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Nessun prodotto: Slaven Tojl (appunti su un artista croato)  
Flavio Del Monte
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 dicembre 2000, n. 241
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Area Artisti

È il 6 dicembre del 1991. Dubrovnik, Croazia. È il giorno di S.Nicola. La guerra civile nell'ex-Jugoslavia sta per regalare alla città il suo giorno più grave. Pavo Urban scatta delle fotografie della piazza centrale della città. La chiesa di San Vlaho, il santo patrono della città, la statua di Orlando, suo simbolo medievale, il plinto usato come unità di misura nell'antica Repubblica di Dubrovnik, la bandiera croata che sventola con insistenza il suo motto « La libertà non può essere venduta per tutto l'oro del mondo ». Pavo Urban è un giovane fotografo. Come tanti artisti ha deciso di rimanere in patria e di affrontare figurativamente e concettualmente la guerra, di non fuggire. Dalla Scuola di Arte Drammatica si era spostato a Dubrovnik per viverne i suoi giorni peggiori. Tra le 7 e le 8 del mattino (per dovere di cronaca), durante i bombardamenti, viene ucciso. Uno scatto: la vista della piazza e della bandiera al vento, il bianco e nero fumoso di una mattina d'inverno, è la sua ultima opera. Non il suo ultimo grido. Una visione lucida e simbolica. Slaven Tojl era un suo amico. E abitava da quelle parti. Nel compiangere l'amico recupera quest'ultimo scatto.

Nel 1992 (Unititled, 18 x 235 cm, Dubrovnik - ARL, Zvonik franjevackog samostana, REQUIEM IN CROATIA) Slaven Tojl porta in galleria quello scatto accompagnato da una bandiera della Croazia, uguale a tutte le altre, nelle dimensioni e nel materiale. Egli applica alla bandiera un processo di appropriazione e di riduzione cromatica riproducendola in bianco e nero, esattamente nei toni in cui si può vedere nella fotografia di Pavo Urban. Non è una bandiera nazionale. È quella bandiera. Quel vessillo. Per meglio dire: è nell'applicazione del processo percettivo dell'artista che l'appropriazione di quell' oggetto inanimato, e incomprensibile nell'immagine, ritrova senso, ritrova un significato denso, si pone in relazione con le storie personali dei due amici, dei due artisti. E della storia politica del loro paese, dei conflitti, della loro percezione. Quando la riduzione ha avuto atto, Slaven Tojl ha ri-conosciuto per noi l'oggetto nella foto, enfatizzando i significati simbolici che una bandiera possiede durante una guerra, si è posto come soggetto percettivo ri-mangiando quell'ultima fotografia (che era esposta vicino all'oggetto) e ce ne dà una lettura politico/sociale, fortemente polemica. Il bianco e il nero, nella cultura europea, sono da sempre (lo si voglia o no…) i colori dell'angoscia e del dolore (Munch, gli sfondi piatti di Caravaggio ...); e non esiste bandiera nazionale al mondo che utilizzi questi due colori nelle loro combinazioni.

Nel 1993 Slaven Tojl fotografa la facciata della Cattedrale di Dubrovnik. Fotografa anche uno dei muri perimetrali, un muro di mattoni piatti attraversato verticalmente da tre lesene che terminano nei capitelli corinzi che sostengono il secondo livello dell'edificio. La piazza di fronte a questo muro è tanto ampia da convincere tutti i ragazzi della zona ad utilizzarlo come spazio per i loro giochi. Molti qui venivano per giocare a tennis. Usando quel muro come si usa una più nobile cabina trasparente nello squash. Quando la guerra li costrinse a rifugiarsi nelle case, la dinamicità del luogo fu sradicata. Un luogo nel quale velocità corse risa erano scanditi dal battito costante di una palla sul muro si trasforma in una piazza vuota e ghiacciata, come bloccata da qualcuno nel tempo. Slaven Tojl, nel suo lavoro Interrupted Gamesa individua in uno dei capitelli una palla da tennis, incastrata nei fregi di uno dei capitelli. La fotografa. Ma non è la fotografia la sua opera d'arte. È soltanto l'oggetto in situ, la palla da tennis in quel luogo nel momento stesso della sua percezione ad essere l'opera d'arte. La fotografia è solo un mezzo di riproduzione efficace. E quella palla da tennis non può essere considerata ready-made, object-trouvé, perché non è possibile trovare in essa quel processo di de-contestualizzazione che fondava la pratica dada-surrealista; anzi: gli oggetti sono soltanto ri-conosciuti (altro che trovati ...) e solo attraverso il processo percettivo di Tojl, portati ad essere opere. Naturalmente sono l'anteriorità temporale, il contesto, le storie dietro le immagini che ce ne fanno comprendere il significato.

