«D'Orazio
Gentileschi rimase in queste nostre parti una figliuola vaghissima
d'aspetto, e valente pittrice quanto mai altra femmina» .
Così Filippo Baldinucci introduce la vita di Artemisia, ammirata
artista anche nel suo secolo. E così come nel Seicento, la
Gentileschi ha il potere di catturare il pubblico, con le sue sante,
eroine bibliche e ritratti di illustri personaggi, ma anche con il
racconto del suo trascorso travagliato, che ha reso la sua figura
simbolica. Così, anche la mostra Artemisia
Héroïne de l'art,
inaugurata lo scorso 18 marzo e
aperta fino al 3 agosto, al Musée Jacquemart-André di Parigi,
propone al pubblico francese alcuni dei capolavori di Artemisia,
insieme a tele del padre Orazio e a un dipinto di Caravaggio. Con la
cura di Patrizia Cavazzini, Maria Cristina Terzaghi e Pierre Curie,
l'esposizione presenta opere di provenienza internazionale, nonché conservate
in collezione privata; tra queste, la mostra si presenta ricca di
dipinti di recente attribuzione, emersi sul mercato antiquario negli
ultimi anni e ancora mai visti dal pubblico .
L'esposizione
si apre con il noto ritratto eseguito dal pittore Simon Vouet, datato
tra il 1622 e il 1626 e conservato in Palazzo Blu, a Pisa. L'effigie
di Artemisia è piuttosto nota agli studi, in cui si segnalano e si
ipotizzano numerosi autoritratti dell'artista, in veste ora di
Allegoria della Pittura
ora come Santa Caterina
d'Alessandria, ora come
Suonatrice di liuto
(quest'ultimo presente in mostra), ma c'è una rappresentazione
che colpisce particolarmente ed è tuttora difficile da decifrare: si
tratta del disegno di Leonaert Bramer, eseguito all'inizio degli
anni Venti, quando la Gentileschi fece rientro a Roma dopo la
parentesi fiorentina .
Più avanti nel percorso espositivo, la piccola figura colpisce –
non solo perché l'artista è ritratta con i baffi – ma anche
perché dimostra quanto Artemisia fosse inserita in un ambiente
generalmente poco accessibile alle donne: è ritratta allo stesso
modo di alcuni artisti Bentvueghels,
pittori principalmente olandesi residenti a Roma ,
che probabilmente la Gentileschi dovette incontrare.
È
certo che dovette incontrare e vedere le opere dei colleghi, di cui
si mostra all'altezza, come confermano le opere della prima sala,
appartenenti alle committenze per le grandi corti europee. Sono opere
di grande formato Ester e Assuero
(Fig. 1),
Fig. 1 - ARTEMISIA GENTILESCHI, Esther davanti ad Assuero, 1628 ca.
Olio su tela, 208,3 × 273,7 cm., New York, Metropolitan Museum of Art
Cortesia Metropolitan Museum of Art
presumibilmente
realizzata durante il periodo veneziano, e la più tarda Achille
tra le figlie di Licomede, di
recente attribuzione; insieme a queste tele, sul soffitto della
stessa sala, si può ammirare una riproduzione dell'opera eseguita
da padre e figlia per la House of Delight, in Inghilterra, intorno al
1638. Anche l'Allegoria
dell'Inclinazione, esposta
successivamente nella mostra, esprime l'interesse di una delle
corti più nobili come quella di Toscana per il cui Granduca dipinse
anche altre opere.
