bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
L'architettura come narrazione: tra pensiero generativo e spazialità ibrida
Salvatore Rugino
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 30 Marzo 2025, n. 978
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00978.html
Articolo presentato il 23 Marzo 2025, accettato il 25 Marzo 2025 e pubblicato online in data 30 Marzo 2025
Precedente
Successivo
Tutti
Area Architettura

Abstract

L'architettura contemporanea si configura come una narrazione spaziale che unisce pensiero filosofico e prassi progettuale, superando la tradizionale dicotomia tra teoria e realizzazione. Il testo esplora il ruolo del pensiero come forza generativa, capace di trasformare principi universali in espressioni uniche e personali. Attraverso una tensione creativa fra regole condivise e interpretazioni soggettive, l'architettura emerge come un linguaggio tridimensionale che racconta storie attraverso spazi, luci e volumi.

La riflessione si estende all'influenza dei media e alla crescente ibridazione tra dimensioni materiali e immateriali, evidenziando una "spazialità aumentata" in cui gli edifici diventano interfacce tra realtà fisiche e virtuali. Citando Del Giudice e Baudrillard, si analizza la progressiva dematerializzazione dell'architettura nell'era digitale, dove gli edifici perdono la loro staticità per trasformarsi in entità fluide e processuali.

L'opera di Peter Eisenman rappresenta un esempio paradigmatico di questa evoluzione: i suoi progetti, come House II, non rispondono a esigenze funzionali ma si configurano come indagini concettuali autonome. L'architettura diventa così una scrittura spaziale che documenta il dialogo tra concretezza materiale e astrazione intellettuale, ridefinendo lo statuto stesso del costruire nell'epoca contemporanea.

In conclusione, il saggio esplora il ruolo dell'intelligenza artificiale come catalizzatore di una trasformazione ancora più profonda, non come semplice strumento tecnico ma come opportunità per ridefinire il ruolo dell'architetto e il significato stesso del progettare. Propone quindi un'architettura che abita consapevolmente lo spazio della trasformazione permanente, facendo della tensione creativa tra polarità apparentemente inconciliabili il suo principio generatore fondamentale.

Nel panorama architettonico contemporaneo, emerge con forza una riflessione fondamentale che colloca il pensiero non come semplice strumento, ma come vero e proprio nucleo generativo delle forme. Questa centralità del pensiero rappresenta un cambio di paradigma sostanziale: l'ideazione architettonica diventa un atto filosofico prima ancora che tecnico. Se da un lato i principi progettuali rispondono a leggi universalmente condivise - proporzioni matematiche, rapporti spaziali, principi strutturali - dall'altro ogni opera architettonica riesce a trascendere questi vincoli comuni per manifestare un'impronta distintiva e profondamente personale.

La riflessione di Del Giudice coglie con straordinaria lucidità questa tensione dialettica quando afferma che «i principi sono gli stessi per tutti, spesso anche le dimensioni e i rapporti tra le dimensioni, eppure ognuno ha un carattere suo, un difetto suo, perfino una sua voce» 1. In questa osservazione si nasconde una verità fondamentale della creazione architettonica: la standardizzazione dei principi non conduce a un'omologazione delle espressioni. Al contrario, è proprio all'interno di questo sistema apparentemente vincolante di regole e misure che emerge con maggiore forza l'individualità creativa.

Questa osservazione va ben oltre il semplice riconoscimento dell'esistenza di canoni condivisi. Essa illumina quello che potremmo definire il paradosso essenziale dell'architettura contemporanea: l'originalità si manifesta non nell'assenza di regole, ma nella loro interpretazione personale. È un fenomeno comparabile a quanto avviene nel linguaggio, dove tutti utilizziamo le stesse parole e regole grammaticali, eppure ciascuno possiede un'espressione inconfondibile. L'architetto non inventa necessariamente nuove leggi formali, ma le declina secondo una sensibilità unica, filtrando principi oggettivi attraverso la lente della propria soggettività.

Questa interazione tra universale e particolare si traduce in una tensione creativa che costituisce l'essenza stessa del progetto architettonico contemporaneo. Ogni linea tracciata, ogni volume definito, ogni apertura dimensionata diventa così non solo risposta a requisiti funzionali, ma espressione tangibile di una visione personale del mondo. Il paradosso creativo dell'architettura risiede proprio in questa capacità di far emergere l'unicità dall'apparente uniformità, di trasformare principi astratti e condivisi in manifestazioni concrete e irripetibili dello spazio costruito.

