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Villa Tugendhat, architettura della continuità: materia, spazio e soglia come categorie della casa moderna
Emilio Zanzi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 04 Dicembre 2025, n. 991
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00991.html
Articolo presentato in data 01 Dicembre 2025, accettato in data 03 Dicembre 2025 e pubblicato in data 04 Dicembre 2025
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Area Architettura

Abstract

Nell'ambito della produzione architettonica di Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, realizzata a Brno tra il 1929 e il 1930, è un documento architettonico rilevante per la produzione dell'architetto tedesco, per il contesto geografico in cui si colloca e per la storia dell'architettura contemporanea.

Questo contributo propone di osservare la Villa attraverso le categorie di continuità e soglia, intese non come meri aspetti estetici ma come principi tecnici, teorici ed organizzativi che governano la formazione dello spazio.

L'analisi si apre sui dati materiali – collocazione topografica, orientamento, pianta, struttura a scheletro metallico, tecniche e materiali di costruzione – per mostrare come le scelte costruttive rendano possibili continuità orizzontali e verticali, intenzionali e necessarie all'interno del progetto per la Villa. La grande vetrata sul giardino, le superfici murarie, le aperture a tutta altezza e la parete in onice non dissolvono i limiti spaziali ma li trasformano in soglie estese. Così, la soglia diviene un dispositivo che regola le relazioni spaziali e di significato: tra le parti interne della Villa, tra queste e gli elementi circostanti, e con tutto il contesto urbano e naturale.Il contributo si concentra sulle relazioni logico-razionali tra le singole parti del progetto, dunque sull'organizzazione dello spazio, la gestione della luce naturale e la gestione-percezione dello spazio. A tale scopo si propone la categoria di spazio continuo come strumento interpretativo del documento architettonico modernista.


Costruita fra il 1929 e il 1930 per la coppia di industriali ebrei tedeschi Fritz e Greta Tugendhat, la Villa si inserisce in un contesto urbano vivo e in piena trasformazione. La Brno della Prima Repubblica cecoslovacca era un centro manifatturiero e culturale dinamico, dove le classi agiate guardavano con interesse al contesto internazionale; in questo frangente al linguaggio del Movimento Moderno in architettura 1.

Villa Tugendhat venne costruita entro un lotto rettangolare di circa 40 x 100 metri sulla collina di Černá Pole, che si affaccia verso il centro città di Brno e ne dista appena due chilometri a sud-ovest. Il lotto è disposto con il lato breve sul filo stradale, oggi via Černopolní, in direzione nord-ovest – sud-est. La Villa si estende entro un'area rettangolare di circa 40 x 30 metri che occupa longitudinalmente l'intero profilo fronte strada e, trasversalmente, circa un terzo del giardino.La posizione del lotto, in lieve declivio sulla collina verso sud-ovest, determina sia l'orientamento, che l'elevazione e l'organizzazione spaziale dell'edificio. Seguendo la pendenza del suolo, van der Rohe sviluppa la struttura di Villa Tugendhat su tre livelli: due piani principali, leggermente sfalsati, e un basamento. [Fig. 1]



Fig. 1 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, la serra vista dal giardino. Foto cortesia di Emilio Zanzi
Fig. 1 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la serra vista dal giardino

Foto cortesia di Emilio Zanzi

Nell'organizzazione degli spazi all'interno della Villa viene rispettata la logica distributiva consueta per una residenza unifamiliare multipiano: gli ambienti deputati alla vita diurna sono ai piani inferiori, mentre gli spazi per la vita notturna sono a quelli superiori.

Il piano superiore, nel caso di Villa Tugendhat, è però quello di accesso, al livello della strada, e ospita l'ingresso principale con il suo loggiato, la terrazza scoperta con l'affaccio sul centro della città, la zona notte con i servizi e la scala di accesso al piano inferiore. Gli ambienti della vita diurna sono collocati al piano inferiore: qui si trovano il soggiorno, la zona pranzo, la cucina con dispensa, la sala della musica, lo studio con la biblioteca e una serra. Sempre dal piano inferiore si accede al giardino attraverso uno scalone aperto; una scala a chiocciola porta al basamento. Questo ospita i locali di servizio, come le caldaie e le sale adibite a lavanderia; oggi, sono lì collocate anche la biglietteria della Villa, il bookshop e una sala espositiva.

