A Padova, fino al 31 gennaio 2010, si può visitare la
mostra “Telemaco Signorini e la pittura in Europa”, a cura di Fernando
Mazzocca, negli spazi espositivi di Palazzo Zabarella. L’esposizione mette a
confronto le opere di Telemaco Signorini - uno dei "Macchiaioli" più
noti anche a livello internazionale - con alcuni capolavori di maestri europei
del suo tempo, da Degas a Tissot, Decamps, Troyon, Corot, Courbet
e Rousseau. Una mostra che celebra l’ormai decennale attività della
trecentesca sede espositiva di Palazzo Zabarella con un artista internazionale,
unico o quasi, tra i Macchiaioli, a godere, in vita di successo e mercato
europeo.
Telemaco Signorini (1835–1901) esponente di
punta dei Macchiaioli tra i più ferventi
e dei più “arrabbiati”, protagonista della borghesia toscana ed europea, fu un
raffinato intellettuale, artista innovatore e spirito critico della realtà e
della società in cui viveva. L’Italia era da poco costituita, la borghesia
saliva al potere politico e la seconda rivoluzione industriale era alle porte.
Fiorentino di origine e figlio del vedutista Giovanni
Signorini, pittore del Granduca di Toscana, animò quegli anni febbrili
dell’arte con una nuova pittura di luce e atmosfera tipica del realismo
europeo. È forse l’unico pittore italiano veramente internazionale del suo
periodo, un vero spirito cosmopolita, desideroso di confrontarsi e capace di
rapportarsi con gli altri intellettuali e artisti.
A Firenze fu un assiduo frequentatore del Caffè
Michelangelo, punto di ritrovo di molti giovani artisti dove si scambiavano le
loro idee innovative, luogo in cui il critico Diego Martelli coniò il termine Macchiaiolo
e dove si fondò il gruppo del movimento artistico che influenzerà anche gli
Impressionisti francesi.
Il movimento dei Macchiaioli si è sviluppato a
Firenze tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento: rendevano le
impressioni che ricevevano dal vero con macchie di colori di chiari e di
scuri. Usavano una poetica verista in
opposizione al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo accademico, dove la
luce diventava l’elemento scatenante e innovatore di una rivoluzione artistica
che poi coinvolgerà tutte le massime espressioni dell'arte del Novecento.
Signorini frequentava i salotti di molti
intellettuali come la poetessa Mary Robinson, Violet Page (Vernon Lee) e quasi
certamente John Singer Sargent. Asseduo frequentatore anche della Parigi
intellettuale di Troyon, Corot, Zola e Degas con cui partecipa alle più
importanti rassegne. Viaggiatore dallo spirito curioso soggiorna in Borgona,
Svizzera e in Gran Bretagna. Un raffinato dandy, frequentatore dei salotti à
la page, intellettuale snob che preferiva “l’imperfetto dell’ingegno”
rispetto al “perfetto della mediocrità”.
Di lui dicevano che “non vi è nulla di sacro per
quella bocca infernale”, spaziò anche nella poesia e la narrativa con i suoi
celebri scritti Caricaturisti e caricature al Caffè Michelangelo in cui
riflette e critica l’arte dei Macchiaioli attraverso caricature, e il Zibaldone,
dove incollò i ritagli dei propri articoli di critica d'arte con illustrazioni
grafiche tratte da giornali del tempo (di suoi quadri, incisioni, acqueforti,
vignette), e tracciò di proprio pugno a inchiostro poesie, stornelli,
riflessioni autobiografiche, caricature.