Il ruolo del pensiero nel processo progettuale trascende radicalmente la semplice funzione di guida decisionale per assumere la valenza di autentica forza plasmatrice dello spazio. Questa trasformazione epistemologica risiede nel superamento della tradizionale dicotomia tra teoria e prassi, tra concezione e realizzazione. Il pensiero architettonico non agisce più come mero preliminare all'atto costruttivo, ma diventa esso stesso atto generativo che modella direttamente la materia attraverso un processo di continua traduzione dal concettuale al fisico.

Le riflessioni dell'architetto, lungi dal rimanere confinate nell'astratta dimensione teorica, acquisiscono materialità attraverso un sofisticato vocabolario espressivo fatto di linee, superfici, volumi e dimensioni. Questo vocabolario formale non costituisce un semplice strumento di rappresentazione, ma un vero e proprio linguaggio generativo che trasforma lo spazio architettonico in una narrazione tridimensionale, in un racconto che si dispiega nell'esperienza fisica dell'abitare. L'architettura diventa così una forma di storytelling spaziale, una narrazione che si articola non attraverso parole, ma attraverso sequenze di spazi, transizioni luministiche, gerarchie volumetriche.

Del Giudice coglie con straordinaria acutezza questa dimensione narrativa quando afferma che «le impressioni, generate dai media, non sono pezzoni o immagini o pensieri, ma storie perfettamente realizzate, finite come un lavoro finito, che nascono da quello che vedo e muoiono quando smetto di vederlo» 2. Questa osservazione, se trasferita al contesto architettonico, rivela come l'esperienza dello spazio costruito trascenda la semplice percezione visiva per configurarsi come complessa narrazione multisensoriale. Ogni progetto architettonico racchiude una storia completa, un sistema autonomo di significati che si attiva nell'interazione con il fruitore.

La riflessione di Del Giudice ci conduce a una comprensione più profonda: le immagini architettoniche non possono essere interpretate come semplici riflessi mimetici della realtà. Esse costituiscono piuttosto costruzioni complesse, elaborazioni sintetiche che trasformano l'esperienza percettiva in racconto spaziale strutturato. L'immagine architettonica non riproduce il mondo ma lo reinterpreta, organizzandolo secondo principi formali che nascono dall'intersezione tra oggettività funzionale e soggettività espressiva.

Si instaura così un dialogo continuo, quasi una danza, tra la visione mentale dell'architetto e la realizzazione fisica dell'opera. Questo dialogo non si esaurisce nella fase progettuale ma prosegue nell'esperienza quotidiana dello spazio costruito, dove ogni fruitore diventa co-autore di nuove interpretazioni e significati. La materializzazione del pensiero architettonico si configura quindi come processo aperto, come campo di possibilità interpretative che, pur radicato nella fisicità della costruzione, mantiene viva la dimensione concettuale che l'ha generato, in un circolo virtuoso tra ideazione e percezione.

In un'epoca profondamente saturata di stimoli digitali e mediatici, l'architettura contemporanea non opera più in isolamento contemplativo, ma si trova necessariamente immersa in un flusso incessante e multidirezionale di immagini, riferimenti e narrazioni che permeano e influenzano radicalmente il processo creativo. Questa condizione di immersione mediatica non rappresenta un semplice contesto esterno al fatto architettonico, ma ne costituisce ormai un elemento intrinseco e fondativo, trasformando sia i processi progettuali che gli esiti formali. L'architetto contemporaneo si trova così a operare all'interno di un ecosistema informativo che simultaneamente condiziona e potenzia la sua capacità immaginativa, in un complesso gioco di influenze reciproche tra realtà costruita e universo mediatico. (Fig. 1)



Fig. 1 - SALVATORE RUGINO, Abbandoned and dizzyng space, 2023, Foto © e cortesia Salvatore Rugino
Fig. 1 - SALVATORE RUGINO, Abbandoned and dizzyng space, 2023
Foto © cortesia Salvatore Rugino

La concezione stessa dello spazio architettonico subisce una metamorfosi paradigmatica, evolvendo verso una complessa intersezione tra dimensione materiale e immateriale. I tradizionali confini ontologici tra tangibile e intangibile, tra fisico e virtuale, tra costruito e immaginato diventano progressivamente più porosi, generando una nuova condizione ibrida in cui l'architettura non può più essere compresa esclusivamente attraverso le sue qualità fisico-materiali. Emerge una spazialità aumentata, in cui le proprietà concrete della costruzione si integrano e si arricchiscono di dimensioni percettive, simboliche e narrative che trascendono la mera presenza fisica. Lo spazio architettonico diventa così interfaccia tra mondi, punto di contatto e di scambio tra realtà diverse che si compenetrano e si definiscono reciprocamente.