Se l'organizzazione delle parti rimane dunque consueta, a mutare è «la posizione dell'accesso che avviene dall'alto, per cui i valori di prossimità e lontananza, di sopra e di sotto, vengono affatto sovvertiti» 2. Questa parziale inversione della gerarchia percettiva – che affida il pieno sviluppo dell'architettura al livello inferiore, seminascosto dal pendio, e che segue quest'ultimo in tutta la sua articolazione – rivela già un aspetto: la Villa costruisce già nella sua esistenza una soglia, un passaggio progressivo tra livelli graduati tra le dimensioni e i momenti differenti del vivere. La Villa inoltre, così facendo, non si impone sul paesaggio naturale, ma lo assorbe e lo trasforma in un'estensione percettiva dello spazio interno, privato.

Oltre alla parziale sovversione delle dinamiche di accesso, la successiva particolarità del progetto risiede nella struttura architettonica della residenza.

Nel progetto per la Villa esiste un elemento che consente l'intersezione tra il linguaggio architettonico di van der Rohe e le specifiche esigenze funzionali ed estetiche espresse dalla famiglia committente: la struttura a scheletro 3. Questa struttura trova la sua traduzione tecnica nello scheletro metallico costituito da pilastri a sezione cruciforme, elementi sottili e regolari che sostengono i solai in calcestruzzo e liberano le partizioni interne dalla funzione portante: «al muro (eponimo costruttivo del cingere) […] si sostituisce la colonna (eponimo costruttivo dello spazio tipologico)» 4. I pilastri attraversano in altezza tutti e tre i piani della Villa senza mai interrompersi, costituendo il sistema portante dell'edificio5. I pilastri sono realizzati assemblando profili a “L” in lamiera d'acciaio: ogni colonna è ottenuta dall'accostamento di quattro angolari a “L”, ribaditi e imbracati fra loro in modo da comporre una sezione a croce greca stabile e simmetrica6.

La struttura a scheletro risulta essere «il sistema costruttivo più adatto. Esso, infatti, rende possibile l'impiego di metodi costruttivi razionalizzati e consente la libera suddivisione degli ambienti» 7.Lo scheletro a pilastri metallici portanti permette infatti una costruzione rigorosa, ma mai rigida. Grazie a questo sistema si consente la libera suddivisione degli ambienti, poiché i pannelli di tamponamento e le superfici possono essere disposte indipendentemente dall'orditura portante. Attraversando in altezza tutto l'edificio, i sottili pilastri metallici si trovano spesso scoperti alla vista nelle stanze e negli ambienti. I pilastri sono rivestiti con un caratteristico carter che crea una superfice ad angoli stondati; nei tratti esposti all'esterno sono galvanizzati, mentre nelle parti visibili all'interno sono cromati 8.

Così, i pilastri metallici divengono il perfetto elemento di continuità strutturale e formale tra i vari piani della Villa [Fig. 2].




Fig. 2 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, uno dei pilastri cromati dello scheletro metallico visibile nella sala da pranzo. Foto cortesia di Emilio Zanzi
Fig. 2 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
uno dei pilastri cromati dello scheletro metallico
visibile nella sala da pranzo

Foto cortesia di Emilio Zanzi

La continuità è quindi, già nello scheletro, l'elemento distintivo. Oltre ad una comunicazione verticale tra i vari piani, i pilastri metallici dello scheletro permettono, come si è detto, anche la connessione spaziale sul livello orizzontale. Grazie ai pilastri le pareti sono alleggerite, si possono affrancare e rendersi più sottili. Gli ambienti del piano superiore – le cinque stanze da letto e due dei tre bagni – sono in continuo dialogo attraverso un corridoio che, seppur separato dall'ingresso per garantire la privacy della zona notte, vi rimane in comunicazione mediante tre grandi bucature di passaggio.

È già nel disegno di queste tre aperture che si manifesta il carattere della continuità: le porte non hanno una soglia vera e propria e apparentemente non presentano l'architrave. Questo c'è ma non è visibile poiché coincide con il profilo del soffitto. Attraverso questo espediente van der Rohe riesce a slontanare il più possibile il profilo orizzontale dell'architrave – che avrebbe spezzato l'andamento ascensionale della vista rispetto alle pareti e alle porte – e anche a generare una superficie pressoché infinita poiché non interrotta da nessuno dei due limiti.

