Quando nel 1924 Henry Moore vinse un viaggio di studio in Italia era un giovane
scultore innamorato dell'arte moderna e della statuaria primitiva. Classicismo
era per lui una parola odiata che gli ricordava gli insegnamenti polverosi
dell' Accademia e che rappresentava tutto quello che di falso e viziato andava
espunto dall'arte.
È del 1922 Testa della Vergine, un marmo esposto in questa mostra,
copia da un originale di Domenico Rosselli esposta al Victoria and Albert
Museum di Londra. Un esercizio accademico, da cui tuttavia trasuda
l'intransigenza e l'intelligenza del talento.
Lo studente Henry Moore avrebbe dovuto copiare l'originale rinascimentale
seguendo la serie di passaggi prevista dai suoi insegnanti. La tentazione di
attaccare la pietra direttamente, quell' attrazione fisica per la materia che
lo accompagnerà per tutta la sua carriera, lo spinse a lavorare in
tutt'altro modo. La testa della Vergine del 1922 è una copia dal
classico estremamente critica e personale: un punto di partenza molto
stimolante per questa mostra che snodandosi lungo tutto il percorso creativo di
Moore ne evidenzia continuamente i rapporti, ora rilassati ora più tesi,
con la tradizione.
Il viaggio del 1924 vedrà un avvicinamento sempre più entusiasta
del giovane artista a figure come Giotto, Masaccio e poi, incontro folgorante
verso la fine del trimestre, con Michelangelo. Inizia a formarsi la visione
della scultura di Moore, una visione straordinariamente limpida che fonde le
istanze del modernismo e del primitivismo modernista con lo studio attento ma
sempre libero dei classici. Argan, nella sua monografia sullo scultore inglese,
nota come il lavoro di Moore sia poco assimilabile all'avanguardia, pur essendo
stato più volte accostato al surrealismo. E' proprio il deliberato
arcaismo del suo modo di lavorare che lo ha tenuto lontano dai proclama e dai
manifesti dell'avanguardia. Per Moore scolpire é un mestiere, un
mestiere pubblico di cui si deve rendere conto alla comunità. L'artista
Moore non si isola dalla società, non la vuole sovvertire, ne è
parte e la vuole servire.
La mostra della fondazione Cini presenta, accanto alle sculture finite,
numerosi bozzetti e fogli di appunti. Pagine di taccuino, fogli di quaderno,
fogli da disegno pieni di intuizioni buttate giù con straordinaria
velocità; il lavoro quotidiano e continuato di una mente che non poteva
non pensare alla scultura. L'attività grafica di Moore sembra fare da
intercapedine tra la realtà e il mondo superiore, monumentale, della
scultura. Ci sono pagine di taccuino dei primi anni Quaranta, in cui l'artista
ha schizzato varie scene di guerra: bombardamenti, rastrellamenti,
riconoscimenti di cadaveri... il disegno è quì un mezzo per
catturare la realtà cruda di quei momenti, una realtà che una
volta decantata, diventerà linfa vitale per il lavoro a venire. A questi
anni appertengono i famosi fogli dello Shelter sketchbook (1940-1941),
un vero e proprio reportage grafico che descrive le lunghe gallerie della
metropolitana londinese usate come rifugio durante i bombardmenti.
L'esposizione veneziana di Moore è un occasione per conoscere non solo
il lavoro, ma anche l'evoluzione del pensiero, della sensibilità e della
tecnica di uno tra i più grandi artisti del nostro secolo.
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