Il culto di san Lazzaro di Costantinopoli, monaco iconografo
vissuto nel IX secolo al tempo dell’Imperatore Teofilo, ebbe un nuovo impulso a
Roma negli anni Ottanta del Seicento per iniziativa del pittore Lazzaro Baldi
(Pistoia 1622 – Roma 1703), uno degli ultimi allievi di Pietro da Cortona. La
devozione per san Lazzaro fu del tutto coerente con la personalità dell’artista
pistoiese e rispecchia pienamente il modo in cui interpretò la propria
professione. Baldi, infatti, propose se stesso in modo programmatico come un modello di artista al servizio della Chiesa, specializzato
nella produzione di raffigurazioni religiose destinate a infiammare lo zelo dei
fedeli. In un momento storico travagliato come gli ultimi decenni del Seicento,
trovò nella produzione d’immagini sacre il fondamento e la giustificazione del
proprio lavoro. La grande fortuna che il pistoiese ebbe in vita può essere
interpretata come una prova di quanto i temi della controriforma fossero
attuali nella Roma della seconda metà del Seicento. È anche per questo che le
sue opere riuscirono particolarmente gradite a una committenza ecclesiastica
che, dopo il pontificato di Alessandro VII, cercava nell’arte più decoro e
adesione ai principi del Concilio di Trento.
Baldi fu un artista pienamente integrato nella corte
pontificia e beneficiò della protezione di papi, cardinali e prelati di spicco.
Il suo pieno inserimento in un ambito istituzionale è attestato, tra l’altro,
dalla nomina a Principe dell’Accademia di San Luca nel 1679. Una figura come
quella di Baldi dovette apparire particolarmente adatta a guidare l’istituzione
durante il regno di Innocenzo XI Odescalchi, salito al soglio pontificio nel
1676. Il papa comasco, infatti, condusse il proprio pontificato all’insegna del
rigorismo, imponendo alla Chiesa un regime di austerità e parsimonia. Egli si
oppose energicamente al lusso e alla rilassatezza dei costumi, che si erano
accentuati progressivamente dall’epoca di Urbano VIII. Promulgò alcuni editti
per vietare alle donne romane la moda di portare le braccia scoperte e prese
misure molto severe per contrastare ogni comportamento sconveniente nel teatro,
nella musica e anche durante il Carnevale, che addirittura proibì del tutto
negli anni 1684, 1688 e 1689. Vigilò anche con rigore sulla disciplina dei
religiosi, in particolare dei conventi di monache, giungendo persino a far
coprire il seno della Madonna di Guido Reni negli affreschi nel Palazzo del
Quirinale. Inoltre fu un fiero oppositore del nepotismo, che avrebbe voluto
contrastare con una Bolla fin dal 1677. Non riuscì nell’intento per
l’opposizione o la scarsa collaborazione di tutti i cardinali, tuttavia suo
nipote Livio non ottenne mai la porpora e finché il papa fu in vita dovette
rinunciare a cariche e onori.
Le grandi opere volute da Alessandro VII avevano molto
aggravato il deficit delle casse pubbliche, pertanto Innocenzo XI s’impegnò a
riequilibrare il bilancio, tentando di arginare il debito dello Stato.
L’impresa era quanto mai ardua, poiché le ingenti spese dei precedenti
pontificati erano state compiute attraverso un sistema d’indebitamento basato
sui luoghi di monte, cioè titoli di
Stato che i risparmiatori acquistavano contando su un favorevole tasso
d’interesse. Per interrompere la spirale del debito, il papa dovette imporre a
ogni amministrazione pubblica un severo regime di parsimonia. Fu posto un freno
anche alle spese per le canonizzazioni, che il pontefice ridusse
considerevolmente con un decreto del 15 ottobre 1678. Durante i tredici anni
del suo pontificato fu celebrata solo la beatificazione di Turibio di Mogrovejo.
Porre un limite alle spese dello Stato era per
Innocenzo XI un obiettivo strategico anche per motivi di politica estera.
