Certamente sono cupe, secche come un colpo di fucile, pietrificanti col loro sguardo meduseo di silente dramma
incarnato.
Immagini di Volti, per lo più, e di Sguardi.
I colori che saltano agli occhi sono il nero, le gamme
dei grigi, le terre, il rosso di Siena; le pennellate sono larghe,
robuste e decise nella loro definizione veloce, di getto.
Occhi, tanti occhi, tutti aperti sia che
sostengano lo sguardo in avanti, sia che lo volgano in basso, sia che
si perdano nel Vuoto, ma in ogni caso, sempre, occhi,
visi e aperti.
Un busto, poco più che un volto, di donna
statuaria e plasmata di terra e cenere, calva, con al petto un
bambino grigio, inespressivo o forse già
consapevole
...
Subito oltre, lattenzione è catturata da
segni veloci, essenziali pennellate diluite a tracciare e scolpire un
volto, più luminoso degli altri; la veloce traccia del disegno
si muta in espressione; dal fondo del foglio, pagina
riciclata di un qualche documento in data di Savona e dal costo di
lire 5, spiccano i tratti di giovane, arco sopracciliare
robusto e, in una diluizione tonale di giallo senape, i neri segni
marcati di un occhio fermo ben aperto e lo sguardo assorto affatto
trattenuto dalle fluide pennellate che con ductus lo inquadrano
e lo sovrastano come sbarre.
Ma ancora, un poco più avanti, dal lato nero a
sinistra del foglio, emerge azzurro nellazzurro, unaltra
testa rasata e colta di tre-quarti.
Questo azzurro non è cielo, non comunica incanto
naturale o poetico ma luce e freddo, invade e intride di sé
losservatore come il cranio che vi è immerso e ne
impregna gli occhi illuminando lincarnato.
E immagine che toccata dal luttuoso nero è
già trapassata in unimmersione di luce algida,
meta-fisica, non nella radiosa emanazione divina ma in una
proiezione, in una dimensione altra, extraterrestre.
Eppure non si tratta nemmeno di fantasiose speculazioni
extragalattiche ma di una glaciale e drammatica immobilità,
alienata oltre che aliena; extraterrestre e meta-fisica
poiché, nella tragedia che questo volto emana, si coglie tutto
il senso di un vissuto alieno, poiché certamente altro
rispetto allUmanità che dovrebbe esprimere.
Quanto mai opportuna qui letichetta storiografica
di definizione stilistica pennellata espressionista. Il
tratto nero, continuo del pennello segna-disegna, costruisce questa
testa-volto tutta occhi, setto nasale e zigomi.
Altre immagini, altre figure di questa
esposizione, pur sempre intense e personalizzate, trovano
facili rimandi e sinonimie a figure dellEspressionismo
europeo, per tipologie fisionomiche, per scelte coloristiche, per
ductus pittorico e per soggetti tematici.
In questa occasione Georges de Canino è pittore
espressionista, di quellEspressionismo del
Dolore che ha percorso dallinizio il XX secolo e che trova
parentele di segno e di senso nellumanità offesa di
Ernest Barlach come in quella di Kathe Kollwitz o anche nel
sottoproletariato di Lorenzo Viani.
Molte delle circa cento opere esposte in questa mostra,
si distinguono per forza di carattere rispetto ad altre di pur
intensa qualità artistica ma che si propongono come
immagine-manifesto: opere su carta definite da gesto pittorico
veloce, breve, incisivo ed efficacissimo per figurazione schizzata,
d "abbozzo ma eloquente e lapidaria quanto le
Parole che quasi sempre accompagnano limmagine a completarne il
senso.
I testi si uniscono alle figurazioni, spesso intimi e
sinceramente commoventi come un verso poetico o una stringata
citazione biblica può essere, divengono, in altre opere, dei
veri e propri proclami che subordinano la figura ergendosi, in piena
consapevolezza, quali moniti morali.
Questo è il cuore pulsante e la motivazione
intima e ufficiale della vasta personale di Georges de Canino presso
il Museo del Risorgimento, nellambito delliniziativa di
commemorazione intitolata GIORNI della MEMORIA e della SHOAH
che si è svolta a Roma dal 20 novembre 2000, con il patrocinio
della Provincia di Roma e la collaborazione di numerose Associazioni,
e la presentazione presso il Cinema Nuovo Olimpia di una rassegna di
film il cui tema storico era variamente e artisticamente
presentato.
Il titolo della mostra a cura di F. Pietracci
è JAMAIS PLUS! e raccoglie circa cento opere,
dagli anni 70 ad oggi, dellartista Georges de Canino il
quale riflette su questo tema e se lo propone non certo a fini
apologetici e/o propagandistici ma in quanto componente intima del
suo essere Uomo e Artista.
De Canino nato negli anni 50 ha assorbito
attraverso esperienze indirette le memorie delle
conseguenze delle leggi razziali altresì dette leggi
della vergogna emanate nel 1938 e applicate in Italia dal
1939, fino alle spaventose conseguenze della deportazione,
sistematicamente applicata nel nostro ghetto romano il 16
ottobre 1943.
Come cicatrici nellanimo personali
di Georges de Canino hanno lasciato segni visibili nel suo
percorso artistico che, articolato fra pittura e scrittura, intende
proporsi e proporre la necessità della Memoria come
dimensione qualificante per il cammino dellUomo.