L'ennesima affermazione della continuità è quella costruita tra interno ed esterno.

Questa non è realizzata solo nel luogo della grande vetrata al piano inferiore, dove certamente raggiunge la sua massima chiarezza espressiva, ma almeno in altri tre momenti.

Dapprima, l'atrio di ingresso 9. Qui vengono messi in comunicazione diretta tre spazi contigui: la strada, da cui la Villa si distanzia leggermente proprio grazie all'atrio stesso; la porta d'ingresso, questa leggermente nascosta dal profilo curvilineo della vetrata opaca che accoglie la scala che conduce alla zona giorno al piano inferiore; la terrazza del piano superiore.

In secondo luogo, è sempre la terrazza – che costituisce la copertura del salone al piano inferiore – ad aprirsi sul pendio della collina, quindi sulla Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo e sulla Fortezza dello Spielberg. Si realizza dunque un canale diretto tra il filo stradale, l'ingresso del piano superiore e la vista sul centro città.

Scendendo al piano inferiore, è la serra ad essere una perfetta manifestazione della continuità o spazio continuo all'interno del progetto 10. La serra, con il suo doppio accesso – dall'area adibita a studio nel soggiorno e dal giardino esterno – costituisce un passaggio diretto tra le due dimensioni. Inoltre, la continuità non è da intendere solo nella dimensione materiale e distributiva del doppio accesso, ma anche nella continuità visivo-materica delle pareti vetrate come della vegetazione, che introducono già dall'interno del soggiorno lo spazio esterno del giardino 11.

La comunicazione continua, la continuità appunto, tra interno ed esterno sono cruciali nel linguaggio architettonico e nell'opera di van der Rohe [Fig. 3].



Fig. 3 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, la parete vetrata rivolta a sud-ovest della cucina affacciata sul giardino. Foto cortesia di Emilio Zanzi
Fig. 3 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la parete vetrata rivolta a sud-ovest della cucina
affacciata sul giardino

Foto cortesia di Emilio Zanzi

Nell'analisi che Johnson compie dell'opera dell'architetto si distingue con chiarezza questo concetto: «Indoors and outdoors are no longer easily defined; they flow into each other. This concept of an architecture of flowing space» 12.

Per poter comprendere come la continuità visiva tra interno e interno rappresenti, tra tutte le qualità che caratterizzano l'opera di van der Rohe, una delle principali costanti, è utile riferirsi ad almeno tre progetti subito precedenti a quello della Villa di Brno: la casa in mattoni di campagna (1923-1924) 13, Casa Wolf (1925-1927) 14 ed il padiglione tedesco per l'Esposizione Internazionale di Barcellona, il c.d. Padiglione di Barcellona (1929) 15.

Nonostante la profonda e maggiore differenza tra i progetti, la diversa destinazione d'uso – per i primi, domestica, per l'ultimo, pubblica –, da questi emerge un tratto comune: il fluire dello spazio continuo. Questo aspetto nasce ed è reso possibile dapprima dalla costante relazione aperta tra spazio interno ed esterno 16, e, nel progetto spagnolo, persino dall'annullamento delle separazioni tra le varie parti o zone interne. L'idea del fluire dello spazio continuo, che raggiungerà la sua espressione più celebre e visivamente chiara nel progetto originario di Casa Farnsworth (1945-1951) 17, risulta come elemento centrale tanto della progettazione strutturale quanto della fruizione degli ambienti.

Nella Villa di Brno, l'organizzazione – dunque la continuità, come si è visto 18 – degli spazi interni si genera fin dalla progettazione strutturale 19. La struttura a scheletro sopramenzionata consente infatti la libertà dei movimenti, elemento fondamentale dell'abitare e dello spazio architettonico privato per van der Rohe 20.

La successione e l'organizzazione spaziali annullano le separazioni tra le singole parti interne – le aree domestiche, i piani, le stanze – e persino tra quelle interne e le esterne – si vedano in questo caso l'ingresso della Villa sulla strada, la terrazza, la serra e soprattutto la parete vetrata sul giardino privato.

E se l'organizzazione dello spazio interno si muove in questa direzione, verso l'affermazione della continuità come principio fondativo-logico del progetto e come norma fruitiva, persino gli interni e gli arredi della casa vennero concepiti in seno a questi riferimenti 21.

