L'Autunno del Medioevo in Moravia e Slesia è illuminato dai bagliori dell'oro, dallo scintillare dei colori smaltati: un periodo di transizione, in cui ai caratteri estenuati del gotico subentrano le nuove istanze rinascimentali, un periodo reso complesso ed affascinante da una fitta rete di rapporti ed influenze esterne (dall'Italia, dall'area fiamminga) di cui è possibile riscontrare l'effetto su una realtà artistica assolutamente originale.
La mostra Ultimi Fiori del Medioevo, inaugurata il 22 novembre e visitabile fino al 7 gennaio 2001, propone un percorso articolato attraverso pittura, scultura, arti minori, delineando la molteplicità di aspetti ed interazioni di un periodo compreso tra il 1400 ed il 1550; l'esposizione è realizzata grazie alla collaborazione tra il Muzeum umeni di Olomouc e la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma.
L'incontro tra la cultura figurativa morava e quella della Roma cristiana risale alla metà del IX sec., durante la predicazione dei Santi Cirillo e Metodio: in questo periodo si diffondono contemporaneamente caratteri tipici greco - bizantini (i due fratelli di Tessalonica erano stati inviati dall'imperatore di Bisanzio Michele III) e romani (come esempio del rapporto diretto e privilegiato con Roma bisogna ricordare l'evento del trasporto delle reliquie di San Clemente, rappresentato nell'omonima basilica), si tratta di componenti differenti, in alcuni casi contrastanti, che contribuiranno a formare quell'unicità di linguaggio, combinazione di fissità ieratica e deformazione espressionista, di insistito linearismo e modellato plastico.
La storia della Moravia nel XV sec. è segnata da un susseguirsi di guerre di religione e di successione: la diffusione dell'hussitismo, e la conseguente tendenza iconoclasta, fece di Olomouc la sede delle istituzioni legate alla Chiesa di Roma; nonostante l'isolamento delle città ceche, Olomouc riuscì a mantenere rapporti verso l'esterno (Paesi Bassi, Italia) attraverso la Slesia: divenne quindi un vero e proprio centro culturale e motore propulsore della committenza artistica legata alla curia vescovile. Le lotte interne che continuarono fino alla metà del XVI sec. non impedirono l'incremento della produzione di opere: la corte morava, prima con Mattia Corvino, poi con il regno dei re Jagelloni si aprì alle influenze del Rinascimento italiano e fiammingo, rielaborando la cultura dell'antico con un preziosismo ancora di gusto tardogotico.
L'allestimento conta più di cento opere, tra tavole dipinte, esempi di scultura, di arti suntuarie e codici miniati, per ricostruire la straordinaria stagione di "passaggio", quell'"autunno del Medioevo" che segnava la fine dell'epoca delle corti, con un trapasso ancora illuminato dall'oro.
La Madonna Sternberk, datata intorno agli anni novanta del XIV sec., è una scultura policroma a tutto tondo, in marna (è una sorta di calcare argilloso), esempio di quel cosiddetto "bello stile": la figura, non molto grande, è costruita dalle linee sinuose delle pieghe del manto, che si avvolgono, che seguono il morbido flettersi del corpo, il déanchement, cifra stilistica del gotico cortese. È un'opera plastica interamente basata su valori lineari: sono curve le increspature della stoffa; l'orlo dorato è un percorso ascendente, verso il nucleo espressivo della composizione: il viso della Madonna e il Bambino. I volti sono modellati dolcemente, non ci sono volumi troppo pronunciati, ma trapassi lievi, ancora legati al rapporto reciproco tra le linee che individuano gli occhi e quelle che determinano il piegarsi delle labbra.
Completamente differente, per l'intento espressivo e per l'esito plastico, il gruppo del Monte degli Ulivi di Olomouc (anni trenta del XV sec.), scolpito in pietra arenaria, ritrovato nella Chiesa di San Maurizio, probabilmente in origine collocato nel cimitero adiacente. Si tratta di quattro personaggi (ma è stata ipotizzata la presenza di un quinto, oggi perso, un angelo con calice), rappresentazione a tutto tondo del passo biblico dell'orazione nell'orto. Le figure sono forme chiuse, modellate dal saldo aggregarsi dei piani: le pieghe larghe delle tuniche scavano larghe zone di ombra, quelle più piccole, che partono quasi a raggiera dalla flessione di gambe e braccia, determinano zone scure più sottili, come feritoie; le mani grandi, nodose, i volti, i volumi degli zigomi, della fronte, la cavità occipitale sono gli elementi che connotano in modo espressivo l'umanità inerme degli apostoli addormentati. Contrasta la "piramide" del Cristo in preghiera, ferma e contemporaneamente proiettata verso l'alto: un moto d'ascesa dalla base, fino al confluire delle pieghe, quasi nel punto dove le mani sono giunte, un crescendo drammatico che culmina tra le dita che combaciano ed il volto. Una tensione che si stempera osservando l'avvolgersi delle ciocche di capelli e della barba, ancora lavorate indulgendo nella descrizione lineare.
