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Visione e cecità. Vedere attraverso il tatto: il Noli me tangere e l'Incredulità di San Tommaso, una rilettura tra analisi critica e fonti sacre
Donatella Valentino
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Marzo 2025, n. 977
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00977.html
Articolo presentato il 07 Marzo 2025, accettato il 09 Marzo 2025 e pubblicato online in data 10 Marzo 2025
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Abstract

L'intreccio fra visibile e invisibile, come delineato da Merleau-Ponty, pone in condizioni di possibilità l'esistenza di una qualche forma di cecità che è alla base della creazione artistica ed appartiene all'artista. Tale riflessione attraversa il pensiero maturo del filosofo francese Jacques Derrida confluito nel saggio Mémoires d'aveugle. L'autoportrait et autres ruines pubblicato nel 1990, il medesimo anno in cui si svolse l'omonima esposizione parigina curata dal filosofo. All'origine del disegno, Derrida rintraccia una zona di cecità che risiede nell'atto disegnativo, soprattutto nel momento in cui l'artista rappresenta sé stesso, nella forma dell'autoritratto. In un'apparente negazione del visibile, Derrida riconosce il luogo di emergenza del visibile. L'inventio viene letta come momento di cecità, un blind spot in cui l'artista, mentre disegna, brancola nel buio ed è sorpreso dal tratto, che egli stesso traccia.

La retorica del tratto sposta la riflessione sul tema della tattilità, essendo quest'ultima fortemente connessa alla cecità e alla percezione visiva.

Tra vedere e toccare esiste, difatti, una correlatività connessa alle operazioni messe in atto nello spazio esteso, vale a dire nel modo in cui nei movimenti sensoriali si producono le apparenze, sebbene si riconosca che i contenuti delle due diverse modalità rispetto ad uno stesso stimolo siano differenti e si intende, in questa sede, affrontare il rapporto tra le due attraverso l'analisi iconografica ed iconologica di due episodi evangelici, vale a dire l'incredulità di San Tommaso e il noli me tangere, scene che rivelano come la visione, in condizioni di accecamento, possa passare attraverso il tatto.

«Un intreccio delicato tessuto tra il
visibile e l'invisibile, dove ciascuno
chiama e respinge l'altro, ciascuno sfiora
l'altro e lo allontana da sé»
1.
Jean-Luc Nancy

Nell'opera incompiuta e pubblicata postuma nel 1964, Il visibile e l'invisibile 2, il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty interroga le dimensioni sia del linguaggio che della percezione - «il mondo è ciò che noi vediamo, ma dobbiamo imparare a vederlo, e questo significa che dobbiamo far parlare le cose stesse dal fondo del loro silenzio» 3 - e pone l'accento, approfondendone la riflessione ne L'occhio e lo spirito 4, suo testamento spirituale ed intellettuale, sulla dimensione ontologica della visione, con l'intento di rivelare l'intreccio e la condizione di reversibilità tra io e mondo, soggetto e oggetto, vedente e visibile, visibile e invisibile.

Il filosofo francese parte dal presupposto che l'invisibile non sia altro dal visibile, al contrario, che dimori in esso e che da esso emerga in quanto senso delle cose, essenza interna che traspare nel mondo del visibile.

Visibile e invisibile non possono essere pensati separatamente, così come il pensiero e la sua estensione, il corpo ed il mondo. Tale coesistenza fa sì che tra il regime dello sguardo e il corpo si instauri un intreccio di sensi che Merleau-Ponty definisce «chiasma»:

«Dobbiamo abituarci a pensare che ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visibilità; e che c'è trasgressione, sopravanzamento, non solo fra il toccato e il toccante, ma anche fra il tangibile e il visibile che è incrostato in esso, così come, reciprocamente, il tangibile stesso non è un nulla di visibilità, non può fare a meno di una esistenza visiva. Poiché il medesimo corpo vede e tocca, visibile e tangibile appartengono al medesimo mondo. È un prodigio troppo poco notato il fatto che ogni movimento dei miei occhi — anzi ogni spostamento del mio corpo — ha il suo posto nel medesimo universo visibile che attraverso di essi io esploro nei suoi particolari, così come, reciprocamente, ogni visione si effettua in qualche luogo nello spazio tattile. C'è rilevamento doppio e incrociato del visibile nel tangibile e del tangibile nel visibile, le due carte sono complete, e tuttavia non si confondono» 5.

Il legame fra il corpo e la visione, fin qui letto nella sua declinazione filosofica, viene ora indagato sul piano della rappresentazione artistica per rintracciarne l'origine e le sue implicazioni.

Nel 1990 il Louvre incaricò il filosofo e critico d'arte Jacques Derrida 6 di ideare una mostra, con un tema da lui scelto, servendosi di una fra le più grandi collezioni del museo parigino 7.