1993, Settembre. MUU-ry, Tower of Babel, Cable factory, Helsinki, Finlandia. Slaven Tojl e Marija Grazio, sua moglie, annunciano una performance dal titolo Food for Survival Per chi ricordi i giorni della guerra l'espressione che da il titolo all'azione non è nuova. Evoca condizioni di vita disperanti, dove la sopravvivenza è il primo scoglio quotidiano da superare; "cibo per la sopravvivenza": lattine di una polvere proteica gialla, distribuite una per ogni cittadino dalle "forze amiche", da diluire in acqua. Un pastone immangiabile che garantiva gli apporti necessari ai corpi degli ex-jugoslavi durante il conflitto e gli assedi. Slaven Tojl e Marija Grazio si siedono davanti ad un tavolo. La latta è sul tavolo, l'etichetta bene in vista. Si spogliano ed aprono la scatola, aggiungere acqua. Con pacatezza iniziano a spargersi quella pasta sul petto, cibandosene l'uno dal corpo dall'altro. Food for Survival, dunque. Slaven si interroga sul concetto stesso di sopravvivenza e ne trae delle prime conclusioni. Che la sopravvivenza non sia un fatto solo proteico è indubbio. Ma la percezione dei due partecipanti, uniti da un rapporto sentimentale, e dunque in qualche modo già partecipi l'uno del corpo dell'altro, è fondante per la comprensione del lavoro. Perché solo chi sa che cosa quelle latte significhino è in grado di arrivare al fondo dell'opera; ed è soltanto con l'azione di de-contestualizzazione dell'azione-mangiare che la percezione del fruitore è completa. Questo lavoro di Tojl sembra però avere un numero maggiore di livelli nascosti, difficili da estrarre, forse più profondi a seconda della cultura da cui il fruitore proviene. C'è un accanimento animalesco nel modo di agire della coppia, il consumare una latta in due, mettendo in comune ciò che era stato considerato individuale, e come tale calcolato, suona come una provocazione sociale; c'è uno sguardo all'arte che, pur mantenendo la sua inutilità, diventa in qualche modo, in situazioni di pericolo fisico/ambientale, un tentativo di far sopravvivere la mente. Non voglio credere però che solo questi spunti siano alla base dell'opera. È scelta di realtà, è discernimento, de-contestualizzazione e insieme provocazione politica (rivolta a chi quel cibo l'ha prodotto) e provocazione linguistica (come dire ... sopravvivenza, chi può usare la parola for stabilendo ciò che sia o non sia in rapporto di causa-effetto con la sopravvivenza ...) insieme ad una forte critica al concetto di individualità, la dose, l'unico, il calcolato "per uno", il già pronto, anche.

1997, Kassel. Documenta X. Due lampade a globo. Appese al soffitto di una stazione, illuminano. Il lavoro è di un anno prima, esposto nella chiesa gesuita di St. Ignacije a Dubrovnik. Il dualismo spaziale che si produce nei luoghi pubblici è il tema centrale del lavoro: se in basso c'è affollamento, di persone, di oggetti, di ombre, in alto - segnata dalla demarcazione delle lampade - vige il vuoto. Lo spazio libero ed il soffitto non decorato si contrappongono ai ritmi dello spazio sotto di loro. Il dualismo di energie aumenta la contrapposizione: l'elettricità, statica, funzionale, fredda - in alto - l'energia dei corpi in movimento caldi, incalcolabili, imprevedibili , anche liberi, in una qualche forma -in basso. E il nodo è la lampada, anzi le due lampade, che segnano il discrimine e accentuano il dualismo, che non negano la loro funzione primaria - illuminare - spostandosi da Dubrovnik a Kassel, e non perdono il loro valore "percettivamente" artistico viaggiando dalla Croazia alla Germania, da una Chiesa ad una Stazione.

