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Un italiano alla corte degli impressionisti  
Andrea D'Agostino
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 21 Ottobre 2009, n. 540
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Area Mostre

Un omaggio a colui che è stato il principale pittore ferrarese del XIX secolo attraverso una mostra allestita proprio nella sua città natale. Giovanni Boldini nella Parigi degli impressionisti, come dice il titolo, intende analizzare quel quindicennio di fervida attività (dal 1871 al 1886) che lo rese un protagonista indiscusso della vita artistica della Ville Lumiére di quegli anni, a fianco di altri grandissimi pittori con cui entrò in contatto, primo tra tutti Edgar Degas. La mostra, però, indaga anche gli anni della giovinezza di Boldini nella Firenze dei Macchiaioli che influenzarono la sua produzione giovanile. Un’esposizione, quindi, più mirata e selettiva rispetto alla grande mostra monografica che si tenne nel 2005 prima a Padova a palazzo Zabarella e poi a Roma alla Galleria Nazionale d’arte moderna. In questo caso è stato determinante l’apporto dello Sterling and Francine Clark Art Institute di Williamstown nel Massachusetts: si tratta dell’unica istituzione d’oltreoceano che possiede un numero rilevante di opere di Boldini e il prossimo anno, infatti, ospiterà la tappa americana della mostra.

 

Si diceva appunto un’esposizione più ristretta delle precedenti e che forse poco aggiungerà all’ormai ampia bibliografia che è stata raccolta sull’artista ferrarese negli ultimi decenni. Lo scopo, spiegano i curatori, è fare luce su quegli anni duranti i quali Boldini, per dirla con le sue stesse parole, dipingeva «quadri di tutti i generi che sparivano facilmente perché avevo molto successo», opere tutte di pregevole qualità. L’ordine, quindi, non è tanto cronologico ma tematico, con circa novanta tra quadri e bozzetti di vario formato provenienti da importanti collezioni pubbliche e private d’Italia. La mostra “gioca” ovviamente in casa, dato che una buona percentuale di opere, poco meno della metà, proviene dal museo Giovanni Boldini delle Gallerie d’arte moderna e contemporanea di Ferrara.

 

Nella prima sala si può ammirare il Ritratto di Lilia Monti, forse la sua prima opera realizzata a Firenze nel 1864-’65. All’epoca l’artista era poco più che ventenne: il suo amico Telemaco Signorini, pittore macchiaiolo ma anche brillante cronista dell’epoca, scriverà che quelle immagini «hanno per fondo ciò che presenta lo studio: quadri, stampe e altri oggetti», riferendosi allo studio dell’artista che veniva curiosamente utilizzato come scenografia per i suoi quadri. I personaggi che ritrae in questo periodo giovanile sono proprio gli amici macchiaioli, come Giovanni Fattori nel suo studio o il noto critico, nonché sostenitore del movimento, Diego Martelli. Nella seconda sala, “L’arrivo a Parigi e la ricerca del successo”, si incontrano le prime opere dove l’influenza impressionista è evidente, almeno nei soggetti: la Suonatrice di chitarra e la Coppia in abito spagnolo con due pappagalli, hanno temi spagnoleggianti che Boldini non tratterà più negli anni seguenti, ma dove è evidente l’interesse suscitato dalle analoghe opere di Edouard Manet. Presenti anche altre tele con temi altrettanto inconsueti, perché riproducono scenari e costumi settecenteschi, come Due dame al pianoforte o la Passeggiata di mezzogiorno a Versailles. Quadri davvero stupefacenti: osservandoli si nota come inizia a comparire quella pennellata agile che con pochi tocchi riesce a ricreare lo spirito di un’epoca.

 

Proseguendo nelle sale successive, si stenta quasi a credere che si sta ammirando un artista italiano partito da premesse macchiaiole: scene di vita urbana come Attraversando la strada o Place Clichy sembrerebbero davvero dipinte da un francese, se non fosse che è ancora presente un disegno tradizionale, retaggio dello studio dell’arte italiana, mentre al posto della tecnica a macchie, tipica degli impressionisti, troviamo piccole pennellate alternate a densi tocchi di colore. Colpisce poi, in particolare, il taglio originale – quasi fotografico – che troviamo in tante altre vedute impressioniste come in quelle di Caillebotte e soprattutto di Degas, artista con il quale Boldini strinse una forte amicizia, nonostante il noto carattere scorbutico del francese. Davvero sorprendente, poi, quello che resta di una grande tela con Cavalli in corsa. In particolare, lo studio preparatorio intitolato Notturno a Montmartre (matita su carta), sembra quasi prefigurare la pittura dei futuristi per come viene reso il senso di impeto e velocità degli animali attraverso la moltiplicazione delle zampe con tratti veloci e decisi.