In seguito ad una personale ed intima esperienza, Derrida decise di parlare della cecità, del rapporto fra vedere e toccare, e del tatto come alternativa forma di visione; allestì, pertanto, nella sala di Napoleone presso il Cabinet des dessins del Louvre una mostra dal titolo Mémoires d'aveugle. L'autoportrait et autres ruines 8 dedicata a 41 capolavori del museo parigino, per lo più disegni aventi per soggetto ciechi, guarigioni di ciechi, accecamenti.

Perché il filosofo francese decise di esporre disegni di ciechi e autoritratti?

Sono queste le due forme in cui Derrida rintraccia l'emergenza dell'invisibile nella negazione del visibile, rispettivamente nell'assenza della vista che si espande nello spazio toccato dalle mani del cieco - si veda la serie dei ciechi di Coypel (Fig. 1),


Fig. 1 - Antoine Coypel, Studio di cieco, 1684, 0,347 x 0,256, papier gris;pierre noire; rehauts de blanc; sanguine, Cabinet des dessins, Fonds des dessins et miniatures, Louvre. Studio per Cristo guarisce il cieco di Gerico. Ringraziamenti: Département des Arts graphiques
Copyright: © RMN - Grand Palais - Michel Urtado, Foto cortesia di Donatella Valentino
Fig. 1 - Antoine Coypel, Studio di cieco, 1684, 0,347 x 0,256
papier gris;pierre noire; rehauts de blanc; sanguine, Cabinet des dessins, Fonds des dessins et miniatures, Louvre
Studio per Cristo guarisce il cieco di Gerico, Ringraziamenti: Département des Arts graphiques
Copyright: © RMN - Grand Palais - Michel Urtado, Foto cortesia di Donatella Valentino

i cui disegni raffigurano uomini erranti, alcuni con occhi bendati, altri con occhi chiusi che, nell'atto di avanzare, usano le mani come strumento di esplorazione e conoscenza del mondo circostante - e nella traccia lasciata dal tratto, durante l'atto disegnativo e ancor di più nella forma dell'autoritratto, che si configura in Derrida come il momento paradigmatico di un accecamento in cui il disegnatore si rivela come cieco e arruola lo spettatore in qualità di dispositivo speculare, quale unica condizione della vista del disegnatore stesso.

«L'occhio del disegnatore, irrigidito nella ricerca del proprio sguardo rinviato dallo specchio, somiglia all'occhio di un cieco. Si acceca lui stesso, altro non vedendo se non un occhio che nulla vede. Così l'autoritratto è per eccellenza il luogo della cecità dell'artista» 9.

L'inventio artistica viene letta come un momento di cecità, un blind spot in cui l'artista, mentre disegna, brancola nel buio, sorpreso dal tratto che egli stesso traccia (Fig. 2).




Fig. 2 - Fantin-Latour Henri, Autoritratto, 1860, 0,232 x 0,232, plume, encre noire, lavis sur papier, Recto, Fonds des dessins et miniatures, Louvre. Cortesia di Donatella Valentino
Fig. 2 - Fantin-Latour Henri, Autoritratto, 1860, 0,232 x 0,232, plume, encre noire, lavis sur papier, Recto
Fonds des dessins et miniatures, Louvre. Cortesia di Donatella Valentino

La retorica del tratto connesso alla condizione di accecamento, come uno degli aspetti propri del disegno, conduce la riflessione verso il tema della tattilità e in modo specifico alla prensilità della mano.

Il riconoscimento dei valori ottici del tatto, concepito quale ulteriore e altresì alternativa strada percettiva ed estetica, comporta l'identificazione di una relazione di reciprocità fra i due sensi che rende perseguibile la conoscenza mediante la loro attività integrativa.

Tra vedere e toccare esiste, dunque, una correlatività connessa alle operazioni messe in atto nello spazio esteso, vale a dire nel modo in cui nei movimenti sensoriali si producono le apparenze, sebbene si riconosca che i contenuti delle due diverse modalità rispetto ad uno stesso stimolo siano differenti.

Si intende, pertanto, affrontare il rapporto tra le due attraverso l'analisi iconografica ed iconologica di due episodi evangelici, l'Incredulità di San Tommaso e il Noli me tangere, tradizionalmente illustrati nei cicli cristologici in funzione della loro valenza probatoria del mistero della Resurrezione di Cristo 10 e che, in questa sede, leggiamo in quanto scene che rivelano come la visione, in condizioni di accecamento, possa passare attraverso il tatto.

Nel Vangelo di Giovanni, il verbo “vedere”, lungi dall'essere interpretato in soli termini fisici, assume un significato particolare.

