I. La
Calunnia di Apelle. Breve ricognizione delle fonti testuali ed
iconografiche
Le Vite di Giorgio Vasari, contraddistinte
da arguzia narrativa e precisione nei rimandi biografici ed artistici, non mancano
di segnalare, in merito alla produzione botticelliana, “una tavola dentrovi la Calumnia di Apelle, dove
Sandro divinamente imitò il capriccio di quello antico pittore, e la donò ad
Antonio Segni suo amicissimo” (Vasari, 1986,
I, 478-9). Questi, appartenente alla prestigiosa famiglia dei Segna Guidi, non è mai citato dalle fonti come committente: è
dunque ipotizzabile che sia entrato in possesso dell'opera proprio in virtù dell'amicizia
con il pittore, o, più verosimilmente, perché il dipinto, la cui datazione in
sede critica oscilla tra il 1493 ed il 1500, non sembrava più pertinente al suo
primo destinatario, da identificare, forse, con Piero de' Medici.
Il soggetto
rimanda all'ekphrasis di Luciano di
Samosata contenuta nel De Calumnia
(II sec. d.C.) che, integralmente riportata da Leon Battista Alberti nel terzo libro
del trattato De Pictura (1435), si
pone quale riferimento imprescindibile per i numerosi tentativi di
trasposizione pittorica e quale affidabile chiave di lettura per la versione
botticelliana.
Il trattato
lucianeo, apparentemente dimenticato in Occidente durante il Medioevo,
sopravvive nell'Oriente bizantino ove conosce un'ampia diffusione nelle scuole
in quanto valido esempio di ekphrasis.
Non è un caso, quindi, che Guarino da Verona intraprenda la traduzione di
questo testo (tra il 1403 ed il 1408) proprio a Costantinopoli, sede d'elezione
per l'apprendimento del greco. In una lettera indirizzata al patrizio veneto
Giovanni Querini, destinatario della traduzione del De Calumnia, Guarino definisce quella lucianea una “elegante
operetta”: il recupero avvenuto nel XV sec. si deve quindi alle qualità
stilistiche, retoriche e lessicali dell'ekphrasis.
Inizialmente
circoscritto ad un'élite di umanisti
ed intellettuali, il tema conosce una notevole diffusione solo grazie alla
puntuale ripresa contenuta nel trattato albertiano.
Il motivo
della Calunnia di Apelle, sviluppato in molte varianti testuali ed iconografiche,
assume particolare rilevanza nella produzione figurativa italiana a partire dal
1472, anno della sua prima rappresentazione miniata per mano dello stesso
traduttore Bartolomeo Fonzio. Questa prima versione in italiano, dedicata ad
Ercole I d'Este, è introdotta da una miniatura che elude in parte le
indicazioni ecfrastiche di Luciano. L'autore del II sec. d. C., riproponendo un
esercizio di stile tipico della Seconda Sofistica, consentiva all'ascoltatore
di riconvertire in linguaggio visivo la descrizione del dipinto, impostando il
ritmo da sinistra a destra e tripartendo con accorta precisione i gruppi di
Allegorie. Fonzio, per contro, prende le distanze dal prototipo lucianeo mediante
piccole ma rilevanti variazioni concernenti sia il ritmo della composizione che
gli attributi delle figure.
La
trasposizione iconografica botticelliana è decisamente più filologica ed il
richiamo a Luciano è ribadito sottilmente dal fregio che ospita la Famiglia dei Centauri (alla base del piedistallo
del giudice), soggetto analogamente desunto e riconvertito in immagine
dall'opera lucianea Non bisogna prestar
fede alla Calunnia.
Nel corso del
secolo successivo la fortuna critica del soggetto conosce un momento di
particolare splendore, e se l'approccio di Andrea Mantegna (attorno al 1504-1506)
è di natura archeologica, quello di Baldassarre Peruzzi (1516-1518) risulta decisamente
monumentale e fieramente memore del linguaggio “proto-archeologico” dell'ultimo
Raffaello. La disposizione delle figure avvicina questa scena di giudizio ad un
consesso di Muse o di ninfe di ascendenza pagana, avvolte da panneggi che
richiamano l'Antico con la stessa enfasi delle strutture architettoniche di
sapore classicheggiante.
Nel Nord
Europa la tradizione prende avvio dal disegno di Albrecht Dürer del 1522 e si
caratterizza per un approccio intellettuale ed erudito che affonda le proprie
radici nel metodo di analisi filologica inaugurato da Erasmo da Rotterdam,
laddove in Italia il periodo più squisitamente critico sembra chiudersi con la
versione di Federico Zuccari del 1572.
La frammentaria
situazione politica della Penisola, caratterizzata dalla presenza di ducati e
signorie, incentiva la diffusione di questo tema, riletto ad hoc come allegoria morale e didattica e come monito ai governanti
di non prestar fede alle false accuse. Per questo motivo la figura in trono
(Tolomeo nell'ecfrasi) diviene paradigmatica del “cattivo giudice”, passaggio facilitato peraltro dalle orecchie d'asino che contraddistinguono anche re Mida,
il giudice corrotto nella contesa Apollo-Marsia, nonché figura antitetica
rispetto all'integerrimo Salomone. La Calunnia
diviene quindi una scena di giudizio e non è un caso che in un fregio dello
sfondo botticelliano compaia la scena della Giustizia
di Traiano.
Nel corso
dei due secoli successivi questa tematica verrà progressivamente abbandonata poiché
la suggestione esercitata dal retaggio culturale antico, enfatizzata dalle
sensazionali scoperte di Ercolano e Pompei, non sarà più di tipo simbolico o
allegorico, ma piuttosto storica e antiquaria. Nelle conclusioni al proprio
monumentale studio sulla diffusione dell'iconografia della Calunnia in Europa, Jean-Michel Massing si professa pienamente
concorde con la proposta di Chastel di individuare quale ulteriore motivo di
abbandono del tema ecfrastico la sua incompatibilità con il carattere
“originale” dell'“idea”. Stupisce allora che l'ultima riproduzione grafica
risalga al 1875, anno in cui Edward Burne-Jones, esponente di spicco del
movimento preraffaellita inglese, esegue una copia del Gruppo del giudizio all'epoca attribuito a Mantegna.
