A dieci anni dalla sua scomparsa la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma ricorda un'artista che è stato una vera e propria icona per l'arte italiana, colui che ha saputo traslare l'universo artistico del nostro paese, caduto in un sereno provincialismo, in una dimensione artistica internazionale: è lui, infatti, la figura dell'arte italiana che ha avuto più riconoscimenti a livello mondiale.
Centotrenta le opere, dipinti e disegni, esposte in mostra, ordinate cronologicamente, che ripercorrono la sua movimentata vita e la sua quarantennale avventura creativa. A parte una succinta biografia l'esposizione è priva di pannelli critici, ma d'altro canto le opere di Schifano sono talmente esplicite da non richiedere spiegazioni. Indovinatissime frasi virgolettate cingono le opere e le compiono significativamente.
Nel 1960 Schifano conosce la gallerista statunitense Ileana Sonnabend che, affascinata dal rapporto solitario dell'artista con la sua pittura, lo accoglie tra i suoi protetti facendogli firmare un contrato in esclusiva. È il periodo dei piccoli paesaggi informali, una pittura orizzontale di segni e colori dove il supporto volutamente non risolto partecipa alla creazione, alleggerita dalla distanza contemplativa ricercata dal pittore. Troviamo esempi di questa fase nella sezione "Esordi", dedicata agli anni Cinquanta, e, in piccola parte, in quella rivolta agli "anni Sessanta".
Grazie a Ileana, nel 1962, Schifano compie il primo viaggio negli Stati Uniti, conosce la Pop Art e frequenta artisti come Jasper Johns, Mark Rothko, Andy Wharol ed altri; tornato a Roma "sfoggia" una creatività radicalmente mutata, la nuova produzione artistica, lontanissima dalle prime opere, sconcerta la gallerista e allontana i due. A New York il pittore si è appropriato dei consueti simboli della società di massa riutilizzandoli, però, con tratti violenti e decisi, in modo da contraddirne, fino ad azzerarne, gli originari significati. Prove di questo periodo sono nella sezione riservata agli "anni Sessanta", all'interno della quale si fanno strada le sperimentazioni che rivisitano l'esperienza futurista italiana come Camminare del 1965, citazione del più famoso quadro di Balla Ragazza che corre sul balcone del 1912. Già dalla seconda metà degli anni Sessanta si avvicina all'universo cinematografico, ma l'insofferenza verso i tempi estremamente lunghi tipici di questo medium lo riportano alla pittura e la sezione dedicata agli "anni Settanta" rivela la riflessione dell'artista in merito, presenta, cioè, la sua idea di cultura della televisione, non intesa in senso lato, ma come ciò che origina dall'immagine televisiva. Inizialmente rielabora fotografie eseguite da lui stesso negli Usa come Pentagono del 1970, oppure Medal of honor del 1970 per poi raffigurare icasticamente il patrimonio di immagini che quotidianamente ed incessantemente vengono trasmesse dai media, si vedano per esempio Paesaggio Tv del 1970 ed Ex Film del 1970. In questo momento Schifano fa uso di colori di produzione industriale come smalti, vernici alla nitro, ecc. che hanno la doppia caratteristica di asciugare velocemente, rimanendo brillanti come il "modello", e assecondare la necessità di lavorare rapidamente e in tempi brevi, rispettando i lassi dell'immagine televisiva che appare velocemente e altrettanto speditamente scompare. Seguono anni di crisi ideologica ed esistenziale, di isolamento e di chiusura nel suo studio, dove lavora intensamente e realizza opere in cui rifà, con i cosiddetti quadri d'apres, Magritte, de Chirico, Boccioni e Cèzanne, si veda a proposito Omaggio a de Chirico del 1976-78.
Alla fine degli anni Settanta l'artista recupera il piacere della sua arte e ritrova quella creatività che sfocia nella pittura della metà degli anni Ottanta molto ricca e densa. In questo periodo i suoi lavori si fanno cromaticamente violenti e matericamente densi, caratteristiche che individuano quell'inquietudine, mutuata dai neoespressionisti tedeschi, che contraddistingue il temperamento passionale di Schifano. Realizza opere in cui il dripping fuoriesce brutalmente dallo spazio della tela per schizzare fin sulla cornice e oltre, alla maniera febbrile di Pollock, e insistentemente riempie il campo visivo di chi osserva.
La sezione "anni Ottanta" espone tele che richiamano la sua passione per il ciclismo o il ricordo della nascita di Marco, si veda Primo sogno di Marco con singhiozzo del 1985.
L'unità successiva rivolta agli "anni Novanta" propone una visione rinnovata della funzione artistica della pittura che torna ad essere un mezzo di denuncia non più di una società consumistica, ma di una società in pericolo, dove le incomprensioni culturali prefigurano minacce all'esistenza della collettività, come Nazione inghiottita del 1990, oppure Tracce di minaccia del 1990.
