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Costruita
fra il 1929 e il 1930 per la coppia di industriali ebrei tedeschi
Fritz e Greta Tugendhat, la Villa si inserisce in un contesto urbano
vivo e in piena trasformazione. La Brno della Prima Repubblica
cecoslovacca era un centro manifatturiero e culturale dinamico, dove
le classi agiate guardavano con interesse al contesto internazionale;
in questo frangente al linguaggio del Movimento Moderno in
architettura .
Villa
Tugendhat venne costruita entro un lotto rettangolare di circa 40 x
100 metri sulla collina di Černá Pole, che si affaccia verso il
centro città di Brno e ne dista appena due chilometri a sud-ovest.
Il lotto è disposto con il lato breve sul filo stradale, oggi via
Černopolní, in direzione nord-ovest – sud-est. La Villa si
estende entro un'area rettangolare di circa 40 x 30 metri che
occupa longitudinalmente l'intero profilo fronte strada e,
trasversalmente, circa un terzo del giardino.La posizione del lotto,
in lieve declivio sulla collina verso sud-ovest, determina sia
l'orientamento, che l'elevazione e l'organizzazione spaziale
dell'edificio. Seguendo la pendenza del suolo, van der Rohe
sviluppa la struttura di Villa Tugendhat su tre livelli: due piani
principali, leggermente sfalsati, e un basamento. [Fig. 1]
Fig. 1 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la serra vista dal giardino
Foto cortesia di Emilio Zanzi
Nell'organizzazione
degli spazi all'interno della Villa viene rispettata la logica
distributiva consueta per una residenza unifamiliare multipiano: gli
ambienti deputati alla vita diurna sono ai piani inferiori, mentre
gli spazi per la vita notturna sono a quelli superiori.
Il
piano superiore, nel caso di Villa Tugendhat, è però quello di
accesso, al livello della strada, e ospita l'ingresso principale
con il suo loggiato, la terrazza scoperta con l'affaccio sul centro
della città, la zona notte con i servizi e la scala di accesso al
piano inferiore. Gli ambienti della vita diurna sono collocati al
piano inferiore: qui si trovano il soggiorno, la zona pranzo, la
cucina con dispensa, la sala della musica, lo studio con la
biblioteca e una serra. Sempre dal piano inferiore si accede al
giardino attraverso uno scalone aperto; una scala a chiocciola porta
al basamento. Questo ospita i locali di servizio, come le caldaie e
le sale adibite a lavanderia; oggi, sono lì collocate anche la
biglietteria della Villa, il bookshop e una sala espositiva.
Se
l'organizzazione delle parti rimane dunque consueta, a mutare è
«la posizione dell'accesso che avviene dall'alto, per cui i
valori di prossimità e lontananza, di sopra e di sotto, vengono
affatto sovvertiti» .
Questa parziale inversione della gerarchia percettiva – che affida
il pieno sviluppo dell'architettura al livello inferiore,
seminascosto dal pendio, e che segue quest'ultimo in tutta la sua
articolazione – rivela già un aspetto: la Villa costruisce già
nella sua esistenza una soglia,
un passaggio progressivo tra livelli graduati tra le dimensioni e i
momenti differenti del vivere. La Villa inoltre, così facendo, non
si impone sul paesaggio naturale, ma lo assorbe e lo trasforma in
un'estensione percettiva dello spazio interno, privato.
Oltre
alla parziale sovversione delle dinamiche di accesso, la successiva
particolarità del progetto risiede nella struttura architettonica
della residenza.
Nel
progetto per la Villa esiste un elemento che consente l'intersezione
tra il linguaggio architettonico di van der Rohe e le specifiche
esigenze funzionali ed estetiche espresse dalla famiglia committente:
la struttura a scheletro .
Questa struttura trova la sua traduzione tecnica nello scheletro
metallico costituito da pilastri a sezione cruciforme, elementi
sottili e regolari che sostengono i solai in calcestruzzo e liberano
le partizioni interne dalla funzione portante: «al muro (eponimo
costruttivo del cingere) […] si sostituisce la colonna (eponimo
costruttivo dello spazio tipologico)» .
I pilastri attraversano in altezza tutti e tre i piani della Villa
senza mai interrompersi, costituendo il sistema portante
dell'edificio.
I pilastri sono realizzati assemblando profili a “L” in lamiera
d'acciaio: ogni colonna è ottenuta dall'accostamento di quattro
angolari a “L”, ribaditi e imbracati fra loro in modo da comporre
una sezione a croce greca stabile e simmetrica.