Aveva, infatti, bisogno di ingenti risorse finanziarie per sostenere
economicamente la difesa d’Europa dalla minaccia dei turchi. Durante il suo
pontificato si ruppe il fragile equilibrio ai confini dell’Impero Asburgico che
era stato garantito nel 1664 dalla pace di Eisenburg e il sultano Mehmet IV
riuscì a portare il suo esercito all’assedio di Vienna, generando un forte
stato di apprensione, poiché un’eventuale caduta della città gli avrebbe aperto
la strada fino al cuore d’Europa. Innocenzo XI lavorò diplomaticamente dal
primo anno di pontificato affinché i sovrani europei mettessero da parte le
contese reciproche e stringessero un’alleanza contro i turchi. Non riuscì ad
avere la crociata che avrebbe desiderato, ma ottenne una valida alleanza tra
l’Impero Asburgico e il regno di Polonia per la difesa di Vienna.
L’assedio della capitale asburgica fu seguito a Roma con grande trepidazione e
la vittoria delle armate imperiali nel 1683 fu accolta con festose
manifestazioni di giubilo, rievocando alle coscienze il ricordo della battaglia
di Lepanto.
È dunque in questo contesto che nel 1680 Baldi iniziò
a lavorare a un articolato progetto per dare impulso al culto di san Lazzaro.
L’artista, spronato dalla fervida venerazione per il santo omonimo, concepì
l’iniziativa nel 1679, quando ricopriva la carica di Principe dell’Accademia di
San Luca. Per manifestare la propria devozione adottò le strategie solitamente
usate per le canonizzazioni: eresse a proprie spese un nuovo sacello dedicato
al santo nella chiesa dei SS. Luca e Martina, per cui dipinse la pala d’altare
(Fig. 1), fece pubblicare un libro sulla vita di san Lazzaro e ideò alcune
stampe raffiguranti episodi della vita del monaco.
Il 31 marzo 1680 l’Accademia acconsentì alla richiesta
dell’artista di poter erigere il nuovo altare nella chiesa dell’istituzione. L’atto
di donazione fu rogato il 25 luglio 1680. Le spese
devono essere state ingenti, poiché il sacello fu rivestito di marmi pregiati:
non è escluso, quindi, che il pittore avesse l’intenzione di mostrare
pubblicamente la propria affermazione sociale. Baldi decise che se stesso e la
sorella Emilia sarebbero stati sepolti in prossimità del nuovo altare, cui l’artista
avrebbe lasciato in eredità tutti i suoi beni. Considerando ogni aspetto della
sua devozione per san Lazzaro, emerge chiaramente che Baldi intese replicare
quanto aveva fatto prima di lui Pietro da Cortona in onore di santa Martina: il
campo d’azione fu per entrambi la chiesa dell’Accademia di San Luca, sia il
maestro sia l’allievo eressero un altare al santo protettore, accanto al quale
vollero essere sepolti e a cui lasciarono le rispettive l’eredità. Le
iniziative di Baldi collegate a san Lazzaro appaiono dunque congeniate per
suggerire pubblicamente l’identificazione con il proprio maestro, proponendosi
come il principale erede di Pietro da Cortona. Tuttavia nella volontà di
imprimere un impulso alla venerazione del santo si possono individuare anche
altre ragioni. Dietro alla devozione per il monaco greco si scorge
distintamente l’adesione di Baldi a una precisa concezione dell’arte e del
ruolo dell’artista come iconografo. Tutto ciò appare più chiaramente se si prende
in esame la biografia di san Lazzaro che il pistoiese fece pubblicare nel 1681.
Il libro, edito a Roma da Giacomo Fei, s’intitola Breve compendio della Vita, e Morte di San
Lazzaro Monaco, et insigne Pittore, che sotto Teofilo Imperatore Iconomaco molti
tormenti patì per la Pittura, e Culto delle Sagre Immagini, dedicata
all’Illustriss. Et Eccellentiss. Sig. D. Livio Odescalchi Duca di Ceri. Il
frontespizio, ideato da Baldi e inciso da Benoit Thiboust, raffigura san
Lazzaro tormentato in carcere con i ferri roventi. Esistono
altre due stampe con il medesimo soggetto, ideate dal pistoiese e incise dai
suoi allievi Filippo Luzi e Francesco Simoncelli, che non erano destinate al
libro, bensì a essere distribuite il giorno della festa del santo (23 febbraio)
(Figg. 2-3).
