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Frida Kahlo e i capolavori della pittura messicana  
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 6 novembre 2001, n. 285
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00285.html
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È strano come ci si accosti a un'artista o si possa scoprirlo/la. La mia storia con Frida Kahlo inizia casualmente leggendo la recensione di uno spettacolo teatrale nel lontano 1988. A Milano al Teatro Parenti si stava rappresentando Lo specchio di Frida con Ottavia Piccolo, Caterina Casini e Maristella Marino, regia di Walter Manfré. Incuriosita dalle risposte della Piccolo ... « anni Trenta, donna giovane anticonformista, artista, vita travagliata segnata dal dolore fisico ... ».

Parto da casa, da Padova, e vado a vedere lo spettacolo. Rimango completamente "presa", tanto da rimanere incollata sulla sedia non riuscendo ad andare via a spettacolo terminato. Mi ritrovo nel camerino delle attrici non solo per congratularmi ma per chiedere a loro ancora qualcosa su questo personaggio e sulla problematicità e difficoltà a rappresentarlo. Nello spettacolo non ci sono riproduzioni dei suoi quadri, c'è la descrizione del rapporto con il marito Diego Rivera. Il tema è apparentemente il tradimento ma c'è il conflitto tra le due Frida una ribelle e l'altra pacata e riflessiva, una alla ricerca di se stessa, del suo essere donna, moglie, e l'altra artista anticonformista e politicizzata.

Ritrovo Frida a New York al Guggenheim Museum nel 1999 dove si teneva una bellissima mostra sul Surrealismo. Tra i tanti famosi De Chirico, Dalì, Mirò, Magritte, ecc, c'era lei e anche qui mi accade la stessa cosa, rimango "incollata" ai suoi quadri, sono magnetici: non riesco a staccare lo sguardo perché mi catturano, mi danno un misto di inquietudine, dolore, sofferenza, mi fanno pensare ...

E ora nel 2001 a Venezia alla Galleria Bevilacqua La Masa c'è, c'è stata una mostra dedicata a lei e all'arte messicana in generale. A questo punto mi sono sentita come in dovere di mettermi a parlare di questa donna e, ripensando al suo VIVA LA VIDA, non posso dimenticare che questo è stato il suo ultimo saluto. Lo ha scritto otto giorni prima di morire (1954) mentre stava terminando il suo ultimo quadro, in mezzo alle sue angurie cariche di quel rosso vivo sempre ricorrente nei suoi quadri. E' questo grido, questo desiderio continuo di gioia di vivere che ci sorprende sapendo che all'età di diciotto anni, in seguito ad un incidente, viene impalata da una sbarra di metallo dell'autobus su cui ritornava da scuola insieme ad Alex, suo compagno e amico: la sua spina dorsale viene fratturata in tre punti nella regione lombare, il bacino schiacciato, il piede destro spezzato, le pelvi rotte trapassate da parte a parte dal corrimano, situazione che le impedirà di conoscere la maternità, se non per pochi mesi, perché avrà solo aborti. Un esempio del suo dolore è il quadro, presente in mostra, Henry Ford Hospital o Il letto volante (1932, 30,5x38 cm) eseguito a Detroit città che odiava ma dove restò per stare vicino al marito Diego Rivera. Qui ebbe il suo secondo aborto: stette in ospedale tredici giorni e il secondo iniziò a disegnare prima lei poi un feto. Realizza così questo quadro dove troviamo un letto ospedaliero in un paesaggio deserto e desolante: lei è distesa nuda in una pozza di sangue, una grossa lacrima bianca scende dal viso, la sua mano tiene un filo-cordone rosso sangue che si aprirà alla rappresentazione di sei strane figure con al centro un feto, il bambino non nato. Dolore, solitudine, tristezza, disgrazia, desolazione e quant'altro sono i sentimenti che questo quadro suscita ma Frida riuscirà a superare anche questa mancanza di maternità trasferendo il suo amore sui bambini degli altri, sui nipoti e sui figli di Rivera e Lupe o come qualcuno afferma sugli animali come le scimmiette e i pappagalli o ancora sulla raffigurazione di frutta e fiori sempre così vivi nei colori. Dipinse il quadro Letto volante per la prima volta su metallo e con tecniche che ricordano gli ex voto o i retablos messicani così precisi nel raccontare ed è così primitivo nella sua prospettiva sbagliata, negli strani colori pastello scelti per quel paesaggio industriale che si staglia all'orizzonte.