L'evangelista decide, infatti, di raccontare la complessa vicenda dell'aver fede in Gesù attraverso un discorso impostato sul rapporto vedere-credere; l'intero Vangelo vede ripetersi il verbo credere almeno novanta volte, solo il capitolo 20, composto da 31 versi, ne contiene circa tredici forme verbali i cui diversi significati intrecciano al “vedere” il “credere” 11.

Maria Maddalena e San Tommaso sono protagonisti di una relazione sinestetica fra tatto e vista che traduce il bisogno di verificare la tangibilità della miracolosa apparizione ma che in più testimoniano la subalternità della funzione visiva a quella tattile; emerge, infatti, fortemente l'esigenza del tocco, che nel caso di Maria Maddalena è proibito, nel caso di San Tommaso voluto.

La scena, comunemente indicata come Noli me tangere - in greco Μή μου ἅπτου – risulta assente nei Vangeli sinottici; da Giovanni (Gv. 20:14-18) 12 è stata codificata come scena di proibizione del tocco, aspetto che si inserisce a pieno nella dimensione antropologica dell'incarnazione e della salvezza 13.

In un'intima cornice, vi è da una parte Maria Maddalena, che, gioiosa per essersi ricongiunta con Gesù, si protende per toccare l'uomo dinanzi a sé, come per annullare lo spazio di distanza fra di loro e per ristabilire quel con-tatto fra realtà sensibile e realtà invisibile attraverso il corpo visibile del Cristo Risorto, dall'altra quest'ultimo, reprimendo il desiderio amorevole, rifiuta il gesto della donna. Moshe Barasch ha descritto il tema del Noli me tangere come un particolare esempio di ‘inversione energetica' 14.

La proibizione del tocco è un gesto di comando che diviene un recipiente formale e artistico di svariate emozioni, un vero e proprio campo di forza che costituisce l'immagine necessaria per interiorizzare la visione del Risorto negli ultimi istanti della sua vita terrena. È un momento di passaggio, dalla soglia del visibile (corporeo) a quella dell'invisibile (incorporeo).

Grazie alla visione della Maddalena anche i nostri occhi si trovano nella condizione privilegiata di poter vedere l'ultima visibilità del Cristo Risorto, tuttavia il tocco viene negato.

Sant'Agostino, a tal proposito, propende per la necessità di una fede più matura che non contraddistingue Maddalena:

«Non credere in me secondo l'idea che ancora hai di me, non limitarti a fermare la tua attenzione su ciò che io sono diventato per te, trascurando la mia natura divina, per mezzo di cui tu sei fatta [...]. Veramente tu mi toccherai quando avrai creduto che come Dio non sono inferiore al Padre» 15.

A Maddalena, figura della Chiesa dei gentili, vale a dire di coloro che non hanno creduto in Cristo se non dopo la sua ascesa al Padre, non è concesso un tocco corporeo; quello che viene richiesto, infatti, è un tocco maturo e autentico, proveniente da una visione dello spirito e non da una puramente fisica.

Ambrogio di Milano legge il brano evangelico secondo una luce molto interessante e a dir poco moderna affrontando il tema della proibizione del tocco come una questione di gender 16.

Maria Maddalena è la nuova Eva, priva di ogni forma di redenzione. La colpa di Eva, la quale costituisce l'archetipo veterotestamentario della disobbedienza al comando del tocco, ricade su Maria Maddalena, tipo neotestamentario, cui il tocco viene proibito perché non degna della conoscenza, la stessa violata dai progenitori come raccontato nel Libro della Genesi (Genesi 3:3) 17.

Una versione diametralmente opposta a quella di Sant'Ambrogio, occupa un posto nella riflessione di Ippolito di Roma, che paragonando il passo di Giovanni al Cantico dei Cantici (3:1-4) 18, si mostra più simpatizzante nei confronti di Maria Maddalena considerandola una apostola apostolorum, inviata da Cristo a redimere il peccato di Eva 19.

Maria Maddalena è assimilata alla Chiesa, nel ruolo di proclamatrice della salvezza, una nuova Eva alla ricerca del suo sposo, come la Chiesa cerca e richiama i suoi fedeli 20.

Le due versioni precedentemente illustrate e dalle ragioni contrapposte sembrano confluire, a nostro parere, in una tela del pittore parigino Laurent de La Hyre (Fig. 3)

Fig. 3 - Laurent de La Hyre, Noli me tangere, 1656, olio su tela, 163 x 179,5 cm, Musée de Grenoble, Cortesia di Donatella Valentino
Fig. 3 - Laurent de La Hyre, Noli me tangere, 1656, olio su tela, 163 x 179,5 cm.
Musée de Grenoble, Cortesia di Donatella Valentino

oggi al museo di Grenoble, firmata e datata 1656 e dipinta in origine per la Grande Chartreuse della città come pendant di una Cena in Emmaus.

