«Un
intreccio delicato tessuto tra il
visibile
e l'invisibile, dove ciascuno
chiama
e respinge l'altro, ciascuno sfiora
l'altro
e lo allontana da sé» .
Jean-Luc
Nancy
Nell'opera
incompiuta e pubblicata postuma nel 1964, Il
visibile e l'invisibile
,
il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty interroga le dimensioni
sia del linguaggio che della percezione - «il mondo è ciò che noi
vediamo, ma dobbiamo imparare a vederlo, e questo significa che
dobbiamo far parlare le cose stesse dal fondo del loro silenzio»
- e pone l'accento, approfondendone la riflessione ne L'occhio
e lo spirito ,
suo testamento spirituale ed intellettuale, sulla dimensione
ontologica della visione, con l'intento di rivelare l'intreccio e
la condizione di reversibilità tra io e mondo, soggetto e oggetto,
vedente e visibile, visibile e invisibile.
Il
filosofo francese parte dal presupposto che l'invisibile non sia
altro dal visibile, al contrario, che dimori in esso e che da esso
emerga in quanto senso delle cose, essenza interna che traspare nel
mondo del visibile.
Visibile
e invisibile non possono essere pensati separatamente, così come il
pensiero e la sua estensione, il corpo ed il mondo. Tale coesistenza
fa sì che tra il regime dello sguardo e il corpo si instauri un
intreccio di sensi che Merleau-Ponty definisce «chiasma»:
«Dobbiamo
abituarci a pensare che ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni
essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visibilità; e
che c'è trasgressione, sopravanzamento, non solo fra il toccato e il
toccante, ma anche fra il tangibile e il visibile che è incrostato
in esso, così come, reciprocamente, il tangibile stesso non è un
nulla di visibilità, non può fare a meno di una esistenza visiva.
Poiché il medesimo corpo vede e tocca, visibile e tangibile
appartengono al medesimo mondo. È un prodigio troppo poco notato il
fatto che ogni movimento dei miei occhi — anzi ogni spostamento del
mio corpo — ha il suo posto nel medesimo universo visibile che
attraverso di essi io esploro nei suoi particolari, così come,
reciprocamente, ogni visione si effettua in qualche luogo nello
spazio tattile. C'è rilevamento doppio e incrociato del visibile nel
tangibile e del tangibile nel visibile, le due carte sono complete, e
tuttavia non si confondono» .
Il
legame fra il corpo e la visione, fin qui letto nella sua
declinazione filosofica, viene ora indagato sul piano della
rappresentazione artistica per rintracciarne l'origine e le sue
implicazioni.
Nel
1990 il Louvre incaricò il filosofo e critico d'arte Jacques
Derrida
di ideare una mostra, con un tema da lui scelto, servendosi di una
fra le più grandi collezioni del museo parigino .
In
seguito ad una personale ed intima esperienza, Derrida decise di
parlare della cecità, del rapporto fra vedere e toccare, e del tatto
come alternativa forma di visione; allestì, pertanto, nella sala di
Napoleone presso il Cabinet
des dessins del Louvre
una mostra dal titolo Mémoires
d'aveugle. L'autoportrait et autres ruines
dedicata a 41
capolavori del museo parigino, per lo più disegni aventi per
soggetto ciechi, guarigioni di ciechi, accecamenti.
Perché
il filosofo francese decise di esporre disegni di ciechi e
autoritratti?
Sono
queste le due forme in cui Derrida rintraccia l'emergenza
dell'invisibile nella negazione del visibile, rispettivamente
nell'assenza della vista che si espande nello spazio toccato dalle
mani del cieco - si veda la serie dei ciechi di Coypel (Fig. 1),
Fig. 1 - Antoine Coypel, Studio di cieco, 1684, 0,347 x 0,256
papier gris;pierre noire; rehauts de blanc; sanguine, Cabinet des dessins, Fonds des dessins et miniatures, Louvre
Studio per Cristo guarisce il cieco di Gerico, Ringraziamenti: Département des Arts graphiques
Copyright: © RMN - Grand Palais - Michel Urtado, Foto cortesia di Donatella Valentino
i
cui disegni raffigurano uomini erranti, alcuni con occhi bendati,
altri con occhi chiusi che, nell'atto di avanzare, usano le mani
come strumento di esplorazione e conoscenza del mondo circostante -
e nella traccia lasciata dal tratto, durante l'atto disegnativo e
ancor di più nella forma dell'autoritratto, che si configura in
Derrida come il momento paradigmatico di un accecamento in cui il
disegnatore si rivela come cieco e arruola lo spettatore in qualità
di dispositivo speculare, quale unica condizione della vista del
disegnatore stesso.