Per l'intera vita porterà con sé un dolore continuo e lacerante ma nonostante le trentadue operazioni, Frida Kahlo inneggerà alla vita con quella allegria che ha sempre ostentato in pubblico per nascondere invece la tristezza, il dolore, l'angoscia e la sofferenza che manifesterà sempre e comunque nei suoi quadri: un misto di dolore ma anche di forza, quella sola forza capace di reagire anche a situazioni che non hanno rimedio. E proprio in questa immobilità forzata e duratura Frida troverà nella pittura il tramite, lo strumento per esprimere tutta se stessa con quel suo linguaggio particolare, di uno stile arcaico e nel contempo moderno.

Era nata nel 1907 da padre ebreo di origine ungherese: era un giovane immigrato in Messico, sofferente di crisi epilettiche, fotografo di successo preciso e meticoloso nell'eseguire con cura luci ed ombre.

Da suo padre forse prende quella precisione nel descrivere minuziosamente ogni particolare usando anche minuscoli pennelli di zibellino: tranne che per pochissimi quadri, Frida prediligerà il formato minore (30x37cm), più intimo, più suo, più adatto a raccontare quello che provava, come vedeva e percepiva il mondo, il fuori, l'altro.

Da piccola era un monello e anche se a sei anni si ammala di poliomielite e dovrà stare per nove mesi in camera, dopo la malattia fece di tutto - dalla boxe, al calcio, alla lotta libera al nuoto - per poter ristabilire l'uso della gamba destra che rimase invece sempre piccola: per nascondere indossava anche tre o quattro calze e scarpe dal tacco speciale che le lasciarono quel modo di camminare lievemente saltellante tipico dei passerotti.

Con il padre si recava spesso in giro a passeggiare nei parchi, era la prediletta delle sei figlie forse perché l'unica che sapesse come lui cosa significasse la malattia e l'isolamento. Mentre lui dipingeva, lei raccoglieva insetti e piante che poi a casa guardava al microscopio; imparò anche a usare la macchina fotografica, a studiare l'arte e l'archeologia messicana che ritroveremo sempre come parte integrante della sua inconfondibile arte.

Dopo la sua nascita la madre si ammalò e lei, come si usava una volta, fu allattata da una balia: quando dipinse il quadro" La mia balia ed io" (1937, 30,5x 35 cm, uno dei sette quadri presenti in mostra alla Galleria Bevilacqua La Masa di Venezia dal 9 giugno all'8 ottobre 2001), si dipinse piccola nel corpo ma con la testa da adulta, la bocca semiaperta, lo sguardo fisso mentre le viene donato quel latte-sangue messicano che sgorga da un seno sezionato e dall'altro gocciolante come lo è il cielo che fa da sfondo a una foresta tropicale: latte dato da una donna il cui volto assomiglia ad una maschera tribale, un misto di mistero e morte, primitivo e folkloristico come fa notare Hayden Herrera nel suo libro Frida Vita di Frida Kahlo (ed. La Tartaruga) Frida dà l'impressione di essere simultaneamente protetta dalla balia e offerta come vittima sacrificale. Frida Kahlo fece propria l'arte messicana, quella indigena, delle masse a cui legò anche l'impegno politico (fu membro della Lega giovanile comunista) sfociato in solidarietà e accoglienza a Lev Trockij quando arrivò in Messico nel 1937. Organizzò addirittura la partenza per il Messico di quattrocento lealisti spagnoli durante il suo soggiorno parigino: il suo impegno terminò dieci giorni prima di morire quando lei quasi inferma, in sedia a rotelle, partecipò alla manifestazione contro la destituzione da parte della CIA del presidente guatemalteco Jacobo Arbenz Guzmàn.

Fu fotografata dai più famosi e importanti fotografi (Imogen Cunningham, Edward Weston, Dora Maar, Lucienne Bloch, ecc) e quasi sempre sceglie il suo costume prediletto quello delle donne di Tehuantepec, famose oltre che per la loro bellezza e fascino anche per il fatto di essere donne coraggiose, forti e intelligenti. In tutte le foto si vede una Frida dallo sguardo diretto e penetrante, ironico e sensuale, interrogativo e ammiccante che poi ritroveremo sempre nei suoi autoritratti dove si dipinge con caratteristiche ed estrose acconciature e riccamente ingioiellata.

