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La gigantomachia del cammeo di Athenion, Fulvio Orsini e alcune esemplari iconografie del potere in età moderna  
Michela Ramadori
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 28 Novembre 2024, n. 967
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00967.html
Articolo presentato il 19 Settembre 2024, accettato il 1 Novembre 2024 e pubblicato il 28 Novembre 2024
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Abstract

In questo contributo viene preso in esame il cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, datato tra 160 a.C. e 140 a.C., conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini (1529-1600). Analizzando la bibliografia pervenuta dedicata al cammeo, è emerso che gli studiosi si sono concentrati più sullo studio del pezzo all'epoca della sua realizzazione che sul significato attribuibile all'oggetto all'interno della collezione formata da Fulvio Orsini, noto umanista, bibliotecario, antiquario e collezionista, al servizio prima di Ranuccio Farnese (1530-1565) e poi di Alessandro Farnese (1520-1589).

È stato dunque posto l'obiettivo di considerare l'impatto che questo cammeo possa aver avuto in epoca moderna. È stato riscontrato che lo studio dell'iconografia antica del potere, di cui questo oggetto è considerabile un caso esemplare per importanza attribuita all'epoca e successivamente, influenza l'elaborazione di iconografie moderne, non solo nell'ambito strettamente connesso al soggetto rappresentato. Sono stati quindi individuati elementi che transitano dalle rappresentazioni del mito fino a quelle del soggetto sacro, passando per l'emblema moderno, rilevando una continuità tra l'antico strettamente biblico (veterotestamentario) e il mitologico nonché un ricorso all'antico per legittimare il presente.

Attraverso lo studio iconografico e delle fonti testuali delle rappresentazioni del potere, a partire dal cammeo oggetto di studio della presente pubblicazione, è stato inoltre delineato un contesto in cui l'antico, studiato da Fulvio Orsini, grazie ai contatti della famiglia Farnese e agli spostamenti degli artisti, nonché attraverso la circolazione delle stampe e dei libri a stampa, al tempo della Controriforma e negli anni seguenti viene indagato in Europa e attualizzato come chiave di lettura del presente, nella sua dimensione storica e devozionale dell'epoca.



Premessa

Nella sezione Glittica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (numero di inventario 25848), si trova il cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, in pietra sardonica, di 2,87 x 3,5 cm 1 (Fig. 1), attualmente datato tra 160 a.C. e 140 a.C., proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini (1529-1600) 2. Nel suo inventario della collezione di antichità è indicato come «Cameo ouato col fondo di Sardonio nero, nel quale è Gioue sopra 4 caualli che fulmina li Giganti un morto et l'altro uiuo, col nome del maestro ΔΟΝΝΙΩΝ, dal soldato» 3. Per ciò che concerne la provenienza del pezzo, da un anonimo soldato, come altri oggetti della collezione Orsini, Massa-Pairault segnala che, oltre a pensare a qualche area archeologica di Roma, la professione del soldato obbliga a considerare percorsi più ampi, mediterranei, dall'Oriente alla Grecia passando per Venezia, con lo sfondo della battaglia di Lepanto, come suggerito da Filippo Coarelli 4.



Fig. 1 - cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, 160-140 a.C., 2,87 x 3,5 cm, pietra sardonica, proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini, Museo Archeologico Nazionale, Napoli, inv. n.25848
(su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Museo Archeologico di Napoli)
Foto cortesia di Michela Ramadori
Fig. 1 - cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove)
in lotta con i Giganti, 160-140 a.C.
2,87 x 3,5 cm, pietra sardonica
proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini
Museo Archeologico Nazionale, Napoli, inv. n.25848
(su concessione del Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo – Museo Archeologico di Napoli)
Foto cortesia di Michela Ramadori

Alla morte di Fulvio Orsini, il cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, è poi confluito, con lascito testamentario, nella collezione Farnese e da questa, attraverso Elisabetta Farnese, è entrato nel 1731 in possesso del figlio Carlo di Borbone. Per questo oggi il cammeo è nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Zeus è rappresentato a sinistra, barbato e drappeggiato attorno ai fianchi, alla guida di una quadriga. Con la mano sinistra impugna uno scettro terminante con una sorta di fiore trilobato, mentre con la mano destra scaglia un fulmine contro un Gigante che si trova in basso a destra. Quest'ultimo brandisce una torcia, mentre un altro Gigante, in basso al centro, giace in terra. I Giganti sono rappresentati barbati, con il busto umano e con serpenti al posto delle gambe.

Il cammeo è riprodotto graficamente, in scala maggiore, con delle varianti, nella decima illustrazione (da incisione) stampata nel volume Monumenti antichi inediti spiegati di Winckelmann 5, edito nel 1767, dove il pezzo (Fig. 2) appare più schiacciato, formando un ovale perfetto.

Fig. 2 - cammeo di Athenion raffigurante Giove in lotta con i Giganti, in Johann Joachim WINCKELMANN, Monumenti antichi inediti spiegati ed illustrati da Giovanni Winckelmann prefetto delle antichità di Roma, volume primo, Roma, a spese dell’autore, 1767, decima illustrazione (da incisione) stampata nel volume
(Foto: Michela Ramadori)
Fig. 2 - cammeo di Athenion raffigurante Giove in lotta
con i Giganti, in Johann Joachim WINCKELMANN
Monumenti antichi inediti spiegati ed illustrati
da Giovanni Winckelmann prefetto delle antichità di Roma

volume primo, Roma, a spese dell'autore, 1767
decima illustrazione (da incisione) stampata nel volume
(Foto © cortesia di Michela Ramadori)

Nell'illustrazione, inoltre, Zeus, dalla corporatura più robusta all'altezza della vita, è caratterizzato da una posa più eretta e rigida, mentre nel cammeo il dio assume, con il busto inclinato indietro, maggiore slancio nell'atto di lanciare il fulmine; i cavalli sono meno impennati; ci sono delle semplificazioni nella struttura del cocchio. Poi, la torcia in mano al Gigante in basso a destra è riprodotta senza fiamma accesa e quindi appare come una clava; il Gigante in basso al centro, nell'illustrazione appare di dimensioni maggiori in rapporto agli altri soggetti rappresentati; i serpenti che costituiscono gli arti inferiori dei Giganti sono rappresentati con squame di pesce (rivelando una traduzione grafica considerabile influenzata dalle rappresentazioni delle sirene bifide), mentre nel cammeo la loro pelle è riprodotta attraverso un tessuto continuo di rombi, più aderente ad una resa precisa della pelle di serpente; le teste di serpente nell'illustrazione sono inoltre rappresentate come se fossero teste di lupo senza orecchie. Infine, nell'illustrazione è introdotto l'orizzonte continuo, presente nel cammeo solo all'estrema sinistra per creare maggior slancio e movimento all'azione rappresentata.

Analoghe varianti iconografiche sono ravvisabili anche nell'incisione pubblicata nel frontespizio del volume primo, parte seconda, Voyage Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, edito a Parigi nel 1782 6, dove, tuttavia, nella riproduzione del cammeo (Fig. 3) sono individuabili maggiori contrasti.



Fig. 3 - incisione pubblicata nel frontespizio di Voyage Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, vol. I, Partie II, Paris, [Jean-Baptiste Delafosse], 1782
(Foto: cortesia di Michela Ramadori)
Fig. 3 - incisione pubblicata nel frontespizio di Voyage
Pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile

vol. I, Partie II, Paris, [Jean-Baptiste Delafosse], 1782
(Foto © cortesia di Michela Ramadori)

Successivamente, nel primo volume del Real Museo Borbonico, ampio spazio è dedicato al cammeo, trattato da Finati nella tavola LIII 7, dove, tra l'altro, nella riproduzione grafica del pezzo, è ravvisabile una resa più aderente, rispetto all'originale, delle teste da serpente dei Giganti anguipedi. Finati, nel testo, pone in evidenza il cammeo, non soltanto nell'ambito della specifica collezione museale che conta più di 1.600 gemme, costituita da quelli che ritiene i capolavori dei migliori artefici dell'aurea età della Grecia e di Roma 8, ma in generale in quel genere di produzione artistica, considerandolo «fra quei del primo ordine, riconoscendosi gran sapere nella invenzione, e nella contrapposizione delle figure, un non so che di terribile nella espressione, e un prezioso finito in tutte le sue parti.» 9.

È considerabile esemplificativo dell'interesse per il pezzo, lo spazio che vi dedica, di ben quattro pagine, nella relativa descrizione e nell'analisi dettagliata, in cui segnala la presenza di una clava nella mano di uno dei Giganti 10, identificati in Porfirione ed Alcione 11.

Spazio è dedicato anche alle questioni relative all'artefice, non menzionato dai più accreditati scrittori 12. Finati, al riguardo, colloca il cammeo fra quelli di primo ordine e annovera «l'artefice Atenione fra i sublimi ingegni dell'antichità» 13.

Ramorino cita il cammeo come esempio di rappresentazione di Gigantomachia, insieme al bassorilievo di un sarcofago dei Musei Vaticani e all'Altare di Pergamo, descrivendolo con le seguenti parole: «Un celebre cammeo del Museo Nazionale di Napoli rappresenta Giove su un carro tirato da quattro cavalli, in atto di scagliare un fulmine su un Gigante a gambe serpentine, mentre un altro Gigante simile giace a terra morto.» 14.

Middleton riferisce il cammeo, in sardonica, a un artista di talento di età augustea, identificato in AΘHNIΩN (Athenion), nome riprodotto in rilievo sul cammeo, escludendo la possibilità che si possa trattare del proprietario piuttosto che dell'incisore, a causa delle dimensioni ridotte dell'iscrizione 15.