«L'occhio
del disegnatore, irrigidito nella ricerca del proprio sguardo
rinviato dallo specchio, somiglia all'occhio di un cieco. Si acceca
lui stesso, altro non vedendo se non un occhio che nulla vede. Così
l'autoritratto è per eccellenza il luogo della cecità
dell'artista» .
L'inventio
artistica viene letta come un momento di cecità, un blind
spot in cui l'artista,
mentre disegna, brancola nel buio, sorpreso dal tratto che egli
stesso traccia (Fig. 2).
Fig. 2 - Fantin-Latour Henri, Autoritratto, 1860, 0,232 x 0,232, plume, encre noire, lavis sur papier, Recto
Fonds des dessins et miniatures, Louvre. Cortesia di Donatella Valentino
La
retorica del tratto connesso alla condizione di accecamento, come uno
degli aspetti propri del disegno, conduce la riflessione verso il
tema della tattilità e in modo specifico alla prensilità della
mano.
Il
riconoscimento dei valori ottici del tatto, concepito quale ulteriore
e altresì alternativa strada percettiva ed estetica, comporta
l'identificazione di una relazione di reciprocità fra i due sensi
che rende perseguibile la conoscenza mediante la loro attività
integrativa.
Tra
vedere e toccare esiste, dunque, una correlatività connessa alle
operazioni messe in atto nello spazio esteso, vale a dire nel modo in
cui nei movimenti sensoriali si producono le apparenze, sebbene si
riconosca che i contenuti delle due diverse modalità rispetto ad uno
stesso stimolo siano differenti.
Si
intende, pertanto, affrontare il rapporto tra le due attraverso
l'analisi iconografica ed iconologica di
due episodi evangelici, l'Incredulità
di San Tommaso e il
Noli me tangere,
tradizionalmente
illustrati nei cicli cristologici in funzione della loro valenza
probatoria del mistero della Resurrezione di Cristo
e che, in questa sede, leggiamo in quanto scene
che rivelano come la visione, in condizioni di accecamento, possa
passare attraverso il tatto.
Nel
Vangelo di Giovanni, il verbo “vedere”, lungi dall'essere
interpretato in soli termini fisici, assume un significato
particolare.
L'evangelista
decide, infatti, di raccontare la complessa vicenda dell'aver fede
in Gesù attraverso un discorso impostato sul rapporto
vedere-credere; l'intero Vangelo vede ripetersi il verbo credere
almeno novanta volte, solo il capitolo 20, composto da 31 versi, ne
contiene circa tredici forme verbali i cui diversi significati
intrecciano al “vedere” il “credere” .
Maria
Maddalena e San Tommaso sono protagonisti di una relazione
sinestetica fra tatto e vista che traduce il bisogno di verificare la
tangibilità della miracolosa apparizione ma che in più testimoniano
la subalternità della funzione visiva a quella tattile; emerge,
infatti, fortemente l'esigenza del tocco, che nel caso di Maria
Maddalena è proibito, nel caso di San Tommaso voluto.
La
scena, comunemente indicata come Noli
me tangere - in greco
Μή μου ἅπτου – risulta
assente nei Vangeli sinottici; da Giovanni (Gv. 20:14-18)
è stata codificata come scena di proibizione del tocco, aspetto che
si inserisce a pieno nella dimensione antropologica dell'incarnazione
e della salvezza .
In
un'intima cornice, vi è da una parte Maria Maddalena, che, gioiosa
per essersi ricongiunta con Gesù, si protende per toccare l'uomo
dinanzi a sé, come per annullare lo spazio di distanza fra di loro e
per ristabilire quel con-tatto fra realtà sensibile e realtà
invisibile attraverso il corpo visibile del Cristo Risorto,
dall'altra quest'ultimo, reprimendo il desiderio amorevole,
rifiuta il gesto della donna. Moshe Barasch ha descritto il tema del
Noli me tangere
come un particolare esempio di ‘inversione energetica' .