Nel '28 conobbe Diego Rivera: lui aveva quarant'anni ed era un artista molto famoso, lei venti di meno. Sapeva che lui era un noto seduttore e il loro primo incontro fu molto particolare. Anche se brutto, grande e grasso (alto un metro e ottanta, nel '31 pesava centocinquanta chili) Rivera conquista moltissime donne e Frida (che era alta un metro e sessanta e pesava quarantanove chili) si separerà da lui solo quando lo seppe amante anche di sua sorella Cristina (alle altre donne si sentì sempre superiore, ma quando si risposerà Rivera una seconda volta nel '40, pose delle ferree condizioni). Rivera aveva qualcosa di magnetico oltre alla grande personalità e vitalità: era spiritoso, molto disponibile, considerato da tutti un genio, apprezzava le donne dicendo che erano superiori agli uomini perché più sensibili, più belle, più buone. Lei andò a trovarlo mentre dipingeva un affresco, riuscì a farlo scendere dall'impalcatura per mostrargli i suoi quadri e chiederne un parere. Cosa che lui fece prontamente concludendo con un "Hai talento" e da quel giorno praticamente non si lasciarono mai se non nel breve periodo della loro separazione (1935-36). Fu un amore coinvolgente e travolgente fatto di contrasti e affinità elettive. Ebbero una vita tempestosa ma ricca emotivamente e artisticamente, non riuscendo a stare lontano per molto: tutti e due reciprocamente avevano un disperato bisogno dell'altro.

Qualche piccolo colpo di pugnale (1935, 30x40 cm), basato su un fatto di cronaca, rappresenta bene lo stato d'animo di Frida al momento della separazione da Rivera. La scena mostra l'interno di una nuda stanza dove si è appena concluso un omicidio, in un letto è distesa una donna insanguinata, nuda ma completamente coperta di tagli, un sangue che dal pavimento giallastro fuoriesce addirittura dal quadro fino ad arrivare a sporcare la cornice; accanto a lei un uomo vestito, con un pugnale in mano e due colombe una bianca e l'altra nera che sorreggono una scritta: "qualche piccola punzecchiatura" le parole che l'uomo disse al giudice proclamandosi innocente.
Frida stessa, come scrive Herrera nel libro, dichiarò di « aver sentito il bisogno di dipingere quella scena perché aveva provato simpatia per l'assassinata, dal momento che lei stessa era stata sul punto di essere "assassinata dalla vita" »: è quindi una conferma del suo dolore tanto che si tagliò i capelli, smise di indossare il costume da tehuana tanto caro a Rivera, se ne andò di casa e si recò a New York.

Solitamente il suo è un disegno minimalista-primitivo: penetra nel particolare va a cogliere il dettaglio e lo ingigantisce, come le foglie che diventano a volte alberi; anche l'interno di un frutto, di un fiore viene ingigantito, così il corpo viene come "sezionato" per mostrarne tutto quello che si trova dentro, fin nelle viscere.

E il quadro forse più grande per dimensioni e più famoso è Le due Frida (1939, 172 x 173 cm.) dove le apparenti ferite altro non sono che quelle psichiche prodotte dalle vicende della vita. I visi sono rivolti a chi le sta guardando, sono duri e alteri e sono così fieri di mostrare il dolore: due folte sopracciglia li evidenziano, così come le labbra rosse e la peluria dei baffi che fanno risaltare i lineamenti (particolari che conserverà sempre nei suoi quadri). Così penetrante lo sguardo che è lo spettatore a distogliere il suo. Il cuore trafitto, squartato è la Frida lasciata da Rivera che veste l'abito bianco di foggia europea macchiato di quel sangue che viene trattenuto, chiuso, fermato da una mano che impugna una pinza emostatica. L'altro cuore invece è integro, è la Frida vestita da messicana, quella amata da Rivera, che tiene in mano un piccolo medaglione con Diego bambino. Le due sono sedute sulla stessa panchina si tengono per mano e sono allo stesso tempo legate da un filo-cordone-vena che parte dal cuore sano per arrivare al cuore malato, dolente, trafitto dalla separazione: dietro le spalle delle due donne lo sfondo di un cielo tempestoso carico di brutti presagi. Infatti quando arrivarono i documenti del divorzio il quadro "Le due Frida" era quasi terminato dopo che ci aveva lavorato per circa tre mesi. Le furono attribuiti molti amanti etero e omo ma lei non se ne curò libera come la sua arte dove non si riconobbe né surrealista né realista come la definiva Rivera: quel che è certo è che fu unica nella sua arte e anche Picasso in una lettera a Rivera disse così: « Né Derain, né tu, né io siamo capaci di dipingere una testa come quelle di Frida Kahlo ». E, se lo diceva Picasso ...

