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GIANFRANCO NOTARGIACOMO. Storia astratta della filosofia: il caos e i giganti Roma, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea
Daniele Cassandro
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 120 (10 maggio 1995)
http://www.bta.it/txt/a0/01/bta00120.html
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"Questa non la chiamerei scultura" mi ha detto Gianfranco Notargiacomo il giorno prima dell'inaugurazione di questa mostra, nel caos un po' sovraeccitato dell'allestimento. Si riferiva ad uno dei piccoli Takète che si trovavano ancora per terra in attesa di essere collocati sui parallelepipedi colorati e che io a sproposito avevo chiamato "sculture".
Più la mostra prendeva forma sotto i nostri occhi, più capivo cosa volesse dire.

"Per me la scultura è qualcosa di faticoso, di eroico; uno sforzo fisico...queste invece sono delle piccole cose leggere che si sono staccate dai miei quadri e hanno invaso la stanza" continuava l'artista, armato di trapano elettrico. I Takéte sui loro piedistalli, le ampie tavole dipinte con smalti dai colori vivaci e stridenti vengono disposti sulla scena con la sapienza di un regista, direi di un burattinaio. Un burattinaio che sembra coniugare due esperienze decisamente italiane nella sua ansia di far uscire la pittura dal quadro e di farle invadere lo spazio: il barocco e il futurismo. Quella barocca, come quella futurista, è un'arte di macchine, macchine teatrali,macchine di cartapesta dipinta che provocano ammirazione e stupore. Ecco il Takète: un pupo futurista, scattante nei movimenti, tagliente come la spada di stagnola di Orlando, che si staglia contro le vivaci quinte pittoriche e cozza, sferragliando, contro il feroce Saladino. Il movimento e la velocità sono elementi fondamentali di questi Takète che sembrano nervose linee di forza solidificate e che nel loro nome contengono la radice greca tach- (veloce, velocità). I due Takète grandi (figura 6) si fronteggiano in un atteggiamento sbruffone da serata futurista; quelli piccoli incollati sui loro piedistalli (figura 3) sono già impegnati nella loro baruffa. Notargiacomo spiega che i Takète sono nati quasi per partenogenesi dai suoi quadri, grandi composizioni astratte di linee spezzate in cui venivano inseriti frammenti appuntiti di lamiera... frammenti che un bel giorno sono usciti dal quadro e,ancora gocciolanti di colore, si sono uniti insieme a formare queste figure spigolose, vere e proprie emanazioni tridimensionali dei concitati rapporti di forza di questa pittura veloce e "alla brava". Un modo di dipingere che Calvesi nel 1990 ha definito "alla romanella", richiamandosi alla pennellata di Mafai, Turcato, Festa, Schifano e risalendo nientemeno che a un affresco della Domus Aurea che colpisce per la sua disinvolta fattura. Una definizione questa che è piaciuta molto a Notargiacomo, e che dovrebbe togliere a chi guarda ogni velleità di paragoni con Vedova o con l'action painting. Il gesto di Notargiacomo non è scavo doloroso o titanica espressione del proprio malessere, è il gesto gioioso e forse un po' scalmanato, di chi ama i colori e non puo' fare a meno di dipingere; di chi pensa che un quadro non sia mai finito e non esita a lavorarci ancora sopra a poche ore dall' inaugurazione.



	
 

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