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Oliviero Rainaldi. Dono del Mattino  
Alessandra Maria Maturi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 30 dicembre 2000, n. 243
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00243.html
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La Forma "prima" dell'Immagine e l'Immagine prima di essere Forma. Emerge, luminosa, nel buio e dal Buio.

L'Immagine, prima di diventare tale, l' "icona" nella sua dimensione primaria: lo stupore, quasi, di una visione del numinoso.

Primarietà dell'Invisibile che diviene Visibile, "immagine-icona" al suo cominciamento e disvelamento, in un'atmosfera rarefatta.

L'accenno del Segno e lo spiccare della Forma dalla superficie.
Un immagine-quadro, bidimensionale verso l'immagine poiché Forma, tridimensionale - dal Nulla-buio alla Visione della Forma nella sua quintessenza -.

L'istallazione di Oliviero Rainaldi si manifesta come un quadrato bianco alias immagine primaria, assoluta, di maleviciana memoria, che si propone ipotesi di forma assoluta, Essere nel suo Divenire, tensione ad assumere plasticità di testa e volto.

Icona del Volto, non più su di un serico panno intriso di sangue, ma quale tentativo di cogliere il Sacro e disvelare il suo essere uomo-kateikon, ad immagine e somiglianza del divino.

Lo spazio barocco e scenografico della Sagrestia di S. Andrea al Quirinale, ricco di suggestione per la ponderosa ma austera architettura lignea delle scansie che fanno da sostegno e da quinte allo sfondamento prospettico delle pitture di J. de La Borde, accoglie l'intervento di Rainaldi e, paradossalmente soddisfatta dall'essere oscurata, lo avvolge. Quest'ambiente, per sua natura intimo ma irradiato dall'apoteosi luministica della decorazione pittorica e simbolica del soffitto, è esaltato dal proprio obnubilamento e rispettoso dell'intervento artistico che offre in nuce l' "origine" dell'immagine e della forma.

Dono del Mattino è una Veronica poiché traccia, contemporanea, del Sacro. L'istallazione s'inserisce nel progetto La Traversata di L. Canova. A. Olevano e V. Pelosi, iniziativa che, in parallelo a ben altri eventi giubilari, si propone di presentare le tracce del Sacro nell'arte contemporanea laddove la "spiritualità dell'arte" si congiunge alla riflessione sullo Spirituale e sul senso del divino manifestato attraverso i diversi linguaggi della pittura, scultura o più complesse ma sintetiche istallazioni.

Consono a quest'obiettivo è il percorso stesso della ricerca artistica di Rainaldi che nel corso degli anni Novanta ha elaborato il suo fare attraverso le diverse tecniche, con lo scopo di rin-tracciare e 'mostrare' l'In-visibile.

Il suo tema infatti è l'Uomo, il suo corpo o piuttosto, assai spesso, la sua assenza o, ancora, per meglio dire, il suo "trans-umanarsi" nell'Indefinibile.

Rainaldi ha cercato nella storia dell'arte e nei suoi materiali la possibilità d'espressione e, dopo l'intuizione, ha tentato di de-finire il sentimento del divino attraverso un pensare facendo, così che la fabbrilità delle mani ha plasmato in scultura e tracciato in disegni il filo dell'emozione. È in questi ultimi che la ricerca, o il problema dell'essere anche un corpo, si delinea con un tratto che, passato dalla materialità grassa dei bitumi attraverso un segno grafico di contorno fermo e netto si fa sempre più sottile e soffuso di luce come emerso-immerso nel bianco del foglio-quadro, ed espleta la propria capacità di definizione geometrico-volumetrica.

Così pure i suoi volumi plastici, sapientemente definiti nelle sculture, tendono alla forma sintetica, privata, progressivamente nel tempo, dei caratteri individualizzanti per definirsi come forma umana "essenziale", anonima e archetipica, levigatissima e purificata; l'intervento attuale però travalica le ricerche volumetriche che lo avevano condotto dai maestri rinascimentali sino alle definizioni formali di J. Arp o H. Moore, e sembra piuttosto proporre un quesito neoumanistico, dell'uso, vale a dire, della forma simbolica più radicale: la figurazione umana.

Oliviero Rainaldi presente anche alla mostra Lavori in corso 10 presso la Galleria Comunale d'Arte Moderna e Contemporanea di Roma (aprile-maggio 2000), con un'opera che, pur diversa per dimensioni, sviluppo spaziale e definizione plastica della superficie lasciata magmatica, scabra e colata, sembra prediligere ormai l'uso del gesso che, algido e levigatissimo, può meglio entrare in dialettica con la luce.

È, infatti, al medium della luce che è affidato il compito di un linguaggio senza parole - il Linguaggio del Silenzio - e di disporre alla Visione e all'ascolto dell'Indicibile.



 
 

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