II. La versione di Botticelli. Lo
sviluppo del dibattito critico attorno allo stile del Maestro
Un primo
approccio visivo alla tavola botticelliana custodita agli Uffizi consente di riconoscerne la "maniera", erede dell'“arte ornata” del maestro Filippo Lippi che
Cristoforo Landino menzionava in opposizione al “puro sanza ornato” masaccesco,
che è stata oggetto di riflessione sin dagli esordi della moderna critica
artistica. Nel
1873 Walter Pater, esponente del clima estetizzante e preraffaellita di fine
secolo, pone in rilievo il “particolare sentimento” che l'artista “infuse nei
suoi personaggi sacri e profani, leggiadri e, in un certo senso, simili ad
angeli, ma soffusi d'un senso di smarrimento o di perdita: lo struggimento di
esuli […] che pervade d'un senso di ineffabile malinconia tutta la varia opera
di Botticelli”. Ad un decennio di distanza, Heindrich Wölfflin individua
nell'indole dell'artista una chiave di lettura per il suo stile “struggente”:
il pittore viene definito “tormentato, ardente, ma sempre intimamente
eccitato”, giudizio che rimanda al vivido ritratto contenuto nelle Vite di Vasari, ove Sandro si distingue
per un'inquietudine tale da rendere “il padre infastidito di questo cervello sì
stravagante” (Vasari, 1986, I,
473). Agli inizi del Novecento, Crowe e Cavalcaselle ne ammirano la nitidezza
del disegno e l'esattezza da orafo nell'esecuzione, mentre Berenson mette in
risalto la “musicalità lineare” e la straordinaria capacità di tradurre “valori
plastici” in “valori di movimento”.
La critica
successiva tenderà a svincolare la personalità colta e raffinata di Botticelli
dall'atmosfera languida e malinconica che pervade le sue creazioni. Nel suo
saggio concernente lo stile botticelliano, Arasse si serve della Calunnia per dimostrare come la
chiarezza narrativa dell'historia
possa coniugarsi armoniosamente con la rappresentazione del movimento e con
l'espressione delle emozioni delle figure. In quest'opera tarda, un'accresciuta
austerità nella composizione non deve però indurre ad affermazioni eccessive
come quelle di Chastel, per il quale “dopo il 1495, le azioni violente di
Savonarola, il rogo delle vanità e le conversioni frenetiche sono state per
Botticelli solo l'occasione di piccoli dipinti allegorici”. Il rifiuto di
elementi “moderni”, indubbiamente più accentuato in questa fase, costituisce
tuttavia una costante nella sua produzione, così come le scelte artistiche
fondamentali precedono l'arrivo in città del Frate.
Fedele alla
tecnica a tempera, appresa nella bottega di Filippo Lippi negli anni Settanta,
Sandro non si interessa alla procedura ad olio, sperimentata a Firenze
nell'ultimo ventennio del secolo e rimane sostanzialmente indifferente anche
agli studi sull'anatomia intrapresi da alcuni suoi contemporanei tra i quali il Pollaiolo. Osservando il braccio alzato della Verità, e soprattutto l'attaccatura arbitraria di questo al busto
della figura, si evince una predilezione particolare per il ritmo creato dalla
linea, ritmo al quale viene accordata un'indiscussa preferenza rispetto alla
resa naturalistica delle proporzioni. I corpi, di conseguenza, si presentano
all'occhio più come eleganti silhouettes che non come immagini tridimensionali
morbidamente tornite ed il movimento che li anima non è generato dalla coerenza
interna della struttura anatomica, ma dalla dinamica delle curve e degli
arabeschi disegnati dai panneggi e dalle chiome fluenti.
Prestando attenzione alla resa della grande loggia definita da arcate di elaborata architettura,
è possibile rilevare la discrasia tra le indicazioni teoriche fornite da Leon
Battista Alberti nel De Pictura e la costruzione adottata da
Botticelli nei propri dipinti. Laddove il primo, infatti, individua nella
prospettiva lo strumento irrinunciabile per conferire unitarietà allo spazio
dell'istoria, il secondo riesce
invece ad ottenere una straordinaria chiarezza narrativa mediante la
successione articolata dei luoghi (o successione di arcate, in questo caso). Il
campo d'azione delle figure si limita quindi al primo piano della
rappresentazione, mentre alle loro spalle la profondità fittizia si sviluppa
come un fondale, le cui linee verticali e oblique scandiscono la superficie e
vi distribuiscono i gruppi di personaggi disposti come in un fregio.
Herbert Horne
rimarca la propensione di Botticelli a rendere progressivamente le figure più
vivaci nel movimento ed espressive negli atti, portata al massimo grado
nell'opera qui analizzata, ed evidenzia il climax
di azione e moto, che si fanno “agitati, quasi febbrili”. La ricerca incessante
di nuove forme di espressione trapela da ogni dettaglio, come “il disegno
nervoso e spezzato delle figure, specialmente alle giunture e alle estremità; e
gli strani contrasti di umore e colore […]”. La dinamicità dei personaggi,
esito estremo di quel “furor malinconicus” che aveva informato di sé le
creazioni artistiche degli esordi, determina una ricezione non unitaria delle
figure e delle passioni che le animano, in netto contrasto con il carattere
generalizzato proprio di un'allegoria. E' infine degno di menzione lo scarto
evidente tra l'assembramento disordinato che affolla l'aula e la serena calma
del cielo nitido e delle acque tranquille appena percepibili all'orizzonte,
“tra burrascose passioni che scuotono gli attori di questa scena, e la chiara
solarità che la pervade”. Gli effetti generati da tale dissidio sono “talmente
inquietanti ed imperscrutabili, da divenire parte integrante del concetto di
allegoria proprio del pittore, come se egli avesse voluto rappresentare per
simboli qualcosa delle contraddizioni di questo intelligibile mondo” (Horne, 1986, 365).
Il carattere
espressivo dei corpi non trae vigore dalla monumentalità, legata ad esempio
alla costruzione prospettica da sotto in su, ma si fonda sul potere della
linea, in una ricerca spesso antinaturalistica, ma soprattutto antileonardiana.
Effettuato un confronto tra i due allievi del Verrocchio, Argan (1968, 245)
sottolinea come la comune aspirazione alla trascendenza, in un clima ormai
immemore delle certezze assolute pierfrancescane, non basti a celare le
profonde divergenze metodologiche nell'approccio alla realtà. Leonardo vuole
analizzarla, interrogarla mediante l'esperienza per conoscerne le leggi ed i
segreti; Botticelli vuole trascenderla, oltrepassarla mediante l'arte stessa
per elevarsi alla purezza dell'idea.