Del Giudice, con straordinaria acutezza intellettuale, coglie la radicalità di questa trasformazione quando scrive: «Come le cose ormai cominciano ad essere non-cose ...» 3. In questa affermazione apparentemente enigmatica si nasconde una profonda verità sul destino degli oggetti nell'era digitale. Non si tratta semplicemente di un'osservazione sulla virtualizzazione del mondo, ma di una riflessione ontologica sulla progressiva dissoluzione della tradizionale solidità materiale. Gli oggetti – e con essi gli edifici – sembrano attraversare un processo di sostanziale dematerializzazione, non nel senso di una loro scomparsa fisica, ma di una radicale trasformazione del loro statuto esistenziale.

Questa metamorfosi ontologica implica che gli oggetti architettonici, pur mantenendo la loro presenza fisica, perdono progressivamente la loro univocità e stabilità per diventare entità fluide in costante trasformazione. L'architettura si allontana così dalla sua tradizionale condizione di presenza monolitica e immutabile per assumere una dimensione processuale, diventando campo di forze e di relazioni piuttosto che oggetto definito. In questa nuova condizione, la solidità rassicurante dell'edificio come fatto compiuto e definito cede il passo a una concezione più dinamica e aperta dello spazio costruito come sistema di possibilità in continua evoluzione, come entità che esiste simultaneamente in una molteplicità di stati e dimensioni.

Questa visione dell'architettura come "non-cosa" apre interrogativi fondamentali sulla natura stessa del progetto contemporaneo: se gli edifici non sono più semplicemente "cose" ma entità ibride in costante metamorfosi, quali diventano i parametri per la loro concezione, valutazione e fruizione? Come si ridefinisce il rapporto tra permanenza e cambiamento, tra materialità e significato, tra oggettività e soggettività nell'esperienza architettonica? Sono questioni che trascendono l'ambito disciplinare per toccare la dimensione filosofica dell'abitare contemporaneo, in un mondo in cui la distinzione tra reale e virtuale appare sempre più come un retaggio di categorizzazioni ormai inadeguate a comprendere la complessità del presente.

Jean Baudrillard, acuto osservatore della condizione postmoderna, offre una chiave interpretativa straordinariamente profonda per comprendere la trasformazione del regime visivo contemporaneo quando afferma che la maggior parte delle immagini contemporanee, prodotte in varie forme come la pittura, le arti visive, gli audiovisivi, le immagini di sintesi, sono letteralmente immagini in cui non c'è nulla da vedere, immagini senza traccia, senza ombra, senza conseguenze. Questa affermazione non rappresenta semplicemente una critica all'inflazione visiva della nostra epoca, ma identifica una mutazione ontologica fondamentale: l'emancipazione dell'immagine dal suo tradizionale ruolo referenziale verso una condizione di autoreferenzialità assoluta.

L'analisi baudrillardiana illumina il paradosso centrale dell'ipervisibilità contemporanea: più le immagini proliferano e si moltiplicano, più si svuotano di contenuto sostanziale. L'immagine diventa simulacro, copia senza originale, rappresentazione che non rimanda più ad alcuna realtà sottostante ma solo ad altre rappresentazioni, in un gioco infinito di rimandi che dissolve ogni ancoraggio al reale. Questa condizione di simulazione generalizzata comporta la scomparsa della profondità semantica: le immagini perdono la loro "ombra", quella dimensione di alterità e significato che trascende la pura superficie visiva.

Trasponendo questa riflessione al campo architettonico, emergono implicazioni rivoluzionarie che ridefiniscono radicalmente lo statuto della disciplina. L'architettura contemporanea sembra infatti subire un progressivo e inesorabile allontanamento dalla dialettica tradizionale tra forma e funzione – dialettica che ha costituito per secoli il paradigma fondamentale della progettazione – per orientarsi verso una concezione più astratta e concettuale dello spazio. Gli edifici non si presentano più primariamente come soluzioni a problemi funzionali, ma come proposizioni teoriche, come interrogazioni sulla natura stessa dell'abitare e del costruire.

In questo nuovo paradigma, l'architettura si emancipa dalla sua tradizionale subordinazione alla triade vitruviana di utilitas, firmitas e venustas per elevarsi al rango di vera e propria indagine filosofica. L'edificio non è più semplicemente un contenitore di attività o un'espressione estetica, ma diventa un dispositivo critico che interroga le leggi fondamentali della costruzione, della percezione e dell'esperienza spaziale. La forma architettonica non deriva più da requisiti esterni (funzionali, strutturali, contestuali) ma si genera attraverso processi autonomi di elaborazione concettuale che rispondono a logiche interne al discorso disciplinare.