Uno
dei punti forti della mostra è la sala Père
et fille – Padre
e figlia, in cui si confrontano
alcuni dei capisaldi della giovinezza della pittrice insieme ai
lavori del padre Orazio. La prima opera della pittrice, la Susanna
e i vecchioni di Pommersfelden,
datata al 1610, è messa a confronto con una precedente composizione
paterna, il Davide e Golia
di Dublino, da cui la giovane pittrice ricalca la posizione della
testa del giovane pastore divenuto eroe. La vicenda narrata nel Libro
di Daniele, che ha come protagonista la bella Susanna, fu affrontata
ripetutamente da Artemisia e anche l'ultima opera nel percorso
espositivo rappresenta una versione tarda del tema. Ma non si tratta
dell'unica storia biblica d'interesse per Artemisia e anche per
il padre Orazio: la figura di Giuditta è emblematica nel percorso
dei due artisti. L'eroina dell'omonimo Libro è rappresentata nei
due momenti cruciali della vicenda, durante e subito dopo la
decapitazione: in questa occasione i curatori hanno scelto di
confrontare due quadri che rappresentano il secondo frame
della vicenda. Di Orazio si presenta una versione precedente e più
modesta della versione oggi conservata al Museo Nazionale di Oslo
(Fig. 2);
Fig. 2 - ORAZIO GENTILESCHI, Giuditta e la serva, 1612 ca.
Olio su tela, 131 x 101 cm., Bilbao, Museo de Bellas Artes Don d'Óscar Alzaga Villaamil
Fotografia di Susanna Winkler
di Artemisia è mostrata
la tela in Palazzo Pitti, elaborata durante il soggiorno fiorentino,
nel 1615 per l'appartamento della Granduchessa Vittoria della
Rovere: un'opera magistrale nel percorso della pittrice, che
rappresenta l'eroina e la sua serva forse colte in un attimo di
preoccupazione, come si vede dagli occhi della prima, diretti verso
qualcosa che sta oltre il perimetro della tela .
Se
il confronto tra padre e figlia riesce a mostrarci la maestria della
pittrice nel rappresentare il dramma, non si può prescindere dal
sottolineare la presenza, nella sala successiva, di un dipinto di
Caravaggio, amico di Orazio e grande influenza nelle carriere di
entrambi i Gentileschi. Si presenta in mostra la dibattuta
Incoronazione di Spine
della Banca Popolare di Vicenza, ritenuta copia da Longhi ,
ma accettata dalla critica a seguito della proposta avanzata da Mina
Gregori nel 1976 .
Recentemente, Alessandro Zuccari ha respinto l'opera ritenendo
troppo rozza «l'esecuzione dei tre aguzzini e della veste di
Cristo» .
Artemisia viene confrontata con il maestro lombardo attraverso un
bellissimo David con la testa di
Golia, riemerso recentemente e
attribuitole da Riccardo Lattuada :
un eroe al maschile, che combatte con un gigante come la sua
prediletta Giuditta fa contro Oloferne.
Non
è l'unica novità nel percorso espositivo: nella sala riservata ai
ritratti, si può vedere un piccolo dipinto circolato nel mercato
antiquario fiorentino come opera di un artista olandese, ma
attribuito in questa occasione alla pittrice romana e intitolato Tête
d'héroïne – Testa
d'eroina (Fig. 3):
Fig. 3 - ARTEMISIA GENTILESCHI, Testa d'Eroina, Intorno al 1620
Olio su tela, 48 × 38 cm., Belgio, collezione privata
Fotografia di Susanna Winkler
forse è un po'
azzardato supporre che si tratti di un'eroina biblica questo volto
di giovane donna abbigliata con una camicia e un manto marrone,
accompagnati da una collana e un pendente, entrambi di perle. Lo
sguardo è fiero e intenso, ma il ritratto deve essere più
concretamente assegnato a quello di una giovane gentildonna romana
vestita secondo la moda dell'epoca.
Non
solo personaggi mitici, ma anche santi, come le due versioni della
Maria Maddalena: quella conservata presso la Cattedrale di Siviglia,
d'ispirazione caravaggesca, è stata dibattuta dalla critica in
merito alla possibilità dell'esecuzione da parte di Artemisia o di
un copista. Anche quest'opera viene attribuita a lei nell'occasione
corrente, in quanto si suppone possa trattarsi proprio della versione
commissionata dalla famiglia spagnola Afán de Rivera .