La sua
predilezione per la linea, strettamente connessa all'aspetto ideale della
poetica, è in disaccordo tanto con le convinzioni di Leonardo, per il quale la
linea di contorno deve essere invisibile come in natura, quanto con le
asserzioni contenute nel trattato di Alberti. Questi insiste sul fatto che la
linea attorno alle figure, fondamentale nella loro definizione, deve risultare
invisibile nell'opera compiuta, onde evitare che si produca una sorta di
“fessura” sulla superficie della rappresentazione, che ne comprometterebbe il
potere di creare un'illusione. Botticelli, per contro, mette in evidenza tanto
le linee del contorno esterno quanto quelle interne di definizione anatomica, evidenziate
ed esaltate dai riflessi metallici prodotti dalla luce. “E' il dispiegarsi di
questa linea attraverso la superficie”, spiega Arasse, “una linea che circola,
viene ripresa e modulata da una figura all'altra, ad assicurare la
coordinazione ritmica degli elementi della rappresentazione, dove i panneggi e
le capigliature in movimento giocano un ruolo decisivo di connessione dinamica”
(Arasse, 2004, 20).
Sandro non
dissimula mai la propria arte in quanto tale, non nasconde che si tratta di un
artificio tramite l'illusione generata dall'imitazione della natura; e se
Ruskin definiva “manierato” il suo modus
pingendi, la Calunnia testimonia
allora la rilevanza di questa “maniera ornamentale”, che si fonda sulla
pennellata che “orna il mondo” e consente alla natura di accedere al mondo
della cultura.
III. La ninfa botticelliana. Suggestioni neoplatoniche
e punti di tangenza con l'Hypnerotomachia
Poliphili
Prima di
procedere all'interpretazione iconografica del tema della ninfa che ricorre per
ben tre volte nel fondale della Calunnia,
occorre accennare allo stretto legame di Botticelli con il clima culturale e
filosofico della Firenze di fine secolo, animato dalla spiritualità
neoplatonica di Marsilio Ficino e dal fervore mistico e “misterico” di Pico
della Mirandola.
L'influenza neoplatonica, che già aveva informato di sé i programmi iconografici della Primavera e della Nascita di Venere, si lega in quest'opera soprattutto alla figura di
Arianna e al gesto compiuto dalla Verità. Sulla scorta degli studi condotti da
Mosè Viero (2005) si scorge la reiterazione della figura di Arianna su due
fregi distinti, collocati l'uno su un architrave, l'altro alla base del trono.
La posa dell'abbandono che caratterizza la figlia di Minosse è assunta anche da
Ifigenia, raffigurata al cospetto di Cimone su un altro architrave più a destra.
Entrambe le donne sono portatrici della lezione ficiniana dell'Amore come via
alogica verso la dimensione del divino: Arianna, abbandonata dall'amore terreno
di Teseo e riscattata da quello divino di Dioniso, vive in prima persona la crescita spirituale; Ifigenia, che nella novella boccaccesca trasforma il rozzo
Cimone in un virtuoso gentiluomo, di questa crescita è causa, motore è l'amore.
Il tema della ninfa dormiente, che viene risvegliata dal piacere, ha una forte valenza
allegorico-filosofica, in evidente consonanza con la ricercata armonia della coincidentia oppositorum, cara al
neoplatonismo fiorentino ed in particolare in riferimento al connubio tra
Virtus e Voluptas, a Virtù riconciliata con Passione. L'Eros platonico è una forza che, mediante la contemplazione della bellezza, eleva l'uomo verso l'Assoluto, restituendo all'anima le ali per ritornare alla sua patria celeste. Nelle opere ficiniane Della cristiana religione e Theologia platonica, l'"amor platonico" (o "amor socratico") coincide con l'amor cristiano, che porta l'uomo empirico a reintegrarsi con la propria metaempirica Idea di Dio, attraverso la progressiva ascesa nella scala dell'amore. Marsilio
sostiene che è possibile risalire a Dio attraverso una duplice via, quella
dell'amore e quella della conoscenza, intesa come visione globale che muova
dalla dottrina cristiana ma sappia comporsi con l'insegnamento degli antichi. "Il nodo di congiunzione" è rappresentato dall'Anima, che ha in sé le caratteristiche del mondo superiore, ma al contempo è capace di vivificare quello inferiore.
L'Anima partecipa del finito e dell'infinito, del contingente e dell'eterno,
costituisce il legame tra l'Uno e la continua generazione delle cose molteplici.
Nell'ottica ficiniana l'Anima è il centro della natura, l'intermediaria del
creato, il volto del tutto: la copula
mundi. Nella Calunnia la scena
allegorica si snoda in un succedersi concitato di vari gruppi di personaggi
fino alla riposante figura della nuda
Veritas, la donna statuaria che indica il cielo come il luogo della Verità,
personificando quindi al tempo stesso l'Anima, principio che anela a realizzare
in Terra l'ordine eternamente pensato da Dio.
Un'ultima tematica
neoplatonica è quella della luce: Dio è definito da Marsilio “padre della luce”
dal quale discendono la luminosità degli angeli, il risplendere dei cieli e
degli astri e la limpida “scintilla” dell'intelletto umano. La luce è
emanazione dell'“universale amore” che congiunge il Creatore alla creatura: per
questo “luminosità” e “splendore” sono le fonti di quel sentimento di amore
provato dall'anima di fronte alla bellezza del creato, che la induce a superare
ogni limite terreno per riscoprire dovunque la segreta presenza del divino ed
il suo manifestarsi in armonia ed ordine.
Lo stesso
Dante nell'incipit del Paradiso fa ricorso alla metafora della potenza
abbagliante della luce per suggerire l'ineffabile fulgore di Dio:
"La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più della sua luce prende
fu'io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là su discende"
Il valore
teologico della luce è ribadito, infine, dalle parole di Horne: “La pura
bellezza e trasparente luminosità di pigmento di questo dipinto non sono state
eguagliate nel corso di tutta l'arte fiorentina. I colori che hanno in sé la
luce di una gemma, e i raggi di un vero tramonto, sembrano indugiare
nell'atmosfera dorata in cui è immersa la scena” (Horne, 1986, 365).
