Sono venuto a conoscenza di Anchise Picchi grazie ad un comunicato stampa diramato nella rete Internet in lingua inglese dal nipote Lido Pacciardi. Ma l'intervista che ora pubblico mi è stata concessa senza che io abbia mai incontrato l'artista. Ho voluto sperimentare la nuova formula dell'intervista telematica. L'anziano zio Anchise ha idee molto chiare e solari e la sua testimonianza è preziosa nell'attuale disorientamento dell'Arte.
Un grazie a Lido Pacciardi e a codesto artista che diventa ogni anno più giovane grazie alla forza interiore che l'Arte gli comunica.
Domanda: ho letto la sua biografia su Internet e ho molta curiosità di conoscere più
a fondo la sua vita d'artista. All'Accademia di Roma presso chi studiava ? Ebbe
modo di fare conoscenze con altri artisti o intellettuali a Roma ?
Risposta: ho frequentato poco l'Accademia in via di Ripetta poiché mi
dovevo preparare per gli Esami di Stato per l'Insegnamento del Disegno e della
Storia dell'Arte. Al Liceo Artistico mi iscrissi per sostenere gli esami da
privatista
(essendo autodidatta in pittura e scultura). Mi sembra fosse il
1936-37.
Sostenni le prove grafiche a Bologna, che era una sede più vicina, e
gli orali a Roma. A Roma mi recavo saltuariamente per parlare con i professori
dell'epoca : prof. Dasdia, prof. Duilio Cambellotti ecc.
Ebbi modo di ritrovare Fortunato Bellonzi, amico d'infanzia, e Oreste
Piccioni che allora lavorava con Enrico Fermi.
Cosa la spinse a recarsi a Roma e poi Salonicco ?
Andai a Roma prima al Liceo Artistico per gli esami di licenza e poi per gli
esami di Stato per l'abilitazione, frequentando, come ho detto, un poco
l'Accademia per esercitarmi nelle tecniche della pittura e della
scultura.
Le condizioni economiche, però, mi spingevano al rapido conseguimento
del Diploma di Abilitazione all'insegnamento
che, nonostante la fretta che avevo, riuscì brillantemente: fui
decimo su centootto abilitati in tutta Italia.
Feci domanda per le scuole dell'estero, poiché la remunerazione era
più elevata , chiedendo preferibilmente la Grecia,
dove pensavo, forse un po' romanticamente a quel tempo, di toccare da vicino
"le radici dell'arte".
Rimasi là fino al 1941. I tragici avvenimenti bellici mi costrinsero
al rientro.
Fu l'occasione perché mi dedicassi interamente alla pittura e
scultura, mia vera vocazione.
A quale artista del passato si sente legato in modo particolare ?
È banale che ammiri sconfinatamente Michelangelo e tutti gli altri grandi
del `500 senza dimenticare naturalmente i precedenti.
Amo molto tutta la scuola dei Macchiaioli e, in modo particolare, Fattori,
Lega e Signorini.
Ho tenuto contatti personali con i Gioli e specialmente Luigi a cui donai
una Testa di Vecchio eseguita in legno di frassino con un temperino,
ricevendone in cambio un bel bozzetto di una fiera in maremma. Era il periodo
bellico e non disponendo di sgorbie mi arrangiavo così.
L'influsso della scuola macchiaiola ha caratterizzato il periodo della mia
prima maniera in pittura.
L'attività piena in pittura è iniziata a partire dal `47/48
con l'esecuzione di copie, a scopo di studio e di esercizio, come quella, ad
es. della "Madonna della Seggiola", "Madonna del Cardellino" , ecc. che
eseguivo in formato reale e direttamente in Galleria con il permesso della
Direzione.
Mi commuovono profondamente i lavori di Giotto e del Beato Angelico per la
loro ingenua purezza.
È questo spirito "francescano" che ho sempre cercato di trasfondere nei
miei lavori.
È stato suo nipote Lido a spingerla sulla strada della computer grafica ?
Non è che mi abbia spinto. Mi ha solo fatto notare le
possibilità coloristiche dei nuovi mezzi elettronici. Sono stato
così stimolato a provarli e mi sono trovato immerso in un nuovo e
straordinario mondo di luce e di colore. Non potevo non provare. Ho sempre
cercato la luce, il colore, l'accordo cromatico perfetto. Avevo ora davanti a
me la luce pura, lo schermo e una tavolozza infinitamente assortita. Come avrei
fatto a resistere? In fondo usare il pennello od un mouse non è che
faccia molta differenza, è pur sempre uno strumento. La qualità
di una poesia non dipende dalla penna che l'ha scritta.
Nelle sue opere c'e' una forte ascendenza divisionista: a chi si rivolge in
particolare ?
È vero! E mi fa piacere che lei lo abbia notato. Annigoni mi diceva lo
stesso.
Non mi rivolgo in particolare a nessuno: è per me una inclinazione
spontanea nella costante ricerca della poesia della luce e del colore. E' alle
radici stesse del mio modo di lavorare, del mio sentire, pur nella
diversità delle maniere da me via via usate.
Oggi l'Arte sembra non avere più spazio nei mezzi di comunicazione di massa.