La
proibizione del tocco è un gesto di comando che diviene un
recipiente formale e artistico di svariate emozioni, un vero e
proprio campo di forza che costituisce l'immagine necessaria per
interiorizzare la visione del Risorto negli ultimi istanti della sua
vita terrena. È un momento di passaggio, dalla soglia del visibile
(corporeo) a quella dell'invisibile (incorporeo).
Grazie
alla visione della Maddalena anche i nostri occhi si trovano nella
condizione privilegiata di poter vedere l'ultima visibilità del
Cristo Risorto, tuttavia il tocco viene negato.
Sant'Agostino,
a tal proposito, propende per la necessità di una fede più matura
che non contraddistingue Maddalena:
«Non
credere in me secondo l'idea che ancora hai di me, non limitarti a
fermare la tua attenzione su ciò che io sono diventato per te,
trascurando la mia natura divina, per mezzo di cui tu sei fatta [...].
Veramente tu mi toccherai quando avrai creduto che come Dio non sono
inferiore al Padre» .
A
Maddalena, figura della Chiesa dei gentili, vale a dire di coloro che
non hanno creduto in Cristo se non dopo la sua ascesa al Padre, non è
concesso un tocco corporeo; quello che viene richiesto, infatti, è
un tocco maturo e autentico, proveniente da una visione dello spirito
e non da una puramente fisica.
Ambrogio
di Milano legge il brano evangelico secondo una luce molto
interessante e a dir poco moderna affrontando il tema della
proibizione del tocco come una questione di gender
.
Maria
Maddalena è la nuova Eva, priva di ogni forma di redenzione. La
colpa di Eva, la quale costituisce l'archetipo veterotestamentario
della disobbedienza al comando del tocco, ricade su Maria Maddalena,
tipo neotestamentario, cui il tocco viene proibito perché non degna
della conoscenza, la stessa violata dai progenitori come raccontato
nel Libro della Genesi (Genesi 3:3) .
Una
versione diametralmente opposta a quella di Sant'Ambrogio, occupa
un posto nella riflessione di Ippolito di Roma, che paragonando il
passo di Giovanni al Cantico dei Cantici (3:1-4) ,
si mostra più simpatizzante nei confronti di Maria Maddalena
considerandola una apostola
apostolorum, inviata
da Cristo a redimere il peccato di Eva .
Maria
Maddalena è assimilata alla Chiesa, nel ruolo di proclamatrice della
salvezza, una nuova Eva alla ricerca del suo sposo, come la Chiesa
cerca e richiama i suoi fedeli .
Le
due versioni precedentemente illustrate e dalle ragioni contrapposte
sembrano confluire, a nostro parere, in una tela del pittore parigino
Laurent de La Hyre (Fig. 3)
Fig. 3 - Laurent de La Hyre, Noli me tangere, 1656, olio su tela, 163 x 179,5 cm.
Musée de Grenoble, Cortesia di Donatella Valentino
oggi al museo di Grenoble, firmata e
datata 1656 e dipinta in origine per la Grande Chartreuse della città
come pendant di una Cena in Emmaus.
De
la Hyre ambienta la scena del Noli
me tangere in un
paesaggio montuoso con alcune conifere, che ricorda molto il luogo in
cui si trova il monastero committente. La luminosità del cielo si
oppone all'ombra spessa dell'anfratto roccioso dove si trova il
sepolcro vuoto di Cristo sul quale è seduto un angelo vestito di
bianco. Il pittore rappresenta Cristo in piedi, al centro della
scena. Egli indossa una veste di un colore blu molto acceso che con
la mano destra prova ad allontanare dalla donna, la quale, raggiunto
Cristo e prostratasi in ginocchio al suo cospetto, tenta in tutti i
modi di toccare.