Facendo riferimento a Brunn 16, Rossbach 17, Lippold 18 e Breglia 19, Amorelli lo inserisce tra le opere realizzate da Athenion (᾿Αθηνίων), incisore greco di pietre collocato intorno al 300 a.C., insieme a un'impronta di vetro conservata nel British Museum che reca una quadriga guidata da Atena e un condottiero vittorioso, identificato con Lisimaco o Eumene II 20.

Gasparri, trattando la glittica della collezione Farnese, riferendosi alla raccolta Orsini, cita il cammeo con Gigantomachia di Athenion, creato nel II sec. a.C. alla corte di Pergamo, dopo aver affermato che il livello qualitativo dei pezzi è spesso altissimo 21.

Zwierlein-Diehl, trattando la questione delle firme sui cammei, lo cita come il più famoso tra i piccoli ellenistici, lo avvicina, per il suo stile espressivo, al grande fregio dell'altare di Pergamo rifacendosi a German Hafner che, su base stilistica, ha identificato Athenion con un artista attivo a Pergamo, ipotizzando che il sovrano raffigurato sul cammeo sia Eumene II (197 a.C. - 159 a.C.) 22.

Massa-Pairault, oltre a ribadire i riferimenti ai modelli pergameni, segnala una pasta vitrea dell'Antiquarium di Berlino, anch'essa firmata da Athenion che, integrata con un frammento del British, restituirebbe l'immagine di un sovrano su biga guidata da Atena, ricostruendo il significato dei due oggetti realizzati per ricordare l'istituzione delle Nikephoria da parte di Eumene II nel 181 a.C. 23. Massa-Pairault lega i due pezzi, regalati dal sovrano ai suoi amici più fidati o circolanti tra i personaggi più in vista della classe dirigente romana, all'attualità attraverso il richiamo, evocato dall'immagine dei Giganti abbattuti, alla punizione degli empi che complottano contro la libertà della Grecia, con riferimento non tanto ai Galati vinti da Attalo I, quanto ai Macedoni e ai Seleucidi sconfitti da Eumene II 24.

Prendendo in considerazione la bibliografia pervenuta, è ravvisabile che gli studiosi si sono concentrati più sullo studio del cammeo all'epoca della sua realizzazione che sul significato attribuibile allo stesso oggetto all'interno della collezione di Fulvio Orsini, considerando l'impatto che il pezzo possa aver avuto in epoca moderna.


Gli interessi culturali di Fulvio Orsini nell'orbita della famiglia Farnese

Fulvio Orsini 25, umanista, bibliotecario, antiquario e collezionista, considerato uno dei massimi esponenti dell'Umanesimo romano, prima al servizio di Ranuccio Farnese (1530-1565), cardinale dal 1545, poi di Alessandro Farnese (1520-1589), cardinale dal 1539, si inserisce nell'orbita della celebre famiglia romana 26 che possiede una importante collezione di cammei ed intagli, per valore storico ed artistico, proveniente da alcune tra le più insigni raccolte glittiche del Rinascimento. Questa collezione, legata alla figura di papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese (Canino, 1468 - 1549), e accresciuta nel corso del tempo dai suoi congiunti, è caratterizzata da un ininterrotto rapporto con l'antico 27.

I cardinali Ranuccio e Alessandro, per i quali, nel corso del tempo, lavora Fulvio Orsini, sono entrambi nipoti del pontefice. Infatti, loro padre è Pier Luigi (1503-1547), uno dei quattro figli di papa Paolo III, al quale, salito al soglio pontificio, ha assegnato il Ducato di Parma e Piacenza, scorporandolo dai territori dello Stato Pontificio. Alessandro Farnese, cardinale dal 1539, è un efficace collaboratore del nonno.

Il pontefice, nella sua giovinezza allievo del fondatore della celebre Accademia Romana degli Antiquari, Pomponio Leto (1428-1498) 28, è stato il creatore dell'ideologia farnesiana romana, espressa nel Palazzo Farnese attraverso il primo allestimento, incompiuto, della scultura antica, disposta al piano nobile completamente integrata, costituente un programma autocelebrativo. In continuità simbolica con tale allestimento, intorno al 1600, sotto il cardinal Odoardo, per l'arredo del salone la funzione di autocelebrazione spetterà di nuovo solamente alle sculture.

Il primo nucleo del tesoro Farnese risale agli interessi antiquari dei cardinali nipoti di Paolo III, con Ranuccio che forma, nella residenza di Caprarola, un suo “Studio” di monete, intagli ed altri preziosi, noto dall'inventario redatto l'anno dopo la morte del collezionista, da Annibal Caro il 28 luglio 1566. Più consistente è la collezione di gemme, monete e bronzetti che il fratello di Ranuccio, Alessandro, forma a Roma, in cui confluiscono anche una cinquantina di gemme possedute in precedenza da Ranuccio 29, ordinata, insieme ai manoscritti delle Antichità di Ligorio, in un mobile appositamente progettato da Giacomo della Porta (attualmente al Musée de la Renaissance a Ecouen), secondo Fulvio Orsini uno “Studio” pensato dal cardinale per servire da “scuola pubblica” agli studiosi e amanti d'arte, in relazione con i marmi antichi distribuiti nelle sale del palazzo a Campo de' Fiori insieme alle raccolte di dipinti, di bronzi, di arredi in marmi preziosi, di libri.

Gli interessi di indagine di Fulvio Orsini che si inserisce nella complessa rete di frequentazioni dotte dei Farnese, alimentata nei cenacoli umanistici della famiglia a Roma e a Caprarola, si collocano all'interno di quell'ambito che, dalla metà del XVI secolo, mira a documentare sistematicamente l'immagine antica. Roma offre l'opportunità allo studioso di entrare in contatto con Pirro Ligorio (1513 circa-1583), pittore ed architetto erudito, protetto della famiglia estense, interessato allo studio dell'antico, benché abbia un diverso approccio agli oggetti e alle diverse fonti documentarie 30.

Fulvio Orsini che dedica particolare attenzione allo studio delle Imagines, l'identificazione delle grandi personalità del passato, nel 1570 vede la pubblicazione dei risultati delle ricerche condotte in diretto contatto con le collezioni di marmi, di monete, di gemme ospitate a Palazzo Farnese, attraverso il suo volume Imagines et elogia virorum illustrium et eruditot ex antiquis lapidibus et nomismatib expressa cum annotationib 31.

La biblioteca e la produzione scientifica di Fulvio Orsini che si estende dall'edizione di lirici e storici greci e latini alla collazione ed al commento di importanti testi epigrafici, alla realizzazione di opere fondamentali di numismatica, rivela, come segnala Cellini, una personalità versatile, permeata di una raffinata ed enciclopedica cultura classica 32.

Nello stesso Palazzo Farnese, Fulvio Orsini forma una importante raccolta di gemme, parallelamente a quella posseduta da Alessandro Farnese. Fulvio Orsini è l'animatore degli interessi antiquari del suo grande patrono e l'esecutore dei suoi programmi collezionistici, come risulta dalla corrispondenza con Alessandro, rivelatrice di un fitto scambio di notizie, proposte di acquisti e disquisizioni, nel segno di un comune interesse per la ricerca degli esemplari antichi. Quindi, se una gemma o una moneta non ha incontrato il favore del cardinale, può essere trovata più tardi nella collezione del suo protetto 33.

Per Fulvio Orsini le gemme rappresentano una parte dei materiali antichi, strumento di lavoro oltre che oggetti di passione collezionistica, funzionali allo sviluppo delle sue indagini storiche e antiquarie, riflesso degli interessi scientifici del proprietario che raccoglie sculture (soprattutto ritratti, spesso iscritti), epigrafi (solo quelle relative a magistrature, sacerdozi e decreti), monete e gemme (soprattutto quelle raffiguranti divinità, temi mitologici, personaggi o eventi storici), molte delle quali con firme incise 34.

L'interesse di Fulvio Orsini per le iconografie del passato si concretizza anche nella formulazione di programmi decorativi complessi e accurati, di tema mitologico, legati alla sua epoca. Basti pensare, in tal senso, al ruolo assunto dallo studioso nella stesura del programma iconografico del Camerino Farnese 35 e alle fasi preparatorie dei soggetti, come risulta da due lettere del cardinale Odoardo Farnese nel ms. Vat. Lat. 9064, pubblicate da Martin 36. Al riguardo, nello specifico, la rappresentazione di Ercole al bivio nel Camerino presenta Odoardo, nuovo Ercole, come degno erede del padre, il duca Alessandro.

Alla morte di Fulvio Orsini, nel 1600, il patrimonio d'arte raccolto negli anni al servizio della famiglia Farnese (più di 100 tra quadri e disegni, altrettanti marmi, più di 400 gemme, una imponente collezione di monete) entrerà a far parte, per volontà testamentaria, dei beni del duca Odoardo.


La Gigantomachia: rappresentazione mitica e politica della lotta

Le gigantomachie 37 sono miti lontani nel tempo, metafora del contrasto tra l'hybris, personificata dai Giganti, e l'ordine rappresentato dagli dei dell'Olimpo, che solo l'intervento dell'essere umano impersonato da Eracle può risolvere.

Una gigantomachia è una contestazione dell'ordine stabilito che, prossima al successo, è disfatta per la sua incapacità di affermarsi pienamente come nuovo ordine, oltre la violenza e il caos che sembrano le sue uniche prerogative. Da un punto di vista teologico essa, come ultimo atto nella creazione dell'Universo, testimonia il trionfo dell'ordine sulla hybris: gli dei, sottomettendo i figli della Terra, possono consolidare il loro potere divino.