La
struttura a scheletro risulta essere «il sistema costruttivo più
adatto. Esso, infatti, rende possibile l'impiego di metodi
costruttivi razionalizzati e consente la libera suddivisione degli
ambienti» .Lo
scheletro a pilastri metallici portanti permette infatti una
costruzione rigorosa, ma mai rigida. Grazie a questo sistema si
consente la libera suddivisione degli ambienti, poiché i pannelli di
tamponamento e le superfici possono essere disposte indipendentemente
dall'orditura portante. Attraversando in altezza tutto l'edificio,
i sottili pilastri metallici si trovano spesso scoperti alla vista
nelle stanze e negli ambienti. I pilastri sono rivestiti con un
caratteristico carter che crea una superfice ad angoli stondati; nei
tratti esposti all'esterno sono galvanizzati, mentre nelle parti
visibili all'interno sono cromati .
Così,
i pilastri metallici divengono il perfetto elemento di continuità
strutturale e formale tra i vari piani della Villa [Fig. 2].
Fig. 2 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
uno dei pilastri cromati dello scheletro metallico
visibile nella sala da pranzo
Foto cortesia di Emilio Zanzi
La
continuità è
quindi, già nello scheletro, l'elemento distintivo. Oltre ad una
comunicazione verticale tra i vari piani, i pilastri metallici dello
scheletro permettono, come si è detto, anche la connessione spaziale
sul livello orizzontale. Grazie ai pilastri le pareti sono
alleggerite, si possono affrancare e rendersi più sottili. Gli
ambienti del piano superiore – le cinque stanze da letto e due dei
tre bagni – sono in continuo dialogo attraverso un corridoio che,
seppur separato dall'ingresso per garantire la privacy della zona
notte, vi rimane in comunicazione mediante tre grandi bucature di
passaggio.
È
già nel disegno di queste tre aperture che si manifesta il carattere
della continuità:
le porte non hanno una soglia vera e propria e apparentemente non
presentano l'architrave. Questo c'è ma non è visibile poiché
coincide con il profilo del soffitto. Attraverso questo espediente
van der Rohe riesce a slontanare il più possibile il profilo
orizzontale dell'architrave – che avrebbe spezzato l'andamento
ascensionale della vista rispetto alle pareti e alle porte – e
anche a generare una superficie pressoché infinita poiché non
interrotta da nessuno dei due limiti.
L'ennesima
affermazione della continuità
è quella costruita tra interno ed esterno.
Questa
non è realizzata solo nel luogo della grande vetrata al piano
inferiore, dove certamente raggiunge la sua massima chiarezza
espressiva, ma almeno in altri tre momenti.
Dapprima,
l'atrio di ingresso .
Qui vengono messi in comunicazione diretta tre spazi contigui: la
strada, da cui la Villa si distanzia leggermente proprio grazie
all'atrio stesso; la porta d'ingresso, questa leggermente
nascosta dal profilo curvilineo della vetrata opaca che accoglie la
scala che conduce alla zona giorno al piano inferiore; la terrazza
del piano superiore.
In
secondo luogo, è sempre la terrazza – che costituisce la copertura
del salone al piano inferiore – ad aprirsi sul pendio della
collina, quindi sulla Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo e sulla
Fortezza dello Spielberg. Si realizza dunque un canale diretto tra il
filo stradale, l'ingresso del piano superiore e la vista sul centro
città.
Scendendo
al piano inferiore, è la serra ad essere una perfetta manifestazione
della continuità
o spazio continuo
all'interno del progetto .
La serra, con il suo doppio accesso – dall'area adibita a studio
nel soggiorno e dal giardino esterno – costituisce un passaggio
diretto tra le due dimensioni. Inoltre, la continuità
non è da intendere solo nella dimensione materiale e distributiva
del doppio accesso, ma anche nella continuità visivo-materica delle
pareti vetrate come della vegetazione, che introducono già
dall'interno del soggiorno lo spazio esterno del giardino .
La
comunicazione continua, la continuità
appunto, tra interno ed esterno sono cruciali nel linguaggio
architettonico e nell'opera di van der Rohe [Fig. 3].
Fig. 3 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la parete vetrata rivolta a sud-ovest della cucina
affacciata sul giardino
Foto cortesia di Emilio Zanzi
Nell'analisi
che Johnson compie dell'opera dell'architetto si distingue con
chiarezza questo concetto: «Indoors
and outdoors are no longer easily defined; they flow into each other.
This concept of an architecture of flowing space»
.