Una ricognizione tra le opere di Slaven Tojl è più un flash di immagini che una dissertazione storico-scientifica. Ché quei livelli nascosti vengano alla luce è necessaria una partecipazione culturale profonda che da non-croato è difficile sostenere. Storicizzare Tojl farebbe parlare di Duchamp, delle performance più teatrali, ma il rischio di perdere il contesto sarebbe in agguato. E allora Slaven Tojl rimane così, descritto, fondatore di un movimento di cui è un unico componente, la Perceptual Art, quarantenne, ancora attivo dalle sue parti e pressoché sconosciuto dalle nostre. I giovani artisti croati lo considerano uno dei più importanti artisti del Novecento, per aver finalmente eliminato non solo l'oggetto ma anche il soggetto, o meglio, il soggetto produttivo. Slaven Tojl non produce nulla, non trova e non accumula, non ri-produce e non ri-legge. Trova soltanto. E percepisce. (Nulla a che fare con il Picasso di "Io non cerco, trovo."). Senza oggetti la sua arte discute di rapporti e di contrasti e l'accento va ai dualismi, al ruolo del fruitore, alla sua capacità percettiva. E ai rapporti con il reale. "…Realtà e arte diventano così vicini che lo stesso oggetto percepito nella realtà non si riferisce direttamente all'arte, quando percepito in un'opera d'arte, invece, si riferisce direttamente alla realtà (Janka Vukmir, traduzione nostra.)".

Come quando, in dubbio su cosa presentare ad una delle edizioni della Biennale dei giovani artisti di Zagrabia, Slaven Tojl attraversò il paese in treno alla ricerca di idee. La guerra già divideva. Arrivò in galleria con due bottiglie di grappa di brandy ("la" bevanda di quelle zone, bevuta nelle occasioni di particolare intensità emotiva, accompagnata dalle lacrime, di solito, per i tempi che furono e/o che non saranno più): una bottiglia dalla Croazia (trasparente, molto alcolica e secca) e una dalla Slovenia (più giallastra e profumata). Si sedette ad un tavolo e, mischiandole in un unico bicchiere, un po' dell'una, un po' dell'altra, si ubriacò.



Slaven Tojl - informazioni

Biografia

1964
Nasce a Dubrovnik, Croazia

1987
Diplomato in Graphics alla Accademia di Belle Arti di Sarajevo, Bosnia-Erzegovina

1988
(dal) È direttore dell' Art radionice Lazareti di Dubrovnik, Croazia



Mostre, una selezione di collettive e personali (*):

1988
Galerija Sesame, Dubrovnik (*)

1989
Ulazak/Entry (performance con Marija Grazio) Art radionica Lazareti, Pile, Lucica, Dubrovnik (*)

1990
Festina Lente
Galerija Kamernog teatra, Sarajevo (*)

1991
Galerjia PM, Zagreb (*)

1991
16. Biennale dei giovani artisti
Moderna Galerija, Rijeka

1992
Requiem in Croazia
Zvonik franjevackog samostana, ARL, Dubrovnik

1993
Food for Survival (performance con Marija Grazio)
MUU-ry, Tower of Babel, Helsinki, Finlandia

1994
New Croatian Art
Moderna Galerija, Rijeka

1995
Installations
Galerija umjetnina, Zadar (*)

1995
95 Vollgummi
Schwarzenberg, Austria

1996
The 3rd Gramercy Contemporary Art Fair
Gramercy Park Hotel, New York

1996
Performance Art Festival
PAF, Cleveland

1997
The 4th Gramercy Contemporary Art Fair
Gramercy Park Hotel, New York

1997 Documenta X
Kassel, Germania



Bibliografia

Tutte le informazioni e le immagini sono tratte dal testo Perceptual Art di Janka Vukmir, ed.Visual Arts Library, 1998 e dal sito www.documenta.de (nell'archivio per artista della X edizione di Kassel).



 
 

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