De la Hyre ambienta la scena del Noli me tangere in un paesaggio montuoso con alcune conifere, che ricorda molto il luogo in cui si trova il monastero committente. La luminosità del cielo si oppone all'ombra spessa dell'anfratto roccioso dove si trova il sepolcro vuoto di Cristo sul quale è seduto un angelo vestito di bianco. Il pittore rappresenta Cristo in piedi, al centro della scena. Egli indossa una veste di un colore blu molto acceso che con la mano destra prova ad allontanare dalla donna, la quale, raggiunto Cristo e prostratasi in ginocchio al suo cospetto, tenta in tutti i modi di toccare.

Cristo rivolge sì il suo sguardo alla donna ma con la mano sinistra sfiora la fronte di lei come per mascherarle la vista. Trattasi, dunque, qui di un doppio divieto: Cristo non solo impedisce che la donna lo tocchi ma addirittura le vieta di guardarlo, coprendole gli occhi.

Tuttavia, se andiamo un po' oltre e scomodiamo le opere citate poc'anzi a proposito della mostra parigina del 1990, il Noli me tangere di de La Hyre ricorda una “guarigione di cieco” (Fig. 4):

Fig. 4 - Nicolas Poussin, I ciechi di Gerico, 1650, olio su tela, 119 cm x 176 cm, Louvre, Cortesia di Donatella Valentino
Fig. 4 - Nicolas Poussin, I ciechi di Gerico, 1650
olio su tela, 119 cm. x 176 cm, Louvre, Cortesia di Donatella Valentino

Cristo, in un primo momento, allontana la donna perché non è ancora pronta per una visione spirituale ma successivamente la sfiora come per guarirla e concederle la visione. Sembra, pertanto, che le due versioni di Maria Maddalena, nuova Eva e apostola della chiesa, possano riconciliarsi.

Il Noli me tangere, scena legata alla tattilità e codificata come episodio della proibizione del tocco, mediante la traduzione della Vulgata 21, può essere compresa solo se la interpretiamo come anticipazione di una scena successiva, che ha come protagonista un personaggio maschile, Tommaso, cui, al contrario, sarà concesso, anzi richiesto, di toccare.

Se i Vangeli sinottici, tutti incentrati sul dubbio di Tommaso, si articolano esponendo un'antitesi fra vedere e sentire, credere e dubitare, nel Vangelo di Giovanni il verbo credere ricorre e si ripete per almeno novanta volte e in diverse forme verbali nel rapporto fra vedere e credere.

Il discepolo scettico ed incredulo, Tommaso, entra in scena in Giovanni (Gv.20, 19-29) 22.

Tommaso è colui che non crede per fede, ma per poter credere ha bisogno di prove. Sant'Agostino nella sua Omelia 121,5, che commenta il Vangelo di Giovanni, scrive:

«Tocca e vedi - anche se Tommaso non aveva certo gli occhi nelle dita - Dicendo: Hai creduto perché hai veduto - il Signore si riferisce sia al vedere che al toccare» 23.

Il toccare assume qui più di ogni altrove lo stesso valore del vedere. Entrambi i sensi sono sottoposti ad una stimolazione integrata e San Tommaso ne è il testimone 24.

All'apostolo incredulo non basta vedere le ferite, la visione della piaga non è sufficiente per credere alla Resurrezione: dovrà toccarla, inserire il suo dito per penetrarne il costato, quasi come una seconda lancia di Longino.

L'esperienza del gesto di Tommaso evoca una situazione di possessione mistica che troviamo, similmente descritta, nelle parole di Santa Teresa d'Avila:

«Ho visto nella sua mano un lungo dardo d'oro, sulla cui punta di ferro sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere, che poi mi sembrava strappar fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi avvolta in una fornace di amore» 25.

A ciò che può toccare Tommaso conferisce una validità epistemologica nettamente superiore a ciò che può vedere con i propri occhi.

Tommaso non si accontenta infatti di leggere i soli segni visivi ma richiede una completa dimostrazione tattile, quella che dapprima era stata negata a Maria Maddalena. Ora è Cristo stesso ad offrire il proprio corpo come ostensorio, invitando Tommaso a vivere un'esperienza di penetrazione quasi aggressiva.

Sebbene l'evangelista Giovanni non dichiari con certezza se Tommaso abbia toccato o meno il corpo di Gesù, una lunga tradizione iconografica 26 ci ha fatto credere che l'apostolo abbia inserito il proprio dito nella ferita del costato, facendo della sua incredulità una prova del mistero della Resurrezione di Cristo.