Questa svolta concettuale comporta una sostanziale ridefinizione del rapporto tra architettura e realtà. Se l'immagine contemporanea, come sostiene Baudrillard, è priva di conseguenze, anche l'architettura sembra talvolta liberarsi dal vincolo di responsabilità nei confronti del contesto sociale, economico e ambientale in cui si inserisce. Il rischio implicito in questa emancipazione è che l'architettura, nel suo elevarsi a pura speculazione teorica, possa diventare anch'essa un'immagine "senza conseguenze", un simulacro autoreferenziale che circola nel sistema mediatico senza produrre effetti tangibili sulla realtà dell'abitare.

D'altra parte, proprio questa apparente liberazione dai vincoli referenziali può paradossalmente restituire all'architettura una rinnovata capacità critica. Elevandosi al di sopra delle contingenze funzionali, l'architettura contemporanea può assumere il ruolo di laboratorio concettuale dove sperimentare nuove modalità di relazione tra uomo e ambiente, dove immaginare configurazioni spaziali che non si limitino a rispondere a esigenze immediate ma che possano anticipare forme future dell'abitare. In questo senso, la riflessione di Baudrillard, apparentemente apocalittica nella sua diagnosi della società dell'immagine, può rivelarsi sorprendentemente feconda nell'aprire nuovi orizzonti di significato per la pratica architettonica contemporanea.

L'opera di Peter Eisenman si erge come manifestazione paradigmatica della tensione dialettica tra concretezza materiale e astrazione concettuale che caratterizza l'architettura contemporanea più avanzata. La sua ricerca progettuale non si colloca semplicemente all'interno della tradizione disciplinare, ma si sviluppa in un territorio deliberatamente ibrido e liminale, situato nella zona di confine tra realtà fisica e virtualità teoretica. Questo posizionamento strategico trasforma l'atto progettuale da processo risolutivo a indagine speculativa sui fondamenti stessi del linguaggio architettonico.

La House II in Vermont rappresenta l'incarnazione più eloquente di questo approccio sperimentale. In questo progetto seminale, lo spazio non emerge come risposta a requisiti funzionali o espressione di intuizioni formali, ma viene generato attraverso un rigoroso processo diagrammatico che rende visibile e tangibile l'apparato concettuale sottostante. L'edificio si configura come trascrizione tridimensionale di una sequenza sistematica di operazioni geometriche – rotazioni, slittamenti, duplicazioni, sovrapposizioni – che trascendono deliberatamente ogni subordinazione alla logica funzionalista per affermare l'autonomia del processo compositivo.

Attraverso questa metodologia analitica, l'architettura di Eisenman si trasforma in una sofisticata indagine meta-progettuale che interroga i principi basilari della composizione architettonica. La casa cessa di essere concepita primariamente come rifugio o come macchina per l'abitare, per diventare documentazione tridimensionale di un processo intellettuale, registrazione materiale di un percorso concettuale. Ogni elemento costruttivo – pareti, colonne, scale – viene privato della sua connotazione funzionale per essere reinterpretato come segno all'interno di un sistema sintattico complesso. (Fig. 2)




Fig. 2 – PETER EISENMAN, House II, 1970 (da www.eisenmanarchitects.com/House-II-1970). Foto cortesia Salvatore Rugino
Fig. 2 – PETER EISENMAN, House II, 1970
(da www.eisenmanarchitects.com/House-II-1970). Foto cortesia Salvatore Rugino

L'architettura diventa così scrittura spaziale, testimonianza tangibile della dialettica incessante tra la concretezza della realtà costruita e l'astrazione del concetto generativo.

Questa nuova sensibilità architettonica, che colloca il dubbio metodologico e l'inquietudine teorica al centro stesso della prassi progettuale, non rimane confinata al lavoro isolato di Eisenman ma trova una sintesi illuminante e sistematica nel pensiero critico di Rafael Moneo. Nella sua fondamentale analisi delle teorie di otto architetti contemporanei apparentemente distanti tra loro – da Rossi a Gehry, da Venturi a Koolhaas – Moneo riesce a identificare un filo conduttore sorprendente: la comune ricerca di possibilità alternative alle formule consolidate, l'insoddisfazione condivisa verso i paradigmi ereditati e il conseguente sforzo di articolare nuovi approcci alla progettazione.

L'affermazione di Jean Nouvel, citata da Moneo, cristallizza questa posizione con straordinaria lucidità: «il problema è poter articolare ogni progetto in base a un concetto o ad un'idea preliminare, seguendo una strategia molto particolare, il cui obiettivo deve essere quello di porre in sinergia – oppure, in alcuni casi, in contraddizione – percezioni che poi intrecceranno una relazione tra loro e porteranno alla definizione di un luogo sconosciuto» 4. In questa formulazione programmatica si condensa l'essenza dell'approccio contemporaneo: ogni intervento architettonico non è più l'applicazione di principi predefiniti ma l'elaborazione di una strategia progettuale specifica, di un dispositivo concettuale capace di orchestrare relazioni inedite tra elementi eterogenei.