Per
poter comprendere come la continuità visiva tra interno e interno
rappresenti, tra tutte le qualità che caratterizzano l'opera di
van der Rohe, una delle principali costanti, è utile riferirsi ad
almeno tre progetti subito precedenti a quello della Villa di Brno:
la casa in mattoni di campagna (1923-1924) ,
Casa Wolf (1925-1927)
ed il padiglione tedesco per l'Esposizione Internazionale di
Barcellona, il c.d. Padiglione di Barcellona (1929) .
Nonostante
la profonda e maggiore differenza tra i progetti, la diversa
destinazione d'uso – per i primi, domestica, per l'ultimo,
pubblica –, da questi emerge un tratto comune: il fluire dello
spazio continuo.
Questo aspetto nasce ed è reso possibile dapprima dalla costante
relazione aperta tra spazio interno ed esterno ,
e, nel progetto spagnolo, persino dall'annullamento delle
separazioni tra le varie parti o zone interne. L'idea del fluire
dello spazio continuo,
che raggiungerà la sua espressione più celebre e visivamente chiara
nel progetto originario di Casa Farnsworth (1945-1951) ,
risulta come elemento centrale tanto della progettazione strutturale
quanto della fruizione degli ambienti.
Nella
Villa di Brno, l'organizzazione – dunque la continuità,
come si è visto
– degli spazi interni si genera fin dalla progettazione strutturale
.
La struttura a scheletro sopramenzionata consente infatti la libertà
dei movimenti, elemento fondamentale dell'abitare e dello spazio
architettonico privato per van der Rohe .
La
successione e l'organizzazione spaziali annullano le separazioni
tra le singole parti interne – le aree domestiche, i piani, le
stanze – e persino tra quelle interne e le esterne – si vedano in
questo caso l'ingresso della Villa sulla strada, la terrazza, la
serra e soprattutto la parete vetrata sul giardino privato.
E
se l'organizzazione dello spazio interno si muove in questa
direzione, verso l'affermazione della continuità
come principio fondativo-logico del progetto e come norma fruitiva,
persino gli interni e gli arredi della casa vennero concepiti in seno
a questi riferimenti .
La
descrizione dei singoli elementi, ora anche quelli di arredo, può
facilitare la lettura – descrittiva e paratattica – delle loro
forme e funzioni; tuttavia, essa non è bastevole a far comprendere
la natura del progetto.
Il
grande soggiorno, cuore dell'edificio, si distende come un'unica
sala continua, dove «la complessità di questo grande spazio si
rivela poco a poco» .
In questa continuità
gli elementi d'arredo
connotano i singoli ambienti che compongono la sala creando continui
rimandi – formali, materici o cromatici – tra loro [Fig. 4].
Fig. 4 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
le sedute nel soggiorno della Villa e la vista sul giardino
Foto cortesia di Emilio Zanzi
L'arredo
della Villa fu concepito integralmente da Mies van der Rohe e Lilly
Reich – con anche la collaborazione di Sergius Ruegenberg per
alcuni elementi. Diversi arredi furono disegnati appositamente per la
Villa, dunque riflettendo la logica costruttiva e ideale del progetto
per l'edificio.
Tra
questi ultimi elementi d'arredo si distinguono le poltrone
Tugendhat
e le sedie Brno,
note anche con il nome di MR-20.
I rispettivi disegni condividono non solo aspetti formali, come il
profilo leggero ed elegante, composto da poche linee essenziali ,
ma anche la connotazione materica, ovvero l'utilizzo di un telaio
in acciaio cromato e di rivestimenti in pelli lucide pregiate;
rappresentano dunque un vero e proprio prolungamento della grammatica
architettonica dell'intero progetto. Alle due sedute progettate
appositamente per la Villa da van der Rohe e Reich, si aggiungono per
completare l'arredo del soggiorno anche le poltrone, gli sgabelli e
il tavolino Barcellona,
disegnati dall'architetto tra la fine del 1928 e l'inizio
dell'anno successivo per il Padiglione di Barcellona .
L'insieme
degli arredi restituisce un'immagine di eleganza rarefatta ed
essenzialità compiuta. Ogni elemento non occupa lo spazio, bensì lo
definisce, poiché «a partire dall'organizzazione degli spazi
architettonici, tocca agli oggetti […] il compito di organizzare
l'esperienza abitativa» .
Si tratta di oggetti essenziali ed iconici,
poiché racchiudono in sé il senso e la destinazione stessa delle
diverse zone del piano.