La pittura su tavola trova un esempio di altissimo valore nell'Altare dell'Invenzione della Santa Croce di Olomouc (1450 ca.), polittico scomposto ed oggi fortunatamente ricostruito. L'opera è formata da due tavole più grandi, di taglio orizzontale, che rappresentano la Salita al Calvario e la Crocifissione e quattro tavole di dimensioni minori, di taglio verticale, con L'Ultima Cena, Il Monte degli Ulivi, La Resurrezione e L'Invenzione e prova della Vera Croce; lo stile rivela ascendenze di scuola boema, nella caratterizzazione dei volti, nella resa spaziale non realistica; i personaggi descritti con una calligrafia sottile si allungano, costretti tra il fondo dorato ed architetture-proscenio incapaci di contenerli, le vesti brillano di colori smaltati, accesi, i manti si aprono come corolle in pieghe flessuose. La Crocefissione è una splendida teoria orizzontale, animata dai vertici delle croci, dal guizzo diagonale della lancia di Longino: le aureole quasi ricamate, il rosso, che contrasta accostato al blu e al bruno, il corpo candido, d'alabastro del Cristo e l'oro che chiude lo sfondo, che incastona, per sempre, il concitato susseguirsi di gesti e di sguardi.
La Messa di San Gregorio (1480) fu commissionata dalla Badessa Perchta di Boskovice (come si legge nella parte inferiore della cornice originale) per il monastero dell'Assunzione di Starè Brno: la tavola dipinta divenne parte centrale dell'altare del Corpus Domini, di cui la badessa aveva diritto di patronato. L'opera rappresenta la visione che ebbe San Gregorio del Christus Patiens, con elementi iconografici insoliti, introdotti per ribadire la difesa del culto cristiano cattolico, rispetto alla liturgia in uso presso gli hussiti. È anomala la presenza dell'ostensorio a torre, collocato sopra l'altare, mentre il calice coperto allude alla celebrazione hussita, che prevedeva la comunione sotto le due specie. L'apparizione dell'Imago Pietatis a Gregorio Magno è un ulteriore avvalorare il ruolo del Papa (e di riflesso della Chiesa di Roma) come vicario e mediatore presso i fedeli.
La scena è inserita in uno spazio architettonico individuato dalle colonne che scandiscono la navata sul fondo, i personaggi sono disposti in una sorta di semicerchio, accanto al miracolo che si sta compiendo: vediamo il piano dell'altare, in uno scorcio prospettico non perfettamente risolto, tale da farlo "scivolare" in avanti. Il criterio descrittivo è ancora tardomedievale: una calligrafia minuta che cesella l'oro degli arredi sacri, ricama i paramenti, gli abiti, incide il blu delle ali degli angeli, chiude il vuoto tra le colonne "lavorando" come un arazzo la superficie aurea del fondo.
Le opere di Lucas Cranach il Vecchio presenti in mostra, esemplificano quella permeabilità nei confronti dell'arte fiamminga: le due tavole autografe, con La Decollazione di San Giovanni e La Decollazione di Santa Caterina (1515), costituivano le ante di un altare all'interno del Duomo di San Venceslao di Olomouc. Le rappresentazioni dei due martiri hanno dimensioni omogenee e lo stesso criterio compositivo: ai lati due gruppi di personaggi, quasi due "quinte", al centro la scena culminante della morte, sullo sfondo l'aprirsi rasserenante del paesaggio, in una veduta cristallina, tersa. In primo piano il dramma, amplificato, riflesso nella descrizione dei volti degli astanti, come contrappunto alla concitazione l'azzurro metallico del cielo ed il verde di giada della vegetazione.
Tra gli esempi di arti applicate esposti, ricordiamo la Croce d'altare di Uherskè Hadriste e la Ciotola di Augustin Kasenbrot di Olomouc. La Croce, datata tra il 1350 - 1400, è una delle pochissime opere di arredo sacro (ne sono state contate solo sei, nelle collezioni di tutto il mondo), realizzata in argento e cristallo; la Ciotola (1508) è un capolavoro costruito dall'assemblaggio di monete antiche di età romana e di una placca, posta sul fondo, con la rappresentazione di Bacco fanciullo: opera emblematica del diffondersi della cultura rinascimentale italiana (il committente, Augustin Kasenbrot, aveva compiuto studi di filosofia a Padova), dell'avvento, ormai imminente, di una nuova stagione. La Ciotola, esegesi della trattatistica degli umanisti, conserva il ricordo del magnifico autunno nella lavorazione dell'oro, nelle foglie stilizzate, nei nastri intrecciati: ancora un lessico composto dal solo avvolgersi di linee.
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