strato di colore più superficiale).
48 La procedura ha previsto l'applicazione della soluzione acquosa di
CO2
con l'uso di uno spruzzino nebulizzatore in seguito all'iniezione
di nanocalce, poco prima di raggiungere la saturazione del prodotto.
Le due fasi (iniezione di consolidante e nebulizzazione di CO2)
sono state eseguite in maniera alternata in modo tale da bloccare la
nanocalce in profondità inducendone la carbonatazione già nella
parte più interna dello spessore. Per la trattazione completa
sull'uso della soluzione acquosa di CO2
come coadiuvante al consolidamento della Lastra
Dipinta Cfr.:
GIUGLIANO
2024, pp. 110-112,
299, 300.
Questa
metodica è stata adottata per sostenere e aumentare l'efficacia
del formulato commerciale consolidante. Cfr.: BANDINI,
COLADONATO, DI ODOARDO
2016, pp. 313-318.
49 La resina applicata per iniezione è la K52 di Kreemer®
con una diluizione all'80% in acqua per favorire l'azione
adesiva e limitarne la penetrazione nel substrato. In alcuni casi è
stato possibile esercitare una pressione calibrata sulla scaglia
distaccata con un bastoncino di legno dopo pochi minuti
dall'applicazione della resina per favorirne l'adesione completa
sul substrato. Tuttavia, in alcuni punti, interessati invece da
distacchi di maggiore spessore, l'azione del copolimero ha avuto
una funzione essenzialmente riempitiva del vuoto rendendo altresì
necessaria l'applicazione della nanocalce sullo strato di intonaco
sollevato, in modo tale da mettere in opera un'azione sinergica
riempitiva e consolidante nello stesso tempo. Lo stesso prodotto è
stato utilizzato per consolidare i distacchi tra gli strati
individuati a diverse profondità, non sempre accessibili per mezzo
di lacune e/o lesioni limitrofe. In questo caso il consolidante è
stato applicato con iniezioni localizzate attraverso piccoli fori.
Solo
dopo la pulitura della superfice decorata è stato consolidato
definitivamente l'intonaco per imbibizione di nanocalce.
L'applicazione della dispersione alcolica di idrossido di calcio è
avvenuta, in questo caso, a pennello con interposizione di carta
giapponese. L'operazione è stata interrotta, così come per le
lacune, poco prima di raggiungere la saturazione dopodiché è stata
applicata la soluzione acquosa di CO2
come descritto in precedenza.
51 Il grado di pulitura desiderato è stato raggiunto con un tempo di
contatto di 1 minuto, oltre il quale l'intonaco si mostrava
sensibile alla soluzione basica. Sono state eseguite delle prove con
il metodo scelto su tutti i colori per verificarne la resistenza
all'azione del bicarbonato di ammonio. L'esito è stato
soddisfacente, soprattutto in corrispondenza del pigmento nero che
si era precedentemente dimostrato sensibile all'acqua,
permettendone la pulitura senza danneggiarlo. Terminato il tempo di
contatto, la superficie è stata trattata meccanicamente con
delicati movimenti a pennello con setole morbide per permettere alla
soluzione di agire nelle discontinuità superficiali, in seguito con
tamponcini di acqua demineralizzata è stato assorbito il deposito
assecondando l'andamento delle pennellate.
52
Il PVA Borace è stato preparato con le seguenti proporzioni: Alcool
polivinilico all'8,5% e Borace al 8,5% in acqua demineralizzata
portato a volume. Il gel è stato quindi applicato per un tempo di
contatto di 1 ora.
53 È importante sottolineare il progetto di tesi che ha avuto come
oggetto il restauro della Lastra
Dipinta in esame. Per
questo caso di studio, la superficie, interessata da incrostazioni e
concrezioni carbonatiche, ha posto i presupposti per sperimentare il
metodo della CO2
nel restauro dei dipinti murali sia come principio attivo per la
rimozione dei depositi calcarei, sia come coadiuvante al
consolidamento con nanocalci. Per la trattazione completa sulla
sperimentazione della soluzione acquosa di CO2
per la pulitura dei dipinti murali nel caso della Lastra
Dipinta Cfr.:
GIUGLIANO 2024, pp. 180-314.
54
Si è scelto di testare i prodotti comunemente utilizzati nel
settore per la rimozione delle incrostazioni come sale bisodico
EDTA, Triammonio citrato, Resine a scambio ionico, a confronto con
il gel poliacrilico Carbopol®
e il metodo della soluzione acquosa di CO2.
55
La patina è stata trattata con il metodo della CO2,
risultato non sufficiente a causa della difficoltà
nell'assorbimento di tutta la quantità d'acqua nebulizzata e
per l'insufficiente risciacquo finale necessario, viste le
particolari condizioni di lavoro e la fragilità caratteristica del
manufatto. Sono stati testati, in seconda battuta, degli impacchi
localizzati di gel poliacrilico preparato come fluido viscoso al 4%
in acqua demineralizzata per un tempo di 10 minuti. È stata così
raggiunta la migliore efficacia del metodo, infatti, in seguito alla
rimozione dell'impacco è stato possibile notare la restituzione
della leggibilità delle pennellate.