Cristo
rivolge sì il suo sguardo alla donna ma con la mano sinistra sfiora
la fronte di lei come per mascherarle la vista. Trattasi, dunque, qui
di un doppio divieto: Cristo non solo impedisce che la donna lo
tocchi ma addirittura le vieta di guardarlo, coprendole gli occhi.
Tuttavia,
se andiamo un po' oltre e scomodiamo le opere citate poc'anzi a
proposito della mostra parigina del 1990, il Noli
me tangere di de La
Hyre ricorda una “guarigione
di cieco” (Fig. 4):
Fig. 4 - Nicolas Poussin, I ciechi di Gerico, 1650
olio su tela, 119 cm. x 176 cm, Louvre, Cortesia di Donatella Valentino
Cristo, in un primo
momento, allontana la donna perché non è ancora pronta per una
visione spirituale ma successivamente la sfiora come per guarirla e
concederle la visione. Sembra, pertanto, che le due versioni di Maria
Maddalena, nuova Eva e apostola della chiesa, possano riconciliarsi.
Il
Noli me tangere,
scena legata alla tattilità e codificata come episodio della
proibizione del tocco, mediante la traduzione della Vulgata ,
può essere compresa solo se la interpretiamo come anticipazione di
una scena successiva, che ha come protagonista un personaggio
maschile, Tommaso, cui, al contrario, sarà concesso, anzi richiesto,
di toccare.
Se
i Vangeli sinottici, tutti incentrati sul dubbio di Tommaso, si
articolano esponendo un'antitesi fra vedere e sentire, credere e
dubitare, nel Vangelo di Giovanni il verbo credere ricorre e si
ripete per almeno novanta volte e in diverse forme verbali nel
rapporto fra vedere e credere.
Il
discepolo scettico ed incredulo, Tommaso, entra in scena in Giovanni
(Gv.20, 19-29) .
Tommaso
è colui che non crede per fede, ma per poter credere ha bisogno di
prove. Sant'Agostino nella sua Omelia
121,5, che commenta il
Vangelo di Giovanni, scrive:
«Tocca
e vedi - anche se Tommaso non aveva certo gli occhi nelle dita -
Dicendo: Hai creduto perché hai veduto - il Signore si riferisce sia
al vedere che al toccare» .
Il
toccare assume qui più di ogni altrove lo stesso valore del vedere.
Entrambi i sensi sono sottoposti ad una stimolazione integrata e San
Tommaso ne è il testimone .
All'apostolo
incredulo non basta vedere le ferite, la visione della piaga non è
sufficiente per credere alla Resurrezione: dovrà toccarla, inserire
il suo dito per penetrarne il costato, quasi come una seconda lancia
di Longino.
L'esperienza
del gesto di Tommaso evoca una situazione di possessione mistica che
troviamo, similmente descritta, nelle parole di Santa Teresa d'Avila:
«Ho
visto nella sua mano un lungo dardo d'oro, sulla cui punta di ferro
sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più
riprese nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere, che poi mi
sembrava strappar fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi avvolta
in una fornace di amore» .
A
ciò che può toccare Tommaso conferisce una validità epistemologica
nettamente superiore a ciò che può vedere con i propri occhi.
Tommaso
non si accontenta infatti di leggere i soli segni visivi ma richiede
una completa dimostrazione tattile, quella che dapprima era stata
negata a Maria Maddalena. Ora è Cristo stesso ad offrire il proprio
corpo come ostensorio, invitando Tommaso a vivere un'esperienza di
penetrazione quasi aggressiva.
Sebbene
l'evangelista Giovanni non dichiari con certezza se Tommaso abbia
toccato o meno il corpo di Gesù, una lunga tradizione iconografica
ci ha fatto credere che l'apostolo abbia inserito il proprio dito
nella ferita del costato, facendo della sua incredulità una prova
del mistero della Resurrezione di Cristo.
Secondo
San Paolo: «Egli [Cristo] è il capo del corpo, cioè della chiesa»
.
La chiesa è composta dai credenti che sono membra del corpo di cui
il capo è il Signore Gesù Cristo .
Nella
dimensione dell'incarnazione il gesto di Tommaso risulta essere una
forma di incorporazione nel corpo di Cristo: la carne che l'apostolo
intende penetrare con un dito è il luogo in cui Dio si fa presente
attraverso l'Uomo, rendendosi tramite di un incontro .