La descrizione dei singoli elementi, ora anche quelli di arredo, può facilitare la lettura – descrittiva e paratattica – delle loro forme e funzioni; tuttavia, essa non è bastevole a far comprendere la natura del progetto.

Il grande soggiorno, cuore dell'edificio, si distende come un'unica sala continua, dove «la complessità di questo grande spazio si rivela poco a poco» 22. In questa continuità gli elementi d'arredo connotano i singoli ambienti che compongono la sala creando continui rimandi – formali, materici o cromatici – tra loro [Fig. 4].



Fig. 4 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, le sedute nel soggiorno della Villa e la vista sul giardino. Foto cortesia di Emilio Zanzi
Fig. 4 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
le sedute nel soggiorno della Villa
e la vista sul giardino

Foto cortesia di Emilio Zanzi

L'arredo della Villa fu concepito integralmente da Mies van der Rohe e Lilly Reich – con anche la collaborazione di Sergius Ruegenberg per alcuni elementi. Diversi arredi furono disegnati appositamente per la Villa, dunque riflettendo la logica costruttiva e ideale del progetto per l'edificio.

Tra questi ultimi elementi d'arredo si distinguono le poltrone Tugendhat e le sedie Brno, note anche con il nome di MR-20. I rispettivi disegni condividono non solo aspetti formali, come il profilo leggero ed elegante, composto da poche linee essenziali 23, ma anche la connotazione materica, ovvero l'utilizzo di un telaio in acciaio cromato e di rivestimenti in pelli lucide pregiate; rappresentano dunque un vero e proprio prolungamento della grammatica architettonica dell'intero progetto. Alle due sedute progettate appositamente per la Villa da van der Rohe e Reich, si aggiungono per completare l'arredo del soggiorno anche le poltrone, gli sgabelli e il tavolino Barcellona, disegnati dall'architetto tra la fine del 1928 e l'inizio dell'anno successivo per il Padiglione di Barcellona 24.

L'insieme degli arredi restituisce un'immagine di eleganza rarefatta ed essenzialità compiuta. Ogni elemento non occupa lo spazio, bensì lo definisce, poiché «a partire dall'organizzazione degli spazi architettonici, tocca agli oggetti […] il compito di organizzare l'esperienza abitativa» 25. Si tratta di oggetti essenziali ed iconici, poiché racchiudono in sé il senso e la destinazione stessa delle diverse zone del piano.

La caratterizzazione degli ambienti del piano principale è mediata, oltre che dall'arredo, dalle superfici verticali: vetrate, pareti, tramezzi. Oltre ad organizzare lo spazio e individuare le sotto-unità del soggiorno – la biblioteca, lo studio, la sala da pranzo, quella per la musica e l'area che si affaccia sulla vista verso il centro città – queste superfici si espandono fino a diventare le vere protagoniste capaci di “arredare” lo spazio.

La vetrata a tutta altezza estesa sull'intera parete sud-ovest del soggiorno costituisce la soglia per eccellenza: una membrana diafana che trasforma la sala in una loggia aperta verso il giardino. La linea di separazione tra interno ed esterno si dissolve; lo spazio domestico diventa luogo di attraversamento, di affioramento della luce, di proiezione visiva verso la città di Brno che si stende davanti alla vista degli ospiti.

Disposta parallelamente alla vetrata è la parete di onice. Si tratta di un tramezzo monumentale costituito da una lastra di onice di colore ambrato, con sfumature tra il giallo ocra e l'arancio e venature bianche. La parete separa l'area con le poltrone e i tavolini dallo studio. Questa rappresenta un elemento decorativo-celebrativo e allo stesso tempo funzionale all'interno della Villa. La lastra semitrasparente di onice permette infatti la propagazione della luce naturale, proveniente dalla grande vetrata rivolta a sud-ovest, verso l'ambiente dello studio altrimenti non illuminato; inoltre, il colore ambrato della lastra genera, con la luce calda del tramonto che lo attraversa, un effetto visivo di eccezionale impatto. La scelta della parete di onice atta a separare un ambiente maggiore in due sotto-unità, e quindi di propagare la luce attraverso i due, è mutata dal progetto del Padiglione di Barcellona 26.