Secondo San Paolo: «Egli [Cristo] è il capo del corpo, cioè della chiesa» 27. La chiesa è composta dai credenti che sono membra del corpo di cui il capo è il Signore Gesù Cristo 28.

Nella dimensione dell'incarnazione il gesto di Tommaso risulta essere una forma di incorporazione nel corpo di Cristo: la carne che l'apostolo intende penetrare con un dito è il luogo in cui Dio si fa presente attraverso l'Uomo, rendendosi tramite di un incontro 29.

La ferita è il segno evidente del sacrificio di croce ed il mezzo mediante il quale, secondo una lunga tradizione esegetica, si è in grado di ottenere la salvezza 30.

Tommaso veste i panni del cristiano scettico, che viene invitato a superare il dubbio e la resistenza tramite l'offerta di una incarnazione terrena.

Tra le opere raffiguranti l'incredulità dell'apostolo Tommaso, il dipinto di Caravaggio, oggi a Potsdam, descrive l'episodio evangelico con una efficacia ed una suggestione rappresentativa tipica del pittore lombardo (Fig. 5).

Fig. 5 - Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, (1600-1601), olio su tela, 107×146 cm Bildergalerie, Potsdam, Cortesia di Donatella Valentino
Fig. 5 - Caravaggio, Incredulità di san Tommaso, (1600-1601)
olio su tela, 107 × 146 cm., Bildergalerie, Potsdam, Cortesia di Donatella Valentino

Dipinto intorno al 1601 circa, sarebbe stato commissionato dal marchese Vincenzo Giustiniani per la sua collezione privata 31.

La tela presenta un collegamento profondo con la tradizione iconografica che la precede 32 ma il Caravaggio, come è nel suo stile, aggiunge una carica emotiva maggiore e fortemente suggestiva che ha avuto fin da subito un forte impatto sul pubblico.

Nel raffigurare l'episodio Caravaggio riduce la scena a pochi personaggi. Vediamo tre uomini sulla destra ed un altro sulla sinistra, situati in uno spazio astratto, non chiaramente identificabile; essi sembrano racchiusi in loro stessi.

Il pallore di Cristo è accentuato dalla luce che entra dallo spazio in alto a sinistra, illuminando la scena e facendone emergere i dettagli, ma nel gioco di ombre e lumi, tipicamente caravaggesco, le espressioni dei volti dei personaggi, così come le loro emozioni, non sono riconoscibili a prima vista.

L'energia del dipinto è concentrata tutta nel punto nevralgico della ‘presa': Cristo dirige in modo imperativo la mano destra di Tommaso verso il suo costato, in modo tale che il dito indice possa penetrare la ferita.

Il pittore si serve di tutti gli espedienti a sua disposizione affinché il gesto di Tommaso sia forte, quasi brutale, e il dito penetri in profondità. L'impatto visuale dell'immagine è così forte che lo spettatore è portato a riprodurre mentalmente il concetto della penetrazione del dito nella piaga, ancor prima di chiedersi se la penetrazione sia avvenuta o meno, stando a quanto raccontato nel Vangelo 33.

Il San Tommaso di Caravaggio presenta però un ulteriore particolare che lo rende diverso dai precedenti modelli iconografici; osservando con attenzione il volto del santo, rappresentato di profilo, notiamo che non ha gli occhi fissi sulla ferita.

Lo sguardo di Tommaso è perso nel vuoto; pare che l'uomo sia colto da improvvisa meraviglia. Essenzialmente egli vede ma non guarda dritto alla ferita, la sua non è una visione fisica bensì una interiore ed interiorizzata che passa per il dito e quindi per il tatto.

Il dipinto costruisce, dunque, un dialogo sensoriale integrativo fra vista e tatto, trasformando il dito di Tommaso in un occhio sostitutivo, un occhio interiore.

Tommaso vede attraverso il tocco: la sua vista diviene tattile e il suo tocco visivo 34.

L'apostolo è protagonista di una trasformazione interiore che lo conduce a vivere un'esperienza di attraversamento di un limite invisibile - che separa il dubbio dalla fede - al contempo cognitivo: la maturata visione interiore si pone come viatico di conoscenza mediante lo spostamento di tale soglia invisibile su di una visibile e sensibile, quella del dito, e comporta l'apertura di uno spazio intimo ed interno cui noi non abbiamo accesso.

Il dito di Tommaso attraversa la carne, come il colore attraversa la trama di una tela, simbolicamente assimilabile al corpo di Cristo, il quale appare come una superficie aperta, alla stregua di un libro, entro cui il lettore è invitato ad entrare 35.