 

C’è di tutto, nella produzione di Boldini: lo dimostrano, nelle sale seguenti, gli ariosi paesaggi come La grande strada a Combes-la-Ville o La Senna a Bougival, tipica veduta, quest’ultima ritratta da tanti impressionisti come Monet o Sisley, o ancora le scene di vita notturna parigina come All’Opéra di Parigi, Il maestro Emanuele Muzio sul podio e soprattutto La cantante mondana. In quest’ultima opera, più ancora che nelle altre, è evidente il debito da Degas per lo scorcio estremamente originale della composizione, come la figura del pianista a sinistra che viene ad essere quasi completamente tagliata dalla scena. Si passa poi ai voluttuosi nudi femminili e ai celebri ritratti eseguiti con pennellate veloci; immagini, queste, note soprattutto per le pose disinvolte dei personaggi. Un aspetto tanto più evidente quando i soggetti sono femminili, con quegli abiti svolazzanti e quelle pose allegra e maliziose che gli fece guadagnare il soprannome di “ritrattista della Belle Époque”. Notissimo, poi, il Ritratto di Giuseppe Verdi con il cappello a cilindro e lo sguardo malinconico puntato verso il basso (un’immagine nota a molti per essere stata riprodotta sulle vecchie mille lire). Non mancano i ritratti ai colleghi amici come il già citato Degas o l’americano Whistler, che come tecnica presenta molti aspetti in comune con Boldini, soprattutto per l’uso del nero. Molto originale, poi, la sezione sugli “interni della casa e l’atelier”, dove appare un busto di Bernini inserito come suppellettile nello sfondo. Divertente – se si può utilizzare un simile aggettivo per un quadro – è la Dama in nero che guarda il pastello della “Signora Emiliana Concha de Ossa” dove l’artista riproduce un altro suo noto quadro, qui coperto in gran parte dall’elegante silhouette della spettatrice vista di spalle. Un “quadro nel quadro”, una autocitazione divertente e giocosa, come d’altronde le cronache dell’epoca descrivono il carattere dello stesso Boldini.

 

L’ultimo salone presenta finalmente alcuni tra i suoi capolavori più celebri: i grandi ritratti a grandezza naturale dei giovani Errazuriz che sorprendono soprattutto per la malizia con cui il pittore ritrae i due ragazzini, in particolare la bambina che guarda fisso lo spettatore con una posa a dir poco lolitesca. Opere che, come nel caso di del Ritratto di Whistler o di Lady Colin Campbell, sono soprattutto uno studio approfondito del bianco in tutte le sue sfumature, dall’argentato al bianco più opaco, oppure del già citato colore nero, mai usato dagli impressionisti più “rigorosi”, ma al contrario molto amato da Manet e Degas, che restano i più vicini per spirito e sensibilità a Boldini.

 

La mostra merita senz’altro di essere vista da chiunque ami Boldini o non abbia visto le precedenti esposizioni: questa in corso non può reggere il confronto per il numero più esiguo di opere esposte. Nulla da eccepire sul tipo di allestimento e sui pannelli esplicativi, davvero esaurienti. Alcune obiezioni però vanno fatte: se il titolo e l’obiettivo dei curatori, come più volte ripetuto nel catalogo, puntano l’accento sui confronti e le influenze dell’artista con i Macchiaioli prima e gli Impressionisti poi – visto che si è voluto calare l’artista nel contesto di quegli anni ancora poco studiati nella sua biografia artistica – perché allora non esporre opere di questi altri artisti? Al di là dell’inevitabile questione di costi legata alle opere impressioniste, la possibilità di poter confrontare Boldini direttamente con i vari Degas, Manet, Pissarro o anche con il “realista” Courbet – invece che un paio di ritratti di Whistler – sarebbe stata sicuramente più stimolante per lo spettatore. Per non parlare degli altri italiani, primi tra tutti les italiens de Paris come De Nittis o Zandomeneghi, per far capire il gioco di scambi e influenze che ebbero tra di loro (curiosamente, questi ultimi due sono stati invece messi a confronto con Renoir in una mostra tenutasi due anni fa a Barletta).

