Percorso - indagine della mostra
Addentrare e Rientrare attraverso la luce.
L'inizo del percorso si apre con una tela serigrafica di grandi
dimensioni dal titolo significativo di Travasi (in quanto
vengono a coincidere più arti, quali la serigrafia, propria
della pittura, e la fotografia) realizzata da Gioli mediante la
tecnica del fotofinish ottenuto mediante una rielaborazione della
meccanica della macchina fotografica al cui interno aveva inserito
un obbiettivo inciso da lui stesso. Si tratta di un' opera che
fornisce il presupposto conoscitivo dell' operato tecnico di Gioli:
la base della sua metodologia consiste nel rieleborare, reinterpretare
i mezzi tecnologici industriali, quale appunto la macchina fotografica,
manomettendoli, scomponendoli, dando un' alternativa di esecuzione
all' artista e alla materia che si viene così a realizzare.
E' inevitabile notare le rispondenze e gli influssi della Pop
Art minimalista che Gioli fa propri in seguito al suo soggiorno
negli Stati Uniti tra l' autunno del '67 e l'atunno del '68, in
cui studia a New York con Leoncastelli. E' un periodo in cui viene
a contatto con l'opera di Warhol (tra l'altro abitava in un loft
accanto al suo) e con quella di Rauschemberg, per non parlare
poi del New American Cinema che gli farà abbandonare definitivamente
la pittura per dedicarsi alla fotografia.
Lungo la parete dello scalone di accesso sono sistemate otto grandi
stampe (ingrandimenti di microimmagini) su Cibachrome da Polaroid
(la macchina usata è la Sx 70) realizzate attraverso il
foro di una conchiglia "Architettonica" trovata dall'artista
(si pensa che sia stato lo stesso Gioli a forarla !). Da qui il
nome della serie di ingrandimenti, "Conchiglia dissoluta",
realizzati tra il 1990 e il 1995. Raffigurano parti del corpo
femminile, uno dei temi che Gioli ha maggiormente indagato ispirandosi
al movimento americano della Body Art. Si notano i bordi delle
immagini spesso smerlati, quasi contorniati da una "centinatura"
che deriva dal foro della conchiglia e che si avvicina a quelle
dei polittici rinascimentali. Gioli nasce in un paesino del polesine,
Sarzano di Rovigo, nel 1942; poverissimo, dopo aver conosciuto
a Rovigo lo scultore Virgilio Milani, frequenta dal 1960 al 1963
la Scuola Libera del Nudo all'Accademia di Belle Arti di Venezia,
iniziando a formarsi artisticamente attraverso le riproduzioni
della collana di fascicoli dei Fratelli Fabbri, i Maestri
del Colore. Ecco che l'opera d'arte moderna e contemporanea
si fa strada in lui attraverso le riproduzioni a colori che egli
aspettava con ansia in edicola ogni settimana.
Poco distante vi è il libro che raccoglie le immagini Polaroid
e la conchiglia stessa.
Nell' atrio ci si trova dinanzi ad un ambiente che simboleggia
l' interno di una camera oscura che Gioli ha forato su un lato.
Questa camera oscura nasce proprio perchè Gioli, pur avvalendosi
di mezzi tecnici per le sue sperimentazioni, paradossalmente nega
tutto ciò che riguarda l' uso delle tecnologie industriali.
Maxicamera stenopeica (la parola "stenopeico"
deriva dal greco stenos=piccolo, op=guardare): si tratta di un
cubo di legno costruito da Gioli in cui un lato è forato
al centro da un microforo. Nel lato corrispondente viene introdotto
un foglio di Cibachrome di grande formato come sono le tre opere
esposte. La luce naturale passando attraverso il foro colpisce
il Cibachrome durante un' esposizione di un'ora e mezza. In questo
modo Gioli si rifà a procedimenti della protofotografia
(se si pensa che il tempo di esposizione della prima fotografia
della storia realizzata nell'Ottocento da Niepce fu di dieci ore!).
In un secondo momento Gioli pone sull' immagine ottenuta delle
"gelatine" di diversi colori coprendo la parte centrale
dell'immagine e lasciando i bordi scoperti; sottopone per qualche
istante il materiale alla luce notando come l'immagine cambi il
colore di fondo originario e come i bordi non coperti risultino
con delle parti di colore molto vivido quasi da cancellare l'
immagine di partenza. Le immagini raffigurate sono Paesaggio
polesano stenopeico e Vedute maledette realizzate nel
1981 e nel 1986.
Si contrappone alla maxicamera stenopeica, all'imbocco del primo
corridoio, una microcamera stenopeica ottenuta attraverso il foro
di un bottone automatico, con la quale Gioli realizza tra il 1972-77
una serie di riprese dal titolo Spiracolografie. da una
di esse Gioli ha tratto un'opera successiva in Polaroid formato
25x25 e una serie di tele serigrafiche, Nudo illuminato e lasciato
solo, del 1975, che si trova nel primo corridoio: l'accostamento
fra tecniche fotografiche diverse e tecniche della serigrafia
vuole dare una prima informazione sulla caratteristica di interdisciplina-
rietà
dell' opera di Gioli. In particolare si tratta di tele serigrafiche
che hanno sempre come base di partenza un'immagine fotografica
microstenopeica o un'immagine derivata dal fotofinish oppure ancora
da un fotogramma tratto da un film dell'autore proiettato su uno
schermo in cui vi è un'altra immagine in movimento ("Senza
titolo", tele serigrafiche daTraumatografo 1975). Gioli
intuisce che muovendo la macchina fotografica in senso contrario
rispetto al movimento dell'immagine proiettata, essa si allarga
o si rimpicciolisce ottenendo così, effetti espressivi
notevolmente differenti tra loro.