L'influsso
del pensiero di Pico della Mirandola è forse più indiretto, ma l'apporto dello
studioso, che nel 1484 si reca a Firenze proprio per confrontarsi con la cerchia
neoplatonica, è indispensabile per cogliere il carattere composito dell'apparato
iconografico del fondale, che esibisce un articolato intreccio di motivi pagani
ed episodi biblici. La Calunnia si
inserisce in un contesto culturale che ormai conosce una sintesi armoniosa tra
forme pagane e spirito cristiano, risultato al quale Pico contribuisce in maniera
significativa. Edgar Wind, autore dei Misteri
pagani nel Rinascimento, sottolinea il ruolo di Pico in rapporto alla
complessità delle iconografie rinascimentali, concepite per “iniziati” e
decifrabili solo tramite “il linguaggio dei misteri”. Nella scomparsa Poetica teologia, egli sosteneva che le
religioni pagane si erano servite di miti e leggende solo per dissimulare le
loro rivelazioni autentiche, mostrando “de' misterii … solo la corteccia … riservando
le midolle del vero senso agli intelletti più elevati e più perfetti” (Wind, 1971, 21).
Adattando il
medesimo criterio alle Scritture, Pico individua nel testo biblico la
“corteccia” e nella Cabala, comprensibile solo per pochi eletti, “la midolle” e
mette in luce la stessa dicotomia, legata alla capacità di discernimento
dell'ascoltatore, anche nella parola di Cristo. Le conclusioni tratte da Wind
rivelano il nucleo centrale della filosofia della tolleranza, quale apporto
teorico imprescindibile dalle poesie e dalle pitture rinascimentali: “Mettendo
a confronto i vari misteri, Pico scoperse che esisteva tra loro un'affinità
insospettata. Nel dogma esterno, una riconciliazione fra teologie pagana,
ebraica e cristiana, ciascuna ancorata a una rivelazione differente, sarebbe
parsa impossibile; ma se la natura degli dèi pagani doveva essere intesa nel
senso mistico dei platonici orfici e la natura della Legge mosaica nel senso
nascosto della Cabala, e se inoltre la natura della Grazia cristiana doveva
rivelarsi nella pienezza dei segreti che Paolo aveva comunicato a Dionigi
Areopagita, allora si sarebbe scoperto che queste teologie non differivano
affatto nella sostanza, ma solo nel nome.” (Wind,
1971, 23-24).
Tornando ora
al tema della ninfa, possono essere poste in evidenza alcune peculiarità sull'iconografia
botticelliana sulla scorta di ipotesi e teorie recentemente postulate in sede critica. Risulta illuminante e pregno di significato il saggio di Charles
Dempsey (2004) per alcune considerazioni in merito alle due figure allegoriche che incarnano la Calunnia e la Verità.
La prima, “acconciata e agghindata da due donne (l'Insidia e la Frode) per apparire ancora
più irresistibile” (Dempsey, 2004,
34), è contraddistinta da una bellezza senza eguali e da un temperamento audace
e imprevedibile che la rendono una “ninfa fiorentina” per eccellenza.
Ripercorrendo i pionieristici studi di Aby Warburg risalenti agli inizi del XX
secolo, Dempsey sottolinea con efficacia che “le convenzioni seguite dal
Botticelli nel raffigurare la bellezza femminile […] non derivano dai modelli
classici ma piuttosto dai precetti e dalle regole della poesia vernacolare, che
loda i capelli biondi dell'amata, le sue sopracciglia scure perfettamente
arcuate, le labbra piccole, rosse come bacche, e i seni simili a mele ben sode”
(Dempsey, 2004, 32). Esiste dunque
uno stretto legame tra i “costumi” indossati dalle ninfe botticelliane e quelli
realmente sfoggiati dalle fanciulle nubili fiorentine in occasione di feste
religiose o di cortei laici: alla
linea ornata e ai preziosismi virtuosi del pittore farebbero riscontro,
pertanto, le descrizioni argute e non di rado maliziose dei letterati vissuti
in epoca precedente, come quelle del Boccaccio del Decamerone o, meglio, del Ninfale
Fiesolano.
La nuda Veritas, d'altro canto, si ricollega tipologicamente alla Venere
Anadiomene nuda dipinta dal calunniato Apelle del testo lucianeo, ma
presenta altrettante affinità iconografiche, prima fra tutte il gesto della
mano sinistra volto a coprire le nudità, con la figura centrale della Nascita di Venere, raffigurata anch'essa
come Venus pudica.
Un analogo
atteggiamento pudico caratterizza le pose delle pur seducenti figure femminili
dei riquadri precedentemente menzionati (Arianna nei primi due ed Ifigenia nel
terzo). Le fanciulle sono raffigurate nella postura della figura recubans poiché si tratta di “risvegli
amorosi” che avvengono al cospetto di un personaggio maschile che le osserva
con attenzione. Lungi dal simboleggiare la lussuria e la ferinità attribuite
loro dalla mitologia antica, anche i satiri o satiretti che corredano la scena
possono essere interpretati quali emblemi della voluptas neoplatonicamente intesa di cui si è già fatta breve
menzione: una voluptas concepita come
“svelamento” e, dunque, come rivelazione divina quale esito estremo, sublime,
della potenza d'amore. Questa tematica neoplatonica non rappresenta certo una
novità nel contesto della produzione botticelliana: il medesimo “impulso”, o
“risveglio”, amoroso informa di sé, ad esempio, la tavola con Marte e Venere
(Londra, National Gallery, 1483 ca.), ove il dio, recubans, si desta per salvifico beneficio di Afrodite.
Sulla scorta
dello studio iconografico condotto nel 2006 da Giulia Bordignon e da Monica
Centanni al fine di ricostruire i collegamenti tra le componenti di
una delle “tavole” ideate da Warburg, è possibile introdurre la controversa
quanto affascinante questione della tangenza tra la tematica botticelliana e
quella realizzata dall'artefice delle xilografie contenute nell'edizione aldina
del 1499 dell'Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna.
La postura
della “ninfa svelata” caratterizza infatti la figura femminile di una (c. e1r.)
tra le numerose xilografie che corredano il testo. La protagonista, variamente
interpretabile come Arianna o come “ninfa”, è presentata in primo piano in una
posa corporea che ricorda, e forse cita filologicamente, quella della statua
dell'Arianna Vaticana, adagiata
presso la riva di un fiume con la gamba sinistra leggermente flessa ed il piede
sinistro appoggiato sul destro. Un satiro proveniente dalla parte destra della
composizione è “sorpreso” nell'atto di “svelarla”, laddove una cortina di
stoffa dai drappeggi appena accennati funge da vera e propria quinta teatrale,
contribuendo notevolmente alla resa enfatica e retorica dello svelamento così
“umanisticamente” inteso. Accanto alla donna fanno la loro comparsa due piccoli
satiri. Le affinità simboliche e iconografiche con il riquadro del fondale
della Calunnia che ospita le figure
di Arianna e Bacco (sul secondo
architrave della “classificazione Meltzoff”) appaiono piuttosto significative.