Sempre nel soggiorno, nell'area adibita a sala da pranzo, è un'altra parete ad essere centrale nell'organizzazione spaziale interna, quindi nel fluire continuo dello spazio: la parete semicircolare in legno in ebano macassar. Si tratta di una parete a profilo semicircolare che circonda il grande tavolo rotondo, isolando l'area da destinarsi ai pasti o alle riunioni dei coniugi Tugendhat [Fig. 5].



Fig. 5 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat, la tavola nella sala da pranzo e la parete semicircolare in legno. Foto cortesia di Emilio Zanzii
Fig. 5 - Ludwig Mies van der Rohe, Villa Tugendhat
la tavola nella sala da pranzo
e la parete semicircolare in legno

Foto cortesia di Emilio Zanzi

Si è visto come le diverse zone funzionali dello spazio principale – il piano inferiore – siano caratterizzate e denotate dall'arredo ed articolate attraverso i tre elementi di partizione di straordinaria raffinatezza materica, formale e concettuale: la vetrata a tutta altezza; la parete in onice dorato; la parete semicircolare in legno. Questi dispositivi non operano come semplici elementi divisori, ma come veri e propri principi strutturanti dello spazio, capaci di regolare la percezione, la luce e la continuità visiva all'interno dell'ampio soggiorno.

Grazie a questi dispositivi di organizzazione e continuità, assieme agli altri elementi già menzionati, si manifesta il nucleo teorico più profondo della Villa. Ogni elemento è concepito come soglia. Le porte interne, con gli architravi allineati al soffitto, estendono l'orizzonte delle pareti ed evitano ogni tipo di cesura visiva. I singoli elementi di arredo – persino nella zona notte, nelle camere da letto e nei servizi – mantengono un'estrema e chiarissima continuità formale e materica nei loro profili alternativamente squadrati e ricurvi. Le vetrate sostituiscono quasi interamente le pareti, almeno sul lato della Villa rivolto a sud-ovest. Le superfici – come il tramezzo e la parete semicircolare – vengono realizzate con materiali pregiati che non solo denotano il prestigio della residenza, ma ne esaltano e manifestano le proprietà salienti, su tutte, la sensazione di continuità spaziale la gestione della luce naturale 27.

Le connessioni tra ambienti – sia all'interno della Villa che tra l'interno e l'esterno di questa – non sono mai solo aperture, ma continuità di direzioni spaziali e luminose, da percorrere o prefigurare. Ogni elemento architettonico non separa, ma conduce in un percorso che genera la forma della casa mentre lo si compie.

Villa Tugendhat costituisce un documento rilevantissimo poiché traduce in forma costruita la tensione verso uno spazio continuo inteso non come astrazione geometrica, ma come esperienza concreta e percettiva della casa moderna.

In questa residenza Mies van der Rohe definisce un linguaggio architettonico manifestando una riflessione profonda sul rapporto fra materia, spazio e soglia. All'interno di Villa Tugendhat il passaggio e la soglia si affermano come luoghi e momenti generativi dello spazio abitativo stesso.




NOTE

1 Sul contesto architettonico della città di Brno nei primi decenni del secolo si veda brevemente la panoramica compiuta da Jean-Louis Cohen, cfr. COHEN 2007, p. 54.

2 Casa Tugendhat : Ludwig Mies van der Rohe 1997, p. 6.

3 La centralità delle forme e delle strutture “a scheletro” è tale da essere adoperata come titolo del capitolo dedicato agli sviluppi e alle sperimentazioni formali e tecniche di van der Rohe negli elementi d'arredo tra il 1925 e il 1935 nella monografia di Werner Blaser, crf. BLASER 1980, p. 40.

4 CAJA, CAPOZZI, LANINI 2022, p. 42. È opportuno chiarire come questa osservazione venga riferita non specificatamente al progetto di Villa Tugendhat, ma ad una tendenza – progressiva e continua – dello sviluppo dei linguaggi architettonici di van der Rohe che avrà come termine maturo e più chiaro, il progetto di Casa Farnsworth. In questo contesto, dunque, si può astrarre il concetto profondo e l'essenza di questa riflessione: il passaggio «da una condizione in cui predomina la costruzione di una progressiva “internità”, delimitata ed escludente […] alla conquista emancipata di una “esternità”», Ivi, pp. 42-43, che si prefigura già nella villa di Brno.