Sul corridoio che si apre a destra del percorso, la mostra presenta
una nutrita serie di fotografie realizzate con la tecnica del
fotofinish, realizzate incidendo sull'obiettivo anche più
tagli (arriva a sei), dal 1973 ad oggi.
Dalle prime opere della metà degli anni '70 (Braccio
solitario con due mani, Volto con archipendolo, Figura
solitaria e ingegnosa) a opere recentissime realizzate in
occasione di questa mostra (Volto dell'impronta, Volto
cervello, Volto delle note), Gioli ha individuato come
punto di passaggio della luce nella fotocamera fotofinish prima
un'essenziale linea, poi linee curve, angoli e poi via via più
complessi, come la firma di una persona, la traccia della tela
di un ragno, un ramoscello, un'impronta digitale, alcune note
musicali e alcuni innumerevoli segni. Le immagini fotofinish si
caratterizzano per la gran plasticità e la forte drammatizzazione
a cui le figure vengono sottoposte.
Nella nicchia della stessa parete il libro fotografico Dadathustra,
1976.
In fondo al corridoio centrale vi è uno spazio riservato
alle opere litografiche a colori che Gioli ha realizzato a metà
anni Settanta, Ispezione e tracciamento sul rettangolo
e Immagini disturbate da un intenso parassita. Le immagini
di partenza sono tratte dal video e questo conferma come sovente
la potenzialità espressiva di Gioli si attui proprio nel
porre in collegamento e nel contaminare fra loro tecniche dell'
immagine diverse.
A destra del corridoio si apre la Sala della pittura che comprende
dipinti, disegni, alcune litografie in bianco e nero e alcune
tele serigrafiche, opere datate dal 1965 al 1975. Si ritorna quindi
agli esordi dell' artista in cui egli propone delle tele frutto
delle sue rielaborazioni della Storia dell' Arte contemporanea
influenzato dallo stile di Boccioni. A questo si aggiunga il fatto
che negli anni in cui era studente a Venezia arrivano alla casa
di Peggy Gughenaim gli artisti della Pop Art che influenzeranno
moltissimo Gioli nelle stesure piatte di colore (siamo intorno
al 1964).
Di notevole importanza in questa sala sono due trittici ad angolo
di grandi dimensioni= Grande proiezione orizzontale del
1969 e Cono di luce del 1972: il primo mette in scena il
fascio dei raggi di luce emessi da un proiettore e tutte le infinite
figure presenti nel pulviscolo atmosferico che esso evidenzia;
il secondo presenta anche inserti di stampe fotografiche tratte
da fotogrammi di film dell'autore ed è una sorta di "scatola"
prospettica proiettata in trompe-l'oeil. Nella sala sono presenti
anche due grandi disegni su carta, Utensile scomponibile,
del 1967 e The Big Lens, del 1968, dinamici oggetti dalla
geometria surreale.
Lo stesso meccanismo di costruzione di geometrie impossibili è
rintracciabile in alcune litografie in bianco e nero realizzate
da Gioli nel 1967, Oggetti improbabili.
Di fronte alla Sala della pittura si apre la Rotonda della Fotografia
che presenta la produzione fotografica di Gioli, realizzata essenzialmente
in Polaroid di formati diversi dagli anni 1977-78 ad oggi. Il
lavoro di Gioli ruota intorno ai classici temi del corpo femminile,
del corpo maschile, del volto, della natura: senza perdere di
vista il problema della raffigurazione Gioli attraverso l'invenzione
di tecniche diverse ha lavorato a lungo operando stratificazioni
materiche, invasioni gestuali che vanno a disturbare l'integrità
delle figure.
Molte delle riprese sono realizzate con macchine con foro stenopeico,
come alcuni Autoritratti iniziali, la serie dei Nudi
telati, le prime serie di trasferti Polaroid su carta da disegno
dedicati a Hyppolite Bayard e alcune composizioni formate da più
Polaroid come Corpo a cuspide, Dentro il triangolo,
Corpo recto-verso, Nudo spostato verso l'alto, del 1980-81.
Una parte di opere, invece, è realizzata con la camera
ottica di grandi dimensioni che la Polaroid mette a disposizione
degli artisti: la serie di Autoanatomie del 1986, le Maschere
del 1988, le Lastre del 1992, la recente serie dei Torsi
di Sebastiano, del 1992-'93, ispirata alla pittura rinascimentale
veneziana di Giovanni Bellini, e Calchi del 1994.
Un settore della rotonda è dedicato ad un serie di omaggi
a protofotografi (Omaggio a Niepce del 1983 e 1989, Cameron
Obscura del 1981, Eakins Marey-L'uomo scomposto, 1982-83)
o a pittori come Piero della Francesca, Mantegna, Signorelli,
Durer, Van Gogh, una sorta di personale museo che Gioli aveva
in progetto di organizzare, con il quale rivive alcune immagini
della Storia dell'Arte.
Infine la Rotonda offre uno "Spazio-Luna" con riprese
della luna attraverso un lungo tubo di cartone, detto Tubo
Stenopeico (fra queste la Grande Luna Stenopeica, del
1991-'95, immagine Polaroid stampata su Cibachrome, e alcune seguenze
Polaroid in bianco e nero, del 1985), e immagini a contatto realizzate
alla luce lunare (Contatto lunare, del 1994-'95).
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