Un omaggio a colui che è
stato il principale pittore ferrarese del XIX secolo attraverso una mostra
allestita proprio nella sua città natale. Giovanni
Boldini nella Parigi degli impressionisti, come dice il titolo, intende
analizzare quel quindicennio di fervida attività (dal 1871 al 1886) che lo rese
un protagonista indiscusso della vita artistica della Ville Lumiére di quegli
anni, a fianco di altri grandissimi pittori con cui entrò in contatto, primo
tra tutti Edgar Degas. La mostra, però, indaga anche gli anni della giovinezza
di Boldini nella Firenze dei Macchiaioli che influenzarono la sua produzione
giovanile. Un’esposizione, quindi, più mirata e selettiva rispetto alla grande
mostra monografica che si tenne nel 2005 prima a Padova a palazzo Zabarella e
poi a Roma alla Galleria Nazionale d’arte moderna. In questo caso è stato
determinante l’apporto dello Sterling and Francine Clark Art Institute di
Williamstown nel Massachusetts: si tratta dell’unica istituzione d’oltreoceano
che possiede un numero rilevante di opere di Boldini e il prossimo anno,
infatti, ospiterà la tappa americana della mostra.
Si diceva appunto
un’esposizione più ristretta delle precedenti e che forse poco aggiungerà
all’ormai ampia bibliografia che è stata raccolta sull’artista ferrarese negli
ultimi decenni. Lo scopo, spiegano i curatori, è fare luce su quegli anni
duranti i quali Boldini, per dirla con le sue stesse parole, dipingeva «quadri
di tutti i generi che sparivano facilmente perché avevo molto successo», opere
tutte di pregevole qualità. L’ordine, quindi, non è tanto cronologico ma
tematico, con circa novanta tra quadri e bozzetti di vario formato provenienti
da importanti collezioni pubbliche e private d’Italia. La mostra “gioca”
ovviamente in casa, dato che una buona percentuale di opere, poco meno della
metà, proviene dal museo Giovanni Boldini delle Gallerie d’arte moderna e
contemporanea di Ferrara.
Nella prima sala si può
ammirare il Ritratto di Lilia Monti,
forse la sua prima opera realizzata a Firenze nel 1864-’65. All’epoca l’artista
era poco più che ventenne: il suo amico Telemaco Signorini, pittore macchiaiolo
ma anche brillante cronista dell’epoca, scriverà che quelle immagini «hanno per
fondo ciò che presenta lo studio: quadri, stampe e altri oggetti», riferendosi
allo studio dell’artista che veniva curiosamente utilizzato come scenografia
per i suoi quadri. I personaggi che ritrae in questo periodo giovanile sono
proprio gli amici macchiaioli, come Giovanni
Fattori nel suo studio o il noto critico, nonché sostenitore del movimento,
Diego Martelli. Nella seconda sala,
“L’arrivo a Parigi e la ricerca del successo”, si incontrano le prime opere
dove l’influenza impressionista è evidente, almeno nei soggetti: la Suonatrice di chitarra e la Coppia in abito spagnolo con due pappagalli,
hanno temi spagnoleggianti che Boldini non tratterà più negli anni seguenti, ma
dove è evidente l’interesse suscitato dalle analoghe opere di Edouard Manet.
Presenti anche altre tele con temi altrettanto inconsueti, perché riproducono scenari
e costumi settecenteschi, come Due dame
al pianoforte o la Passeggiata di
mezzogiorno a Versailles. Quadri davvero stupefacenti: osservandoli si nota
come inizia a comparire quella pennellata agile che con pochi tocchi riesce a
ricreare lo spirito di un’epoca.