5 COHEN 2007, p. 56.

6 Tale soluzione è analoga e confrontabile a quella sperimentata nello stesso anno nel progetto del Padiglione di Barcellona, cfr. BLASER 1980, pp. 53-54 e BLASER 2008, pp. 58-59, 72-73. Si noti inoltre come l'elemento verticale a sezione cruciforme così realizzato, si incontri nuovamente anche nelle gambe dei tavolini rotondi disegnati da van der Rohe per le stanze della Villa. Questa ricorrenza degli elementi metallici cromati ad angoli stondati crea ancora una volta quella continuità formale, materica e visiva che determina la continuità architettonica dell'intero progetto. Sulla continuità tra il modello costruttivo dei pilastri dello scheletro metallico e quello delle gambe dei tavolini si veda HOLOUŠ, SIMEK 2014, pp. 54-55.

7 Mies van der Rohe : meno è di più 2016, p. 62.

8 COHEN 2007, p. 58. Si noti inoltre come la cromatura argentea dei sottili pilastri cruciforme crei un sistema di citazione materica e cromatica con le nervature delle sedute disegnate da van der Rohe e Lilly Reich per la casa e che caratterizzano gli ambienti di entrambi i piani.

9 Nell'atrio di Villa Tugendhat van der Rohe esprime l'istanza dello «spazio di mediazione tra l'esternità […] e gli spazi domestici», che sarà ancora più manifesta e riconosciuta circa un decennio più tardi, nel progetto della Resor House (1937-1940) a Jackson Hole, Wyoming, CAJA, CAPOZZI, LANINI 2022, pp. 44-45.

10 Il “fluire dello spazio continuo” venne individuato come linea profonda e rilevante di continuità nell'opera di van der Rohe da Philip Johnson già nel 1947, in occasione della preparazione della mostra al MoMA, cfr. come già notato anche in Ivi, p. 30.

11 Si noti inoltre come la continuità visiva diretta con il giardino e il verde urbano circostante è esercitata anche nelle grandi finestre che sostituiscono quasi interamente la parete sud-ovest della cucina.

12 JOHNSON 1947, p. 30.

13 CAJA, CAPOZZI, LANINI 2022, pp. 19-29, 70-73.

14 Ivi, pp. 78-81.

15 Casa Tugendhat : Ludwig Mies van der Rohe 1997, pp. 5 e ss.; CAJA 1992.

16 Mies van der Rohe : meno è di più 2016, pp. 41-43.

17 È necessario fare riferimento in questo caso al progetto originario in quando la Casa ha subito negli anni subito successivi al disegno alcune modifiche apportate dalla stessa proprietaria, la medica Edith Farnsworth.

18 Anche in questo frangente è opportuno riportare la lettura di Johnson: «Indoors and outdoors are no longer easily defined; they flow into each other. This concept of an architecture of flowing space», JOHNSON 1947, p. 30.

19 BLASER 2008, p. 72.

20 CAPOZZI 2010, pp. 38 ss e NORBERG-SCHULZ 1984.

21 BLASER 2008, pp. 72-83.

22 COHEN 2007, p. 58.

23 Per una riflessione sulle nervature essenziali “a vista” delle sedute progettate da van der Rohe, si veda BLASER 2008, pp. 137-139. Si noti come lo stesso Blaser, nella precedente edizione del 1980, cfr. BLASER 1980, chiamasse questo tipo di struttura “a scheletro”, richiamando la definizione della trama costruttiva dell'intera Villa.

24 Sui disegni delle due sedute si veda BLASER 2008: per il disegno, e i relativi apparati iconografici, della sedia Brno, pp. 78, 82-83; per quelli della poltrona Tugendhat, Ivi, pp. 80-81.

25 VITTA 2008, p. 16.

26 Si veda il precedente nella progettazione del Padiglione di Barcellona con la sistemazione della parete in onice trasversale alla direzione di fruizione dell'ambiente, cfr. BLASER 2008, p. 64.

27 Questa proprietà-volontà, assieme alla relazione con l'ambiente naturale, manifestazione monumentale e compiuta nei progetti maturi, cfr. CAJA, CAPOZZI, LANINI 2022, pp. 41-53.



            

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