La Gigantomachia narrata da Omero, Esiodo ed Apollodoro, nonché da Ovidio nel primo libro delle Metamorfosi 38, comunemente ambientata nei Campi Flegrei (da Flegra che significa “città del fuoco”), nella parte di Penisola Calcidica detta Pallene, ma anche nel territorio di Cuma, è la lotta di Zeus (Giove) contro i Giganti (nati da Gea in seguito all'evirazione di Urano) per la conquista del potere, precedente l'instaurazione sull'Olimpo di un clima tranquillo, in cui Zeus potesse ritenersi al riparo da colpi di mano.

I Giganti che assalirono Zeus (Giove) come fecero i Titani con Crono, liberato da Zeus, erano appoggiati da Gea e dai Centimani benché Zeus avesse ricorso all'aiuto di Briareo 39 (attivo nella guerra contro i Titani), dato che l'alleanza con gli altri dei olimpici, almeno per quanto riguarda Posidone, Era e Atena, non fu immediata. I Giganti, provenienti dal Tartaro, sovrapponendo le montagne Ossa e Pelio, si procurarono una posizione di lancio favorevole per gli enormi macigni che decisero di far piovere sull'Olimpo. Zeus, affiancato dagli dei della nuova generazione, tra i quali Dioniso ed Eracle (due suoi figli nati da una madre mortale), dovette vietare a Eos (l'Aurora), Elio (il Sole) e Selene (la Luna), figli dei due fratelli titani Tea e Iperione, di svolgere il loro compito perché Gea, in assenza della luce, non potesse trovare l'erba magica necessaria a sventare il pericolo costituito da Dioniso ed Eracle. Quest'ultimo ebbe un ruolo fondamentale nella Gigantomachia, dando il colpo di grazia a buona parte dei Giganti, oltre a trascinare il gigante Alcioneo, ferito da una delle sue frecce, fuori dal suolo patrio perché in nessun altro modo sarebbe potuto morire. Fra gli sconfitti vi fu il gigante Pallante, con la cui pelle Atena si forgiò scudo e corazza. Alla fine i Giganti tornarono nelle viscere della Terra che li aveva generati, tentando talvolta, producendo i terremoti, di liberarsi dal peso delle montagne.

I Giganti che incarnano le forze terrestri brutali, anomalie della natura, al pari dei Titani per ciò che concerne le forze celesti metereologiche 40, sono stati rappresentati dagli antichi con armatura e con la conformazione degli altri dei ed eroi e, successivamente (dall'età di Alessandro Magno, segnala Ramorino 41), con «isquamose code di drago invece dei piedi, con lunghe barbe e capigliere, in atto di scagliare al cielo rupi e tronchi infuocati» 42 oppure «come aventi in luogo di gambe due serpenti che terminano dalla parte della testa» 43.

I due Giganti rappresentati nel cammeo di Athenion con Zeus in lotta con i Giganti, proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini, sono riconducibili, per le code con squame, a quest'ultima tipologia. Tuttavia, le terminazioni con muso di animale (lupo?) sono correlabili, piuttosto, ad altri personaggi mitologici, come i Centimani 44, detti anche Ecatonchiri, Ἑκατόγχειρες, “di cento mani”, la triade di giganti (Cotto, Egeone o Briareo, Gige), dotati di cinquanta teste e cento braccia, nati da Urano e da Ge (Cielo e Terra), giustapposti ai Ciclopi. Relegati dal padre nell'Inferno, i Centimani vi furono tirati fuori da Zeus, su consiglio di Ge, per essere opposti ai Titani. Questi ultimi, cacciati nel Tartaro, furono chiusi in prigioni bronzee, sorvegliate dai Centimani per volere di Zeus.

Nella figura di Zeus, rappresentata in lotta con i Giganti nel cammeo di Athenion di Fulvio Orsini, è individuabile, dal punto di vista iconografico, il richiamo alle rappresentazioni dello stesso soggetto nella numismatica romana antica. Infatti, nel quadrigato romano 45, emesso nel III secolo a.C., rappresentante un esempio di trasmissione di modelli iconografici greci (attici) mediato da Taranto e dall'area apula nella monetazione romana, al didramma caratterizzato dalla presenza al D/ di una testa maschile giovanile e gianiforme, incoronata da un serto di alloro 46, corrisponde al R/ la raffigurazione di una quadriga che avanza al galoppo verso destra, procedendo dal fondo alla superficie della moneta. Il carro è guidato da Victoria, drappeggiata, che regge con entrambe le mani le redini e si protende in avanti nello sforzo di condurre i cavalli. Accanto alla dea, Giove, barbato e drappeggiato attorno ai fianchi, stringe nella mano sinistra lo scettro, che termina con una sorta di fiore trilobato, e, con la destra, scaglia il fulmine contro un nemico che non è raffigurato sulla moneta. I cavalli procedono con le teste affiancate, le zampe anteriori sollevate, pronte a toccare il terreno per imprimere nuova spinta alla corsa del carro, mentre le posteriori sono stese, alla fine della loro azione. La raffigurazione con Zeus sul carro, nella penisola trovò diffusione, inoltre, anche nella ceramografia, riscuotendo particolare successo, tanto che il dio non combatte mai a piedi sui vasi apuli a figure rosse 47.

La Gigantomachia è una rappresentazione che tradizionalmente si presta a una interpretazione politica, oltre che etica e religiosa. Infatti, già ai tempi di Pisistrato (circa 600 a.C. - 527 a.C.) 48, a causa dell'ambientazione del racconto mitologico in Pallene, nome anche del demo attico in cui il tiranno organizzò la propria riscossa, in seguito si moltiplicarono le raffigurazioni su ceramica della Gigantomachia con uno schema con Eracle e Atena antagonisti dei Giganti, politicizzando il tema della lotta con Pisistrato nuovo Eracle che, grazie all'aiuto di Atena, proprio a Pallene sconfiggeva i suoi avversari politici 49. Riassunto definitivamente il potere (539 a.C. - 538 a.C.), Pisistrato fu lodato dai principali autori dell'antichità per moderazione, giustizia, qualità elevate e grandezza.

Anche Alessandro Magno (356 a.C. - 323 a.C.) 50 è stato considerato nuovo Eracle, in quanto mediatore tra i popoli conquistati 51. I Giganti non erano più solo opliti, non solo umani dai tratti ferini, ma la loro mostruosità anguipede accompagnava i conflitti di un mondo colpito da battaglie epocali tra imperi o da nuove migrazioni di popoli.

Un'altra celebre rappresentazione della Gigantomachia con significato politico si trova nel fregio dell'Altare di Pergamo 52, scoperto con gli scavi effettuati nella città nel XIX secolo 53, sotto la direzione dell'ingegnere tedesco Carl Humann (1839-1896), dove la lotta dei Pergameni contro i Galati (sconfitti nel 184-183 a.C. e nel 168-166 a.C.) è equiparata alla battaglia degli dei contro i Giganti.

Anche nel secolo XVI, a cui appartiene Fulvio Orsini, le rappresentazioni della Gigantomachia hanno un significato politico. Infatti, l'antico mito della sconfitta della rivolta dei Giganti da parte di Zeus e degli dei dell'Olimpo, scomparso dal repertorio delle arti visive con la fine del mondo antico, è riapparso bruscamente nei primi anni '30 del XVI secolo, trovando la sua prima espressione indipendente nell'arte moderna, come sottolinea Vetter studiandone l'iconografia 54. Vetter, in particolare, si riferisce a tre opere realizzate quasi contemporaneamente a Mantova, Genova e Udine, in cui gli eventi mitici sono stati strumentalizzati per legittimare le rivendicazioni di potere e i rapporti di forza all'epoca esistenti e interpretati in quel contesto politico 55.

Al riguardo, è considerabile significativo che proprio all'epoca della nascita di Fulvio Orsini, avvenuta nel 1529, le rappresentazioni della Gigantomachia abbiano un significato politico, dato che godono di una certa diffusione e trovano utilizzo come simbolo di supremazia e trionfo sui nemici della Cristianità, nelle rappresentazioni del mito a Genova, nel Palazzo Doria a Fassolo, e a Mantova, presso Palazzo Te. Tali ambienti sono entrambi legati ai Farnese, attraverso le figure di Carlo V (nonno, per via materna, di un altro Alessandro Farnese, il figlio di Margherita d'Austria, vissuto tra il 1545 e il 1592 56) e di Paolo Giovio (amico di Andrea Doria 57). Dunque, è ravvisabile che le rappresentazioni moderne della Gigantomachia, con significati politici, erano state utilizzate negli ambienti in cui si colloca Fulvio Orsini.

Il grande affresco che occupa gran parte della volta del Salone detto “della Caduta dei Giganti” 58, sito al piano nobile del Palazzo Doria di Fassolo, decorato da Perin del Vaga e collaboratori dal 1528 al 1533, è stato infatti interpretato come il riferimento a un nuovo Giove, identificato in Carlo V 59 o in Andrea Doria 60, oppure letto come un richiamo all'Eneide, riconoscendo in Andrea Doria a Genova un nuovo Enea a Roma, posto sotto la protezione di Giove 61.

Andrea Doria 62, capitano, corsaro cristiano, nelle imprese per mare ha riportato tante vittorie contro pirati e Turchi, ottenendo una gloria politica coronata dalla riforma del 1528 che ha implicato la ristrutturazione del corpo politico genovese, nell'ambito delle rivalità personali per il dominio di Genova con la famiglia Fieschi (Gianluigi Fieschi, conte di Lavagna, era stato appoggiato dal re di Francia, dal duca di Piacenza e da papa Paolo III Farnese). Nelle lotte tra i principi cristiani, Andrea Doria ha sostenuto prima i re aragonesi di Napoli e poi i re di Francia, infliggendo nel 1524, sulle coste della Provenza, una serie di sconfitte alla flotta dell'imperatore e dei suoi alleati. In seguito, dato che il re di Francia tardava a rispettare le promesse fatte, Andrea Doria nel 1528 ha raggiunto l'accampamento dell'imperatore Carlo V ed ha aiutato gli Imperiali a cacciare i Francesi dalla sua città, dimostrando la sua posizione di allineamento alla tradizione cristiana per la lotta contro gli infedeli e i loro alleati e quella ghibellina per il sostegno del partito imperiale.