56 È stato usato il Carbopol Ultrez 21®
non con funzione di supportante, come avviene solitamente nel campo
del restauro, ma per la rimozione di depositi di calcite, sfruttando
quindi il suo pH acido, se preparato come fluido viscoso. Cfr.: DI
ODOARDO 2008,
pp. 65-71.
57 In fase di pulitura ci si è resi conto che l'azione della
soluzione acquosa di CO2
non era però sufficiente a garantire la rimozione
dell'incrostazione gialla, sia lo strato più sottile e diffuso
che le croste localizzate. È stato testato quindi, anche in questo
caso, il gel poliacrilico preparato come fluido viscoso.
59 L'applicazione è avvenuta sia a tampone, riscontrando un esito
non soddisfacente, sia supportando le miscele con il gel per il
tempo necessario al rigonfiamento della resina, ovvero 30 minuti.
Terminato il tempo di azione dell'impacco, la miscela più idonea
è risultata quella composta da Alcol Etilico 20%, Isottano 60%,
Acetone 20%, che a differenza delle altre ha permesso la completa
rimozione delle sostanze organiche solo usando il tampone umido,
senza arrecare danno alla superficie pittorica.
62 Nell'area della fratturazione del blocco superiore, infatti, è
stata mantenuta la stuccatura già presente che simula in modo
efficace la tessitura del tufo. Lo stesso criterio è stato adottato
per la stuccatura interna del giunto tra i due blocchi, realizzata
con una malta cementizia solidale. La rimozione avrebbe comportato
la perdita di adesione tra i due blocchi, in seguito difficilmente
ricollocabili proprio a causa del loro notevole peso.
Lo
strato di cemento, applicato a sostegno della stuccatura
precedentemente citata e steso in maniera grossolana, è stato
invece assottigliato in prossimità delle zone che manifestavano
fenomeni di decoesione, allo scopo di garantire una
superficie solida di aggancio idonea per la stuccatura di finitura
da realizzare successivamente.
Il
gesso presente ai lati del dipinto, steso in maniera discontinua,
occultava in parte lo stato pittorico, ma soprattutto non svolgeva
più la funzione per cui era stato applicato, ovvero unire le due
lastre contigue. Lo spessore della stuccatura in gesso è stato
quindi ammorbidito con una spugna umida in modo tale da agevolare la
rimozione meccanica a bisturi.
La
stuccatura di superficie, in corrispondenza del giunto tra i due
blocchi, andava a risarcire uno spazio non originale e presentava un
l'integrazione non più idonea dal punto di vista estetico. Per
questo motivo è stata rimossa con una soluzione basica di sali di
ammonio carbonato al 40% in acqua demineralizzata supportata con gel
e applicata per un tempo di 15 minuti. Si è osservato che
attraverso questa procedura la stuccatura si destrutturava
agevolando la rimozione meccanica senza danneggiare lo strato
pittorico.
63 L'assenza di un qualsiasi strato preparatorio al di sotto della
finitura dipinta ha indirizzato verso la scelta di una malta che si
intonasse cromaticamente al tono generale del dipinto, scegliendo un
aggregato il più possibile simile alla superficie originale. La
malta scelta è composta da calce idraulica Lafarge NHL 3,5 in
rapporto 1:2 con aggregati nella proporzione di 1 ¾ parti di
carbonato di calcio micronizzato e ¼ parte di polvere di tufo
macinato finemente.
FONTI ARCHIVISTICHE
ARCHIVIO
MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI (AMANN)
Afragola-Località
Cantariello, rinvenimento di 2 tombe sannitiche dipinte in proprietà
De Simone Bianca, Franca e Lidia, relazione dell'ingegnere De Rosa
Paolo, A1-27, a:10/55.
Afragola-Località
Cantariello, rinvenimento di 2 tombe sannitiche dipinte in proprietà
De Simone Bianca, Franca e Lidia, telegramma
ministeriale n° 505 del 24 luglio 1961, A1/27, 9005.
Afragola,
Relazioni dell'Ispettore Onorario Paolo De Rosa. Rinvenimenti
durante la costruzione dell'autostrada Napoli-Bari; in località
Masseria, Cantariello, al Rione Marconi, nel fondo Mulino Vecchio;
nell'area del cimitero, A1-27, II fasc., 3873/s., All. n°7.
Neg.
n. D/174, inv. 152850.
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intervento consapevole e compatibile” atti del seminario IGIIC
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consultabile al seguente link:
https://www.inasaroma.org/patrimonio/.../03-P.C.-SESTIERI-Tombe-dipinte-da-Paestum-02.pdf
(ultimo accesso in data 09/08/2024).
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