Le indefinibili vicende vissute dal popolo ebraico e da
tutta la comunità umana che si opponeva alle follie del
totalitarismo devono rimanere quale monito per le Generazioni;
gli ebrei e gli attivisti della Resistenza, di diverse etnie ed
ideologie dappartenenza non possono essere dimenticate per il
carico di disumanità subita e per essere divenuti simbolo
della caduta nel delirio donnipotenza dellumanità
stessa.
Questa esposizione pur qualificandosi come
monumentum-memento non trasuda apologetica, né enfasi
propagandistica, se non in poche figurazioni che propongono quei
codici visivi altrimenti utilizzati a scopo di manifesto,
ma comunica forte il senso dello sgomento unito alla
energia di un urlo silenzioso, di una sorda e potente eco di
catastrofe.
In un gruppo di disegni a china caratterizzati, qui, da
un segno sottile e nervoso, troviamo forse il punto più
intenso dellintimo artistico di de Canino poiché vi
trasferisce il suo segno grafico in parole e figure: dalla
superficie bianca del foglio poche, sottili e vibranti pennellate
tracciano essenziali figurette-sagoma e la memoria corre
repentinamente ai disegni di Giacometti.
Alberto Giacometti, tormentato, tormentava il pezzo di
carta che gli si offriva alle mani con segni sottili, reiterati,
sovrapposti, inquisitori a scoprire e disegnare il mistero
della forma che si allontana tanto più quanto più
lartista tentava di definirla; Georges de Canino non è
Giacometti e non prova questo sentimento formale, eppure
sembra esprimere lo stesso stupore e sgomento per quella figura
umana che si sottrae alla visione: li unisce quindi Giacometti
come Canino unaffinità, la tensione ad afferrare
lessenza dellimmagine-Uomo quale forma e presenza
vivente prima che venga meno, prima che sia risucchiata dal
Vuoto; entrambe, seppur in modo diverso, percepiscono il problema
della soglia di un baratro nel quale lEssere rischia di
diventare Nulla e tentano di trattenerne il segno.
Per de Canino il Vuoto è rappresentato dalla
Perdita della Memoria dellabominio degli anni 1938-45, il quale
non è che il sintomo estremo dellUmanità che si
allontana dallessere se stessa. La Memoria allora va
rintracciata anche attraverso singole ricostruzioni desperienze
vissute (di qui le opere dedicate agli eroi della
Resistenza italiana), va curata, alimentata, ravvivata, come un
ossessione di cui non ci si può liberare, per renderla viva e
vitale essenza umana.
Due altri poeti hanno, con Parola differentemente
versificata, lapidato il nostro Novecento:
LA TRADIZIONE DEGLI OPPRESSI CI INSEGNA CHE LO
STATO DI EMERGENZA IN CUI VIVIAMO E LA REGOLA.
DOBBIAMO GIUNGERE AD UN CONCETTO DI STORIA CHE
CORRISPONDA A QUESTO FATTO.
Walter Benjamin, Angelus Novus.
Forse non è mai stato più forte il
tentativo delluomo di proporsi come un fine a se stesso. E il
nodo del problema è tutto qui. Milioni di esseri umani
aspirano allamore, ma la parola non viene pronunciata che nelle
più sconce sedi della pubblicistica.
Giornali e libri, dépliants e almanacchi, visioni
accampate su tela o su vetro, suoni messi insieme per darci
unimpressione fisica motrice, dinamica, notizie e nozioni
gettate su noi a piene mani costituiscono un vociferante abracadabra
che dovrebbe dire alluomo solo: Ci siamo anche noi, non sei
solo.
Oggi gli individui uninfinità
chiedono di rappresentarsi, di esistere, di esplodere
individualmente, chiedono di vivere la propria vita sul piano che ad
essi è possibile: quello delle emozioni e delle sensazioni. E
su questo piano non sono possibili deleghe privilegiate: luomo
qualunque ha gli stessi diritti delluomo di eccezione e può
persino illudersi che la sua trivellazione della couche vitale sia
più autentica di quella delluomo di studio. Ma
alluomo-massa corrisponde il male di massa, al quale nessuno di
noi sfugge.
E il lato più pericoloso della vita attuale è
il dissolversi del sentimento della responsabilità
individuale. La solitudine di massa ha reso vana ogni differenza tra
il dentro e il fuori.
Poiché il nostro tempo ha sostituito
leccitazione alla contemplazione e il numero non è più
il segreto delle leggi divine, bensì loggetto della
statistica, non vedo perché non si debbano trarre le debite
conclusioni dalle mutate condizioni di vita delluomo che fu
detto sapiens e faber (e poi ludens ed ora è destruens) a
vantaggio dellimmenso tutti-nessuno che stiamo avvicinandoci a
formare.
Quel che avviene nel mondo cosiddetto civile a partire
dalla fine dellIlluminismo (ma ora in sempre più rapida
escalation) è totale disinteresse per il senso della vita. Ciò
non contrasta con il darsi da fare, anzi. Si riempie il vuoto con
linutile. Luomo non ha più molto interesse per
lumanità. Luomo si annoia spaventosamente.
Eugenio Montale, Nel nostro tempo.
E per tutto questo e per il rumoroso anno delle
celebrazioni giubilari, delle questioni millenaristiche,
delletà dellInformazione, che
lappello di affetto alla Memoria, in questa esposizione,
assume e propone senso.
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