La facoltà di ‘leggere' il corpo di Cristo è enunciata in una Omelia 36 del 23 Marzo 1584 di San Carlo Borromeo, che, sulla scorta di San Paolo 37, invita a leggere il Crocifisso come il libro della Passione, di modo che quello che il Signore ha patito nella sua carne, noi possiamo sentirlo nella nostra stessa carne.

Allora l'invito (direi il comando) ad entrare con la mano nella ferita consente di verificare la reale corporeità di Cristo e l'assorbimento dell'apostolo Tommaso in Cristo.

L'immagine caravaggesca, ancor più dei testi sacri e di tutta la tradizione iconografica precedente, mette in evidenza l'esperienza soggettiva di Tommaso, l'atto di riflessione interiorizzata tramite il quale mette in atto la propria conversione.

All'interno del sistema che Caravaggio costruisce, Tommaso vive la sua soggettività secondo due modalità:

  • è soggetto perché sottoposto alla volontà di Cristo

  • è soggetto perché convertito e trasformato in seguito ad una esperienza interiore 38.

Si tratta di una nuova soggettività che ‘si tocca toccante' 39 e che conduce alla conversione, condizione mediante la quale il soggetto è duplice:

  • soggetto come identità (Tommaso incredulo)

  • soggetto ad altro (Cristo conduce con forza il dito di Tommaso nella sua ferita, affinché avvenga in lui una trasformazione interiore).

Come già enunciato in Jean- Luc Nancy 40, Marc Augé conferma che il toccare consente di verificare. In una dimensione ‘passionale' il senso del tatto garantisce l'esistenza dell'altro e la conferma della propria identità 41.

La dimostrazione sperimentale della tela caravaggesca ebbe un grande successo se si considerano le numerose copie che furono realizzate nel XVII secolo, eppure mi sentirei certa di affermare che nessun altro dopo di lui ha espresso con cotanta carica emozionale la dimensione della conoscenza attraverso il tocco incredulo, che si trasforma in un alternativo dispositivo visivo.

Con l'intento di confermare la quasi assoluta unicità della tela di Postdam, si scelgono alcuni esempi per istituirne un confronto.

Simon Vouet mette in atto un espediente figurativo che sfrutta al meglio le potenzialità comunicative della postura del corpo: l'apostolo Tommaso un po' goffo, tocca il corpo di Cristo in un evidente atteggiamento di prostrazione. Qui il momento del tocco e quindi della verifica si sovrappone a quello della preghiera. La figura ieratica di Cristo trionfa sulla morte e sullo scetticismo - cosa ovvia dato che il dipinto era stato commissionato per una pubblica fruizione; era stato realizzato per un ciclo cristologico per la cappella dell'Hotel Séguier 42.

Non c'è alcun gioco di assimilazione, sovrapposizione o assorbimento e nulla di simile accade nel piccolo dipinto di Rembrandt, conservato a Puskin, in cui le dita di Tommaso non giungono nemmeno a toccare il costato.

Rembrandt decide di non rappresentare il momento del dubbio.

Attenendosi fedelmente alle Scritture, il pittore preferisce privilegiare il momento che precede la verifica, il momento dell'attesa e dello stupore, antecedente l'azione stessa, raccontando, mediante una luce che invade lo spazio, la visione dell'invisibile, l'attimo dello stupore e la conseguente contemplazione del miracolo. Caravaggio dunque fa del suo San Tommaso un unicum, una straordinaria elaborazione della questione inerente alla soggettività, in relazione all'alterità e al mistero dell'Incarnazione, che produce un assorbimento nell'invisibile mediante una conoscenza tattile, che attraversa la carne 43.



NOTE

1 DERRIDA 2019, p. 39.

2 MERLEAU-PONTY, Milano 1969.

3 Ibidem, p. 16.

4 MERLEAU-PONTY, Milano 1989. Si tratta dell'ultimo scritto che il filosofo poté portare a termine. André Chastel gli aveva chiesto un contributo per il primo numero di «Art de France» ma egli ne fece un saggio che consacrò la sua riflessione sulla visione e sulla pittura.

5 MERLEAU-PONTY, Milano 1969, pp.159 – 160.

6 Filosofo francese, fra i fondatori del Collège International de Philosophie, è stato professore di Filosofia all'Ecole Normale Supérieure di Parigi fu directeur d'études all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Negli anni Settanta e Ottanta ha insegnato a lungo nelle università statunitensi (Johns Hopkins e Yale University), influenzando i critici impegnati nel dibattito sul postmoderno e sul decostruzionismo.