Nel 1533 Carlo V è stato ospitato nel decorato Palazzo Doria. Durante i suoi ripetuti soggiorni nel palazzo, nel Salone della Caduta dei Giganti (il luogo di massima valenza cerimoniale della residenza) è stato collocato il suo trono. Carlo V, in una lettera scrittagli da Pietro Aretino il 20 maggio 1537, è stato descritto come un essere sovraumano, onnipotente, richiamando la figura di Giove e paragonando i Giganti ai nemici dell'imperatore:


«… Poniamo da canto l'aver voi preso il Re, fatto prigione il Papa, cacciati gl'infedeli d'Ungheria, e nel vincer l'Affrica liberati 18 mila Cristiani dalle catene, con l'essere entrato nel cuore alla Francia con l'arme… è l'universo che si move quasi tutto per farvi impotente, e favvi onnipotente: perchè nei terribili suoi apparati appare il tremendo vostro potere. Ecco i milioni d'oro tratti dalle viscere alla Gallia; ecco le turbe dei Grisoni; ecco la moltitudine degli Svizzeri; ecco le schiere dei Taliani; ecco i cavalli infiniti; ecco le navi innumerabili, ed ecco il Turco. […] Mentre che essi minacciano contra dell'Imperadore, il qual non si move, e tiengli indietro, paiono giganti stolti che posero i monti sopra i monti; e Nembrotte, che fece la torre, presumendosi di levare Iddio dal seggio; il potere dal quale, tacito in sè stesso, riguadato che ebbe alla temerità della lor superbia, gli disperse con quei folgori che tiene ascosi fra gli artigli l'aquila che diede Giove ad Augusto. Ma i monstri, che presero a far guerra a Dio fur meno insolenti che non son le chimere che vogliono combattere con Cesare, perchè essi ciò facendo, repugnarono solo alla natura, e costoro ciò operando repugnarono alla natura ed a Dio: alla natura con isforzarla a far quello che non si puote; a Dio con il credersi nel fargli ingiuria…» 63.


In proposito, Parma Armani sottolinea specifici riferimenti iconografici, dato che l'aquila che tiene i fulmini nascosti tra gli artigli, è attributo di Zeus ma anche simbolo araldico dell'imperatore 64.

A distanza di anni dalla realizzazione della decorazione del Salone della Caduta dei Giganti, in Palazzo Doria a Genova, sono ravvisabili nuovi significati politici che legano il mito della Gigantomachia al cardinale Alessandro Farnese, presso cui Fulvio Orsini è al servizio.

Infatti, Paolo Giovio, nel Dialogo dell'imprese militari et amorose, a proposito del cardinale Alessandro Farnese, afferma:


«Vltimamente quando da Papa Paolo III. fu mandato Legato in Alemagna, col fiore de' Soldati d'Italia, in aiuto di Carlo Quinto Imperatore, per domare la perverfità de Tedeschi, fatti in gran parte Lutherani, & rebelli alla M. Cesarea, gli feci per impresa il fulmine Trifulico, che è la vera arma di Giove, quando vuol gastigare l'arroganza, & poca religione de gli huomini, come fece al tempo de' Giganti, col motto che diceva, HOC VNO IVPPITEK VLTOK, Aβimigliando le scommuniche al fulmine, il Papa a Gioue. Et così come si vede in buona parte, per questi aiuti che nel principio della guerra furono molto opportuni, Carlo Quinto con somma gloria riuscì vittorioso & inuittiβimo.» 65.


Giovio, dunque, inventa l'impresa del cardinale Alessandro Farnese in diretta derivazione dalla simbologia di Paolo III, dal quale, oltre al nome, ha avuto il ruolo di nuovo Zeus che punisce i ribelli. Nelle parole di Giovio, inoltre, è rilevabile un collegamento diretto simbolico tra il papa (che prima di salire al soglio pontificio era stato cardinale Alessandro Farnese) in uno scambio di rimandi all'iconografia della Gigantomachia.

Paolo III che ha dato inizio al Concilio di Trento nel 1545, è stato un papa di stile prettamente rinascimentale per la sua educazione umanistica. Fin dall'inizio del suo pontificato, ha affermato la continuità tra la Roma classica e la cristiana, tra la supremazia dell'Impero Romano e del papato, attraverso una serie di cantieri (riqualificazione del Colle Capitolino, cantiere di Castel Sant'Angelo, decorazione di Palazzo Farnese) e con i programmi iconografici dei grandi apparati decorativi 66. Con questi, ha stabilito paralleli tra il papa Farnese e uomini illustri dell'antichità e il mito dell'età dell'oro, con le esaltazioni in chiave mitologica (attraverso l'identificazione del pontefice con Giano, Apollo, Giove, Ercole…) o attraverso la storia (con l'accostamento di Paolo III ad Alessandro Magno e Cesare) 67.

Anche per quanto riguarda l'iconografia celebrativa del cardinale Alessandro Farnese è dunque ravvisabile il richiamo all'antico, in linea con l'omonimo nonno pontefice Paolo III nonché con l'omonimo nipote condottiero duca (+ 1592) 68 che ha riconquistato, per il trono spagnolo, le province meridionali dei Paesi Bassi, per il quale sarà elaborato un programma della sua glorificazione, attraverso la raccolta di un insieme di sculture formato da statue antiche, copie dall'antico e sculture moderne.

Inoltre, a Mantova, la Caduta dei Giganti affrescata da Giulio Romano a Palazzo Te è stata interpretata da Hartt come allusiva a Carlo V, in rapporto con il clima storico di “punizione” creatosi in Italia dopo il Sacco di Roma del 1527 69, interpretazione, però, molto ridimensionata da Verheyen 70. Comunque, Zeus che fulmina i Giganti è un tema che, come sottolinea Boccardo, doveva godere di molta fortuna nel XVI secolo 71. Era, ad esempio, presente anche sulla facciata di Palazzo Tinghi a Udine, ad opera del Pordenone, secondo quanto affermato da Pietro Aretino, in riferimento alla vittoria di Carlo V sugli eserciti dei Riformati a Mühlberg (1547) 72.


Iconografia della Gigantomachia nel XVI secolo

Dal punto di vista strettamente iconografico, sono rilevabili dei significativi elementi che caratterizzano le iconografie delle Gigantomachie realizzate nel XVI secolo, legate all'ambiente di Fulvio Orsini, che si differenziano dal modello proposto nel cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, proveniente dalla collezione dello stesso studioso. È considerabile significativo, inoltre, notare che tali elementi risultino ricorrenti nelle stampe di traduzione che permettono la circolazione delle iconografie, nonostante talvolta presentino delle varianti rispetto alle opere originali. Inoltre è rilevabile che le stampe di traduzione si prestano, dal punto di vista tecnico, alla resa più incisiva di determinati dettagli che assumono, di conseguenza, maggior risalto rispetto alle opere pittoriche e, al contempo, sono ottenute attraverso l'incisione, tecnica più vicina alla decorazione della glittica.

Nell'affresco che occupa gran parte della volta del Salone detto “della Caduta dei Giganti”, sito al piano nobile del Palazzo Doria di Fassolo, decorato da Perin del Vaga e collaboratori dal 1528 al 1533, Zeus è raffigurato al centro, in alto, con fasci di fulmini tra le mani, pronto a scagliarli. Zeus, circondato dai segni zodiacali e dotato dell'aquila, suo attributo, è rappresentato su delle nubi che demarcano in modo netto la sfera celeste, superiore, con le divinità, e quella terrestre, inferiore, con i Giganti ribelli.

Tali elementi sono individuabili, con maggiore incisività, per il contrasto cromatico dovuto alla tecnica utilizzata, nella stampa di traduzione, attribuita a Giulio Bonasone, conservata presso il Rijksmuseum, realizzata entro il 1580 73, in cui sono ravvisabili delle varianti e delle semplificazioni principalmente soltanto nelle figure dei Giganti sullo sfondo (Fig. 4).



Fig. 4 - La lotta fra dei e giganti, secondo quarto del XVI secolo, stampa dall’affresco di Perin del Vaga a Palazzo Doria (alias Villa del Principe) a Genova, incisione stampata su carta, 340 x 569 mm, objectnummer RP-P-2001-153, Rijksmuseum, Amsterdam
(Foto: Rijksmuseum, Amsterdam)
Fig. 4 - La lotta fra dei e giganti, secondo quarto del XVI secolo
stampa dall'affresco di Perin del Vaga a Palazzo Doria
(alias Villa del Principe) a Genova, incisione stampata su carta, 340 x 569 mm
objectnummer RP-P-2001-153, Rijksmuseum, Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)

Dunque, nella Caduta dei Giganti di Palazzo Doria a Genova è ravvisabile che la figura di Zeus esprime la sua grandezza e la sua potenza attraverso la posizione occupata, la posa e il gesto, senza ricorrere all'attributo del carro.

Il gesto di Zeus, nell'atto di scagliare i fulmini, senza carro, è individuabile anche a Palazzo Te, a Mantova, nella Caduta dei Giganti dipinta da Giulio Romano a partire dal 1532 ed entro il 1536 74, dove il dio pagano imprime il movimento alla scena.