Questa prospettiva rivela come l'architettura contemporanea più avanzata sfugga sistematicamente alle categorizzazioni tradizionali – funzionalismo, formalismo, storicismo, tecnicismo – per configurarsi come processo dinamico e aperto di negoziazione tra concetti, percezioni e spazialità. L'atto progettuale non mira più alla soluzione ottimale di un problema dato ma alla creazione di un "luogo sconosciuto", di una configurazione spaziale che non preesiste al progetto ma che emerge progressivamente attraverso l'articolazione di relazioni impreviste tra elementi concettuali e percettivi. Il progetto diventa così un dispositivo euristico, uno strumento di esplorazione che non applica conoscenze prestabilite ma produce nuove forme di sapere spaziale.

La convergenza tra la pratica diagrammatica di Eisenman e la riflessione teorica di Moneo rivela una trasformazione epistemologica fondamentale: l'architettura non è più concepita come disciplina normativa che applica principi stabili, ma come campo di sperimentazione in cui ogni intervento ridefinisce le regole del gioco, riarticolando continuamente i fondamenti stessi della pratica progettuale. Questa condizione di permanente inquietudine metodologica, lungi dal rappresentare un limite, costituisce la forza propulsiva dell'architettura contemporanea, la sua capacità di rinnovarsi continuamente attraverso il dubbio e l'interrogazione critica.

L'architettura contemporanea si distingue per un approccio caratterizzato da una fluidità radicale e sistematica, che trascende la semplice flessibilità metodologica per diventare principio ontologico fondante. In questo nuovo paradigma, le distinzioni convenzionali che hanno strutturato il pensiero architettonico tradizionale – le polarità tra reale e virtuale, tra forma compiuta e concetto generativo, tra materialità costruttiva e narrazione spaziale – subiscono un processo di progressiva dissoluzione. Non si tratta di semplici ibridazioni o contaminazioni tra categorie distinte, ma di una autentica ridefinizione dei confini ontologici che trasforma profondamente la natura stessa dell'oggetto architettonico e del processo che lo genera.

Federico Soriano, con straordinaria capacità di sintesi, coglie l'essenza di questa metamorfosi paradigmatica quando definisce l'architettura contemporanea come «senza scala, forma, peso, pianta, dettaglio» 5. Questa formulazione, nella sua apparente negatività, non costituisce affatto una negazione nichilista dei fondamenti disciplinari o un rifiuto apocalittico della tradizione architettonica. Al contrario, essa rappresenta il riconoscimento lucido di un nuovo campo di possibilità che si apre proprio attraverso la liberazione dai vincoli tradizionali che hanno definito e limitato l'architettura.

L'assenza di scala implica un superamento della dimensione metrica predeterminata in favore di una concezione relazionale dello spazio; l'assenza di forma non significa informità ma emancipazione dalla tirannia della composizione chiusa; l'assenza di peso non è smaterializzazione assoluta ma liberazione dalle gerarchie gravitazionali convenzionali; l'assenza di pianta e dettaglio non rappresenta l'abbandono della definizione spaziale ma la sua articolazione attraverso logiche alternative alle proiezioni ortogonali tradizionali.

Questo campo di possibilità inedite si sviluppa proprio nella tensione creativa che si instaura tra polarità apparentemente inconciliabili: tra il visibile e l'invisibile, tra la concretezza materiale della costruzione e l'astrazione della dimensione concettuale, tra la definizione oggettiva dello spazio fisico e l'indeterminatezza soggettiva dell'esperienza percettiva. L'architettura contemporanea non cerca di risolvere queste tensioni in una sintesi pacificata, ma le assume come motore generativo, come dinamica che alimenta continuamente il processo progettuale, mantenendolo in uno stato di produttiva instabilità.

È precisamente questa incertezza – non come condizione paralizzante ma come apertura di possibilità – a costituire il nucleo propulsivo dell'architettura del nostro tempo. L'inquietudine teorica non rappresenta un limite o un ostacolo alla pratica architettonica, ma diventa il suo principio vitale, la fonte inesauribile della sua capacità di rinnovamento. Nel momento stesso in cui riconosce l'impossibilità di ancorarsi a principi stabili e immutabili, l'architettura contemporanea trasforma questa apparente debolezza in straordinaria potenza creativa.