Proseguendo nelle sale
successive, si stenta quasi a credere che si sta ammirando un artista italiano
partito da premesse macchiaiole: scene di vita urbana come Attraversando la strada o Place
Clichy sembrerebbero davvero dipinte da un francese, se non fosse che è
ancora presente un disegno tradizionale, retaggio dello studio dell’arte
italiana, mentre al posto della tecnica a macchie, tipica degli impressionisti,
troviamo piccole pennellate alternate a densi tocchi di colore. Colpisce poi, in
particolare, il taglio originale – quasi fotografico – che troviamo in tante
altre vedute impressioniste come in quelle di Caillebotte e soprattutto di
Degas, artista con il quale Boldini strinse una forte amicizia, nonostante il
noto carattere scorbutico del francese. Davvero sorprendente, poi, quello che
resta di una grande tela con Cavalli in
corsa. In particolare, lo studio preparatorio intitolato Notturno a Montmartre (matita su carta),
sembra quasi prefigurare la pittura dei futuristi per come viene reso il senso
di impeto e velocità degli animali attraverso la moltiplicazione delle zampe
con tratti veloci e decisi.
C’è di tutto, nella
produzione di Boldini: lo dimostrano, nelle sale seguenti, gli ariosi paesaggi
come La grande strada a Combes-la-Ville o La Senna a Bougival, tipica veduta, quest’ultima ritratta da tanti
impressionisti come Monet o Sisley, o ancora le scene di vita notturna parigina
come All’Opéra di Parigi, Il maestro Emanuele Muzio sul podio e
soprattutto La cantante mondana. In
quest’ultima opera, più ancora che nelle altre, è evidente il debito da Degas
per lo scorcio estremamente originale della composizione, come la figura del
pianista a sinistra che viene ad essere quasi completamente tagliata dalla
scena. Si passa poi ai voluttuosi nudi femminili e ai celebri ritratti eseguiti
con pennellate veloci; immagini, queste, note soprattutto per le pose
disinvolte dei personaggi. Un aspetto tanto più evidente quando i soggetti sono
femminili, con quegli abiti svolazzanti e quelle pose allegra e maliziose che
gli fece guadagnare il soprannome di “ritrattista della Belle Époque”.
Notissimo, poi, il Ritratto di Giuseppe
Verdi con il cappello a cilindro e lo sguardo malinconico puntato verso il
basso (un’immagine nota a molti per essere stata riprodotta sulle vecchie mille
lire). Non mancano i ritratti ai colleghi amici come il già citato Degas o
l’americano Whistler, che come tecnica presenta molti aspetti in comune con
Boldini, soprattutto per l’uso del nero. Molto originale, poi, la sezione sugli
“interni della casa e l’atelier”, dove appare un busto di Bernini inserito come
suppellettile nello sfondo. Divertente – se si può utilizzare un simile
aggettivo per un quadro – è la Dama in
nero che guarda il pastello della “Signora Emiliana Concha de Ossa” dove
l’artista riproduce un altro suo noto quadro, qui coperto in gran parte
dall’elegante silhouette della spettatrice vista di spalle. Un “quadro nel
quadro”, una autocitazione divertente e giocosa, come d’altronde le cronache
dell’epoca descrivono il carattere dello stesso Boldini.
L’ultimo salone presenta
finalmente alcuni tra i suoi capolavori più celebri: i grandi ritratti a
grandezza naturale dei giovani Errazuriz
che sorprendono soprattutto per la malizia con cui il pittore ritrae i due ragazzini,
in particolare la bambina che guarda fisso lo spettatore con una posa a dir
poco lolitesca. Opere che, come nel caso di del Ritratto di Whistler o di Lady
Colin Campbell, sono soprattutto uno studio approfondito del bianco in
tutte le sue sfumature, dall’argentato al bianco più opaco, oppure del già
citato colore nero, mai usato dagli impressionisti più “rigorosi”, ma al
contrario molto amato da Manet e Degas, che restano i più vicini per spirito e
sensibilità a Boldini.