Inoltre, è considerabile interessante notare la migrazione di iconografie e pose divine, dalle rappresentazioni pagane e cristiane, nonché la persistente circolazione di alcuni modelli che, tuttavia, nel tempo, subiscono una evoluzione, come il ribaltamento a causa della realizzazione di matrici di stampa senza tenere conto che le immagini impresse verranno ribaltate. Si pensi, ad esempio, all'acquaforte di Pietro Santi Bartoli, raffigurante un dettaglio con Zeus, ripreso dalla Caduta dei Giganti di Giulio Romano, di Palazzo Te a Mantova, riprodotto ribaltato, nel secolo successivo, conservata all'Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel, in Germania (Fig. 5) .



Fig. 5 - Pietro Santi Bartoli, Caduta dei Giganti, 1680, acquaforte, 210 x 280 mm - 280 x 375 mm, Herzog August Bibliothek, Museumsnr / Signatur Xd FM 23.2 (48), dall'affresco di Giulio Romano, Palazzo Te, Mantova
(Foto: Herzog August Bibliothek http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/)
Fig. 5 - Pietro Santi Bartoli, Caduta dei Giganti, 1680
acquaforte, 210 x 280 mm - 280 x 375 mm, Herzog August Bibliothek
Museumsnr / Signatur Xd FM 23.2 (48)
dall'affresco di Giulio Romano, Palazzo Te, Mantova
(Foto Herzog August Bibliothek
http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/)
cortesia di Michela Ramadori)

Per quanto riguarda il passaggio di modelli iconografici dall'ambito sacro cristiano a quello pagano e viceversa, sono considerabili esemplari le figure di Cristo e della Madonna nel Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina (progettato dal 1533 e realizzato tra il 1536 e il 1541) 75, nelle quali sono ravvisabili significative affinità di pose e rapporti con Zeus e figura femminile che tocca i fulmini nella Caduta dei Giganti di Giulio Romano a Palazzo Te a Mantova, ribaltati nell'acquaforte dell'Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel (Fig. 5).

Al tempo di Fulvio Orsini è dunque rilevabile una notevole importanza attribuita al gesto divino, dal punto di vista iconografico, sia nell'ambito cristiano che pagano, con particolare riferimento a Zeus (Giove) «Padre degli huomini & degli Dei» 76, più che all'equipaggiamento da guerra, come il carro, rifuggendo un parallelismo immediato tra potenza del dio e armamentario di guerra terrena.

Per quanto riguarda i testi di argomento sacro, invece, nelle Prediche del canonico regolare lateranense Hippolito Caracciolo, edite a Venezia nel 1599, «Christo vittorioso» 77 viene descritto come un condottiero trionfante:


«Finalmente andò nel più basso inferno, incatenò Satan, attaccato al carro de' suoi trionfi, stracinādolo dietro, prese là giù il possesso; cava fuori della tana il capo vittorioso il Leone, & vien di sopra, & ripiglia il carro del corpo suo dal sepolcro, armato di quattro ruote, a guisa del santo Elia.» 78.


Nel testo, inoltre, viene fornito un richiamo al profeta Elia, rapito in Cielo, presentato anch'egli in trionfo, come una prefigurazione di Cristo.



La rappresentazione di Elia sul carro di fuoco, quale attributo di comando

Nel periodo storico in cui vive Fulvio Orsini sono individuabili esempi, anche iconografici, ispirati al racconto biblico veterotestamentario del profeta Elia, in cui il carro è riconoscibile quale suo attributo di potenza.

In particolare, per quanto riguarda Elia e l'immagine del carro infuocato che lo rapisce o di qualsiasi ascensione o paradisiaco trionfo del profeta, sono considerabili significativi le iconografie e i testi di argomento sacro, in cui sono individuabili degli spostamenti di significati nonché di richiami al trionfo ben esemplificato, nell'ambito mitologico, dal cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti, proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini (Fig. 1).

L'iconografia del trionfo, ispirata ai trionfi antichi delle divinità pagane, è considerabile particolarmente adatta per la figura veterotestamentaria del profeta Elia perché si collega a un personaggio antico, precedente la nascita di Gesù, quindi correlabile a una immagine del passato inteso anche in senso antiquario, nonché legato a un culto già ben radicato.

Infatti, il culto di Elia 79, venerato dai Cristiani, soprattutto dai pellegrini in Terra Santa, è vivo in Oriente fin dai secoli XI-XII ma nell'epoca della Controriforma la sua festa appare per la prima volta nel Messale Carmelitano del 1551 80. Invero, benché i Carmelitani a volte facessero risalire il loro ordine ad Elia 81, gli hanno reso culto tardivamente. Nonostante i santi dell'Antico Testamento siano iniziati ad apparire nei martirologi sotto l'influsso dei menologi bizantini, Elia attende fino alla pubblicazione delle editio princeps del Martirologio Romano (1583) 82.

Tuttavia, il suo culto è radicato da tempo. Infatti, secondo una tradizione di Bisanzio, al profeta Elia era stato dedicato un santuario fondato dalle legioni dell'imperatore Zenone (474-491) 83 dopo la campagna di Persia, in riconoscenza per un'apparizione del profeta all'esercito.

In questa apparizione è rilevabile in sé già il riferimento al trionfo militare che lo lega alla rappresentazione iconografica del carro.

La festa del profeta Elia era celebrata al Petrion di Costantinopoli il 20 luglio. Credenze molto antiche, già vive nelle zone periferiche dell'impero bizantino, assegnavano ad Elia la vittoria sul male. Festeggiato il 20 luglio anche dalla Chiesa orientale ortodossa, in Russia è onorato come grande eremita, profeta e severo accusatore, il giusto che nel deserto aveva ascoltato la voce del Signore e colui al quale era stato concesso il privilegio di entrare vivo nei Cieli. Nel corso dei secoli, nella tradizione popolare, era stato associato al dio Perun, tra le divinità della Russia pagana, per il potere miracoloso sulla tempesta, sulle nubi, sul fulmine e sul tuono.

Dal punto di vista iconografico, dunque, è riscontrabile un legame diretto con gli attributi di Zeus (Giove).

Attraverso il racconto biblico dell'Antico Testamento (1 Re 17-19; 2 Re 1-2), al profeta Elia è riconosciuta la facoltà di disporre delle forze dell'acqua e del fuoco.

La Scrittura dà un decisivo tratto alla storia di Elia, non essendo morto ma assunto in Cielo, su un carro di fuoco con cavalli di fuoco, rapito in cielo in un turbine di vento, mentre Eliseo, il discepolo, lo invocava a nome di tutto il popolo di Israele (2 Re 2,11-13).

Come sottolinea Sicari, il fatto che Elia non sia morto, significa che egli ha mantenuto nella storia del popolo eletto una funzione permanente, in quanto deve continuamente tornare, come spiegherà il Siracide, perché è «designato a rimproverare i tempi futuri / per placare l'ira prima che divampi / per ricondurre il cuore dei padri verso i figli…» (Sir 48,10) 84. In modo analogo si chiude il libro del profeta Malachia, esattamente le ultime righe dell'ultima pagina dell'Antico Testamento, in cui Elia sarà inviato «prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri» (Mal 3,23-24).

Dunque, la presenza di Elia sul carro è leggibile come un'assunzione non legata direttamente alla morte ma al conferimento di una posizione di guida per gli uomini, come se avesse un ruolo al di sopra degli altri esseri umani.

Con l'ascensione di Elia, il racconto si sposta principalmente su Eliseo (1 Re 19; 2 Re 2-9, 13), in cui è riconoscibile un ruolo chiave anche dal punto di vista iconografico, dato che raccoglie il mantello di Elia, lasciato nel deserto, e inizia il suo viaggio di ritorno verso il proprio paese. Quasi subito arriva al fiume Giordano e non riesce ad attraversarlo. Ricordando che ora porta il mantello di Elia, presume di possedere anche il potere di Elia. Prendendo il mantello, percuote con esso le acque del fiume Giordano e ancora una volta queste acque si dividono ed egli attraversa l'alveo del fiume all'asciutto (2 Re 2,13-14).

Elia è invocato per la fecondità della terra e dell'uomo. Sulla base del sacrificio dei vitelli sul monte Carmelo e dei cavalli di fuoco che lo portarono in cielo, è considerato protettore del bestiame. Secondo la tradizione popolare, nei fulmini si vedono le frecce infuocate del profeta e nei tuoni il rumore del suo carro.

Oltre al carro di fuoco che lo designa più spesso, gli sono associati anche i seguenti attributi: i corvi che lo nutrono sulle rive del torrente del Kerit (1 Re 17, 4-6); un bambino, quello che egli risuscitò a Sarepta (1 Re 17, 17-24); l'angelo che lo confortò a Beer Cheba (1 Re 19,5); il pane e una brocca d'acqua che egli scoprì sotto una ginestra in quell'occasione (1 Re 19,6).
Talvolta è rappresentato con l'abito dei Carmelitani e, infine, nella scena della Trasfigurazione.
L'antichità cristiana ha rappresentato più volte Elia nel momento della sua ascensione al Cielo, simboleggiante l'ascensione dell'anima verso la vita eterna. La teologia cristiana ha visto nella storia di Apollo una prefigurazione della Resurrezione, e nell'ascensione di Elia una prefigurazione della resurrezione del corpo. Urech segnala che il profeta somiglia ad Apollo che guida la quadriga del sole ma che non è necessario fare un raffronto tra «helios»
ed «Elia» per spiegare questa somiglianza, inquadrata come un ricordo pagano 85.

Pelizzari, invece, segnala il legame tra la rappresentazione del carro del Sole-Cristo e quella veterotestamentaria, allusiva alla morte e alla vita eterna, dell'episodio di Elia sul carro 86.