Confrontandosi con la fluidità intrinseca della condizione contemporanea – con la sua accelerazione costante, la sua molteplicità irriducibile, la sua complessità reticolare – l'architettura più avanzata non cerca di arrestare questo movimento in forme definitive e concluse, né tantomeno di contrapporsi nostalgicamente a esso richiamandosi a valori eterni e immutabili. La sua strategia è, al contrario, interpretativa e trasformativa: accogliere il flusso incessante del cambiamento non per subirlo passivamente, ma per comprenderlo dall'interno e tradurlo in configurazioni spaziali che, pur nella loro materialità, mantengono la dinamica e la vitalità del processo che le ha generate.

In questa prospettiva, l'architettura contemporanea si configura come disciplina che ha fatto dell'evoluzione continua il proprio statuto fondamentale. Non più attività orientata alla produzione di oggetti stabili e definiti, ma pratica processuale che genera campi di relazioni in costante divenire. Non più ricerca di soluzioni ottimali a problemi predefiniti, ma esplorazione di territori sconosciuti attraverso la continua ridefinizione dei problemi stessi. Non più applicazione di principi consolidati, ma invenzione di nuove modalità di pensiero e di azione che trasformano continuamente i fondamenti stessi della disciplina. È in questa capacità di reinventarsi costantemente, di evolvere insieme alla realtà che interpreta, che risiede la vitalità profonda dell'architettura contemporanea e la sua insostituibile rilevanza culturale.

Nel percorso analitico fin qui delineato emerge con chiarezza la natura profondamente mutata dell'architettura contemporanea, non più definibile attraverso categorie stabili ma caratterizzata da una fluidità ontologica che ne costituisce al contempo la sfida e la ricchezza. L'architettura del nostro tempo si configura come disciplina radicalmente trasformativa, che ha fatto dell'evoluzione continua e dell'inquietudine metodologica il proprio statuto fondamentale.

La centralità del pensiero come nucleo generativo delle forme rappresenta forse la più significativa rivoluzione paradigmatica: l'atto architettonico si costituisce primariamente come operazione concettuale che precede e informa la dimensione costruttiva. Questa priorità dell'ideazione non implica tuttavia un distacco dalla materialità, ma piuttosto una sua reinterpretazione come campo di sperimentazione dove le tensioni dialettiche tra universale e particolare, tra principi condivisi ed espressioni individuali, tra regole oggettive e interpretazioni soggettive trovano una sintesi dinamica e sempre rinnovata.

Il paradosso creativo dell'architettura contemporanea risiede proprio in questa capacità di far emergere l'unicità dall'apparente uniformità, trasformando principi astratti in manifestazioni concrete dello spazio costruito. I principi sono gli stessi per tutti, eppure ognuno ha un carattere suo, rivelando come l'originalità non si manifesti nell'assenza di regole ma nella loro interpretazione personale.

L'immersione nell'ecosistema mediatico contemporaneo ha ulteriormente accelerato la metamorfosi ontologica dell'oggetto architettonico, che evolve verso quella condizione di "non-cosa" intuita da Del Giudice. Gli edifici, pur mantenendo la loro presenza fisica, perdono progressivamente la loro univocità per diventare entità ibride in costante trasformazione, campi di forze e relazioni piuttosto che oggetti definiti. Questa porosità tra tangibile e intangibile, tra fisico e virtuale, tra costruito e immaginato genera una spazialità aumentata che trascende la mera presenza materiale.

La svolta concettuale identificata da Baudrillard nell'emancipazione dell'immagine dal suo ruolo referenziale trova nell'architettura contemporanea un campo di applicazione privilegiato. L'edificio non si presenta più primariamente come soluzione a problemi funzionali, ma come proposizione teorica, come interrogazione sulla natura stessa dell'abitare e del costruire. Questo spostamento dall'utilitas alla speculazione può comportare rischi di autoreferenzialità, ma offre anche la possibilità di trasformare l'architettura in laboratorio concettuale per sperimentare nuove modalità di relazione tra uomo e ambiente.

L'approccio diagrammatico di Eisenman e la riflessione teorica di Moneo convergono nel rivelare come l'architettura contemporanea sfugga sistematicamente alle categorizzazioni tradizionali per configurarsi come processo dinamico di negoziazione tra concetti, percezioni e spazialità. Ogni intervento architettonico diventa elaborazione di una strategia progettuale specifica, di un dispositivo concettuale capace di orchestrare relazioni inedite tra elementi eterogenei, creando quello che Nouvel definisce un "luogo sconosciuto".

L'architettura contemporanea vive una fase di profonda trasformazione paradigmatica, liberandosi progressivamente dai vincoli formali e concettuali che ne hanno definito l'essenza per secoli. La definizione di Soriano di un'architettura "senza scala, forma, peso, pianta, dettaglio" non è una semplice provocazione, ma coglie l'essenza di una disciplina che si sta riconfigurando radicalmente.

