I nudi maschili di Wilhelm von Gloeden
Raffaella Perna
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
L’intervento affronta l’opera del
fotografo tedesco Wilhelm von Gloeden (1856-1931), e in particolare la
recezione dei suoi nudi maschili en plein air, la cui alterna fortuna critica
nel corso del Novecento è strettamente legata al processo di riconoscimento
politico delle istanze omosessuali.
Tra la fine del XIX secolo e la
Prima Guerra Mondiale le immagini di Gloeden raggiungono fama internazionale:
in questo periodo le sue foto all’albumina di vedute e tipi siciliani, di
figure abbigliate all’antica e nudi maschili vengono esposte in importanti
mostre, distribuite come cartoline, pubblicate su riviste specializzate e su
periodici ad alta tiratura. I nudi e le scene arcadiche di Gloeden interessano
la critica dell’epoca perché condividono la vena citazionista e il gusto per il
revival tipici della fotografia Pittorialista; nel contempo le componenti
omoerotiche di queste foto ne favoriscono la diffusione anche tra un pubblico
omosessuale, attraverso i volumi e le riviste dedicati al nudo diffusi in
Europa soprattutto a partire dai primi anni del Novecento. Negli anni Trenta,
in pieno regime fascista, il fondo di Gloeden viene sequestrato dalla polizia e
l’erede del fotografo, Pancrazio Buciunì, viene processato con l’accusa di
detenzione e commercio di foto pornografiche. Dopo vari decenni di oblio, negli
anni Settanta l’opera di Gloeden viene riscoperta: benché i motivi all’origine
della rinnovata attenzione critica siano molteplici, un impulso decisivo
proviene da studiosi coinvolti nella nascita dei Gay and Lesbian Studies, che
vedono in Gloeden un simbolo di riscatto e di liberazione omosessuale.
Venere e Verità: nudo nelle
allegorie e nei miti tra antichità e Rinascimento
Lara Scanu
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
Tutte le immagini che ci propongono
al loro interno una figura nuda ci restituiscono una scena priva di
contestualizzazione temporale: l’elemento transeunte degli abiti, una volta
eliminato, consente al soggetto di sopravvivere nel tempo inalterato,
rendendolo eterno e ben riconoscibile. È il caso delle divinità e di alcune
allegorie che ci sono pervenute in maggior numero, sin dalle raffigurazioni più
antiche, completamente nude.
L’intervento si propone di
ripercorrere, attraverso alcuni esempi salienti, la storia del nudo femminile
nell’arte tra antichità ed età moderna, facendo prendere le mosse all’analisi
da due importanti figure che hanno come loro attributo principale proprio la
nudità: la pagana Venere, dea dell’amore e della bellezza, e l’allegoria della
Verità, due donne che esibiscono il proprio corpo proprio per completare la
comprensione, da parte dello spettatore, del proprio significato.
SEZIONE III
Arte e conoscenza: un percorso sensoriale
La visione di un’opera d’arte pone
lo spettatore di fronte ad un’esperienza multisensoriale. Con l'affrontare
questa tematica si ha l’intenzione di dimostrare come la percezione di un’opera
non coinvolga esclusivamente la vista, che di sicuro è il medium sensoriale
primario che ci consente di accedere all’arte, ma che si propone come
un’esperienza estetica totale: un quadro, come una scultura, come un brano
musicale, come un testo scritto stimolano l’attivazione, seppur inconscia,
della nostra intera fisicità, stabilendo con l’opera un rapporto empatico e
concreto, che consente allo spettatore di individuarsi come essere vivente.
Quando il corpo entra nell’opera
d’arte. I sensi ed i loro desideri
Emanuele Carlenzi (Sapienza
Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo)
Affrontare la sensorialità nella storia dell’arte
può condurre a molteplici vie. Quella che si vuol proporre con questo
intervento indaga il momento in cui gli artisti hanno sentito la necessità di
coinvolgere il loro corpo all’interno delle opere d’arte, consentendo alla
percezione sensoriale di diventare il mezzo principale per la propria
espressione e costringendo lo spettatore ad attivare i propri sensi per reagire
ad essa.
Partendo dall’Espressionismo Astratto infatti il
confine tra arte e vita si fa sempre più labile ed il campo esistenziale
dell’uomo inizia a sovrapporsi al campo spaziale dell’opera d’arte. Questo
determina un passaggio di fondamentale importanza che si verifica tra gli anni
Cinquanta e Sessanta: dall’opera d’arte in quanto oggetto alla performance. Ciò
consente allo spettatore di partecipare attivamente ad un processo artistico
che coinvolge i suoi sensi come quelli dell’autore e ad approcciare all’opera
in termini non più solo estetico/visivi ma all’interno di un rapporto più
complesso, un rapporto, quello tra l’artista, l’opera e lo spettatore, del
quale si vuole indagare lo sviluppo dalla metà dello scorso secolo in poi per
mettere in luce come la percezione sensoriale sia stata al centro di una nuova
realtà artistica.