La
ferita è il segno evidente del sacrificio di croce ed il mezzo
mediante il quale, secondo una lunga tradizione esegetica, si è in
grado di ottenere la salvezza .
Tommaso
veste i panni del cristiano scettico, che viene invitato a superare
il dubbio e la resistenza tramite l'offerta di una incarnazione
terrena.
Tra
le opere raffiguranti l'incredulità dell'apostolo Tommaso, il
dipinto di Caravaggio, oggi a Potsdam, descrive l'episodio
evangelico con una efficacia ed una suggestione rappresentativa
tipica del pittore lombardo (Fig. 5).
Fig. 5 - Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, (1600-1601)
olio su tela, 107 × 146 cm., Bildergalerie, Potsdam, Cortesia di Donatella Valentino
Dipinto intorno al 1601 circa,
sarebbe stato commissionato dal marchese Vincenzo Giustiniani per la
sua collezione privata .
La
tela presenta un collegamento profondo con la tradizione iconografica
che la precede
ma il Caravaggio, come è nel suo stile, aggiunge una carica emotiva
maggiore e fortemente suggestiva che ha avuto fin da subito un forte
impatto sul pubblico.
Nel
raffigurare l'episodio Caravaggio riduce la scena a pochi
personaggi. Vediamo tre uomini sulla destra ed un altro sulla
sinistra, situati in uno spazio astratto, non chiaramente
identificabile; essi sembrano racchiusi in loro stessi.
Il
pallore di Cristo è accentuato dalla luce che entra dallo spazio in
alto a sinistra, illuminando la scena e facendone emergere i
dettagli, ma nel gioco di ombre e lumi, tipicamente caravaggesco, le
espressioni dei volti dei personaggi, così come le loro emozioni,
non sono riconoscibili a prima vista.
L'energia
del dipinto è concentrata tutta nel punto nevralgico della ‘presa':
Cristo dirige in modo imperativo la mano destra di Tommaso verso il
suo costato, in modo tale che il dito indice possa penetrare la
ferita.
Il
pittore si serve di tutti gli espedienti a sua disposizione affinché
il gesto di Tommaso sia forte, quasi brutale, e il dito penetri in
profondità. L'impatto visuale dell'immagine è così forte che
lo spettatore è portato a riprodurre mentalmente il concetto della
penetrazione del dito nella piaga, ancor prima di chiedersi se la
penetrazione sia avvenuta o meno, stando a quanto raccontato nel
Vangelo .
Il
San Tommaso di Caravaggio presenta però un ulteriore particolare che
lo rende diverso dai precedenti modelli iconografici; osservando con
attenzione il volto del santo, rappresentato di profilo, notiamo che
non ha gli occhi fissi sulla ferita.
Lo
sguardo di Tommaso è perso nel vuoto; pare che l'uomo sia colto da
improvvisa meraviglia. Essenzialmente egli vede ma non guarda dritto
alla ferita, la sua non è una visione fisica bensì una interiore ed
interiorizzata che passa per il dito e quindi per il tatto.
Il
dipinto costruisce, dunque, un dialogo sensoriale integrativo fra
vista e tatto, trasformando il dito di Tommaso in un occhio
sostitutivo, un occhio interiore.
Tommaso
vede attraverso il tocco: la sua vista diviene tattile e il suo tocco
visivo .
L'apostolo
è protagonista di una trasformazione interiore che lo conduce a
vivere un'esperienza di attraversamento di un limite invisibile -
che separa il dubbio dalla fede - al contempo cognitivo: la maturata
visione interiore si pone come viatico di conoscenza mediante lo
spostamento di tale soglia invisibile su di una visibile e sensibile,
quella del dito, e comporta l'apertura di uno spazio intimo ed
interno cui noi non abbiamo accesso.
Il
dito di Tommaso attraversa la carne, come il colore attraversa la
trama di una tela, simbolicamente assimilabile al corpo di Cristo, il
quale appare come una superficie aperta, alla stregua di un libro,
entro cui il lettore è invitato ad entrare .