Nella Mostra di Venezia era presente anche Diego Rivera (1887-1957) figlio di un maestro di scuola, fin da piccolo fu considerato un bambino prodigio. Adolescente si dedica agli studi artistici sentendosi attratto dall'arte tradizionale pre-colombiana, all'età di ventuno con una borsa di studi triennale si reca in Spagna, Italia, Belgio Olanda, Inghilterra, quando si trova in Francia si accosta al cubismo, ai fauve, al futurismo per poi tornare in patria dove, legato da comuni ideali sociali ma da differenti espressioni artistiche, a Siqueiros e Orozco, darà vita a quella che sarà considerata la più grande espressione muralista dell' epoca, affrescando chilometri e chilometri di pareti. I suoi murales dipinti per più di quarant'anni con una foga e una dedizione totale tanto da rimanere incollato sui ponteggi anche per giorni, mangiando e dormendoci sopra, raccontano delle vicende del suo popolo, dei peones, della loro schiavitù passando per le antiche civiltà (dalla azteca alla zapoteca, alla totonaca, huasteca) avvalendosi di uno stile descrittivo-folkloristico, coniugando il vecchio e il nuovo, il moderno e l'antico con personaggi dai tratti sicuri, severi che vanno a formare gruppi compatti di forme, di volumi, di colore. Riporta nei murales anche le tre figure fondamentali della rivoluzione messicana Hidalgo, Juarez, Zapata, ma la sua fede politica (si autodimetterà dal partito nel '29 per coerenza non potendo lavorare per i borghesi e rimanere al contempo comunista) lo porta anche a disegnare un Marx e un Lenin ed è proprio per quest'ultima figura da lui rappresentata in un'opera al Rockefeller Center di New York (1933) che viene licenziato e l'opera distrutta. Si reca più volte negli Stati Uniti anche insieme a Frida nel '31 è a San Francisco poi a New York, a Detroit. Non a caso scelgo tra i quadri presenti alla Galleria "Autoritratto" (1954, 26x30 cm) che non ci mostra più il Rivera dongiovanni, il seduttore, quanto un uomo ormai sofferente forse della morte di Frida o per via del suo male inguaribile, non è dato saperlo ma certo non è più quell'uomo brillante pieno di fascino che attirava le donne le incantava con il suo modo di fare ma piuttosto un uomo maturo arrivato alla fine di una vita colma di eventi.

Insieme a Frida e Rivera è bene ricordare almeno altri due grandi artisti protagonisti di quegli anni "rivoluzionari", anch'essi presenti in Mostra. Uno è David Alfaro Siqueiros che non fu solo pittore ma uno dei massimi protagonisti del cambiamento sociale messicano, organizzatore sindacale e politico, lotta insieme a Zapata per la liberazione del Messico dall'usurpatore Victoriano Huerta (nel 1914, nasce nel 1896) e dopo essere stato a Parigi, dove incontra Rivera e in Italia, ritorna in patria nel 1922.

È in questo periodo che insieme a Rivera e Orozco nasce la pittura murale messicana, nel '24 fonda e dirige El Machete, un settimanale ricco di argomenti attuali e non solo di arte, più volte imprigionato è costretto all'esilio nel '32. Sarà presente in California, Uruguay, Argentina, a New York, va in Spagna tre anni per difendere la repubblica, ritorna in America, viene di nuovo imprigionato, rilasciato, nel '66 gli viene conferito il massimo riconoscimento governativo, il Premio Nazionale d'Arte, muore nel 1974.

« Senza la rivoluzione non ci sarebbe stata la pittura messicana » su queste parole si basa tutta l'arte di Siqueiros, nel famoso Appello agli artisti d'America del '21 proclama la necessità che l'arte, con la potenza delle immagini, possa parlare direttamente alle masse popolari capaci di trasformare la società e quindi le opere non saranno più nei musei che sono luoghi dove può andare la gente che ha tempo, ma per la gente che lavora, per il popolo l'arte potrà essere vista per le strade, nei palazzi pubblici e in tutti quei posti dove si raduna, il murales è quindi l'espressione concreta dell'arte. Uno dei quadri presenti in mostra è La nostra immagine attuale (1947, cm. 223 x 175): rappresenta l'immagine di un uomo cresciuto, grande, forte, muscoloso, con queste grandi mani in primo piano che da un lato donano e accolgono allo stesso tempo, invitanti ma anche supplichevoli, e che alla fine mostrano uno stato di incertezza che ci riporta a quel non volto, ad un viso coperto, cieco, grigio che ricorda la pietra pomice, bucherellata, spugnosa, eruttiva, leggera ma ruvida al tatto. Come tutte le sue opere anche questa è di forte impatto emotivo, carica di forza e vitalità, di quel dinamismo e di quell'impegno politico che è sempre stato presente in tutte le sue opere: per chi avesse visto a Firenze a Orsanmichele e Palazzo Vecchio nel 1976-77 la mostra a lui dedicata, le ricorderà per quell'esplosione di colori e di forme, la sua arte è sostanzialmente un insieme di surrealismo e ricerca, ritrovamento ed elaborazione dell'arte popolare messicana.