7 Quella di Derrida fu la prima di una serie di mostre a ripetizione biennale, che andarono sotto il nome di Parti pris, il cui fil rouge era costituito, nell'intenzione degli ideatori e curatori Régis Michel e Françoise Viatte, dalla regola formulata già nel titolo secondo la quale il lettore non è mai neutrale, anzi ogni scelta è una presa di posizione lontana da qualsiasi asettica oggettività. Le mostre allestite furono cinque: Mémoires d'aveugle di Jacques Derrida (1990), focalizzata sulla cecità del disegnatore; Bruit des nuages di Peter Greenaway (1992-93) sulla Caduta di Icaro, Largesse di Jean Starobinski (1994) dedicata alla rappresentazione del dono, Le Traité du trait curata da Hubert Damisch (1995) e Visions capitales di Julia Kristeva (1998) che aveva come tema la raffigurazione delle scene di decapitazione. durante le quali alcuni ‘non addetti ai lavori' ricevevano l'incarico di organizzare percorsi espositivi, mediante i fondi del Louvre, scegliendoli in funzione di un tema, di una intuizione o una data dimostrazione, la cui finalità perseguita era la scrittura di un testo critico.

8 DERRIDA, Milano 2003.

9 AA. VV., «Beaux Arts Magazine», 85, Parigi 1990, pp. 88-91.

10 Si pensi agli affreschi fiorentini di Santa Trinita e San Marco e al ciclo giottesco della Cappella degli Scrovegni a Padova

11 MOST, Torino 2009, pp. 27 e sgg.

12 Giovanni (20:14-18): «Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna, perché piangi? Chi cerchi?'. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo'. Gesù le disse: ‘Maria!'. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbunì!', che significa: Maestro! Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro'. Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore' e anche ciò che le aveva detto».

13 NANCY, Parigi 2003, 28, n.2. Il filosofo francese dà spazio ad una curiosità filosofica, scrivendo un saggio sul «sollevamento» del corpo e quindi sulla questione della risurrezione e del suo significato filosofico, insieme ad una riflessione sul confine tra il visibile e l'invisibile: «ce qui ne doit par être touché, c'est le corps resuscité».

14 BARASCH, Cambridge 1987, p. 170.

15 SANT'AGOSTINO, Omelia 121, 3

16 AMBROGIO DI MILANO, Turnhout 1957, pp. 345-400.

17 Genesi (3:3): «Non dovrai mangiare del frutto dell'albero che è in mezzo al giardino né dovrai toccarlo o morirai».

18 Cantico dei cantici (3: 1-4): «Sul mio letto, durante la notte, ho cercato colui che l'anima mia ama; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Ora mi leverò, e andrò attorno per la città, per le strade e per le piazze; cercherò colui che l'anima mia ama; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Le guardie che vanno attorno per la città m'hanno incontrata; e ho chiesto loro: "Avete visto colui che l'anima mia ama?". Di poco le avevo passate, quando trovai colui che l'anima mia ama; io l'ho preso, e non lo lascerò, finché non l'abbia menato in casa di mia madre, e nella camera di colei che m'ha concepita».

19 SAXER, «Revue bénédectine» 1991, 101, pp.219-239.

20 AMBROGIO, Turnhout 1957, pp.345-400.

21 Nei Vangeli sinottici non ritroviamo la scena della negazione, il ‘non toccarmi' di Giovanni potrebbe trattarsi di un'erronea traduzione e sarebbe allora da intendersi come ‘non continuare ad abbracciarmi i piedi così'. Eppure in Giovanni diviene il presupposto necessario per l'episodio successivo.

22 GV (20, 19-29): Gesù appare ai discepoli; Tommaso non è con loro. «La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: “Pace a voi!”. E, detto questo, mostrò loro le mani e il costato. [..] Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”. [..] Gesù appare ai discepoli, tra i quali è Tommaso. Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò”. Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse [..]. Poi disse a Tommaso: “Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente”. Tommaso gli rispose: “Signor mio e Dio mio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”».

23 SANT'AGOSTINO, Omelia 121, 3

24 Ibidem, Milano 1979, p.352 «La vista infatti appartiene propriamente agli occhi, ma noi parliamo di vista anche per gli altri sensi, quando li usiamo per conoscere. Non diciamo: "Ascolta quanto luccica", oppure: "Odora come brilla", oppure: "Assapora come splende", oppure: "Tocca come rifulge"; in tutti questi casi si dice sempre: "Vedi". Non solo diciamo: "Vedi quanto riluce", per le sensazioni cioè che gli occhi soli possono avere; ma anche: "Vedi che suono, vedi che odore, vedi che sapore, vedi che ruvido". Perciò qualunque esperienza sensoriale viene chiamata, come dissi, concupiscenza degli occhi, perché l'ufficio di vedere, prerogativa degli occhi, viene usurpato anche dagli altri sensi per analogia, quando esplorano un oggetto per conoscerlo».

