Intorno
agli anni 1493-95, Michelangelo Buonarroti, dopo la morte del suo protettore
Lorenzo il Magnifico, potrebbe avere eseguito dei Crocifissi di piccole
dimensioni.
È noto
che il tema del Crocifisso, caro agli scultori del ‘400, aveva introdotto
nell’arte il motivo della perfezione delle proporzioni umane, la cui massima
espressione è stata il corpo maschile nudo.
Il tema
era prediletto anche dal Savonarola, il quale aveva impostato la devozione dei
fedeli sulla figura del Cristo in croce, incoraggiando in questo modo la
produzione di crocifissi di medie e piccole dimensioni sia per cappelle che per
uso domestico.
Il Crocifisso
in questione, di recente acquistato dal ministero dei Beni culturali per la
cifra di 3 milioni e 250 mila euro, manifesta caratteristiche tali da far
ipotizzare l’attribuzione all’ancor giovane Michelangelo.
La
prima identificazione risale al 1962-64, compiuta da Margrit Lisner, ma il
dibattito è ancora aperto.
In
effetti il corpo del Cristo propone un’anatomia mediata sul vero, la quale può
essere resa solo attraverso una buona conoscenza del corpo umano. Sappiamo
tuttavia che gli studi effettuati sui cadaveri erano pratica proibita
all’epoca, si è infatti ipotizzato che all’artista fosse stato permesso di
effettuare studi sui cadaveri del lazzaretto gestito dai padri del convento di
Santo Spirito a Firenze.
L’opera,
quindi, sarebbe divenuta essa stessa dono tangibile da parte di Michelangelo
per il priore che tanto gli aveva concesso.
Il Crocifisso
apparteneva all’antiquario torinese Giancarlo Gallino. Ospitata fino al 4
Aprile nella galleria d’arte moderna di piazza Sant’Anna a Palermo, era inizialmente
in mostra presso il museo Horne, accanto a due crocifissi coevi, l’uno di Giuliano
da Sangallo, l’altro Baccio da Montelupo, con i quali è impossibile non fare un
confronto stilistico che evidenzia la perfezione formale del primo. Nonostante
ciò è indispensabile sottoporlo ad una disamina critica.
Molti
esperti di primo piano sono dell’idea che si tratta di un’opera di bottega, di
ottima fattura ma comunque seriale, ipotizzando nell’acquisto un’operazione
propagandistica.
Inoltre
la cifra pagata risulterebbe irrisoria se si fosse certi dell’attribuzione,
infatti un’opera autentica di Michelangelo potrebbe valere decine di milioni
sul mercato.
La
polemica è arrivata fino alla Procura regionale presso la corte dei Conti del
Lazio, che sull’acquisto ha avviato un’istruttoria. L’analisi dei magistrati ha
evidenziato un eventuale danno erariale allo Stato, ovvero il rapporto fra la
cifra sborsata e l’effettivo valore dell’opera. L’acquisto è quantomeno
discutibile di fronte alle enormi difficoltà di gestione ordinaria del
patrimonio culturale del nostro paese. Durissima è la posizione della consulta
nazionale degli storici dell’arte universitari nei confronti del governo.
Caratteristiche
Strutturali:
L’opera
sembra essere ispirata da umana pietà e presenta caratteristiche di struttura e
muscolatura analoghe a quelle di un altro Crocifisso di Michelangelo conservato
a Santo Spirito.
È stata
realizzata con legno di tiglio: alta cm 41,3 e larga cm 39,7.
Proprio
per le sue caratteristiche appare posteriore all’altro Crocifisso di S. Spirito
(1492-93), ma anteriore alla pietà romana (1497-99). Si riconduce quindi agli
anni del governo savonaroliano, più precisamente intorno al 1495.
È
probabile che in origine il corpo del Cristo fosse coperto da un perizoma. Un
dito del piede è andato perduto, mentre un altro rimosso perché posteriore alla
fattura dell’opera, dunque falso. Il cartiglio sopra la croce reca la scritta
“Jesus Nazoraeus Rex Judeorum” in ebraico, greco e latino. Queste iscrizioni
vanno lette da destra a sinistra.
La
capigliatura è stata realizzata con un impasto di stucco e stoppa e termina con
ciocche sulle spalle. Tra il 1700-1800 era stata ridipinta insieme alla barba
con dei colori più scuri, ma la pittura fu poi rimossa nel restauro.
Documenti:
Ascanio
Condivi (1525-1574), biografo di Michelangelo, ricorda che il maestro “ebbe col
detto priore molta intrinseca pratica, sì per ricever da lui molte cortesie, sì
per essere accomodato e di stanza e di corpi da poter fare notoria, del che
maggior piacer far non se gli poteva”.
Il Vasari
scrisse nelle “Vite” che “fece per la chiesa di Santo Spirito della città di
Firenze un Crocifisso ligneo…a compiacenza del priore il quale gli diede
comodità di stanze, dove molte volte scorticando corpi morti per studiare le
cose di notoria, cominciò a dare perfezione al gran disegno ch’egli ebbe”.
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