Questione di tatto. Il tocco e i suoi esiti in alcuni
soggetti delle opere d’arte
Lara Scanu (Sapienza Università di
Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo)
La visione di alcune opere d’arte
ci colpisce per la sua gestualità e per le percezioni sensoriali che questi
riescono a farci immaginare e simulare. Per quanto riguarda l’arte figurativa,
sono soprattutto alcuni soggetti tratti dal mito e dalla storia religiosa a
consentirci questo accesso particolarmente empatico con l’opera.
Questo intervento si propone di
indagare alcuni miti pagani ed episodi religiosi dove il vero protagonista
della narrazione è il senso del tatto: il tocco, l’afferrare, lo sfiorare sono
i gesti che consentono lo sviluppo della narrazione letteraria e pittorica,
dall’innamoramento di Apollo e Dafne alla trasformazione di Clori in Flora, dalle
mani incrociate nella danza delle Tre Grazie al ratto di Proserpina fino a
giungere all’episodio evangelico dell’incredulità di San Tommaso.
Sentire attraverso le immagini. La
musica nell’arte figurativa tra XVI e XVII secolo
Claudio Strinati
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Cortocircuiti tra sensi e tempo:
corpo e memoria nell'opera di Louise Bourgeois
Carla Subrizi
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
Si cercherà di partire da una
domanda: quali sensi e quali temporalità caratterizzano un'opera d'arte oggi?
L'opera di Louise Bourgeois, in particolare le installazioni, tra Maman e le
Celle saranno lo spunto per indagare come la conoscenza che l'arte produce sia
un atto performativo: della soggettività come sé e come altro, della propria
coscienza e della coscienza dell'altro in una relazione di scambio linguistico
e affettivo. I sensi si modificano quando si incontrano e coesistono
all'interno di una medesima esperienza percettiva. Allo stesso modo il tempo
non indica un processo lineare ma una stratificazione simile alla forma che
l'opera restituisce.
SEZIONE IV
L’icona. Limiti semantici e significati culturali dell’immagine
A partire dal senso della parola,
si vuole mettere a fuoco il significato del termine icona applicato alle
immagini e sondare in questo modo le infinite implicazioni semantiche e
culturali che uno specifico soggetto riserva, sia esso umano o rappresentativo
di una civiltà o di un periodo storico, dei quali anche un monumento può
esserne l’emblema. Dalla fruizione politica, a quella religiosa a quella
commerciale, l’icona si è insinuata non solo nella Storia dell’Arte, ma
continua ad esercitare il suo potere su chi la vede tutt’oggi.
San Lazzaro di Costantinopoli e la difesa delle immagini sacre all’epoca della Controriforma: un caso esemplare nella Roma del Seicento
Federico De Martino
Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali - Museo di Roma - Palazzo Braschi
Nel 1681
il pittore pistoiese Lazzaro Baldi ha eretto a proprie spese nella chiesa dei
SS. Luca e Martina un altare dedicato a san Lazzaro di Costantinopoli, monaco e
pittore vissuto nell’VIII-‐IX
secolo, che fu perseguitato dall’Imperatore iconoclasta Teofilo. Baldi ha anche
pubblicato un breve libro sulla vita del santo, dedicato al Principe Livio
Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI. Il rilancio della figura
dell’iconografo greco si inserisce nel contesto della controriforma cattolica e
offre lo spunto per una riflessione sul dibattito seicentesco sulle immagini
sacre.
Immagini e paradigmi
della rivolta. L’icona come vocabolario
Matteo Provasi
Università degli Studi di Ferrara – Dipartimento di Studi Umanistici
La lettura comparata di fonti
concernenti casi di rivolta popolare in età moderna produce risultati per certi
versi sorprendenti. Da un lato voci testimoniali affini offrono descrizioni (e
interpretazioni) molto divergenti, o quantomeno una evidente divaricazione dei
punti di vista. Ciò è dovuto ai diversi livelli di distanza o coinvolgimento
rispetto agli eventi, e naturalmente alle diverse impostazioni ideologiche su
cui poggia ogni singolo sguardo. D’altro lato, voci testimoniali
cronologicamente, geograficamente e culturalmente molto lontane spesso possono
condurre a ricostruzioni convergenti.