Dal punto di vista iconografico, al tempo di Fulvio Orsini sono ravvisabili delle significative differenze tra le rappresentazioni di Elia e Apollo ma anche di Elia e Cristo, l'uno (Elia) raffigurato anziano e gli altri (Apollo e Cristo) giovani. Sono invece rilevabili maggiori affinità iconografiche tra le rappresentazioni di Elia e di Dio Padre, entrambi anziani. In modo analogo, sono riscontrabili affinità anche tra Elia e Zeus (Giove), riguardo al quale è ravvisabile anche il comune attributo dei fulmini.

In particolare, dal punto di vista iconografico, è considerabile il caso esemplare di Sant'Elia rappresentato sul carro trainato da quattro cavalli nell'incisione raffigurante l'Ascensione di Elia realizzata da Johannes Wierix, da Maerten de Vos, tra il 1582 e il 1583, al Rijksmuseum (Fig. 6).



Fig. 6 - Johannes Wierix, da Maerten de Vos, 1582-1583, Ascensione di Elia, incisione stampata su carta, 250 x 204 mm, objectnummer RP-P-1919-1922, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)
Fig. 6 - Johannes Wierix, da Maerten de Vos, 1582-1583
Ascensione di Elia, incisione stampata su carta
250 x 204 mm, objectnummer RP-P-1919-1922, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)

In questo caso è ravvisabile che, nella stampa, la posizione dei quattro cavalli è speculare a quella del carro di Zeus (Giove) nel cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti (Fig. 1), proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini, benché siano individuabili delle differenze tra le due rappresentazioni. Oltre al soggetto raffigurato, di natura umana (Elia) e divina (Zeus – Giove), è rilevabile che in entrambi i casi i cavalli sono resi in prospettiva, in differenti pose, come se rendessero delle fasi diverse del movimento dei singoli animali, colti nel loro momento di impeto. Il profeta Elia, con il braccio destro sollevato, nonostante non impugni le redini, è rappresentato in posa correlabile a una posizione di comando, apparendo come il fulcro dell'intera composizione. Il mantello di Elia scivola al suo fianco, al di sotto del carro, dove viene afferrato da Eliseo che si sporge, genuflettendosi, ai piedi del carro, in una scena in cui è rilevabile una intensa dinamicità. Al di sotto del carro del profeta Elia, in prospettiva, sullo sfondo, sono raffigurati i Profeti ed Eliseo che colpisce l'acqua con il mantello di Elia. Invece, nel caso del cammeo, al di sotto del carro sono posti direttamente i Giganti, schiacciati e sopraffatti da Zeus (Giove).

In altre stampe, invece, è riscontrabile che il carro è ridotto a mera cifra simbolica, perdendo l'impeto del movimento e slegandosi dai suoi rapporti immediati con il contesto paesaggistico in cui si inserisce, nonché attraverso la riduzione dei cavalli da quattro a due e perdendo quella posa che richiama una posizione di comando assunta dal profeta Elia.

Basti pensare, ad esempio, alla stampa raffigurante Elia realizzata da Johann Sadeler, da Chrispijn van den Broeck, nel 1575, al Rijksmuseum (Fig. 7), dove anche le figure dello stesso profeta Elia, anziano canuto con lunga barba, e dei due cavalli sono appena abbozzate sommariamente e occupano uno spazio limitato della composizione, per lasciare spazio al paesaggio sullo sfondo e soprattutto alla figura maschile canuta in primo piano che osserva stupita la scena, identificabile con lo stesso Eliseo. Nel gesto della mano sinistra di Elia, stesa in avanti, è comunque individuabile l'indicazione di una direzione.

Fig. 7 - Johann Sadeler (I), da Chrispijn van den Broeck, Elias, 1575, incisione stampata su carta, 118 x 77 mm, objectnummer RP-P-OB-5463, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)
Fig. 7 - Johann Sadeler (I), da Chrispijn van den Broeck
Elias, 1575, incisione stampata su carta
118 x 77 mm, objectnummer RP-P-OB-5463, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)



Fig. 8 - Nicolaes Ryckmans, da Pieter de Jode (I), Elisa ziet de hemelvaart van Elia, 1643, incisione stampata su carta, 214 x 280 mm, objectnummer RP-P-OB-73.928, serietitel Geschiedenis van Elisa, in Theatrum Biblicum, Amsterdam, Claes Jansz. Visscher (II), 1643, p. 116-121, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)
Fig. 8 - Nicolaes Ryckmans, da Pieter de Jode (I)
Elisa ziet de hemelvaart van Elia, 1643
incisione stampata su carta, 214 x 280 mm, objectnummer RP-P-OB-73.928
serietitel Geschiedenis van Elisa, in Theatrum Biblicum
Amsterdam, Claes Jansz. Visscher (II), 1643, p. 116-121, Rijksmuseum Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)

Anche nella stampa di Nicolaes Ryckmans, da Pieter de Jode, raffigurante Eliseo che assiste all'ascensione di Elia, realizzata nel 1643, al Rijksmuseum (Fig. 8), Elia e il carro, tirato da due cavalli, assumono spazio limitato nella scena. Tuttavia la figura di Eliseo è ridimensionata rispetto alla stampa di Johann Sadeler, da Chrispijn van den Broeck, sopra citata (Fig. 7). Nell'opera di Nicolaes Ryckmans, da Pieter de Jode (Fig. 8), maggior spazio è lasciato all'ampio paesaggio con la scena contenente un'altra rappresentazione di Eliseo che colpisce l'acqua con il mantello di Elia, e, su un piano più arretrato, Profeti ed edifici, tra i quali un luogo di culto a pianta centrale. Anche in questa stampa Elia ed Eliseo hanno capelli e barba bianchi. Nonostante l'impeto del movimento dei cavalli, ridotti a due, e la posa di Elia con il proprio braccio destro sollevato, è riscontrabile che la sua posizione di comando è mitigata dalla relazione con Eliseo, verso il quale si volge, gettando il mantello, pur avendo il proprio braccio destro sollevato in direzione del percorso seguito dal carro.

Invece, nella stampa da acquaforte in cui è rappresentato Elia sul carro di fuoco, realizzata da Pieter Nolpe, da Pieter Symonsz (Potter, 1623-1702), sempre al Rijksmuseum (Fig. 9), il carro di Elia, sempre anziano canuto con lunga barba, trainato da soli due cavalli, è addirittura condotto da un angelo che impugna le briglie. Il carro, in questo caso, è guidato da due cavalli al galoppo. Elia si volta alla sua destra verso Eliseo e solleva la propria mano sinistra con un gesto che lo pone in dialogo con l'altro profeta, slegandosi completamente da una posa di comando e restando distante da qualsiasi rapporto relativo alla conduzione del carro.

Fig. 9 - Pieter Nolpe, da Pieter Symonsz (Potter, 1623-1702), Elia sul carro di fuoco, acquaforte stampata su carta, 393 x 490 mm, objectnummer RP-P-1887-A-11914, Bibbia reale, Rijksmuseum, Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)
Fig. 9 - Pieter Nolpe, da Pieter Symonsz (Potter, 1623-1702)
Elia sul carro di fuoco, acquaforte stampata su carta
393 x 490 mm, objectnummer RP-P-1887-A-11914
Bibbia reale, Rijksmuseum, Amsterdam
(Foto © Rijksmuseum, Amsterdam, cortesia di Michela Ramadori)

Al riguardo è considerabile significativo che nel libro Manna mistica e dolcissimo pasto d'eruditione, e d'affetto verso l'Eucaristia del 1669, di Gio: Francesco Priuli, riguardo il trionfo di Elia, per cui vengono richiamate anche le parole di Sant'Ambrogio, si faccia riferimento a un trionfo ma, al tempo stesso, a un rapimento, con il richiamo alle figure degli angeli: «Quivi appartiene il trionfo di Elia con Celeste carro rapito (S. Ambrogio) […] Si consideri il trionfo di Elia condotto al Cielo da gl'Angeli.» 87.

In sintonia con la stampa raffigurante Elia sul carro di fuoco, realizzata da Pieter Nolpe (Fig. 9), Priuli afferma:


«Elia trionfa con la guida de gl'Angioli, perche le sue glorie non furono per le vittorie de gl'inimici visibili, nè per havere scacciata la morte, serrato il Cielo inaridita la terra, distrutto l'Idolo di Baal, ma perche era stato vittorioso delle passioni, de' piaceri del mondo, perche li cattivi costumi sono più da temersi, che tutti gl'inimici del mondo.» 88.


Nella stampa raffigurante Elia sul carro di fuoco, realizzata da Pieter Nolpe (Fig. 9), la presenza angelica è condensata nella figura di un unico angelo che osserva, come Elia, Eliseo inginocchiato in primo piano a sinistra, in una fascia di terra antistante delle acque increspate.

In tal modo è rilevabile che il riferimento ad Elia trionfante sul carro è ridimensionato nel suo richiamo militare, a favore di una immagine mitigata in chiave metaforica, come avviene, ad esempio, in quegli anni, nel 1662, nei Panegirici di Vincenzo Balestri: «In quel carro di fuoco trionfò Elia, perche fu vincitore de secolari piaceri» 89.

Il fulcro della composizione della stampa raffigurante Elia sul carro di fuoco, realizzata da Pieter Nolpe (Fig. 9), è individuabile nel mantello sospeso, in caduta libera, tra Elia ed Eliseo, ponendo in continuità le storie dei due profeti. Nel paesaggio che si apre in prospettiva al di sotto del carro, si disperdono in lontananza delle figure umane, su un lembo di terra asciutta, circondata dalle acque, riconducibili all'episodio in cui Eliseo, prendendo il mantello di Elia, percuote con esso le acque del fiume Giordano e le acque si dividono, permettendogli di attraversare l'alveo del fiume all'asciutto.