Questa liberazione dai parametri tradizionali non rappresenta un impoverimento, ma piuttosto una straordinaria espansione del campo delle possibilità progettuali. L'architettura contemporanea abbraccia le tensioni dialettiche tra principi apparentemente contraddittori: tra materialità e virtualità, tra permanenza e transitorietà, tra specificità locale e universalità globale. Non cerca di risolvere queste dicotomie attraverso compromessi o mediazioni, ma le trasforma in potenti motori creativi che alimentano il processo progettuale.

In questo contesto di fluidità radicale, l'intelligenza artificiale emerge non come semplice strumento tecnico, ma come catalizzatore di una trasformazione ancora più profonda. L'IA accelera e amplifica le metamorfosi già in atto, introducendo modalità di concepire, visualizzare e realizzare lo spazio architettonico che erano precedentemente inimmaginabili. Essa non si limita ad automatizzare processi esistenti, ma ridefinisce il ruolo stesso dell'architetto e il significato del progettare.

L'interazione tra architettura contemporanea e intelligenza artificiale genera un territorio concettuale inedito, dove le categorie tradizionali si dissolvono ulteriormente. In questo spazio di possibilità espanse, l'architettura può esplorare nuove relazioni con il contesto, nuove modalità di risposta alle esigenze sociali, nuove forme di espressione estetica. Le polarità non vengono risolte, ma diventano punti di tensione produttiva che generano continuamente innovazione.

In definitiva, l'architettura contemporanea, potenziata dall'intelligenza artificiale, non cerca la stabilità di una sintesi definitiva, ma abita consapevolmente lo spazio dinamico della trasformazione permanente, facendo della tensione creativa il suo principio generatore fondamentale.

L'intelligenza artificiale si inserisce con straordinaria coerenza in quel processo di dissoluzione dei confini ontologici che abbiamo identificato come caratteristica fondamentale dell'architettura contemporanea. La dicotomia tradizionale tra essere umano e macchina, tra intuizione creativa e calcolo algoritmico, subisce una profonda ridefinizione, generando un campo ibrido di possibilità dove il pensiero progettuale si sviluppa attraverso un dialogo continuo tra sensibilità umana e potenzialità computazionali.

Questo dialogo non si configura come semplice automazione di processi esistenti, ma come autentica co-creazione che trasforma radicalmente sia le modalità operative dell'architetto che la natura stessa degli esiti progettuali. L'IA estende quella dimensione di "non-cosa" già individuata da Del Giudice, portando l'architettura ancora più decisamente verso una condizione processuale e relazionale. Il progetto architettonico, generato attraverso l'interazione tra intelligenza umana e artificiale, diventa sempre più chiaramente un sistema complesso di relazioni, un campo di forze in continua evoluzione, piuttosto che un oggetto statico e definito.

La capacità dell'intelligenza artificiale di elaborare simultaneamente enormi quantità di dati e parametri differenti amplifica quella tendenza alla complessità e alla multidimensionalità che caratterizza il pensiero architettonico più avanzato. Attraverso l'IA, l'architettura può finalmente superare i limiti della rappresentazione bidimensionale e della concezione sequenziale per abbracciare una modalità progettuale genuinamente sistemica, capace di articolare relazioni dinamiche tra elementi eterogenei in una dimensione multidimensionale.

Tuttavia, come già suggerito dalla riflessione di Baudrillard sulle immagini "senza traccia", anche l'uso dell'intelligenza artificiale in architettura porta con sé il rischio di un ulteriore distanziamento dal mondo fisico, di un'astrazione che potrebbe perdere il contatto con la dimensione esistenziale dell'abitare. Se le immagini generate dall'IA possono moltiplicarsi all'infinito senza apparente sforzo o resistenza materiale, come garantire che mantengano quella "ombra" di significato che le radica nella realtà dell'esperienza umana?

La sfida cruciale per l'architettura nell'era dell'intelligenza artificiale sarà proprio questa: utilizzare la potenza generativa e la fluidità concettuale offerta dall'IA non per allontanarsi ulteriormente dalla concretezza dell'esperienza costruita, ma per arricchirla di nuove dimensioni di significato. Si tratta di sviluppare un approccio che integri le potenzialità virtuali dell'intelligenza artificiale con la materialità irriducibile dell'esperienza spaziale, in un dialogo costante tra l'astrazione del concetto algoritmico e la concretezza della percezione corporea.