 

Neanche a farlo apposta, poi, proprio il giorno prima dell’inaugurazione di questa mostra, a Padova – proprio in quel palazzo Zabarella dove nel 2005 era stata ospitata la grande mostra su Boldini – veniva inaugurata la prima monografica su Telemaco Signorini: un artista, come detto poc’anzi, che fu vicino al ferrarese negli anni intorno al 1865 e con il quale i punti in comune sono molti. Sarebbe stato bello “integrare” le due mostre, distanti tra loro poche decine di chilometri, con alcune iniziative come biglietti scontati o servizi didattici in comune. Questo nonostante la mostra su Signorini abbia dimensioni più vaste e molte più opere, ma, proprio perché tra queste ve ne sono alcune del suo amico Boldini (e lo stesso museo ferrarese figura nell’albo dei prestatori), i comitati organizzatori avrebbero potuto pensare ad “unire le forze”.

 

 


IL CATALOGO

Davvero ben fatto, come d’altronde ci ha ben abituato Ferrara Arte con i cataloghi delle altre mostre tenute a Palazzo dei Diamanti. Due i saggi, ma ben approfonditi: il primo, più lungo, è di Sarah Lees del museo americano Sterling and Francine Clark Art Institute, e analizza la biografia di Boldini negli anni parigini. Il secondo, di Richard Kendall, studia invece il disegno dell’artista, tema interessante perché rivela il passaggio dagli studi accademici dei primi anni agli schizzi sempre più rapidi con i quali metterà poi a punto le opere della maturità; un aspetto, questo, che lo differenzia dagli amici impressionisti. Un altro aspetto positivo è l’assenza di schede per ogni singola opera. Qui sono sostituite dalle ampie spiegazioni che introducono le sezioni tematiche sala per sala, nelle quali vengono citate di volta in volta le varie opere esposte. Lo ritengo positivo perché ormai i cataloghi si sono ridotti a “contenitori” di saggi critici lunghissimi e spesso in sovrannumero rispetto a quelli che sarebbero necessari, mentre le schede non sono diventate altro che uno sfoggio, da parte del redattore, per citare tutta la bibliografia antecedente su quella data opera e controbattere magari ai testi i meno graditi di critici “rivali”. Con il risultato che i volumi diventano spesso illeggibili per il lettore comune, che vorrebbe avere solo qualche informazione su quell’opera. La curatrice della sezione delle opere è una giovane studiosa italiana, Barbara Guidi, che ha discusso a Firenze due anni fa la sua tesi di dottorato incentrata proprio sulla carriera di un artista della “Terza Repubblica” alla luce dell’edizione critica della sua corrispondenza inedita e di altri documenti conservati al museo Boldini di Ferrara.



LA MOSTRA

Boldini nella Parigi degli Impressionisti

Fino al 10 gennaio 2010

 

Ferrara, Palazzo dei Diamanti

 

Orari di apertura: tutti i giorni, ore 9 – 19

Informazioni: tel. 0532.244949

http://www.palazzodiamanti.it

diamanti@comune.fe.it




La cantante mondana

Fig. 1
GIOVANNI BOLDINI, La cantante mondana, 1884 ca.
Olio su tela
cm. 61 x 46
Collezione Fondazione Carife, in deposito presso le Gallerie d'Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara

Ritratto di Giuseppe Verdi col cilindro

Fig. 2
GIOVANNI BOLDINI, Ritratto di Giuseppe Verdi col cilindro, 1886
Pastello su carta preparata
mm. 650 x 540
Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

Madame Charles Max

Fig. 3
GIOVANNI BOLDINI, Madame Charles Max, 1896
Olio su tela
205 x 100 cm.
Parigi, Musée d'Orsay. Dono di Madame Charles Max
© RMN, Musée d'Orsay / © foto Hervé Lewandowski

Lady Colin Campbell

Fig. 4
GIOVANNI BOLDINI, Lady Colin Campbell, 1894
Olio su tela
cm. 184,3 x 120,2
Londra, National Portrait Gallery. Dono di Lady Colin Campbell
© National Portrait Gallery

Ritratto di James McNeill Whistler

Fig. 5
GIOVANNI BOLDINI, Ritratto di James McNeill Whistler, 1897
Olio su tela
cm. 170,5 x 94,4
New York, Brooklyn Museum. Dono di A. Augustus Healy

Cléo de Merode

Fig. 6
GIOVANNI BOLDINI, Cléo de Merode, 1901
Olio su tela
cm. 97,8 x 81,3
Collezione privata


	

Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

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