Il frontespizio riproduce, con poche varianti, l’iconografia della pala per
l’altare nella chiesa dei SS. Luca e Martina che Baldi stava dipingendo nello
stesso periodo. La prima edizione del volume è molto rara, tanto che Leopoldo
Cicognara quando nel 1807 riuscì a entrarne in possesso la ripubblicò,
facendola precedere da un breve saggio intitolato Osservazioni sulla bibliomania. In
precedenza il libro aveva avuto altre tre edizioni: una del 1715 priva del
frontespizio, una del 1758 e un’altra del 1788. A proposito della biografia di
san Lazzaro, Pascoli riferisce: «Scrissela dunque in compendio, e la fece per
sua maggiore gloria, e per maggiormente eccitare in altri la divozione
susseguentemente a universal benefizio stampare. Ne donò parecchie copie agli
amici, parecchie ne mandò fuori, e parecchie nobilmente legate ne presentò a
molti, e diversi prelati, e cardinali». Secondo
Pascoli il libro sarebbe stato scritto dal pittore stesso, tuttavia Cicognara
ha notato che nella dedica a Livio Odescalchi, effettivamente firmata da Baldi,
l’artista dice espressamente: «ho fatto scrivere, e stampare la sua Vita». Da ciò
si desume che il pistoiese scrisse solo la dedica e il resto del libro spetta a
un anonimo compilatore. Anche se non lo redasse di persona, Baldi fu comunque
l’ispiratore del testo, che deve considerarsi del tutto corrispondente alle sue
idee.
La dedica a Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo
XI, si deve agli stretti rapporti che l’artista intrattenne con l’illustre
personaggio, ampiamente documentati nel fondo archivistico della famiglia
Odescalchi. In una lettera del 1676 Francesco Maria della Porta si congratulò
con il Duca per l’acquisto di due dipinti del pistoiese. I libri
dei conti riferiscono che nel 1692 Livio pagò l’artista cento scudi per alcune
opere non meglio specificate.
L’inventario dei beni del Duca, redatto alla sua morte nel 1713, menziona ben
quattordici dipinti di Baldi, che hanno avuto il medesimo destino del resto
della sua collezione e nel 1792 sono andati dispersi. Un
altro inventario, in possesso della famiglia Odescalchi, menziona due vedute,
il Belvedere di Frascati e Trinità dei Monti, con figure del
pistoiese e paesaggi del Tempestino. La più
rilevante dimostrazione del mecenatismo di Livio Odescalchi nei confronti di
Baldi è un perduto ciclo di suoi dipinti, che ornavano un’alcova del Duca e
sono stati riprodotti dal polacco Georg Szymonowicz in una serie di stampe
pubblicate nel 1682. Il
rapporto di Baldi con Livio Odescalchi emerge anche dal testamento del pittore,
in cui si riferisce che il 2 gennaio del 1698 il Duca contrasse un censo a
favore dell’artista, che fruttava duecentoventi scudi e cinquanta. Baldi,
inoltre, gli lasciò in eredità un quadro raffigurante santa Caterina
d’Alessandria.
Nel 1679, in qualità di principe dell’Accademia di S. Luca, l’artista propose
che Livio fosse nominato Accademico d’Onore, ottenendo l’approvazione generale. È
pertanto legittimo ipotizzare che il pistoiese abbia conseguito il
principato grazie all’appoggio dell’influente principe Odescalchi. Tutto ciò, fa ritenere che il
libro fosse prima di tutto indirizzato ai pittori dell’Accademia. L’artista,
infatti, si rivolge al nipote di Innocenzo XI come Accademico d’Onore e
benefattore dell’istituzione. Nella dedica si legge: «questo [libro] all’E. V.
presento, a cui di certo penso, che sarà gratissimo, sì per la sua rara, e
singolare pietà, sì anche per essersi degnata di essere ascritta nella nostra
Accademia, mostrandosi sempre affettionatissimo alle nostre professioni, e
promovendole da quel Principe, che ella è».