La mostra è completata da una bella e significativa rassegna di disegni, collage e cortometraggi; posizionata però, in una poco felice posizione, lontana dal resto dell'esposizione e male segnalata rischia di non essere vista da un visitatore timido che non sappia della sua esistenza.
IL CATALOGO
Il catalogo, edito da Electa, dal titolo Schifano 1934-1998, tipograficamente risulta pregevole e più che apprezzabile è la cura editoriale adoperata.
Dal punto di vista dei contenuti si individua una parte iniziale, le prime 70 pagine, costituita da introduzioni, ringraziamenti e saggi. Questi ultimi, scritti da storici e critici d'arte e curatori di mostre di arte contemporanea di notevole spessore, risultano, dal punto di vista scientifico, lavori preziosi e fondamentali per la comprensione delle dinamiche culturali con cui interagisce Schifano.
Indichiamo, in ordine di comparsa, i saggi:
L'arte avventurosa di un pittore di confine di Achille Bonito Oliva, curatore della mostra, una personale biografia del pittore.
La singolarità di Mario Schifano. Vitalità, decoratività, improvvisazione, ironia di Lóránd Hegyi, storico dell'arte ungherese e direttore del Museo di arte contemporanea di Saint Étienne in Francia. Hegyi illustra gli aspetti dell'originalità e della singolarità dell'artista attraverso un excursus biografico e cronologico con l'intento di evidenziare "la via autonoma" della sua arte rispetto ai movimenti artistico-culturali che conosce, attraversa, influenza e "saluta".
Mario Schifano: Roma-New York andata e ritorno di Alan Jones, newyorkese, critico e curatore di mostre d'arte, amico personale di Leo Castelli, il più grande gallerista di tutti i tempi: è tra i massimi conoscitori della scena della Pop Art. Con questo saggio Jones si propone di illustrare il positivo rapporto instauratosi tra Schifano e la poliedrica città statunitense, pervasa da un fermento di continuo rinnovamento, ma capace di rimanere, a distanza di anni, la stessa, avvolta da quell'inconfondibile e brillante atmosfera intellettuale.
Il capolavoro sconosciuto (deadline). Con aurea senz'aura di Enrico Ghezzi, critico cinematografico italiano, che si propone di indagare un aspetto dell'esperienza creativa dell'artista ancora poco conosciuto, quello legato alla lavorazione cinematografica degli anni in cui non crede più alla pittura.
Io sono infantile. L'abbecedario della pittura di Laura Cherubini, romana, allieva di Maurizio Fagiolo dell'Arco e iniziata all'arte contemporanea da Achille Bonito Oliva, è tra i protagonisti della critica italiana. Il saggio, partendo dal concetto personale dell'artista di monocromo, inteso come azzeramento del tutto nonché espediente di abbandono dell'informale per un'arte nuovamente figurativa, analizza il ripetersi nel tempo di opere realizzate con questa tecnica ed il loro significato.
In diretta dalla luna. Gli anni settanta di Mario Schifano di Marco Meneguzzo, critico d'arte vicentino, docente all'Accademia di Brera. Lo scritto mette in luce la fase in cui il pittore si allontana dal linguaggio "passatista" della pittura per adottare quello tecnologico derivante dal diffondersi della cultura televisiva.
Schifano, gli anni ottanta: post-espressionismo tedesco e Transavanguardia di Arturo Carlo Quintavalle, docente di Storia dell'Arte all'Università di Parma. Quintavalle, partendo dalla fine della riflessione sui media di Schifano, analizza il linguaggio della fase successiva, influenzato dalla Transavanguardia e, soprattutto, dal Neoespressionismo tedesco. La pittura si fa materica, densa e violenta, ma, a differenza dei movimenti che lo ispirano, l'arte di Schifano è insolitamente gioiosa e mostra una realtà trasognata e mitica.
Io mi sento come un media. Mario Schifano degli anni novanta di Angelandreina Rorro, curatrice di mostre ed esperta di arte contemporanea. Nel saggio si espone la propensione dell'artista verso la multimedialità ritenuta da Schifano uno spazio di comunicazione sociale, da privilegiarsi perché capace di "parlare" a tutta la società, per un'arte che sia di massa e non culturalmente elitaria.
Le successive 120 pagine illustrano, in ordine cronologico, ma senza alcun riferimento alle sezioni della mostra, le opere esposte dipinte e su carta. Ci spiace rilevare a pagina 116 l'errore in Senza titolo (Omaggio a De Chirico), il cognome dell'artista è "de Chirico" e non "De Chirico", a dispetto di coloro che ideologicamente hanno abolito la nobiltà ! Qualità e dimensioni delle immagini sono considerevoli. Infine, le rimanenti 45 pagine riportano apparati molto utili al lavoro di ricerca di coloro che cominciano a conoscere l'artista: alla piacevole ed interessante Antologia Letteraria segue una puntuale biografia e quattro sintetiche sezioni, organizzate cronologicamente (mostre personali, principali esposizioni collettive, filmografia e bibliografia selezionata).
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