Ma la realtà è forse differente: qual è il suo pensiero a proposito ?
La potenza e la flessibilità dei mezzi di comunicazione di massa
potrebbero renderli strumenti efficacissimi per la diffusione della cultura e
dell'Arte, strumenti , se non altro, funzionali al mantenimento e al rispetto
di un patrimonio di storia e di cultura unico al mondo. Purtroppo l'uso che se
ne fa è sotto gli occhi di tutti. Rare e scadenti sono le eccezioni.
Credo che siano scelte di carattere politico. Abbiamo una storia unica e
irripetibile, il maggiore e più valido patrimonio storico-artistico del
globo, e ne sanno più gli stranieri di noi.
Nelle nostre città respiriamo arte in continuazione, la incontriamo
ad ogni angolo ed in ogni via. Solo pochi se ne accorgono. I più non ne
sanno neppur misurare, all'ingrosso, il valore.
Gli splendidi marmi del Duomo di Pisa, a due passi da casa mia, sono coperti
di scritte d'ogni genere!
È una responsabilità a carattere essenzialmente politico. Spesso a
carattere locale.
Il pericolo è che i mezzi di informazione finiscano per
disinteressarsi completamente di tutto ciò che non sia finalizzato al
"consumismo di massa", al profitto e all'immediato tornaconto.
Penso che, invece, un uso più intelligente ed accorto dei mezzi di
comunicazione verso un' educazione più diffusa e più profonda
all'Arte, sarebbe un sicuro investimento per una società più
adulta , più libera, più consapevole.
Quale pensa che sia il fine ultimo dell'Arte ?
Come io la vivo, la creazione artistica è quasi un bisogno
fisiologico. Per l'artista essa non ha principio e scopo. E' solo pura
necessità, appagamento, spesso ansia.
Ma l'Arte, intesa in senso più vasto, non personalistico, è
produttrice di civiltà, in un processo di osmosi che le trova
stettamente avvinte.
Il compimento di un'opera è, per l'artefice, il momento del
completamento, dell'acquetamento della pulsione , della realizzazione materiale
di un progetto, di un'idea;anche della fine di uno stato d'ansia, se
vogliamo.
Da quel momento l'opera comincia a vivere di vita propria. L'artista quasi
la disconosce, la rigetta, ne rimane esterno.
Ora essa è patrimonio di tutti, è testimonianza, è
parte di ognuno che, godendola, vi si conosce.
Quale il suo fine ultimo? E' una domanda impossibile e fondamentale.
Forse quello di sconfiggere la mera razionalità ? Per penetrare il
mondo del sogno e della poesia ?
Non lo sappiamo né lo sapremo mai.
Sappiamo solo che un popolo senz'arte è senza storia; è un
popolo che non è mai nato, nè credo sia mai esistito
veramente.
L'arte nasce dal mito. E' mito essa stessa.
Parlandoci da sempre, dagli strati meno noti dell'animo umano, come dalle
oscure profondità delle grotte preistoriche dipinte, essa è
lì, apparentemente senza un preciso scopo (ma qual'è , se
c'è addirittura, l'utilità dell'universo?), a rendere più
libera la nostra debole condizione di umani.
Non saprei cos'altro dire e non so se ho risposto alla sua domanda.
Nelle sue opere vedo rivivere il mito rinascimentale dell'artista-scienziato.
Lei vi si riconosce ?
E' vero anche questo. Sì! Mi riconosco in quello che lei dice.
A titolo di curiosità mi sono interessato anche a soluzioni tecniche
per il consolidamento della Torre di Pisa.
Spesso mi sono costruito da me, tutt'ora lo faccio, gli strumenti del mio
lavoro.
Sono sempre ansioso e pronto a "provare", a "sperimentare" come si
dice.
Mio nipote lo sapeva benissimo. Quando mi ha gettato l'amo del computer era
certo che avrei abboccato!.
Ci può raccontare qualche episodio interessante della Sua vita d'artista ?
Posso raccontarne uno curioso.
Molti e molti anni fa, la copia della "Madonna della Seggiola" fu esposta a
Venezia. Non ricordo bene dove.
Giovanni XXIII, allora patriarca di Venezia, la vide e se ne
innamorò. Chiese di acquistarla.
Monsignor Capovilla, segretario, gli fece notare che Raffaello l'aveva
eseguita per dei privati, non per la Chiesa e quindi non era consacrata.
Non si fece nulla. La copia restò invenduta. Io più
povero.
La cosa mi restò impressa, quando mi fu riferita, e mi fece
riflettere , da allora, sui vari aspetti e implicazioni
che un'opera (pur una pregevole copia) reca con sé e trova
nell'incontro con il mondo esterno a quello dov'è nata.
Tutto ciò mi dà un nuovo spunto per cercare di aggiungere
qualcosa alla risposta alla domanda precedente, sul fine ultimo dell'Arte:
quello di alimentare se stessa, in un processo di continua rinascita e
rigenerazione. L'opera vera, l'opera perfetta è quella forse che non
è mai nata, che è stata solo concepita. Che vive di vita propria
nel perfetto ed eterno mondo platonico delle idee.
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