In quest'ultimo, la figura femminile è sdraiata al cospetto della divinità
maschile e poggia il gomito sinistro su una sorta di cuscino, coperta da una
veste che le nasconde le gambe e la parte inferiore del busto. Un piccolo
satiro è intento a disvelare la fanciulla tirandole un lembo della veste,
mentre un altro sembra trascinare in avanti il personaggio maschile, suggerendo
l'impressione del suo incedere. Il carattere quasi effeminato di quest'ultimo
soggetto consente di propendere, in sede interpretativa, per la sua
identificazione con Bacco, scartando l'ipotesi di Horne che individuava in
questo rilievo la coppia Venere-Marte in base alle affinità iconografiche con
la tavola botticelliana della National Gallery menzionata in precedenza.
L'illustrazione dell'Hypneromachia Poliphili, nella quale si è voluto individuare un'immagine dell'Alma Venus,
intesa come suprema Virtus e come più perfetta incarnazione del
significato allegorico-sapienziale del tema, pone dunque nuovi interrogativi
concernenti il rapporto, mediato o diretto, con la produzione e con il
programma figurativo di Botticelli, evidenziando, quanto meno, l'esistenza di
affinità profonde, “elettive”, non certo casuali.
Alcune
delucidazioni in merito all'identità di Francesco Colonna e alla peculiarità
dell'iconografia della xilografia in esame sono offerte dal volume di Maurizio
Calvesi La “pugna d'amore in sogno” di
Francesco Colonna Romano (1996).
La minuziosa analisi dell'illustrazione della Fontana della fecondità pone in rilievo le probabili fonti testuali
e visive con le quali l'ideatore della scena sembra confrontarsi con vivida
coscienza critica. Grazie ad una sorta di “approccio dialettico” l'iconografia
che scaturisce dai suoi molteplici spunti conserva, pur in questo processo di
“sintesi”, quel carattere di immediatezza d'impatto che la rende quasi
“iconica”. Dopo aver riscritto l'intera storia della genesi dell'Hypnerotomachia, individuando in
Francesco Colonna signore di Palestrina il vero autore, Calvesi si sofferma sul
clima culturale romano dominato dall'Accademia di Pomponio Leto e dal nascente
interesse per la scienza antiquaria e per i misteri egizi, fascino del quale il
papa Alessandro VI Borgia rappresenta una “vittima” di primo piano. La figura
che si pone al vertice di questo nuovo orizzonte sincretistico è quella di Venere-Iside-Fortuna, che offre
una chiave di lettura ulteriore, e più profonda, alla xilografia della “ninfa
svelata”. Proposte e discusse quali probabili fonti per l'ideazione della scena
l'Arianna Vaticana (all'epoca ritenuta Cleopatra) per la figura distesa e i Fasti di Ovidio per le fattezze del satiro/Priapo, Calvesi conferisce alla protagonista femminile il ruolo di
personificazione della Natura, ovvero
di Venere Genitrice o di Fortuna Primigenia, esito estremo di una contaminazione inedita di suggestioni greche, latine e “misteriche”. Forte,
però, anche la componente romana poiché “è probabile che per la composizione
generale, il Colonna abbia avuto sott'occhio uno degli antichi sarcofagi, come
quello conservato a Roma nella Villa Casale, sul cui prospetto è rappresentato
un satiro nell'atto di scoprire una bellissima fanciulla addormentata. Per la
figura della bellissima nympha va richiamata l'attenzione sulla celebre ninfa
forse falso-antica dei giardini romani di Angelo Colocci, giacché si trattava
di una fonte, la ninfa colocciana è pressocché uguale nell'atteggiamento alla
nuda del Polifilo. Per noi la derivazione assume un'importanza particolare:
infatti il Colocci guidò l'Accademia romana dopo la morte di Pomponio Leto ed è
nella sua raccolta di epigrammi che troviamo il già ricordato elogio di
Francesco Colonna romano” (Calvesi, 1996,
149).
Le
considerazioni formulate sinora consentono di evidenziare, nel contesto di un
affine motivo iconografico, i caratteri peculiari dell'ambiente neoplatonico
fiorentino e di quelli misterico-sincretico-antiquariali della cultura romana,
ma, al tempo stesso di suggerire delle possibili tangenze tra i due, più spiegabili
alla luce di un contesto culturale magmatico “incandescente” che non su
rapporti di dipendenza in senso stretto.
IV. L'ipotesi di Stanley Meltzoff. Una proposta di lettura globale
Sulla scorta
dello studio di Meltzoff (1987, 269-73) è possibile ripercorrere l'evoluzione
storica, e soprattutto culturale, che porterà ad intendere la Calunnia di Apelle come un'opera volta ad
esaltare e difendere la dignità intellettuale ed il valore morale di pittura e
poesia. La relazione tra le due arti può essere esemplificata da due documenti
significativi: un passo del libro III del trattato albertiano Della Pittura (1436) ed una lettera di
Marsilio Ficino a Piero de' Medici (datata 2 gennaio 1493).
Alberti
consiglia agli artisti che si apprestano ad ideare un'opera, di fare
riferimento alle istorie antiche,
ispirate dalla lettura di poeti e scrittori poiché “questi hanno molti
ornamenti comuni con il pittore”; esortazione che rimanda al precetto oraziano
dell'ut pictura poesis e alla teoria della mimesis, centrale nell'estetica umanistico-rinascimentale. Oratori
e poeti sono dunque di grande utilità per gli artisti: “molto gioveranno a
bello componere l'istoria, di cui ogni laude consiste in la invenzione”,
al fine di creare una composizione “amena et ornata”. Per la complessità della
composizione, il numero delle personificazioni, la varietà dei loro
temperamenti e delle loro attitudini, la pittura di Apelle, descritta da
Alberti quasi a dimostrazione delle proprie teorie, si presta come efficace
esempio per avviare tra le arti la sinergia auspicata.
