Ancora una volta il Chiostro del Bramante presenta opere degli anni '60, dimostrando una forte intuizione dell'orientamento culturale contemporaneo. Si pensi, infatti, alle numerossissime mostre in Europa sulla Pop, alla stessa mostra di David La Chapelle, che fu discepolo di Warhol, o alla mostra delle "fotofilosofie" di Baudrillard, filosofo francese del post-sessantotto cui si devono le pagine più belle su Warhol e sui massa media (entrambe al Palazzo delle Esposizioni di Roma).
Il tema portante della mostra è il confronto tra USA e Europa, una questione importante relativa alla Pop Art, perché paradigmatica dell'intera adozione culturale di modelli americani da parte dell'Europa. La Pop Art europea, infatti, non si può propriamente definire "pop" ma genericamente "Nuova Figuratività" o "Nuovo Realismo" (definizione data dal critico francese Pierre Restany) perché della Pop americana mancano alcuni elementi fondamentali, come la fiducia cieca nella produzione di massa, nella tecnologicizzazione, nel consumo come forma suprema di scambio sociale, ecc ...
Soltanto la straordinaria mostra sulla Pop Art alla Royal Academy di Londra, nel 1990 aveva trattato con tanta attenzione queste differenze non riuscendo però a cogliere il vero nodo centrale che è l'intento polemico e grottesco delle manifestazioni artistiche europee, perché tale mostra evidenziava un altro aspetto non secondario: l'ascendenza della Pop Americana da esperienze inglesi degli anni '50. L'Independent Group, infatti, fu il centro intorno al quale si iniziò a parlare per la prima volta del valore estetico delle immagini mass mediali e in quell'ambito è stata data la definizione di "Pop" nel 1956 a tutte quelle manifestazioni artistiche di facile fruibilità come la pubblicità, il cinema hollywoodiano o la musica di Elvis Presley da due sociologi, Leslie Fiedler e Rayner Banham.
Si ricorda, inoltre, che il primo quadro pop fu realizzato da Richard Hamilton nel 1956 dal titolo What Makes Today's Homes So Beautiful So Appealing, un collage che conteneva immagini di radio, televisione, di un cinema, di un culturista.
Nel rapporto tra arte e media, la Pop Art si pone con un atteggiamento "reportagistico" (M. Calvesi), di riporto delle immagini come sono proprio per impossessarsi del loro valore acquisito, della loro obsolescenza direbbe Argan. Le immagini massmediali, infatti, si stratificano all'interno dell'immaginario collettivo e costituiscono una sorta di serbatoio per operazioni estetiche di ready-made. In questo senso, la Pop Art si potrebbe leggere come l'operazione successiva e dipendente da quella di displacement di Duchamp. In tal senso, possiamo considerare la Pop Art come l'ultima grande corrente artistica del nostro secolo, oltre la quale gli artisti hanno faticato a riconoscersi in una sola definizione. Questo accade certamente perché con la Pop Art si conclude la fase "estetica" dell'arte prima del suo trasformarsi in qualche altra "cosa", così come teorizzato dai filosofi R. Barthes, J. Baudrillard e A.C. Danto.
La Pop Art, infatti, ha sancito in modo irrevocabile il predominio del mondo dei mass media nella produzione di immagini e, quindi, la cosidetta eteronomicità (termine kantiano per ovvero definire un linguaggio che trae le proprie fonti linguistiche da una sorgente esterna, nel nostro caso dai mass - media) dell'arte.
Si pensi, inoltre, che la maggior parte degli artisti americani erano tutti allo stesso tempo artisti e pubblicitari, per esempio Jasper Johns, Rauschemberg, Warhol, Rosenquist. Le loro competenze nel campo commerciale avevano favorito l'abilità nell'elaborare messaggi efficaci e scioccanti attraverso tipiche tecniche pubblicitarie, come l'uso di colori dissonanti e innaturali, l'ingrandimento di particolari o il taglio dell'immagine in funzione di un particolare.
Si può forse rimproverare agli allestitori di non aver messo in luce la cronologia della Pop Art. Ci troviamo, infatti, prima di fronte ai veri e propri artisti pop come Warhol, con i suoi Elvis e Popeye, Rosenquist, con la pubblicità che ritrae Joan Crowford, Tom Wesselman, con i suoi interni domestici nei quali abitano giovani casalinghe che sembrano girare una pubblicità di saponette, o Mel Ramos, con le sue pin-up in pose assurde, come quella seduta su un rinoceronte. Tali provocazioni furono fortemente osteggiate dal movimento femminista dell'epoca, che aveva completamente frainteso l'intenzionalità polemica dell'artista proprio contro la commercializzazione del corpo femminile, ma con un atteggiamento giocoso.
Solo in un secondo tempo si giunge alla sezione dei padri della Pop Art, Jim Dine, Jasper Johns e Robert Rauschenberg, noti come artisti New Dada, per il loro riscoprire la tecnica dadaista del ready-made con la quale hanno riportato il quotidiano nell'arte dopo le speculazioni astratte dell'Action Painting.
Anche molte opere europee presentano una forte componente satirica ma non è mai espressa con la stessa felicità di colori e atmosfere. Si tratta di opere portatrici di un'ideologica progressista (soprattutto le tedesche) e di critica alla guerra, mentre le opere americane mostrano un mondo dei consumi affascinante, dove la casalinga può sentirsi una diva e dove l'abbondanza é sinonimo di benessere. Tale differenza si deve spiegare certamente con il ritardo nello sviluppo economico dell'Europa rispetto agli Stati Uniti, che apparivano, soprattutto ai cugini inglesi, come il luogo della modernità, della tecnologia per tutti e della libertà.
Gli italiani sono un gruppo piuttosto disomogeneo, all'interno del quale si ricordano le Finestre di Cesare Tacchi, i ritratti femminili di Giosetta Fioroni, che oggi appaiono piuttosto datati e di scarso interesse, e un Frank Sinatra di Fabio Mauri, che, però, è rappresentato su un supporto staccato dalla tela, un errore grave dal punto di vista formale, visto che la Pop Art è una celebrazione della bidimensionalità come caratteristica del rapporto "distaccato" che si ha nei confronti delle immagini massmediali.
Una sezione di piccole dimensioni è dedicata alle foto di Ugo Mulas, che testimoniano del periodo d'oro della Pop Art americana, delle performances di Jim Dine, della Factory di Warhol, dei vernissages alle gallerie newyorkesi, come la Leo Castelli.
Cfr. Andy Warhol e la Pop Art a cura
di Francesca Romana Orlando
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