La
facoltà di ‘leggere' il corpo di Cristo è enunciata in una
Omelia
del 23 Marzo 1584 di San Carlo Borromeo, che, sulla scorta di San
Paolo ,
invita a leggere il Crocifisso come il libro della Passione, di modo
che quello che il Signore ha patito nella sua carne, noi possiamo
sentirlo nella nostra stessa carne.
Allora
l'invito (direi il comando) ad entrare con la mano nella ferita
consente di verificare la reale corporeità di Cristo e
l'assorbimento dell'apostolo Tommaso in Cristo.
L'immagine
caravaggesca, ancor più dei testi sacri e di tutta la tradizione
iconografica precedente, mette in evidenza l'esperienza soggettiva di
Tommaso, l'atto di riflessione interiorizzata tramite il quale mette
in atto la propria conversione.
All'interno
del sistema che Caravaggio costruisce, Tommaso vive la sua
soggettività secondo due modalità:
Si
tratta di una nuova soggettività che ‘si tocca toccante'
e che conduce alla conversione, condizione mediante la quale il
soggetto è duplice:
soggetto
come identità (Tommaso incredulo)
soggetto
ad altro (Cristo conduce con forza il dito di Tommaso nella sua
ferita, affinché avvenga in lui una trasformazione interiore).
Come
già enunciato in Jean- Luc Nancy ,
Marc Augé conferma che il toccare consente di verificare. In una
dimensione ‘passionale' il senso del tatto garantisce l'esistenza
dell'altro e la conferma della propria identità .
La
dimostrazione sperimentale della tela caravaggesca ebbe un grande
successo se si considerano le numerose copie che furono realizzate
nel XVII secolo, eppure mi sentirei certa di affermare che nessun
altro dopo di lui ha espresso con cotanta carica emozionale la
dimensione della conoscenza attraverso il tocco incredulo, che si
trasforma in un alternativo dispositivo visivo.
Con
l'intento di confermare la quasi assoluta unicità della tela di
Postdam, si scelgono alcuni esempi per istituirne un confronto.
Simon
Vouet mette in atto un espediente figurativo che sfrutta al meglio le
potenzialità comunicative della postura del corpo: l'apostolo
Tommaso un po' goffo, tocca il corpo di Cristo in un evidente
atteggiamento di prostrazione. Qui il momento del tocco e quindi
della verifica si sovrappone a quello della preghiera. La figura
ieratica di Cristo trionfa sulla morte e sullo scetticismo - cosa
ovvia dato che il dipinto era stato commissionato per una pubblica
fruizione; era stato realizzato per un ciclo cristologico per la
cappella dell'Hotel Séguier .
Non
c'è alcun gioco di assimilazione, sovrapposizione o assorbimento e
nulla di simile accade nel piccolo dipinto di Rembrandt, conservato a
Puskin, in cui le dita di Tommaso non giungono nemmeno a toccare il
costato.
Rembrandt
decide di non rappresentare il momento del dubbio.
Attenendosi
fedelmente alle Scritture, il pittore preferisce privilegiare il
momento che precede la verifica, il momento dell'attesa e dello
stupore, antecedente l'azione stessa, raccontando, mediante una
luce che invade lo spazio, la visione dell'invisibile, l'attimo
dello stupore e la conseguente contemplazione del miracolo.
Caravaggio dunque fa del suo San Tommaso un unicum,
una straordinaria elaborazione della questione inerente alla
soggettività, in relazione all'alterità e al mistero
dell'Incarnazione, che produce un assorbimento nell'invisibile
mediante una conoscenza tattile, che attraversa la carne .
NOTE
BIBLIOGRAFIA
BORROMEO
1844
Carlo
BORROMEO, Omelie e
discorsi varj / [Di] San Carlo Borromeo; Per la prima volta
volgarizzati, Milano,
Tip. e libreria Pirrotta e C., 1844.
FONTI
-
Cantico
dei cantici (3: 1-4)
Genesi
(3:3)
Giovanni
(20, 14-29)
Jacopo
da Varagine, Legenda
Aurea, 1260
Matteo
(28:9)
San
Paolo 1Ts 4, 13-18; 1Cor 12, 12-30; Lettera ai Filippesi 2,5
San
Paolo, Rm 5
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