Marsilio
Ficino, che pone retorica, poesia e pittura al centro della varietà delle arti
riaffiorate dall'antichità, rimarca in modo decisivo l'intreccio
pittura-poesia, facendo riferimento all'ingresso delle arti visive nelle
cronache e nella produzione poetica dei suoi contemporanei. L'emulazione degli
antichi e la celebrazione della fama dei moderni non è più prerogativa di poeti
e uomini dotti: sia pittori che pitture sono ora resi immortali dalla parola
scritta, così come illustri uomini di lettere sono consegnati all'eternità
dalla pietra scolpita o dall'affresco. Nella lettera indirizzata a Piero,
Marsilio si mostra turbato dalla violenta predicazione intrapresa dal
Savonarola contro le arti e contro la speculazione filosofica, sentita come una
seria minaccia per il Neoplatonismo, e chiede pertanto al successore di Lorenzo
il Magnifico di assistere Poliziano e Pico nell'avversione a queste oscure
forze. Per stimolare ulteriormente la propensione di Piero alla difesa della
cultura neoplatonica, Ficino gli dedica, nello stesso 1493, il volume De sole et lumine, incentrato sul
significato teologico e filosofico della luce divina.
Non è da
escludersi, allora, che anche altri esponenti di questa corrente, scossi dalla
morte di Lorenzo e privati della sua eccezionale benevolenza, abbiano voluto
rendere omaggio al nuovo signore per assicurarsi una linea di continuità nelle
scelte ideologiche. La Calunnia di Apelle
può essere interpretata come il dono tramite il quale Poliziano e Botticelli
espongono a Piero la complessità e la ricchezza della loro poetica, forti di un
clima culturale in cui è ormai maturata l'idea di dipinto come muta orazione in
difesa della poesia.
Prendendo le
mosse dall'appassionato scritto intitolato Proposal
for a ragionamento di Meltzoff (1987, 273-81), imperniato sulla possibile
ricostruzione delle indicazioni fornite da Poliziano a Botticelli, è possibile
individuare la duplice finalità dell'opera: riabilitare la poesia “calunniata”
dal Savonarola ed indirizzare Piero de' Medici verso la via della saggezza
neoplatonicamente intesa. Gli attacchi che il Frate rivolge alle inclinazioni
“pagane” della corte medicea, alimentate a suo avviso da racconti allegorici e
da raffigurazioni sensuali, si fanno sempre più espliciti; basti leggere un
piccolo estratto di uno dei sermoni contenuti nelle Prediche di Frate Hieronimo da Ferrara (Firenze, 1496): “Voi
dipintori, fate male; che se voi sapessi lo scandalo che ne segue e quello che
so io, voi nolle dipingeresti. Voi mettete tutte le vanità nelle chiese (…) Voi
farete un gran bene a scancellarle queste figure che son dipinte così
disonestamente. Voi fate parere la Vergine
Maria vestita come meretrice. Or sicché il culto divino è
guasto e non s'attende più se non al proprio onore.”
Agli occhi di
Poliziano l'invettiva contro le arti e le scienze, contro le stesse lingue – il
Latino ed il Greco - che ne avevano reso possibile la conoscenza, non era meno
spaventosa del supplizio di un innocente causato da una menzogna. L'opera
botticelliana si pronuncia quasi in difesa del calunniato stesso, in difesa
dell'arte, della poesia, della filosofia, ed è forse questo il presupposto
irrinunciabile per comprendere alcune tra le figurazioni in bassorilievo che
fanno da sfondo, ma anche da approfondimento, all'episodio in primo piano.
L'articolato
impianto decorativo, che pure aveva suscitato l'interesse di Horne nel 1908,
non conosce grande fortuna critica nel corso del ventesimo secolo, forse perché
ritenuto un semplice sfoggio erudito, privo di organicità interna. Solo nel
1987, Meltzoff si ripropone di riabilitare il fondale della Calunnia mediante lo studio
minuziosissimo di ogni singolo elemento, ricostruendo à rebours le fonti visive
e letterarie. Per numerare i soggetti è stata ideata, anzitutto, una griglia di
riferimento, in cui la lettura, da sinistra verso destra, si snoda, dall'alto
verso il basso, su vari piani: soffitti, architravi, nicchie, plinti e basi.
Premesso che siano da escludersi tanto una chiave di lettura univoca quanto un criterio interpretativo assoluto, è possibile raggruppare le immagini per tematiche
distinte aventi come denominatore comune una spiegazione di matrice poetica.
Sui soffitti
vengono inserite scene tratte dalla poesia “moderna” di Boccaccio: il primo ospita
la storia di Nastagio degli Onesti (novella
centrale del Decamerone), il secondo
la sequenza di Muzio Scevola (desunto dal De
casibus virorum illustrium) ed il terzo episodi del Ninfale Fiesolano.
I rilievi
degli architravi ritraggono le molteplici espressioni dell'amore, come quello
di Ippolito nel primo o quello di Bacco e Arianna nel secondo; vi sono poi
scenette allegoriche: un leone attorniato da putti, ovvero la legge governata
dalle forze dell'amore, nel quarto, Venere che guida un centauro nel sesto; ed
infine le coppie emblematiche di Cimone ed Ifigenia e di Giuditta e Oloferne.
Le nicchie
ospitano uomini di chiara fama che si sono dedicati alla poesia, quali Caino
nella prima, profeti dell'Antico Testamento nella seconda e nella terza; Davide
nella quarta (da notare l'iconografia che rimanda al San Giorgio di Donatello ad Orsanmichele) e Cesare nell'ottava,
seguito da Giosuè, Mosè, San Paolo, Boccaccio e Giuditta.
L'ornamentazione
dei plinti è incentrata sulle origini, sulle risorse, sui piaceri e sulla
natura della poesia sacra e profana: compaiono, ad esempio, Il sacrificio di Abele e Apollo e Daphne sui primi due, Davide e Golia sul quarto, ed Il ritorno di Giuditta a Betulia
nell'ultimo.
Per
concludere, i fregi delle basi possono essere letti come note a pie'di pagina,
destinate ad approfondire ed ampliare il significato di soggetti trattati
altrove. Vi sono rinvii alla produzione poetica dei “moderni”, quali il brano
della Giustizia di Traiano ricavato
dalla Divina Commedia dantesca, e
scenette di sapore pagano, come la Famiglia del Centauro, Teseo abbandona Arianna e l'effige di Minerva nei riquadri all'estrema destra.
Tornando ora
a considerare l'opera nel suo insieme, emergerà forse più limpidamente la
finalità di questo immenso apparato decorativo in rapporto alla difesa
programmatica della poesia intrapresa da Poliziano e Botticelli al cospetto di
Piero de' Medici. Questi avrebbe dovuto cogliere tutti i significati allusivi
dei personaggi e dei rilievi, unificati, e al tempo stesso riscattati, dalle
infondate accuse del Savonarola. Il calunniato con le mani giunte sembra far
appello agli dei, così come la
Poesia, da intendersi nell'accezione più variegata e
multiforme del termine, si rivolge all'Arte per essere difesa da chi la
dichiara deviante e pericolosa.