L'altra versione, anch'essa inedita e passata in asta presso
Robilant+Voena, secondo Terzaghi in catalogo, potrebbe coincidere con
una delle due versioni del soggetto promesse, e poi inviate,
all'amante Francesco Maria Maringhi.
L'ultimo
grande capitolo della mostra è rivolto al tema di Eros
e Thanatos, cui è associato un
momento cruciale della sua esistenza: lo stupro di cui fu vittima
all'età di diciassette anni, compiuto dall'artista romano
Agostino Tassi, con le conseguenti vicende giudiziarie ormai molto
note. Giustamente, si tratta di un evento così cruciale che non può
essere omesso dalla trattazione e dall'esposizione, ma,
contrariamente ad altri eventi recenti che hanno avuto come
protagonista la pittrice, non è messo in risalto, perché, come
dovrebbe essere in un'esposizione d'arte, l'attenzione è
rivolta alle opere. Ancora una volta, il focus
è sulle eroine femminili, ritratte a figura intera ed estremamente
sensuali. Come Giaele e Sisara
delle collezioni ungheresi: il racconto del Libro dei Giudici
rappresenta un'iconografia nota all'inizio del Seicento, come
possiamo vedere attraverso altre versioni del tema, elaborate nella
Penisola e attribuite a Simon Vouet (Robilant+Voena), a Giuseppe
Vermiglio (Milano, Accademia Ambrosiana) e all'artista Jacopo
Vignali (Sotheby's New York, 29 gennaio 2016), che lavorava a
Firenze nella cerchia di Michelangelo Buonarroti il Giovane ,
lo stesso per cui Artemisia dipinse l'Allegoria
dell'Inclinazione, oggi in
Casa Buonarroti. O come le tre sensuali e intense Cleopatra,
appartenenti a tre altrettante fasi della sua carriera e provenienti
dalla collezione Cavallini-Sgarbi, dalla Galerie G. Sarti di Parigi e
di collezione privata.
La
mostra è, in conclusione, interessante soprattutto per la quantità
di dipinti inediti di cui è corredata: la luce di Artemisia si
scopre proseguendo nel percorso, la storia dell'artista è ben
raccontata. Si passa dal periodo fiorentino, alla maturità romana,
verso il primo soggiorno napoletano e le committenze prestigiose.
Manca una maggior attenzione alla fase più tarda, quella che precede
la morte dell'artista, ma forse la scelta dei curatori è stata
dettata dalla volontà di non ripetere quanto esposto a Napoli nel
2023.
Insieme
alla mostra, accessibile al pubblico fino al 3 agosto 2025, è
possibile visitare anche la collezione permanente del Musée
Jacquemart-André, aperto dal lunedì al giovedì dalle 10 alle 18,
il venerdì dalle 10 alle 22, il sabato e la domenica dalle 10 alle
19.
NOTE
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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(Catalogo della Mostra, Londra, 3 ottobre 2020 – 24 gennaio 2021) a
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Artemisia
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Artemisia
2025
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Dentro
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Vodret, Milano, Skira, 2017
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2020
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Mina GREGORI,
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in “The Burlington Magazine”, vol. 118, Londra, Burlington
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LATTUADA
2017
Riccardo
LATTUADA, Unknown Paintings by
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Bottega, in “Artemisia
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Publishers, 2017, pp. 187-216
Valentin
2016
Valentin
de Boulogne - beyond Caravaggio
(Catalogo della Mostra, New York, 7 ottobre 2016 - 16 gennaio 2017),
a cura di A. Lemoine, K. Christiansen, New York, The Metropolitan
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ZUCCARI
2020
Alessandro
ZUCCARI, Cantiere Caravaggio,
questioni aperte, indagini, interpretazioni,
Roma, De Luca editori d'arte, 2022, p. 367
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