L'altro artista facente parte del gruppo è José Clemente Orozco (1883-1949) anche lui protagonista di organizzazioni culturali messicane, collaboratore della rivista La Vanguardia, dagli anni'15 in poi, anche lui a Parigi, in California, a New York, a Vienna e insieme agli altri, grande muralista convinto assertore di questa arte in cui vede la pittura da cavalletto secondaria perché è inscindibile il legame tra la pittura messicana e la rivoluzione messicana. Orozco si distingue per la sua tecnica il cui tema è sempre drammatico, i colori sempre forti, scuri, energici, il tratto scarno, severo, duro a volte, perfino crudele. I suoi temi sono sempre legati alla causa del popolo, operai e contadini raffigurati in scene di vita e di lotta. Il combattimento (1920, cm. 66 x 86 presente in mostra alla Galleria Bevilacqua La Masa) ne è l'espressione: la tensione, la torsione, la fluidità dei corpi trafitti, dal bianco ghiaccio al nero angosciante, il tono freddo, oscuro dei colori ci danno quel senso di realistica scena dei vari e molteplici combattimenti per la liberazione del popolo messicano. A differenza di un Rivera che si è sempre mostrato più disteso e sereno nei suoi racconti muralisti e di un Siqueiros che crede e dimostra il suo ottimismo storico rivoluzionario, Orozco ha una visione sofferente dei conflitti, del caro prezzo che l'uomo deve pagare per la conquista sociale dei suoi diritti e quindi i suoi sono sempre dei corpi caduti, trafitti, colpiti, piegati, dolorosamente tristi e tragici che ricordano a volte l'espressionismo berlinese, con sempre presente la visione contraddittoria della storia e dei suoi eventi. Nei locali della Mostra alla Galleria Bevilacqua La Masa c'erano molti altri artisti che segnaliamo Abraham Angel (1905-1924) Saturnino Herràn (1887-1918) Jesùs Guerrero Galvàn (1910-1973), Manuel Rodrìguez Lozano (1895-1971) e altri.



Fonti:
Catalogo edito da Mazzotta a cura di Achille Bonito Oliva e Luis Martìn Lozano
Libro scritto da Hayden Herrera edizioni La Tartaruga
I Maestri del Colore Fratelli Fabbri Editori





Frida Kahlo, Henry Ford Hospital
fig. 1
Frida Kahlo
Henry Ford Hospital, 1932
olio su metallo, 30,5 X 38 cm.
Museo Dolores Olmedo Patiño

Frida Kahlo, Qualche piccolo colpo di pugnale
fig. 2
Frida Kahlo
Qualche piccolo colpo di pugnale, 1935
olio su metallo, 30 X 40 cm.
Museo Dolores Olmedo Patiño

Frida Kahlo, La mia balia e io
fig. 3
Frida Kahlo
La mia balia e io, 1937
olio su metallo, 30,5 X 35 cm.
Museo Dolores Olmedo Patiño

Frida Kahlo, Le due Frida
fig. 4
Frida Kahlo
Le due Frida, 1939
olio su metallo, 172 X 172 cm.
Museo de Arte Moderna, INBA

Diego Rivera, Autoritratto
fig. 5
Frida Kahlo
Autoritratto, 1954
acquarello su carta, 26 X 30 cm.
Museo Dolores Olmedo Patiño

José David Alfaro Siqueiros, La nostra immagine attuale
fig. 6
José David Alfaro Siqueiros
La nostra immagine attuale, 1947
pirossilina su cellotex, 223 X 175 cm.
Museo de Arte Moderna, INBA

José Clemente Orozco, Il combattimento
fig. 7
José Clemente Orozco
Il combattimento, 1920
olio su tela, 66 X 86 cm.
Museo de Arte Alvar y Carmen T. de Carrillo Gil, INBA

 

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