L'incisione raffigurante l'Ascensione di Elia, realizzata da Johannes Wierix, da Maerten (o Maarten oppure Marten) de Vos, tra il 1582 e il 1583 (Fig. 6) è dunque considerabile esemplificativa di una iconografia del profeta Elia strettamente correlata ai modelli del comando desunti dall'antico e riletti in chiave cristiana. Al riguardo è considerabile significativo rilevare che Maerten de Vos è entrato in contatto con l'arte sviluppatasi nella penisola italiana e, in particolare, con l'ambiente farnesiano, in cui lo studio dell'antico, riletto anche con committenze artistiche dell'epoca, ha assunto esiti significativi anche grazie a Fulvio Orsini.

Il pittore e disegnatore fiammingo di successo Maerten (conosciuto anche come Maarten e Marten) de Vos (Anversa, 1532 – ivi, 4 dicembre 1603) 90, attivo nella pittura di soggetti religiosi, mitologici, allegorici e nei ritratti, istruito presso il padre Pieter e poi da Frans Floris, viaggia in Italia, soggiornando a Roma, a Firenze e a Venezia, dove è allievo di Tintoretto. Tornato in patria, è iscritto maestro ad Anversa, nella compagnia dei pittori, di cui ne è decano nel 1571.

Sceglie di rimanere ad Anversa, dove si configura come uno dei più importanti pittori di pale d'altare, rinunciando all'amnistia generale concessa da Alessandro Farnese, duca di Parma, che gli permetterebbe di lasciare la città, senza ostacoli, entro quattro anni dall'agosto 1585. Ad Anversa soddisfa la rinnovata richiesta di pale d'altare, realizzate, in parte, in seguito alla Controriforma, per rimpiazzare quelle perse durante le rivolte iconoclaste del 1566 o il movimento riformista del 1581. Ad eccezione di un breve soggiorno a Gand nell'estate del 1589, svolge il resto della sua carriera ad Anversa.

Nonostante la sua lunga permanenza nella città natale, Maerten de Vos fa tesoro della sua esperienza italiana e, attraverso la sua attività di disegnatore, fornisce idee ai suoi collaboratori incisori. L'artista, in Italia, soggiorna in città cruciali dal punto di vista storico artistico, nonché ambienti in cui orbitano membri della famiglia Farnese. Basti pensare, ad esempio, che a Venezia è allievo di Tintoretto, legato, tra l'altro, alla realizzazione del Ritratto di Alessandro Farnese 91 nonché al Sogno di Alessandro Farnese 92. Il primo enigmatico dipinto rappresenta il volto giovanile, non ancora segnato dal tempo, del principe di stirpe reale duca di Parma. Mentre il secondo, sarebbe stato realizzato dall'artista intorno al 1566-1568, come sostengono Pallucchini e Rossi che lo collocano al tempo del Ritratto di giovane uomo del Museum of Fine Arts di Boston e ritengono che entrambe le opere raffigurino il giovane Alessandro Farnese, duca di Parma 93.

Dunque, Johannes Wierix, come altri incisori fiamminghi, risente della produzione artistica italiana, conosciuta anche attraverso Maerten de Vos. Degli incisori fiamminghi assimilano in vario modo temi e forme della tradizione figurativa italiana, anche grazie a Maerten de Vos, e mediante la loro attività ne danno diffusione, nell'ambito di un clima di passaggio e di osmosi che, sin dalle origini dell'Europa moderna, vede comunicare la cultura nederlandese e quella italiana 94.

Lo stesso Johann Sadeler 95 è attivo anche in Italia, precisamente a Venezia, dove muore nel 1600, e realizza incisioni da Maerten de Vos.

Inoltre, pure Nicolaes Ryckmans ha rapporti con l'arte italiana. Basti pensare, in tal senso, al suo impegno nell'illustrazione del libro Palazzi di Genova di Pieter Paul Rubens, pubblicato ad Anversa nel 1622 96.


Conclusioni

Dalla bibliografia pervenuta, relativa al cammeo di Athenion raffigurante Zeus (Giove) in lotta con i Giganti (Fig. 1), proveniente dalla collezione di Fulvio Orsini, è dunque ravvisabile che gli studiosi si sono concentrati sullo studio del pezzo all'epoca della sua realizzazione, mentre poco spazio è stato riservato al significato attribuibile allo stesso oggetto all'interno della collezione di provenienza.

Considerando l'impatto che questo cammeo possa aver avuto in epoca moderna, è riscontrabile che lo studio dell'iconografia antica del potere, di cui questo oggetto è considerabile un caso esemplare per importanza attribuita all'epoca e successivamente, influenza l'elaborazione di iconografie moderne. Questa influenza è ravvisabile, non solo nell'ambito strettamente connesso al soggetto rappresentato. Infatti, ne sono riconoscibili elementi che transitano dalle rappresentazioni del mito fino a quelle del soggetto sacro, passando per l'emblema moderno. Si pensi, al riguardo, a Carlo V nella citata lettera di Pietro Aretino del 20 maggio 1537 97 o al cardinale Alessandro Farnese nel mensionato Dialogo dell'imprese militari et amorose di Paolo Giovio 98.

In tal senso è rilevabile una continuità tra l'antico strettamente biblico (veterotestamentario) e il mitologico nonché un ricorso all'antico per legittimare il presente.

È dunque riscontrabile che, grazie ai contatti della famiglia Farnese e agli spostamenti degli artisti, nonché attraverso la circolazione delle stampe (che permettono la movimentazione di motivi e iconografie) e dei libri a stampa, l'antico, studiato da Fulvio Orsini, viene indagato e attualizzato come chiave di lettura del presente, nella sua dimensione storica e devozionale dell'epoca, al tempo della Controriforma e negli anni seguenti.




      

NOTE

1 Per le dimensioni e l'attuale datazione, si veda CulturaItalia, il portale della cultura italiana creato e gestito dal Ministero della Cultura attraverso l'Istituto Centrale del Catalogo Unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche.

2 Sui passaggi di proprietà del cammeo, si vedano: GASPARRI 1995, p. 132; ZWIERLEIN-DIEHL 2007, p. 69.

3 Copia dell'inventario, dell'epoca, conservata presso la Biblioteca Ambrosiana tra i manoscritti di Giov.Vine. Pinelli, p. 25, n. 325, pubblicata in DE NOLHAC 1884, p. 168.

4 Cfr. MASSA-PAIRAULT 2017 a, n. 10.

5 Cfr. WINCKELMANN 1767, p. s.n.

6 Cfr. Voyage Pittoresque 1782, frontespizio.

7 Cfr. FINATI 1824.

8 Cfr. FINATI 1824, p. 2.

9 FINATI 1824, p. 5.

10 Cfr. FINATI 1824, p. 3.

11 Cfr. FINATI 1824, p. 4.

12 Cfr. FINATI 1824, pp. 5-6.

13 FINATI 1824, p. 6.

14 RAMORINO 1998, p. 19. La Mitologia classica illustrata di Felice Ramorino è stata pubblicata per la prima volta nel 1897. Cfr. NEGRI 2012, p. 133. Felice Ramorino è vissuto dal 1852 al 1929. Cfr. Storia dell'Università Cattolica 2007, p. 163, nota iii a aa. 1932/33 «Il discorso del Magnifico Rettore» (8 dicembre 1932).

15 Cfr. MIDDLETON 1891, p. 84.

16 Cfr. BRUNN 1889, pp. 449, 477-478.

17 Cfr. ROSSBACH 1896.

18 Cfr. LIPPOLD 1937.

19 Cfr. BREGLIA 1941, tav. 45.

20 Cfr. AMORELLI 1958.

21 Cfr. GASPARRI 1995, p. 134.

22 Cfr. ZWIERLEIN-DIEHL 2007, p. 69.

23 Cfr. MASSA-PAIRAULT 2017 a. Al riguardo si veda anche SAMPAOLO, p. 3.

24 Cfr. MASSA-PAIRAULT 2017 a. Al riguardo, vedasi anche SAMPAOLO, p. 3.

25 Su Fulvio Orsini, si vedano: GASPARRI 1995, pp. 132-134; CELLINI 2004; COLONNA 2007, pp. 31-33; BANTI 2015.

26 Sulla famiglia Farnese, si vedano: GASPARRI 1995, pp. 132-138; BANTI 2015; DI BENEDETTO 2013; DI MARCO 2021, p. 23.

27 Sul rapporto con l'antico della collezione Farnese, si veda, in particolare, RIEBESELL 2010, pp. 63, 70.

28 Sul complesso rapporto con l'antico di Paolo III, individuato anche nel retroterra culturale in cui si sviluppa la Controriforma, si veda RAMADORI 2015.

29 Al riguardo Gasparri (GASPARRI 1995, p. 132) cita un inventario dello Studio redatto nel 1589, alla morte di Alessandro.

30 Sul rapporto tra Fulvio Orsini e Pirro Ligorio, si veda FRISON 2023.

31 ORSINI 1570.

32 Cfr. CELLINI 2004.

33 Cfr. GASPARRI 1995, p. 132.

34 Cfr. GASPARRI 1995, pp. 132-133.

35 Sul ruolo di Fulvio Orsini nella stesura del programma iconografico del Camerino Farnese, si vedano, in particolare: MARTIN 1956; MARTIN 1965; COLONNA 2007.

36 Cfr. MARTIN 1956.

37 Sul significato generale dei racconti relativi alle gigantomachie, si vedano: VIAN 1951; VIAN 1952; VALENZA MELE 1980; VIAN 1985; BARBANERA 1996; MASSA-PAIRAULT 2017 b; SAMPAOLO.