Nella mostra patavina Signorini
si confronta con i colleghi internazionali senza però perdere forza e capacità:
ecco allora una delle maggiori icone dell’Ottocento, L’absinthe di Edgar
Degas oggi nella collezione del Musée d’Orsay di Parigi e presentata per la
prima volta all’esposizione degli Impressionisti del 1876, è ambientata nella terrace
del caffè Nouvelle Athènes, centro d’incontro dei pittori
impressionisti, in cui lo scorcio di vita parigina è rappresento attraverso un
originale taglio prospettico, con tutta la tensione di un momento di solitudine
e alienazione. Oppure l’olio di Jean-Baptiste Camille Corot, Paesaggio sul
lago, della collezione dell’ Ermitage di San Pietroburgo, dove un paesaggio
come questo, rivissuto nella memoria e interpretato come stato dell’animo,
influenzò decisamente Signorini, assiduo frequentatore del suo studio, nel
superamento dell’eccessivo realismo della prima fase della “macchia” verso una
pittura sfumata e dalle valenze sentimentali. Per Signorini poi, fu molto
importante l’amicizia con Coubert che
per lui è sempre stato l’ideale dell’artista impegnato a cui ispirarsi
nell’affrontare temi di denuncia sociale. In mostra il suo Autoritratto
nella prigione di Sainte-Pélagie a Parigi in cui Courbet si autoritrae in
modo assolutamente coinvolgente ed originale nella prigione dove fu rinchiuso per sei mesi a causa della
sua complicità nella distruzione della
colonna Vendôme durante i disordini
della Comune di Parigi.
Dai temi tipici del movimento Signorini spesso si
isolò per una ricerca improntata maggiormente sui temi sociali e impegnati come
nell’opera L’Alzaia del 1864, scelta come emblema della mostra, in cui
ci racconta dello sfruttamento dei lavoratori e la vita degli emarginati.
Sull’argine (alzaia) dell’Arno, cinque uomini
trascinano qualcosa di pesante, forse una chiatta, dove la fatica è percepita
grazie alla composizione di luci e ombre. Sono cinque uomini-mulo rappresentati
dall’alto verso il basso, con le schiene spezzate dalla fatica nella luce di un
sole che non vuole tramontare. Con
quest’opera fortissima si “chiude definitivamente la fase sperimentale della
macchia. Non si tratta solo di un esempio di pittura di denuncia, ispirata a
Courbet, sul tema dello sfruttamento dei lavoratori e della ingiustizia
sociale, ma di una grandiosa metafora della vita umana, del dolore e della
fatica di vivere. E’ un’immagine che conserva intatta la sua attualità e ci
colpisce con la sua violenza espressiva affidata al puro colore” (F.
Mazzocca).
Il suo spirito rivoluzionario e
critico emerge anche nell’opera La sala delle agitate nell’ospedale di San
Bonifazio del 1865, di proprietà della Galleria internazionale d’Arte
Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, comunemente conosciuta come “le Agitate”, che
tratta il tema della malattia mentale, la pazzia. L’opera, per il forte taglio
prospettico e la violenza del chiaroscuro, suscitò l’ammirazione di Degas ma fu
aspramente criticata e turbò molti alla sua prima esposizione perché esercitava
spaventose attrazioni “all’abisso”, a detta del commediografo Giuseppe Giocosa
(1847–1906). Nell’opera Signorini tratta
l’emarginazione dei matti rinchiusi negli ospedali pari a quella dei lavoratori
sfruttati e dei carcerati.
Due esempi di come l’arte non è più solo la
rappresentazione del bello, ma che è anche denuncia di una realtà spesso
dimenticata, un’arte che ha anche un valore politico di accusa e impegno. Da
una parte lo sforzo di questi uomini vuole essere una metafora della vita
umana, del dolore e della fatica di vivere, mentre dall’altra lo sguardo del
pittore si ferma sugli atteggiamenti esasperati delle donne rinchiuse nello
stanzone dell’antico manicomio fiorentino, in una atmosfera cupa e opprimente
segnata da una luce livida.
Telemaco
Signorini pittore, intellettuale e critico, un uomo straordinario che seppe
raccontarci con la sua arte la società e un’epoca.
Scheda tecnica: TELEMACO
SIGNORINI E LA PITTURA
IN EUROPA Padova,
Palazzo Zabarella 19 settembre
2009 – 31 gennaio 2010 Palazzo
Zabarella Via S.
Francesco, 27 35121 Padova www.palazzozabarella.it
Catalogo: Telemaco Signorini e la pittura in Europa (a
cura di Giuliano Matteucci, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi) Marsilio editori formato cm 24 x 29, pp. 268 con 126 ill. a col e 40
b/n anno 2009 ISBN: 978-88-317-9840-2
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