Il volume descrive come Lazzaro, nato in Grecia nella
città di Chazana, vestì l’abito monastico ispirato dalle sacre immagini e
apprese con entusiasmo l’arte della pittura. A quei tempi a Costantinopoli
regnava l’imperatore Teofilo, che aderiva all’eresia iconoclasta. Alcune pagine
sono dedicate a confutare l’iconoclastia, dichiarando che il culto delle
immagini sacre non è un’invenzione dei monaci, ma risale all’apostolo Luca e a
Cristo stesso, la cui sacra effige è impressa nel velo della Veronica e nella
Sindone. Il racconto prosegue riferendo che Lazzaro si recò con coraggio al
cospetto dell’Imperatore per difendere le immagini sacre e Teofilo lo fece
crudelmente tormentare e rinchiudere in carcere. Poiché il monaco continuava a
dipingere anche nella cella, l’Imperatore gli fece bruciare le mani con ferri
roventi. Questo episodio è il più noto nella vita del santo e Baldi lo scelse
come soggetto per il frontespizio del libro e per la pala d’altare nella chiesa
dei SS. Luca e Martina. Quasi morto per i tormenti, Lazzaro fu scarcerato per
volontà dell’imperatrice Teodora, nemica degli iconoclasti. Alla morte di
Teofilo l’impero passò nelle mani di Teodora, che ristabilì il culto delle
immagini e inviò Lazzaro come ambasciatore a Roma. Nella città pontificia il
monaco greco contrastò l’antipapa Anastasio, che fu deposto e sostituito con il
legittimo pontefice Benedetto III. Tornato a Costantinopoli, Lazzaro fu di
nuovo inviato a Roma e morì durante il viaggio. Alla fine del libro è riferito
un breve aneddoto, concepito come un monito agli artisti sui temibili effetti
delle immagini disoneste. È il racconto di un Carmelitano Scalzo, cui apparve
l’anima di un pittore defunto, che nell’aldilà rischiava di essere dannata
poiché altre anime la accusavano di essere state indotte al peccato da un suo
quadro disonesto. L’artista pregò il Carmelitano di rintracciare e distruggere
la nefasta pittura, affinché potesse finalmente ottenere la salvezza eterna.
La storia di san Lazzaro era già nota nella
letteratura precettistica destinata ai pittori. Il monaco greco era stato
ricordato da Gabriele Paleotti nel Discorso
intorno alla imagini sacre e profane del 1582 e fu anche menzionato da
Pietro da Cortona e Giovanni Domenico Ottonelli nel Trattato della pittura del 1652. Il
volume di Ottonelli e Berrettini è inoltre la fonte da cui è tratto quasi alla
lettera l’aneddoto a monito dei pittori con cui termina il Breve compendio. Baldi
ha identificato in san Lazzaro un modello ideale di artista, che dipinge
esclusivamente per devozione, ponendosi al servizio della Chiesa senza mai
deviare dalla via maestra delle immagini sacre. Nella biografia del santo è
dominante il tema della lotta all’iconoclastia, che in ambito cattolico aveva
avuto un forte impulso in contrapposizione alla riforma protestante.
L’Accademia, in cui i pittori si sarebbero dovuti formare sotto la guida della
Chiesa, era il contesto ideale in cui l’esempio di san Lazzaro avrebbe potuto
produrre gli effetti desiderati. Baldi, pertanto, non solo si propose come
ideale continuatore dell’opera di Pietro da Cortona, ma anche come assertore di
un modello istituzionale di artista, pienamente adeguato alla funzione
attribuitagli dopo il Concilio di Trento. Se si considera che Livio Odescalchi
fu nominato Accademico d’Onore durante il suo principato e che il Breve compendio è dedicato al nipote del
papa, ci sono elementi sufficienti per delineare un preciso contesto alle
iniziative di Baldi in onore di san Lazzaro. La sua pittura devota era
particolarmente in sintonia con il clima di severità imposto a Roma da
Innocenzo XI, che giunse addirittura a far coprire il seno della Madonna negli
affreschi di Guido Reni al Quirinale. Il pontefice, impegnato a ricondurre la
chiesa al rigore morale e a difendere la cristianità dalla minaccia ottomana,
riportò alla ribalta argomenti tipici della controriforma, compreso il
controllo sulle immagini e sugli artisti. Con il rilancio della figura di san
Lazzaro Baldi intese orientare l’Accademia nella direzione delle posizioni
rigoriste di Innocenzo XI, richiamando gli artisti a farsi guidare dalla fede e
ad esercitare la professione al servizio della Chiesa.
Collocata sulla tomba dell’artista, la pala d’altare
raffigurante San Lazzaro tormentato con i
ferri roventi è come una sorta di epitaffio figurato, con cui Baldi
desiderò essere ricordato dai posteri (Fig. 1). La lunga iscrizione dedicatoria
dichiara che l’altare fu compiuto nel 1681. Il 25
novembre di quell’anno i lavori erano ancora in corso, poiché Baldi chiese il
permesso di servirsi di un «marmo cipollino esistente fuori della porta della
nostra Chiesa, avanzato dalla fabbrica della nostra Accademia». Il cantiere terminò poco dopo, perché il 18
gennaio 1682 un verbale della Congregazione accademica definisce il sacello
costruito e provvisto di tutte le suppellettili sacre. Anche
la pala d’altare, quindi, risale al 1681.