Tali convergenze sono il frutto
dell’interazione reciproca tra modalità di svolgimento della rivolta e
ricostruzioni narrative e memoriali. Il risultato – ma per certi versi anche la
sostanza reagente – di tale interazione è l’individuazione progressiva di un
vocabolario universalmente condiviso dell’opposizione al potere, basato su
elementi simbolici che hanno esattamente la funzione di icone.
Attraverso l’analisi di un
campione, ridotto ma significativo, si cercherà di seguire le tante vite delle
immagini della rivolta; dall’azione fattuale, al racconto, alla
cristallizzazione nel tempo in icone appunto. Con una raccomandazione: va
assegnata la dignità di immagine sia a quelle realizzate dalle arti figurative,
sia a quelle prodotte dal linguaggio verbale (per lo più scritto); con il
concorso dunque di cronisti, memorialisti, storici, poeti, e non solo di
pittori e scultori. Di conseguenza, a diventare icone possono essere degli
oggetti, dei modi di dire, più in generale degli stereotipi stilistici.
Il compasso cronologico preso in
esame andrà dal tardo medioevo fino al termine del cosiddetto Antico Regime.
Qualcuna di queste icone potrà sopravvivere al cambio di prospettiva; molte
altre perderanno la propria forza comunicativa. Questo perché il mutamento
sostanziale del contesto ideologico e politico costringerà a scrivere un nuovo
vocabolario.
Da personaggio a “icona”: gli eroi
della letteratura alla prova delle arti figurative
Gabriele Quaranta
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
Université Paris 1 - Panthéon-Sorbonne, Histoire de l'art
Un’immagine di Don Chisciotte, chi
non la riconoscerebbe? E così quella di Amleto. Ma chi saprebbe distinguere a
prima vista un protagonista del Furioso, come Ruggiero, da Rinaldo o da Tancredi,
narrati dal Tasso? La trasposizione del racconto in immagini accompagna da
secoli la letteratura occidentale, contribuendo alla fortuna e alla diffusione
di storie e personaggi. Se riconosciamo prontamente la figura di alcuni eroi
letterari o certi episodi delle loro avventure – perfino quando sono
rappresentati in forme assai semplificate – è perché essi sono entrati
nell’immaginario anche grazie alle arti figurative, che hanno saputo distillare
alcuni tratti caratteristici fissandoli in iconografie capaci d’imporsi alla
memoria collettiva e di perdurare nel tempo: in una parola, trasformando il
personaggio in “icona”, immagine sintetica che riassume un carattere, una
storia, dei valori immediatamente riconoscibili. Ma non tutti i personaggi sono
diventati “icone”, mentre altri pur celebri lo sono stati soltanto per un certo
periodo, cadendo poi nell’oblio. Attraverso alcuni esempi tratti da grandi
opere letterarie – da Ariosto a Tasso, da Manzoni a Cervantes – indagheremo le
vie attraverso cui un personaggio fatto di parole diviene un’immagine, e i
motivi per cui quell’immagine riesce – o non riesce – a diventare una “icona”.
SEZIONE V
Quando l’architettura costruisce, quando l’architettura distrugge. Classico, Anticlassico e Architettura liquida
Ogni costruzione, nel suo ciclo,
prevede sempre una distruzione. Questo è valido anche per l’architettura. Così
come per costruire il complesso dei Mercati di Traiano si sbancò un declivio,
demolendone il suo assetto, così l’architettura contemporanea demolisce i
canoni progettuali ed estetici, dando luogo a forme inedite, passando per la
tradizione classica e le innovazioni anticlassiche rinascimentali e barocche,
ripercorrendo, in questo modo, le trasmutazioni formali e funzionali
dell’architettura.
L'anticlassico che diventa
classico. Sostituzione, elaborazione e affermazione di nuovi codici di
propaganda al tempo degli Sukkalmakh (ca. 1900-1520 a.C.)