Le storie ed
i personaggi ripresi dalla Bibbia inducono ad una serie di considerazioni:
oltre a sottolineare il valore poetico delle Sacre Scritture, non mancano di
ricordare, infatti, che molti profeti e re d'Israele, basti l'esempio di
Davide, erano poeti e cantori della gloria di Dio. La teologia, insomma, è
poesia divina, ispirata dall'amore e dalla riconoscenza verso il Padre per la
sua benevolenza e per le bellezze del creato. Il fregio con il leone ammansito
dagli amorini che sormonta la statua di Cesare suggerisce che anche Piero deve
lasciarsi guidare dall'amore nel governo di Firenze. E questo non può portare
in alcun modo alla discriminazione della sola arte che, accanto alla pittura
naturalmente, ha reso immortali i sentimenti più nobili e gli uomini di maggior
valore, al fine di consegnare alla posterità un modello ineccepibile di
integrità e di rettitudine morale. Lo stesso San Paolo ha sottolineato che la
radice autentica del Cristianesimo è l'amore, lo stesso che ha infiammato salmi
ed ispirato profezie, lo stesso che i poeti pagani hanno utilizzato per
esprimere in termini allegorici la tensione dell'anima che anela Dio. Le
passioni possono rivelarsi pericolose, come cavalli in grado di uccidere chi
non riesce a domarli, è questa la sorte che spetta all'Ippolito dell'Amorosa Visione sull'architrave più a
sinistra, ma persino un'anima abbandonata dall'amore terreno, di cui Arianna a Nasso è emblema, può sperare
nel potere edificante dell'amore divino, come testimonia l'Incontro di Arianna e Bacco. Si tratta di una forza miracolosa,
capace di trasformazioni prodigiose come quella di Cimone al cospetto della
bellissima Ifigenia, raffigurata in una posa seducente sul penultimo architrave
a destra. La potenza ingentilente del sentire amoroso, lungi dall'essere un
caotico furor che stravolge il mondo,
regola armoniosamente l'universo: non è detto quindi che Venere, rappresentata
nell'atto di guidare un centauro che allude alla ferinità dell'uomo, debba
contrapporsi all'azione illuminante della Minerva che compare sull'ultima base
a destra. Il potere di eros informa di sé esperienze apparentemente
inconciliabili: se nel caso di Giuditta l'amore è lo strumento per sconfiggere
Oloferne e difendere il popolo che Dio ha scelto, in quello di Muzio Scevola il
sentimento profondo, che porta al gesto estremo dell'automutilazione, è rivolto
al supremo ideale di virtus.
Gli dei
pagani non sono oggetto di mera idolatria, ma strumenti primordiali per
accostarsi ad un Dio ancora sconosciuto; così come i racconti mitologici
perderebbero il loro contenuto edificante se ci si limitasse a scorgerne la
licenziosità. E' un percorso continuo, benché tortuoso, quello nel quale si
avvicendano narrazioni bibliche, allegorie profane ed illustrazioni di fonti antiche,
come Luciano, e recenti, come Dante e Boccaccio; un percorso nel quale il gioco
di rimandi non conosce una legge interpretativa certa, ma si affida alla
preparazione culturale del suo primo destinatario e soprattutto alla sua
predisposizione all'esercizio della giustizia e alla strenua difesa della
Verità.
V. Riflessioni conclusive
Alla luce del
materiale preso brevemente in esame finora e degli spunti che che certo meriterebbero un maggiore approfondimento critico, emergono, tra le altre,
almeno due tematiche che necessitano di essere menzionate nuovamente per la
complessità delle problematiche ad esse correlate: in primo luogo, il legame
esistente tra l'autore (e l'ideatore) delle xilografie e Sandro Botticelli; in
secondo luogo, una valutazione dei limiti e dell'eredità offerti alla critica
da Meltzoff.
Benché non
universalmente condivisa, la
proposta di Calvesi di avvicinare i temi, l'iconografia e lo stile delle
xilografie a soluzioni e formule del Pinturicchio si impernia attorno a
questioni che pongono in rilievo le affinità culturali tra quest'ultimo e
Botticelli.
La
“frequentazione romana del disegnatore [delle xilografie]” (Calvesi, 1996, 161), tangibile
soprattutto nella consonanza tra il Polifilo
condotto da Thelemia al cospetto di sette ninfe e gli affreschi
botticelliani di Villa Lemmi oggi al Louvre, è tale da far presupporre che egli
conoscesse direttamente l'affresco o che Francesco Colonna glielo abbia
descritto minuziosamente. Anche sul versante letterario “l'attenzione del
Nostro alla tradizione toscana a partire dal primo umanesimo è testimoniata,
oltre che dall'interesse […] per il Petrarca, anche dai numerosi rinvii (più di
cento) a quasi tutte le opere del Boccaccio, da cui attinge nomi, vocaboli
paludati, immagini sensuali, cadenze e prolissità, episodi come la celebre
novella di Nastagio degli Onesti […], oggetto anche di un noto dipinto di
Botticelli […]. Non sarà trascurabile il fatto che Francesco Colonna signore di
Palestrina, aveva una qualche parentela (e forse frequentazione) con Lorenzo de' Medici." (CALVESI, 1996, 162). Il legame tra l'autore delle xilografie, inserito con sicurezza nella cerchia di
Pinturicchio, ed il Maestro toscano si sarebbe rafforzato, inoltre, durante i
lavori della Sistina a Roma.
Tralasciando
per il momento la preminenza dell'influenza di Boccaccio su Botticelli (predilezione
ben esemplificata dal fondale della Calunnia
che ospita scene desunte dall'Amorosa
Visione, dal Decamerone, dal Ninfale
Fiesolano, dal De claris mulieribus e dal De casibus virorum illustrium),
risultano significative in questo contesto alcune riflessioni suggerite da
Ernst Gombrich in merito alla ricezione da parte di Botticelli del testo di Apuleio.