Nella chiesa dei SS. Luca e Martina già esisteva un
sacello dedicato a san Lazzaro, su cui era posto un quadro di Ciro Ferri (Fig.
4). Baldi propose di dedicare il vecchio altare all’Assunta, sostituendo il
quadro di Ferri con un’Assunzione della
Vergine da lui appositamente dipinta. Il 15 febbraio 1682 la Congregazione
accademica accolse la proposta. La tela
di Ferri, tuttavia, rimase al suo posto e l’Assunzione
della Vergine di Baldi fu collocata temporaneamente nel transetto sinistro
della chiesa.
Nel 1685 l’Accademia chiese alla Congregazione della Visita Apostolica
l’autorizzazione a compiere la sostituzione, ottenendo un diniego. Oggi il
quadro di Ferri è conservato nella galleria dell’Accademia di San Luca, mentre
quello di Baldi è andato perduto. Nell’ideare il San Lazzaro
tormentato con i ferri roventi
il pistoiese si è ispirato al dipinto di Ferri e, cosciente del fatto che la
propria pala d’altare avrebbe sostituito la precedente, non volle stravolgerne
l’impostazione, contentandosi di aggiungere alcuni elementi e a rendere la
scena più spaziosa e monumentale.
Per il sacello di san Lazzaro Baldi non si limitò a
dipingere la pala d’altare, infatti gli inventari della cappella redatti nel
1725 e nel 1728 ricordano l’esistenza di altri sei quadri, che raffiguravano
vari episodi della vita del monaco greco: San
Lazzaro ordinato sacerdote, San Lazzaro
in atto di dipingere, San Lazzaro
davanti all’Imperatore Teofilo, San
Lazzaro offre un calice d’oro a papa Benedetto III, San Lazzaro fa deporre l’antipapa, Morte di san Lazzaro. Tutti
questi dipinti sono perduti, ma è possibile farsene un’idea attraverso un
gruppo di disegni e incisioni che raffigurano alcuni dei soggetti registrati
nei documenti. Nel 1692 Filippo Luzi incise su disegno di Baldi una stampa
raffigurante San Lazzaro in atto di
dipingere, dedicata all’Abate Domenico Cappello (Fig. 5).
Un’altra stampa raffigura la Flagellazione
di san Lazzaro, cui sono collegati due disegni di Baldi, uno all’Istituto
Nazionale della Grafica di Roma, l’altro al Gabinetto dei Disegni e delle
Stampe degli Uffizi.
Antonella Pampalone nel 1979 ha pubblicato i disegni inerenti San Lazzaro ordinato sacerdote, San Lazzaro offre un calice d’oro a papa
Benedetto III e la Morte di san
Lazzaro.
È probabile che Baldi abbia cominciato a occuparsi dei quadri fin dal
1680-1681, tuttavia si deve ritenere che il lavoro sia andato avanti molto a
lungo. L’artista continuò a dedicarsi all’altare per il resto
della propria vita, come dimostrano le due tele destinate al paramento
per la festa del santo, oggi conservate nella galleria dell’Accademia
di San Luca, la cui esecuzione per ragioni stilistiche deve collocarsi nella
fase più tarda della sua attività.
Nel 1700 Carlo Maratta, eletto Principe dell’Accademia
di San Luca, donò all’istituzione una serie di quattordici ritratti di santi e
beati artisti, dipinti dai suoi allievi. L’elenco dei soggetti da ritrarre, che
include anche san Lazzaro, era stato probabilmente elaborato nel 1696, quando
Maratta fu incaricato di dipingere una pala d’altare dedicata ai santi artisti
in occasione del centenario dell’Accademia. È stato suggerito che Baldi possa
aver contribuito alla definizione del programma iconografico.