Enrico Ascalone,
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Scienze dell’Antichità
Post-doc Researcher, University of Copenhagen, The Saxo Institute
Un nuovo programma dinastico
attuato dai sovrani Sukkalmakh, in ogni singolo campo figurativo prodotto dalla
committenza reale, si realizzò attorno al 1900/1800 a.C., quando la dinastia
Simashki di verosimile origine occidentale, fu sostituita da nuovi reggenti
tradizionalmente associati alle regioni orientali dell'altopiano iranico. Il
quadro che sembra definirsi, sin dalla fondazione della nuova dinastia
ebartite, mostra un radicale cambiamento nei codici iconografici di propaganda
che devono ora soddisfare le esigenze di una committenza che sembra
preoccuparsi di creare un più capillare programma di celebrazione dinastica
attraverso l’ideazione di nuovi modelli di espressione figurativa che possano
gettare le basi di un nuovo grande regno; i nuovi titoli (‘Sukkalmakh’) e
titolature (‘re di Susa e Anshan’), l’introduzione all’interno del pantheon
elamita di un nuovo ordine gerarchico con la nuova coppia divina Napirisha e
Kiririsha, l’ideazione di nuovi impianti figurativi e la ridondanza degli
stessi su sigilli, rilievi rupestri, stele e statuaria sembrano esprimere la
nuova attenzione dei sovrani elamiti nel creare nuovi codici di propaganda di
forte rottura con la dinastia Simashki e, allo stesso tempo, di facile
identificazione con la nuova dinastia ebartite; codici che dovettero
rappresentare il primo grande vero sforzo del regno elamita nella creazione di
un’arte ufficiale proiettata verso il riconoscimento di un unico sentimento
identitario che potesse riconoscersi nell’Elam e nei suoi sovrani. Questa
riforma di ogni canale celebrativo della sovranità, finalizzato a creare
un’unica identità culturale e, probabilmente, amministrativa del regno, dovette
essere in gran parte stimolata da molteplici fattori da riconoscere in una
nuova presa di coscienza sulla forza del regno che si andava a creare, ora
probabilmente esteso fin sul medio corso dell’Eufrate, nel tentativo di
prendere le distanze dalla reggenza dinastica precedente, forse troppo
appiattita sui regni di Mesopotamia, nel recupero dell’elemento nomade dell’altopiano,
spesso ‘scollato’ dalla reggenza elamita perché fortemente vincolato alla
propria identità tribale, e, soprattutto, nel chiaro intento di spostare il
baricentro politico e amministrativo del nuovo regno verso Anshan, verso il
Fars.
Il nuovo programma figurativo
impose, quindi, nuovi modelli iconografici e un certo impegno per permetterne
la decodifica, ma, allo stesso tempo, richiese una certa attenzione verso il
problema della legittimazione dinastica dei nuovi sovrani artefici di un così
ambizioso progetto. Lo stravolgimento dei precedenti equilibri religiosi,
culturali e sociali passò infatti attraverso un più radicato e complesso
sistema di legittimazione dinastica che si attuò nel riconoscimento di un
cosiddetto 'tempo mitico' a cui ispirarsi e attraverso cui affermarsi.
L'arcaica dinastia di Awan fu celebrata e con essa si celebrò l'affiliazione
dei nuovi dinasti Sukkalmakh; nuovi miti fondanti furono creati, vecchie
titolature furono riutilizzate, codici figurativi di propaganda trasformarono l'anti-classico
in classico, il 'nuovo' confluì nella 'tradizione', la spinta rivoluzionaria
della nuova dinastia si raccolse in un contenitore reazionario di forma e idee.
Architettura liquida per una
museologia dialettica
Stefano Colonna
Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo
Declinare una prospettiva liquida
per comprendere l'architettura e la museologia internazionale contemporanea può
essere utile anche come strumento esegetico di tutta la contemporaneità.
Sociologia, filosofia, estetica, letteratura, musica, fisica, informatica,
matematica e molte altre discipline e forme del sapere convergono da più di
vent'anni a questa parte verso un nuovo modello complesso della realtà che
implica una serie di relazioni spaziali e concettuali che apparentemente sono
del tutto inedite. In realtà il paradigma liquido è sempre esistito nel
pensiero umano come contrapposizione al modello classico di cui rappresenta lo
spesso oscuro alter ego dialettico. Vorrei dunque mostrare per esempio come la
dialettica di manierismo/classicismo del Cinquecento preluda alla concezione
liquida di molti dei Musei costruiti in tutto il mondo a partire dagli anni '90
del Novecento rimarcando le caratteristiche sia estetiche e visibili di questa
parentela sia quelle filosofiche a partire dall'analisi del pensiero negativo
nella filosofia e religione dei presocratici in poi.
Anche il Futurismo e il Cubismo con
la loro parentela con la Fisica relativistica di Einstein hanno contribuito a
fissare alcuni elementi costitutivi dell'estetica anticlassica oggi usata dagli
architetti liquidi.
L'importanza di adottare questo
modello interpretativo liquido anche per una lettura dei tempi attuali sta nel
fatto che esso richiede necessariamente una visione dialettica del pensiero che
crea e rinnova scale di valori e criteri di giudizio allontanando il pericolo
di una società massificata e vittima di un brodo primordiale uniforme.
L'intervento dovrebbe servire a lanciare provocazioni utili per aprire un
eventuale dibattito sull'argomento.