Classico che significa ?
Che è pertinente alla civiltà greca e latina ? che si mantiene a lungo, durevole, continuo ? che è esemplare, tipico, caratteristico ? che è considerato modello di stile ?
Le opere in mostra si interrogano, sapendo che non c'è una risposta giusta, ma che non ce n'è nemmeno una sbagliata, e cominciano un dialogo tra di loro (facendo, poi, discutere anche tutti noi). Sono più di settanta, divise per sezioni dal curatore Bruno Corà e associate per temi (corpo, geometrie, equilibrio, spazio, segno, forma, luce, colore, storia, tempo, cicli, orientamenti). Dislocate all'ingresso, nella corte e nei due piani, recentemente restaurati, di uno dei palazzi più belli di Giovanbattista Vaccarini (l'architetto che nel Settecento ha inventato il barocco catanese), raccontano la complessa vicenda delle esperienze artistiche dell'ultimo secolo.
I classici sono indimenticabili e si mimetizzano nell'inconscio collettivo, pensava Calvino. Il classico è dato dalla durata con cui l'opera occupa il nostro immaginario, la coscienza, la percezione, il pensiero. L'autore classico ha saputo imporre un proprio codice, sarà poi la storia il grande spartiacque per definire la classicità. Tutto sta a capire quello che c'è stato prima e, soprattutto, che ci sarà dopo alcune determinate opere: le irreali piazze d'Italia di De Chirico, la ruota di bicicletta rovesciata su uno sgabello da Duchamp, le forme galleggianti di Malevic, le linee precise di Mondrian, le linee storte di Picasso, la juta di Burri, i tagli di Lucio Fontana, una fotografia di Mapplethorpe, un contenitore certificato da Manzoni, una carta sismografica disegnata da Beuys, un albero rinato dalla trave che aveva generato di Penone, le lettere di Boetti, i numeri di Opalka, le pietre di Richard Long e le "speculazioni" di Rebecca Horn.
Solo per dirne alcune presenti temporaneamente a Palazzo Valle.
Poi ci sono le due opere che rimarranno in permanenza. I cappotti che il fantasma di un racconto di Gogol sembra avere rubato alla falsa borghesia, perché Kounellis li appendesse ai ganci di un macellaio che ormai non lavorava più. E le pietre di Anselmo, leggere come quelle di Magritte, liberate dalla gravità da un semplice espediente della fisica, quello del nodo scorsoio, prestato alla magia dell'arte che annulla, così, nell'aria il peso di tonnellate.
Molte di queste opere mostrano come non ci siano più limiti nella libertà poetica, che ci sono principi e codici diversissimi, materiali e modalità operative mai considerate prima, una sempre più presente entità tecnica e scientifica, che scardinano ogni riferimento diretto al passato.
E il classico, allora ?
Per Gillo Dorfles, uno dei nomi più illustri tra i componenti il comitato scientifico della Fondazione Puglisi, nell'arte contemporanea il classico non c'è. Classico in arte è ciò che si rifà a un certo equilibrio, all'arte greca tra IV e V secolo o all'arte neoclassica tra XVIII e XIX. Quanto basta per aprire un dibattito su un tema che fa molto discutere critica e pubblico.
Secondo Franca Falletti è nell'anno 1504 che nasce la moderna idea di classico. L'anno in cui passano da Firenze tre grandi, chi prima, chi dopo, Michelangelo, Raffaello, Leonardo, e alla città viene presentato il David (che, secondo il Vasari, «tolse il grido a tutte le statue moderne e antiche, o greche o latine, che elle vi fussero»). Il classico, da questo momento, non è più un riferimento specifico ma una risorsa alla creatività.
Per José Jiménez la forza del classico è la sua "cristallizzazione" nel tempo, modello di riferimento nucleare, centrale, decisivo per il presente e per il futuro.
Per Giulio, bambino di una scuola elementare di Catania, il classico è quello che è bello. E come dargli torto, anche senza sapere niente delle teorie di Winckelmann, un classico brutto non s'è mai visto. L'arte contemporanea è, ancora una volta, motivo di riflessione sull'estetica e sulla soggettività del "bello" che sempre sfugge gli schemi e in ogni tempo si moltiplica.
Molte delle opere in esposizione spiegano qualcosa di prezioso per la comprensione dell'arte d'ogni tempo, il genio che sconvolge i linguaggi dell'arte spesso ha guardato a chi è venuto prima di lui, innovazione e tradizione coesistono insieme.
Salvatore Settis sostiene che c'è una forma ritmica della rinascita del classico nella cultura europea che sempre si ripete e a ogni ri-significazione si rafforza essendo sempre più inclusiva. Cosa sarebbero i classici dell'arte greca senza i classici dell'Egitto o della Mesopotamia ? Cosa sarebbero i classici dell'arte romana senza l'influenza di Etruschi, Galli, Britanni ? Così fino ai nostri giorni, fino all'arte contemporanea. Con la sua opera l'artista esprime il proprio pensiero, attraverso diverse forme e liberamente. L'arte insegna il rispetto di questo pensiero, della libertà di espressione, stimolando osservazione e senso critico.
«Perché quella perpetua invocazione e ridefinizione del "classico" null'altro è stata ed è che un incessante ricercare i nostri antenati, che per definizione sono lontani da noi e per definizione ci appartengono; che ci hanno generato e che noi generiamo e ri-generiamo ogni volta che li evochiamo nel presente e per il presente. Quanto più sapremo guardare al "classico" non come una morta eredità che ci appartiene senza nostro merito, ma come qualcosa di profondamente sorprendente ed estraneo, da riconquistare ogni giorno, come un potente stimolo a intendere il "diverso" tanto più da dirci esso avrà nel futuro» (Settis, 2004).
Forse, come diceva Kandinskij, l'arte ogni tanto somiglia alla religione proprio perché la sua evoluzione non è fatta di nuove verità che annullano le antiche (come spesso fa la scienza) ma è fatta di illuminazioni improvvise che si sommano come i bagliori dei fuochi d'artificio nel cielo di una lunga sera di festa.
LA MOSTRA
Costanti del classico nell'arte del XX e del XXI secolo
Fondazione Puglisi Cosentino, Palazzo Valle, Catania.
Dal 22 febbraio al 29 giugno 2009.
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