In questa prospettiva, l'intelligenza artificiale può rappresentare per l'architettura contemporanea non solo un amplificatore di possibilità formali, ma uno strumento epistemologico fondamentale per ripensare il rapporto tra pensiero e forma, tra virtualità e realtà, tra processo e prodotto. L'IA non sostituisce l'inquietudine teorica e la tensione creativa che abbiamo riconosciuto come nucleo propulsivo dell'architettura contemporanea, ma le intensifica e le espande, aprendo orizzonti inesplorati di ricerca e sperimentazione. (Fig. 3)



Fig. 3 – SALVATORE RUGINO, House, 2025 (immagine creata con l'intelligenza artificiale partendo dagli schemi della House II di Eisenman), Foto © e cortesia Salvatore Rugino
Fig. 3 – SALVATORE RUGINO, House, 2025 (immagine creata
con l'intelligenza artificiale partendo dagli schemi della House II di Eisenman)
Foto © e cortesia Salvatore Rugino

L'architettura del futuro immediato si svilupperà verosimilmente in questa zona di confine tra umano e artificiale, in un territorio ibrido dove le distinzioni tradizionali perdono rilevanza a favore di una concezione integrata e sinergica del processo creativo. In questo scenario, l'intelligenza artificiale non rappresenta la negazione dell'architetto come figura creativa, ma la sua evoluzione verso una nuova condizione: non più demiurgo solitario che impone forme al mondo, ma orchestratore di processi complessi, interprete di relazioni sistemiche, mediatore tra virtualità algoritmica e concretezza esperienziale.

La vitalità dell'architettura come disciplina culturale risiederà, in ultima analisi, nella sua capacità di metabolizzare questa trasformazione paradigmatica, di accogliere l'intelligenza artificiale non come minaccia alla propria identità, ma come opportunità per una ridefinizione ancora più profonda e radicale del proprio statuto epistemologico. Un'architettura che, come suggerito dalla riflessione di Nouvel citata da Moneo, continuerà a cercare la creazione di "luoghi sconosciuti", ma con strumenti concettuali e operativi enormemente potenziati dall'interazione con l'intelligenza artificiale.

In questo scenario di evoluzione accelerata, l'architettura riafferma paradossalmente la propria centralità culturale proprio attraverso la continua messa in discussione dei propri fondamenti: non disciplina chiusa e autosufficiente, ma campo di sperimentazione aperto che si rinnova costantemente nel dialogo con le trasformazioni tecnologiche, sociali e culturali del proprio tempo. Un'architettura che, parafrasando Del Giudice, pur utilizzando principi ormai condivisi con le intelligenze artificiali, continuerà a manifestare un carattere unico, perfino una voce propria – quella voce autenticamente umana che emerge proprio nella relazione dialettica con l'alterità dell'artificiale.

In definitiva, ciò che distingue l'architettura contemporanea più avanzata non è la ricerca di soluzioni definitive o l'adesione a principi immutabili, ma la capacità di interpretare e trasformare il flusso incessante del cambiamento in configurazioni spaziali che, pur nella loro materialità, mantengono la dinamica vitalità del processo che le ha generate. È in questa continua reinvenzione, in questa evoluzione costante insieme alla realtà che interpreta, che risiede la profonda rilevanza culturale dell'architettura del nostro tempo: non più attività orientata alla produzione di oggetti stabili, ma pratica processuale che genera campi di relazioni in continuo divenire, esplorando territori sconosciuti attraverso la ridefinizione dei fondamenti stessi della disciplina.




           

NOTE

1 DEL GIUDICE 1985, p. 11.

2 Ibidem.

3 DEL GIUDICE 1985, p. 77.

4 MONEO 2005, p .7.

5 SORIANO 2004, p. 45.


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Architettura e Museologia Liquida ©2021 (2022)

Architettura e Museologia Liquida. Ricerca ideata e coordinata da Stefano Colonna Sapienza Università di Roma, a cura di Alba Matilde Cavallari, Stefano Colonna, Michela Ramadori, Lisa Simonetti, Roma, Campisano Editore, ©2021 (stampato nel febbraio del 2022).

BAUDRILLARD 2003

Jean BAUDRILLARD, Jean NOUVEL, Architettura e nulla. Oggetti singolari, Milano, Electa, 2003.

DEL GIUDICE 1985

Daniele DEL GIUDICE, Atlante Occidentale, Torino, Einaudi, 1985.

MONEO 2005

Rafael MONEO, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Milano, Electa, 2005.

RUGINO 2008

Salvatore RUGINO, Liquid box, Roma, Aracne Editrice, 2008.

SORIANO 2004

Federico SORIANO, Sin tesis, Barcellona, Gustavo Gili, 2004.

VIRILIO 1998

Paul VIRILIO, Lo spazio critico, Bari, Edizioni Dedalo, 1998.




Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA

PDF
QrCode

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali

BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it