38 Sul racconto della Gigantomachia narrata da Omero, Esiodo ed Apollodoro, nonché da Ovidio nel primo libro delle Metamorfosi, si vedano: STOLL 1866, p. 14; COPPOLA 1995, pp. 56-57; CERINOTTI 2001, ad vocem La Gigantomachia, pp. 19-20; CERINOTTI 2003, pp. 28-29; STAGNO 2005, p. 34.

39 Per le notizie su Briareo: DECLAUSTRE 1820, ad vocem Briareo, p. 164.

40 Cfr. DE MARZO 1864, p. 1009.

41 Cfr. RAMORINO 1998, p. 19.

42 STOLL 1866, p. 14.

43 RAMORINO 1998, p. 19.

44 Per le notizie sui Centimani, si veda Biografia universale 1838, ad vocem Ecatonchiri, Ἑκατόγχειρες, o Centimani, p. 714.

45 Per le notizie sul quadrigato romano, si veda FACCHINETTI 2004, pp. 148-150.

46 Cfr. FACCHINETTI 2004. Per l'identificazione di questa testa Facchinetti in nota 7 a p. 149 indica: L. BREGLIA, Note stilistiche sul quadrigato, RAL, 1951, fasc. 5-6, pp. 265-274; A. ALFOLDI, Die Penaten, Aeneas und Latinus. Eine archäologisch-historische Untersuchung über das Schwurgold und die nummi quadrigati, MDAI(R), 78 (1971), pp. 1-57, in particolare pp. 13-16; H. ZENHACKER, Moneta. Recherches sur l'organisation at l'art des émission monétaire de la Republique romaine (289-31 av.J.-C.), Roma 1973 (Bibliothèque de l'Ecole Française à Rome, 182), pp. 298-300.

47 Cfr. FACCHINETTI 2004, p. 157.

48 Per le notizie su Pisistrato, si veda RACHET 2001, ad vocem Pisistratidi, pp. 191-192.

49 Cfr. COPPOLA 1995, p. 55.

50 Su Alessandro Magno, tra i vari, si vedano: RADET 2005; SCOLLO 2022.

51 Su Alessandro Magno nuovo Eracle, cfr., in particolare, MASSA-PAIRAULT 2017 b.

52 Per le notizie sull'altare di Pergamo e sul suo significato politico, si vedano: ANDREAE 1994, p. 129; MUSTI 1998, pp. 5-40; MUSTI 2005, p. 88.

53 Sulla cronologia degli scavi, in particolare, si veda KÄSTNER 2016.

54 Cfr. VETTER 2003.

55 Cfr. VETTER 2003.

56 Sull'Alessandro Farnese figlio di Margherita d'Austria, si veda, tra i vari: PRONTI 1996. Cfr. anche albero genealogico di Carlo V in GEROSA 2015.

57 Per il riferimento al legame di amicizia tra Paolo Giovio e Andrea Doria, si vedano: VASARI 1772, p. 138; D'AZEGLIO – BRIANO 1863, p. 326; STAGNO 2005, p. 7.

58 Per le notizie sulla decorazione di Palazzo Doria a Fassolo, Genova, tra i vari, si vedano: BOCCARDO 1989; GORSE 1989; STAGNO 2005.

59 PARMA ARMANI 1970, p. 44.

60 Cfr. GORSE 1985; BOCCARDO 1989, p. 56.

61 PESENTI 2004, pp. 3-14.

62 Per le notizie su Andrea Doria, si vedano: BOCCARDO 1989, p. 51; HEERS 1989, pp. 9-15.

63 ARETINO 1864, pp. 152-153.

64 PARMA ARMANI 1986, p. 122.

65 GIOVIO 1557, p. 74.

66 Cfr. RAMADORI 2015.

67 Cfr. CANOVA 1998, pp. 217-234.

68 Sul duca Alessandro Farnese e sul programma della sua glorificazione, si vedano: KEUTNER 1956; BERNINI 1968; RIEBESELL 2010.

69 Cfr. HARTT 1958, pp. 157-158.

70 Cfr. VERHEYEN 1977, pp. 37-38, 53, 128.

71 Cfr. BOCCARDO 1989, p. 56.

72 Cfr. ARETINO 1913, CXXX, pp. 153-154.

73 Per attribuzione e datazione della stampa, si veda: RIJKSMUSEUM Objectnummer: RP-P-2001-153.

74 Per la cronologia della Caduta dei Giganti di Giulio Romano a Palazzo Te, Mantova, si vedano, tra i vari: MAURER 2019; Giulio Romano 2021; CORRAIN 2023.

75 Per la cronologia del Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, si vedano, tra i vari: Michelangelo 1964; MANCINELLI – COLALUCCI – GABRIELLI 1994; BURANELLI – DE STROBEL – GENTILI 2003.

76 LOLLIO 1563, p. 20.

77 CARACCIOLO 1599, p. 503.

78 Ibidem, p. 504.

79 Per le notizie generali sul profeta Elia, si vedano: SAGGI 1972, p. 151; SICARI 1995, pp. 65-88; VON SPEYR 2003, p. 6; URECH 2004, ad vocem Elia, p. 92; RUSSO 2007, in particolare pp. 51-66; MARUCCI 2010; PELIZZARI 2015; SPONG 2020, cap. 17.

80 Cfr. SAGGI 1972, p. 151; RUSSO 2007, p. 53.

81 Cfr. URECH 2004, ad vocem Elia, p. 92.

82 Cfr. RUSSO 2007, p. 53.

83 Sull'imperatore Zenone, tra i vari, si vedano: Storia degli imperatori 1847, pp. 250-251; ELLI 2017; PIETRINI 2023.

84 Cfr. SICARI 1995, p. 87.

85 Cfr. URECH 2004, ad vocem Elia, p. 92.

86 Cfr. PELIZZARI 2015.

87 PRIULI 1669, p. 577.

88 Ibidem.

89 BALESTRIERI 1662, p. 164.

90 Su Maerten (o Maarten oppure Marten) de Vos, tra i vari, si vedano: LAES 1937; ZERI 1987, p. 90; HORNIK – PARSONS 2016, Acts 276-28, p. 251; NEERMAN 2017; BOUX 2023, p. 93.

91 Sul Ritratto di Alessandro Farnese, si vedano: A. C. J. 1928; PEZZINI – BRENNAN 2018.

92 Sul Sogno di Alessandro Farnese, tra i vari, si vedano: VENTURI 1937 a, p. 40, pl. 32, fig. 1; VENTURI 1937 b, fig. 2; COLETTI 1940, p. 46; BERENSON 1957, p. 175; DE VECCHI 1970, p. 138, no. G-12; PALLUCCHINI – ROSSI 1982, vol. I, p. 192, no. 299, vol. II, p. 479, fig. 382.

93 Cfr. PALLUCCHINI – ROSSI 1982, vol. I, p. 192, no. 299, vol. II, p. 479, fig. 382.

94 Sulla comunicazione tra Paesi Bassi e Italia, in particolare tra i secoli XVI e XVII, si veda: DANESI SQUARZINA 1995.

95 Su Johann Sadeler in Italia, in particolare, si vedano: Miscellanea 1966, p. 265; LECHNER 2007, p. 368.

96 Cfr. RUBENS 1622. Si veda, anche, per quanto riguarda la partecipazione di Nicolaes Ryckmans all'illustrazione del volume: FUHRING 2004, p. 82.

97 ARETINO 1864, pp. 152-153.

98 GIOVIO 1557, p. 74.

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SPONG 2020

John Shelby SPONG, Incredibile. Perché il credo delle chiese cristiane non convince più, 2018, trad. di Ivan FORCATI, a cura di Ferdinando SUDATI, postfazione di Luigi BERZANO, Milano-Udine, Mimesis, 2020.

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STOLL 1866

Enrico Guglielmo STOLL, Manuale della religione e mitologia dei Greci e Romani ad uso dei ginnasi di Enrico Guglielmo Stoll prof. nel ginnasio di Weilburg. Tradotto per la prima volta dall'originale tedesco in italiano con consenso dell'autore da Raffaello Fornaciari prof. nel r. liceo di Pistoja, Firenze, presso Felice Paggi Libraio-Editore, 1866.

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Storia degli imperatori romani da Augusto sino a Costantino Paleologo dei signori Lebeau e Crevier tradotta in italiano, Edizione accresciuta riveduta e corretta, e fregiata di 100 incisioni, vol. IV, Napoli, Stamperia e cantiere del Fibreno, 1847.

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Storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Le fonti, vol. I. I discorsi di inizio anno da Agostino Gemelli a Adriano Bausola 1921/22 – 1997/98, a cura di Alberto COVA, Milano, Vita e Pensiero, 2007.

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Giorgio VASARI, Vite de' più eccellenti pittori scultori ed architetti scritte da Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, Edizione arricchita di Note oltre quelle dell'Edizione Illuftrata di Roma, Tomo VII ed ultimo, Firenze, Per Gio Batifta Stecchi, e Anton-Giufeppe Pagani, 1772.

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Rijksmuseum, Strijd van goden en giganten, Giulio Bonasone (toegeschreven aan), naar Perino del Vaga, 1501 – 1580, Objectnummer: RP-P-2001-153, <http://hdl.handle.net/10934/RM0001.COLLECT.363107> visitata in data 26/04/2024.

SAMPAOLO

Valeria SAMPAOLO, Presentazione del libro Géants et gigantomachies entre Orient et Occident / Présentation du livre Géants et gigantomachies entre Orient et Occident (Museo Archeologico Nazionale di Napoli, 1 marzo 2018), p. 1, in Centre Jean Bérard, <https://centrejeanberard.cnrs.fr/IMG/pdf/sampaolo-giganti.pdf> visitata in data 27/11/2023.

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