L’ipotesi è da ritenersi fondata, giacché l’artista partecipò ai preparativi
per la ricorrenza del 1696, ricoprendo la carica di vice Principe. La
promozione dei santi artisti è del tutto coerente con la sua devozione per san
Lazzaro, con l’erezione dell’altare e con la pubblicazione del Breve compendio. L’inventario dei beni
ereditari del pittore, inoltre, menziona due tele raffiguranti i santi Dustano
e Metodio pittori, che figurano entrambi anche nella serie marattesca
dell’Accademia di San Luca.
La figura di san Lazzaro, pur così lontana nel tempo e
nello spazio dalla Roma del Seicento, tornò dunque di grande attualità
nell’epoca della controriforma, sia per affermare la legittimità delle sacre
raffigurazioni, sia come modello per gli artisti, chiamati dalla Chiesa a
diffondere la fede attraverso le immagini.
NOTE
Sul pontificato di Innocenzo XI si veda: von
Pastor 1961, pp. 1-384; de Syrmia 1978.
ASL vol. 45, cc. 80r, 80v. Noehles 1969, pp. 359-360.
ASR, Archivio Odescalchi,
XXXIV B 24, cc. 138, 142. Si veda: Costa 2009, p. 312. Si veda anche: ASR,
Archivio Odescalchi, XXIV F 16, Entrata e
Uscita dell’Ecc.mo Sig. Principe D. Livio Odescalchi, 1690-1692, c. 108.
ASR, Notai A. C., 5134, Inventarium
bonorum hereditariorum cla. mem. Serenissimi D.ni Ducis Don Livij Odescalchii
factum ad instantiam Ill.mi D.ni Ducis Don Balthaxaris Odescalchis olim Herba,
1713-1714, cc. 28r, 50v, 58r, 78v, 81v-82r, 100v, 172r, 211r, 230v. Il
documento è stato pubblicato parzialmente in: Costa 2009, pp. 386, 400. La collezione di pitture di Livio
Odescalchi fu acquistata dopo la sua morte dal Duca d’Orleans, la cui raccolta
è andata dispersa con una vendita all’asta nel 1792. Sul collezionismo di Livio
Odescalchi si veda: GUEZE 1982, pp. 45-50; ASHBY 1916, pp. 55-90; ASHBY 1920, pp. 67-74; MAHONEY 1965, pp. 383-388; ROETHLISBERGER 1985-1986, pp. 5-30; NOÈ 1989, pp. 79-96; WALKER 1994, pp. 189-219; MONTANARI 1996, pp. 52-55; COSTA 2009.
Forcella 1876, p. 419-420.
ASL, vol. 45, c. 99v. Noehles 1969, documento 143.
ASL, vol. 165ter, Ultimo inventario fatto
l’anno Santo 1725 Adì 26 Agosto Delle Suppellettili Sacre, ed altro spettante
alla Ven.le Cappella di S. Lazaro Martire, e Pittore esistenti nella
Guardarobba di detta Cappella, e nella stessa Cappella di d.o Santo Oltre n. 7
Quadri esistenti nella Sacrestia della Chiesa per adornamento della medesima, c. 223r. Si veda: Pampalone 1979, pp. 59, 61. Si veda anche: ASL, Miscellanea
inventari, XV, Stato dell’Insigne
Accademia di S. Luca 1725, carte non numerate; ASL, Miscellanea inventari,
XIII, Visita Apostolica 1728, Descrittione
Particolare Della Cappella di S. Lazzaro, e dì ogni cosa spettante alla sudetta,
c. 22r.
BIBLIOGRAFIA
DE SYRMIA 1978
Edmond de
Syrmia, At the Head of Nations, the Rise of the Papal and Princely House of
Odescalchi, Pleasant Valley, New York, Cyclopedia Pub. Co 1978.
FORCELLA
1876
Vincenzo Forcella,
Iscrizioni delle chiese ed altri
edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, VII, VIII, Roma,
Tipografia delle Scienze Matematiche e Fisiche 1876.
NOEHLES
1969
Karl Noehles, La Chiesa dei SS. Luca e Martina nell’opera
di Pietro da Cortona, con contributi di Giovanni Incisa della Rocchetta e
Carlo Pietrangeli, presentazione di Mino Maccari, Roma, Ugo Bozzi Editore 1969.
PASTOR 1961
Ludwig von Pastor,
Storia dei Papi dalla fine del
Medio Evo, versione italiana di mons. Pio Cenci, XIV, Storia dei papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo
X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700), parte II, Roma 1961.
Vedi anche nel BTA:
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