La mostra merita
senz’altro di essere vista da chiunque ami Boldini o non abbia visto le
precedenti esposizioni: questa in corso non può reggere il confronto per il
numero più esiguo di opere esposte. Nulla da eccepire sul tipo di allestimento
e sui pannelli esplicativi, davvero esaurienti. Alcune obiezioni però vanno
fatte: se il titolo e l’obiettivo dei curatori, come più volte ripetuto nel
catalogo, puntano l’accento sui confronti e le influenze dell’artista con i
Macchiaioli prima e gli Impressionisti poi – visto che si è voluto calare
l’artista nel contesto di quegli
anni ancora poco studiati nella sua biografia artistica – perché allora non
esporre opere di questi altri artisti? Al di là dell’inevitabile questione di
costi legata alle opere impressioniste, la possibilità di poter confrontare
Boldini direttamente con i vari Degas, Manet, Pissarro o anche con il
“realista” Courbet – invece che un paio di ritratti di Whistler – sarebbe stata sicuramente più stimolante per lo spettatore. Per non parlare degli altri
italiani, primi tra tutti les italiens de
Paris come De Nittis o Zandomeneghi, per far capire il gioco di scambi e
influenze che ebbero tra di loro (curiosamente, questi ultimi due sono stati
invece messi a confronto con Renoir in una mostra tenutasi due anni fa a
Barletta).
Neanche a farlo apposta,
poi, proprio il giorno prima dell’inaugurazione di questa mostra, a Padova –
proprio in quel palazzo Zabarella dove nel 2005 era stata ospitata la grande
mostra su Boldini – veniva inaugurata la prima monografica su Telemaco Signorini:
un artista, come detto poc’anzi, che fu vicino al ferrarese negli anni intorno
al 1865 e con il quale i punti in comune sono molti. Sarebbe stato bello
“integrare” le due mostre, distanti tra loro poche decine di chilometri, con
alcune iniziative come biglietti scontati o servizi didattici in comune. Questo
nonostante la mostra su Signorini abbia dimensioni più vaste e molte più opere,
ma, proprio perché tra queste ve ne sono alcune del suo amico Boldini (e lo
stesso museo ferrarese figura nell’albo dei prestatori), i comitati
organizzatori avrebbero potuto pensare ad “unire le forze”.
IL CATALOGO
Davvero ben fatto, come
d’altronde ci ha ben abituato Ferrara Arte con i cataloghi delle altre mostre
tenute a Palazzo dei Diamanti. Due i saggi, ma ben approfonditi: il primo, più
lungo, è di Sarah Lees del museo americano Sterling and Francine Clark Art
Institute, e analizza la biografia di Boldini negli anni parigini. Il secondo,
di Richard Kendall, studia invece il disegno dell’artista, tema interessante
perché rivela il passaggio dagli studi accademici dei primi anni agli schizzi
sempre più rapidi con i quali metterà poi a punto le opere della maturità; un
aspetto, questo, che lo differenzia dagli amici impressionisti. Un altro
aspetto positivo è l’assenza di schede per ogni singola opera. Qui sono
sostituite dalle ampie spiegazioni che introducono le sezioni tematiche sala
per sala, nelle quali vengono citate di volta in volta le varie opere esposte.
Lo ritengo positivo perché ormai i cataloghi si sono ridotti a “contenitori” di
saggi critici lunghissimi e spesso in sovrannumero rispetto a quelli che
sarebbero necessari, mentre le schede non sono diventate altro che uno sfoggio,
da parte del redattore, per citare tutta la bibliografia antecedente su quella
data opera e controbattere magari ai testi i meno graditi di critici “rivali”.
Con il risultato che i volumi diventano spesso illeggibili per il lettore
comune, che vorrebbe avere solo qualche informazione su quell’opera. La
curatrice della sezione delle opere è una giovane studiosa italiana, Barbara
Guidi, che ha discusso a Firenze due anni fa la sua tesi di dottorato
incentrata proprio sulla carriera di un artista della “Terza Repubblica” alla
luce dell’edizione critica della sua corrispondenza inedita e di altri
documenti conservati al museo Boldini di Ferrara.
LA MOSTRA
Boldini nella Parigi degli Impressionisti
Fino al 10 gennaio 2010
Ferrara, Palazzo dei
Diamanti
Orari di apertura: tutti i giorni, ore 9 – 19
Informazioni:
tel. 0532.244949
http://www.palazzodiamanti.it
diamanti@comune.fe.it
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