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Viaggio dei sensi nella tragedia di Edipo  
Isabella Baroni
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 166 (2 marzo 1999)
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Area Artisti

Dura appena trenta minuti lo spettacolo "Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore" messo in scena dal Teatro del Lemming di Rovigo, attualmente uno dei gruppi che animano la nuova scena teatrale italiana. Sei attori della compagnia conducono uno spettatore per volta attraverso un vero e proprio labirinto sensoriale, per rivivere i momenti salienti della tragedia sofoclea dell'Edipo Re.

Lo "spettatore/attore" viene sospinto, a piedi nudi, all'interno di uno spazio che prosegue oltre il limite della sua visibilità. Poi, viene condotto al cospetto di Tiresia: il saggio scioglie la benda che è stretta attorno al suo capo - allusione a quella cecità che ne consacrò al tempo stesso la veggenza - e la fa indossare allo spettatore il cui sguardo, da questo momento, sarà oscurato dalla fascia di stoffa nera. Muovendosi all'interno di una dimensione vulnerabile, quella che priva dello sguardo, tradizionalmente mezzo della fruizione teatrale, è lo spettatore stesso a mettere in scena la storia di Edipo, percorrendo un'altra dimensione che lo induce piuttosto ad "in-carnare" l'eroe tragico e il suo destino.

Inizia qui il viaggio che porterà Edipo a realizzare, inconsapevolmente, proprio il destino che l'oracolo gli ha annunciato. E' il viaggio da Corinto a Tebe, e ritorno. Ma è soprattutto un percorso che inaugura l'inizio di una ricerca all'interno di sé.
Edipo non vede, durante questo viaggio. Edipo non vede sino a che non sarà trascinato definitivamente verso la cecità. La benda che egli indossa è la sua incapacità di vedere, e quindi di sapere.
Mani sconosciute mettono tra quelle di Edipo un pugnale, e le sospingono fino a far affondare la lama in un corpo che egli non è ancora in grado di ri-conoscere, inducendolo a commettere il suo primo delitto. Edipo viene condotto davanti alla Sfinge, della quale può toccare i lunghi capelli e il seno, della quale può udire la voce pronunciare l'enigma che solo lui è in grado di risolvere; poi, viene invitato a distendersi su di un giaciglio, accanto a Giocasta. Nel talamo nuziale, la madre/amante lo nutre con il frutto proibito, il peccato. La vertigine del piacere e della seduzione trascorre, per lasciare il posto all'eco lontana del presagio annunciato da Tiresia. Dopo il peccato, la colpa.

Edipo non riesce a sfuggire alla cantilena ossessiva del Coro che dà voce al suo turbamento, che pronuncia il suo nome per adularlo o schernirlo, che sussurra la colpa che egli espierà accecandosi di sua mano.
"Ma solo quando gli occhi della mia carne, attraverso la mia mano, si sono sottratti al mondo della parvenza, ho cominciato, mi pare, a vedere veramente" (Andrè Gide). La cecità dona ad Edipo una nuova profondità di coscienza, lo avvicina alla verità essenziale. Solo adesso, la tragedia rivela la crudele ambiguità che la pervade: se il sapere redima o sia fonte di dolore, perché "è cosa tremenda, possedere il vero, ove a chi lo possieda altro non sia che inutile strumento".

Il viaggio si conclude con il sacrificio di Edipo per redimere la sua colpa. Lo spettatore/attore, al quale viene sciolta la benda, può aprire gli occhi davanti alla sua immagine riflessa in uno specchio: riappropriandosi, non senza un certo disagio, dello sguardo, può solo evocare mentalmente il suo smarrimento all'interno di una storia della quale non rimangono che tracce frammentarie e imprecisate.
Rinunciando alla possibilità di contemplare, questa forma di comunicazione scenica precipita lo spettatore in una dimensione nella quale sono rovesciati i ruoli tradizionali della fruizione teatrale, all'interno di una spazialità estrema, fagocitante e mitica; che è simultanea e senza geografia, che non ha margini e non ha centro. Il teatro - vissuto in uno spazio privo di palco e di platea - diventa un evento condiviso nella con-fusione stessa dei ruoli.

Alla rappresentazione visiva, negata, si sostituisce una presenza evanescente come lo spazio che occupa, una presenza che scompare davanti alle strutture tradizionali del teatro, ma che emerge altrove. Lo spettatore assiste al dissolversi dei suoi confini corporei nella suggestione tattile e olfattiva che si crea nell'associarsi di percezioni reali alla virtualità dei sensi, realizzata individualmente a livello immaginario. Il risultato è il generarsi di una dimensione evocativa che passa, in tutti i sensi, attraverso il corpo stesso dell'"interprete" di Edipo, che diviene luogo per eccellenza del delinearsi di una vera e propria coscienza immaginativa in grado di confermare la sincronicità tra l'evento poetico e un evento realmente vissuto.
Gli altri corpi, unici testimoni "visivi" della sua storia, sono gli stessi corpi che hanno sedotto Edipo e che hanno diretto ogni sua azione, al pari di forze divine istigatrici del peccato, del delitto e dell'incesto dei quali l'eroe tragico si è reso colpevole. Articolandosi tra i termini di morale (e quindi di "legge") e di desiderio (e quindi di "trasgressione"), la storia di Edipo è soprattutto la storia dell'identità.
Nella proposta scenica del Teatro del Lemming, la tragedia trova soluzione nel rapporto di com-passione che si instaura tra il destino dell'eroe sofocleo e lo spettatore che questa volta non si limita ad identificarsi empaticamente in Edipo, ma lo in-carna attraverso una forma di self-spectacle che ripropone la riscrittura di un linguaggio teatrale, esemplare della sua nuova dimensione antropologica.
 


 

fig. 1

fig. 2

 

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