25 SANTA TERESA D'AVILA, Milano 2013, cap. XXIX, par. 13.

26 Si pensi ad esempio alla Maestà di Duccio per la scena dell'Incredulità di San Tommaso.

27 COLOSSESI, 1:17-18.

28 SAN PAOLO, 1Cor 12, 12-30: «Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito. E infatti il corpo non è formato da un membro solo, ma da molte membra. [..] Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. [...] perché nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.»

29 CARERI, Parigi 2015, p. 32-49.

30 SAN PAOLO, Rm 5.

31 È attestato che il dipinto nel 1606 era in possesso della famiglia Giustiniani. La tela venne poi acquistata dalla famiglia reale di Prussia e trasferita a Berlino nel 1816, oggi esposta alla Bildergalerie del Neues Palais di Sanssouci a Potsdam

32 In tutte le testimonianze figurative da Luca Signorelli nella Basilica della Santa Casa di Loreto, a Mazzolino fino a Marco Pino, Tommaso ha fretta di immergere il dito nella piaga. In altre come l'incisione di Dürer e la pala di Cima è resa con maggiore evidenza la condizione terrestre di Cristo, che afferra la mano dell'apostolo, colto da stupore misto a paura.

33 Dal Vangelo di Giovanni sappiamo che Cristo esorta l'apostolo Tommaso a toccare per poter credere ma non siamo certi che il tocco sia realmente avvenuto.

34 Il dipinto di Postdam ci mostra un dito che è di fatto un terzo occhio e ciò rinvia alla mia riflessione formulata in merito alla conoscenza per i ciechi a partire dalle mani. Si tratta, dunque, di un tatto che apre all'invisibile e di un tocco che è viatico di una trasformazione interiore, mediante la facoltà di comprensione e assimilazione dell'invisibile

35 MOST, Torino 2009, pp. 27 e sgg. Il corpo di Cristo può essere assimilato ad un foglio di carta, su cui si rintracciano marchi e lacrime; come la pagina di un libro che invita il lettore ad entrare. L'apertura della tela e della ferita consente di penetrare il corpo di Cristo, attraversare la superficie e sentire le ferite.

36 BORROMEO, Milano 1844.

37 SAN PAOLO, Filippesi 2,5: «Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù».

38 FOUCAULT, Parigi 2001, p.1046. Secondo la riflessione di Focault il soggetto sottoposto ad un altro attraverso il controllo e la dipendenza e il soggetto attaccato alla propria identità grazie alla coscienza e alla conoscenza di sé. In entrambi i casi la parola soggetto indica qualcosa che soggioga e assoggetta.

39 MERLEAU PONTY, Milano 1969, p. 266. «Toccare è Toccarsi». NANCY, Torino 2009, p.77: «L'io non è altro se non la singolarità di un tocco, in quanto un tocco è sempre attivo e passivo ad un tempo[..]. Noi ci tocchiamo in quanto esistiamo».

40 NANCY, Torino 2001, p. 54: «Pollakôs legomenon – l'essere si dice in molti modi: si tratta appunto, per certi versi, di ripetere l'assioma aristotelico. [...] La singolarità dell'essere è il suo plurale. Ma l'essere non è più detto in molti modi a partire da un unico presunto nocciolo di senso [...]. L'essere co-incide con sé stesso solo nella misura in cui questa co-incidenza spicca subito ed essenzialmente per la co-struttura del suo evento [...]. L'essere è la spaziatura, è il sopraggiungere – la spaziatura sopraggiungente – del co, singolare plurale».

41 AUGÉ, Milano 2017.

42 Il dio nascosto. I grandi maestri del Seicento e l'immagine di Dio, Catalogo della mostra (Roma 2000-2001), a cura di, O. BONFAIT, N. MACGREGOR, Roma 2000, p.147.

43 HARTLE, Cambridge University Press 2005, p. 204. La conoscenza tattile di Tommaso segue la caratterizzazione secondo Ann Hartle di Michel de Montaigne in cui «egli trascende sia la semplice credulità che la dotta presunzione, e che, in termini filosofici, si chiamerebbe ‘sapiente ignoranza'.



BIBLIOGRAFIA

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Carlo BORROMEO, Omelie e discorsi varj / [Di] San Carlo Borromeo; Per la prima volta volgarizzati, Milano, Tip. e libreria Pirrotta e C., 1844.

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FONTI


  • Sant'Agostino, Omelia 121, 3

  • Cantico dei cantici (3: 1-4)

  • Genesi (3:3)

  • Giovanni (20, 14-29)

  • Jacopo da Varagine, Legenda Aurea, 1260

  • Matteo (28:9)

  • San Paolo 1Ts 4, 13-18; 1Cor 12, 12-30; Lettera ai Filippesi 2,5

  • San Paolo, Rm 5




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