La
caratterizzazione degli ambienti del piano principale è mediata,
oltre che dall'arredo, dalle superfici verticali: vetrate, pareti,
tramezzi. Oltre ad organizzare lo spazio e individuare le sotto-unità
del soggiorno – la biblioteca, lo studio, la sala da pranzo, quella
per la musica e l'area che si affaccia sulla vista verso il centro
città – queste superfici si espandono fino a diventare le vere
protagoniste capaci di “arredare” lo spazio.
La
vetrata a tutta altezza estesa sull'intera parete sud-ovest del
soggiorno costituisce la soglia
per eccellenza: una membrana diafana che trasforma la sala in una
loggia aperta verso il giardino. La linea di separazione tra interno
ed esterno si dissolve; lo spazio domestico diventa luogo di
attraversamento, di affioramento della luce, di proiezione visiva
verso la città di Brno che si stende davanti alla vista degli
ospiti.
Disposta
parallelamente alla vetrata è la parete di onice. Si tratta di un
tramezzo monumentale costituito da una lastra di onice di colore
ambrato, con sfumature tra il giallo ocra e l'arancio e venature
bianche. La parete separa l'area con le poltrone e i tavolini dallo
studio. Questa rappresenta un elemento decorativo-celebrativo e allo
stesso tempo funzionale all'interno della Villa. La lastra
semitrasparente di onice permette infatti la propagazione della luce
naturale, proveniente dalla grande vetrata rivolta a sud-ovest, verso
l'ambiente dello studio altrimenti non illuminato; inoltre, il
colore ambrato della lastra genera, con la luce calda del tramonto
che lo attraversa, un effetto visivo di eccezionale impatto. La
scelta della parete di onice atta a separare un ambiente maggiore in
due sotto-unità, e quindi di propagare la luce attraverso i due, è
mutata dal progetto del Padiglione di Barcellona .
Sempre
nel soggiorno, nell'area adibita a sala da pranzo, è un'altra
parete ad essere centrale nell'organizzazione spaziale interna,
quindi nel fluire continuo dello spazio: la parete semicircolare in
legno in ebano macassar. Si tratta di una parete a profilo
semicircolare che circonda il grande tavolo rotondo, isolando l'area
da destinarsi ai pasti o alle riunioni dei coniugi Tugendhat [Fig. 5].
Fig. 5 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la tavola nella sala da pranzo
e la parete semicircolare in legno
Foto cortesia di Emilio Zanzi
Si
è visto come le diverse zone funzionali dello spazio principale –
il piano inferiore – siano caratterizzate e denotate dall'arredo
ed articolate attraverso i tre elementi di partizione di
straordinaria raffinatezza materica, formale e concettuale: la
vetrata a tutta altezza; la parete in onice dorato; la parete
semicircolare in legno. Questi dispositivi non operano come semplici
elementi divisori, ma come veri e propri principi strutturanti dello
spazio, capaci di regolare la percezione, la luce e la continuità
visiva all'interno dell'ampio soggiorno.
Grazie
a questi dispositivi di organizzazione e continuità, assieme agli
altri elementi già menzionati, si manifesta il nucleo teorico più
profondo della Villa. Ogni elemento è concepito come soglia. Le
porte interne, con gli architravi allineati al soffitto, estendono
l'orizzonte delle pareti ed evitano ogni tipo di cesura visiva. I
singoli elementi di arredo – persino nella zona notte, nelle camere
da letto e nei servizi – mantengono un'estrema e chiarissima
continuità formale e materica nei loro profili alternativamente
squadrati e ricurvi. Le vetrate sostituiscono quasi interamente le
pareti, almeno sul lato della Villa rivolto a sud-ovest. Le superfici
– come il tramezzo e la parete semicircolare – vengono realizzate
con materiali pregiati che non solo denotano il prestigio della
residenza, ma ne esaltano e manifestano le proprietà salienti, su
tutte, la sensazione di continuità spaziale la gestione della luce
naturale .
Le
connessioni tra ambienti – sia all'interno della Villa che tra
l'interno e l'esterno di questa – non sono mai solo aperture,
ma continuità di direzioni spaziali e luminose, da percorrere o
prefigurare. Ogni elemento architettonico non separa, ma conduce in
un percorso che genera la forma della casa mentre lo si compie.
Villa
Tugendhat costituisce un documento rilevantissimo poiché traduce in
forma costruita la tensione verso uno spazio
continuo inteso non
come astrazione geometrica, ma come esperienza concreta e percettiva
della casa moderna.
In
questa residenza Mies van der Rohe definisce un linguaggio
architettonico manifestando una riflessione profonda sul rapporto fra
materia, spazio e
soglia. All'interno
di Villa Tugendhat il passaggio e la soglia
si affermano come luoghi e momenti generativi dello spazio abitativo
stesso.
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