Dopo aver
ribadito che la preferenza accordata da Botticelli alla pittura di soggetto
letterario e novellistico (“novel kind of painting”) si collega intimamente al
programma pedagogico e moraleggiante fortemente voluto da Marsilio Ficino per
ingentilire ed ammaestrare l'animo di chi esercita il potere, Gombrich collega
il potere psicologico di tali immagini sia alla cultura neoplatonica nella
quale si sviluppano sia alla sfera “sacrale”, quasi “misterica”, la cui via
d'accesso era stata sino a quel momento prerogativa del culto religioso. La
ricezione dell'Asino d'oro apuleiano, dunque, offre un
esempio di quella complessa stratificazione di significati e valenze che, come
si è visto, informa di sé tanto il programma figurativo della Calunnia quanto quello dell'Hypnerotomachia Poliphili. Alla luce della concezione della Venus-Humanitas propugnata
da Marsilio Ficino, anche nella divinità che porta l'asino Lucio alla completa
redenzione viene individuata la medesima finalità salvifica e la stessa
propensione a “svelarsi”, come Iside appunto, in una visione. Il Principio
Divino, dunque, in questo intreccio di piani simbolici, si rivela tanto
mediante Venere quanto tramite Iside: “The Godness through whom
Lucius' salvation is wrought, and who finally restores him to humanitas, is Venus as much as Isis” (Gombrich, 2000, 54).
Un'ultima
riflessione, ora, sul dibattuto “lascito” di Meltzoff costituito dal volume
preso in esame. Vi sono, effettivamente, almeno due elementi di
debolezza nella sua dissertazione critica: una datazione precoce della Calunnia, esigenza in parte spiegabile
con il supposto destinatario Piero de' Medici, ma non del tutto convincente da
un punto di vista stilistico, ed
il dichiarato rapporto di avversione, quasi di ostilità, stabilito dal pittore
nei confronti di Girolamo Savonarola. In merito a quest'ultima problematica è,
in ogni caso, significativa la presa di distanza dal testo vasariano, che forse
per troppo tempo ha impedito un reale approfondimento dell'effettiva influenza
del Frate sulla produzione botticelliana. Su questo tema, che certo richiederebbe
ulteriori approfondimenti, risulta illuminante il testo, già segnalato da Horne
nel 1908 e riproposto ed interpretato da Claudio Strinati (2004), della Cronaca di Simone Filipepi, fratello
dell'artista, che riporta il dialogo tra Botticelli e Doffo Spini, fervente
antisavonaroliano, risalente al 2 novembre 1499, ovvero a due anni di distanza
dal rogo del frate ferrarese. La questione rimane tuttavia insoluta,
controversa, per certi aspetti affascinante.
Lo studio di
Meltzoff, d'altro canto, presenta dei “punti di forza” di tutto rispetto.
Innanzi tutto ribadisce ed analizza approfonditamente il clima culturale
sfaccettato ed incredibilmente denso nel quale Botticelli si trovava ad essere
operante e al quale partecipava vivacemente. In secondo luogo, la sua
ricostruzione meticolosa dei soggetti del fondale della Calunnia, scomposto quest'ultimo “tassello per tassello” e
caparbiamente “ricostruito” nella complessità del suo insieme, offre alla
critica successiva una solida base per ulteriori approfondimenti di natura
simbolica o iconografica. Sebbene l'autore non manchi di segnalare il carattere
ipotetico della propria ricostruzione, il suo monito a non arrestarsi di fronte
alla ricchezza talvolta enigmatica ed ambivalente delle immagini -“ambiguity is
a richness we value” (Meltzoff,
1987, 118) - può essere un valido riferimento metodologico per molti studi
futuri.
Riferimenti bibliografici
Agnoletto, S. (2005), La Calunnia di Apelle: recupero e
riconversione ecfrastica del trattatello di Luciano in Occidente,
«Engramma», 42 (luglio-agosto), http://www.engramma.it/engramma_v4/rivista/saggio/42/42_saggiogalleria.html
(visto 22.11.2009)
Arasse, D. (2004), La maniera di Botticelli, in Botticelli
e Filippino. L'inquietudine e la grazia nella pittura fiorentina del
Quattrocento [catalogo della mostra Firenze, Palazzo Strozzi,11 marzo-11
luglio 2004], Ginevra – Milano, Skira, p. 13-24.
Argan, G.C. (1968), Storia dell'arte italiana. Il Trecento e il Quattrocento, Firenze,
Sansoni.
Bordignon, G.; Centanni, M. (2006), La
ninfa svelata (1485-1585), «Engramma-Esperidi», 53 (dicembre), http://www.engramma.it/engramma_revolution/53/053_esperidi_ninfa.html
(visto 22.11.2009).
Calvesi, M. (1996), La “pugna d'amore in sogno” di Francesco Colonna romano, Roma, Lithos
editrice.
Casagrande, D.; Scarsella, A. (a cura di) (1998), Verso il Polifilo, 1499-1999 [catalogo della mostra San Donà di
Piave, 31 ottobre-8 novembre 1998], Venezia, Biblioteca nazionale Marciana.
De Vecchi, P. (2004), Movimento, azione ed espressione nell'opera
di Sandro Botticelli, in Botticelli e
Filippino. L'inquietudine e la grazia nella pittura fiorentina del Quattrocento
[catalogo della mostra Firenze, Palazzo Strozzi,11 marzo-11 luglio 2004],
Ginevra – Milano, Skira, p. 39-55.
Gombrich, E. (2000), Gombrich on the Reinassance, Singapore, Phaidon Press.
Horne, H. P. (1986), Botticelli, Firenze, Studio per le
edizioni scelte.
Massing, J.-M. (1990), La
Calomnie d'Apelle,
Strasbourg, Presses Universitaires de Strasbourg.
Meltzoff, S. (1987), Botticelli, Signorelli and Savonarola.
Theologia, poetica and painting from Boccaccio to Poliziano, Firenze, L.S.
Olschki.
Paolucci, A. (2004), Sandro Botticelli e il potere dei Medici,
in Botticelli e Filippino. L'inquietudine
e la grazia nella pittura fiorentina del Quattrocento [catalogo della
mostra Firenze, Palazzo Strozzi,11 marzo-11 luglio 2004], Ginevra – Milano,
Skira, p. 74-76.
Strinati, C. (2004), Il vero Botticelli, in Botticelli e Filippino. L'inquietudine e la
grazia nella pittura fiorentina del Quattrocento [catalogo della mostra
Firenze, Palazzo Strozzi,11 marzo-11 luglio 2004], Ginevra – Milano, Skira, p.
77-81.
Vasari, G. (1986), Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani,
da Cimabue, insino a' tempi nostri, Torino, Einaudi.
Viero, M. (2005), Donne abbandonate sul fondale della “Calunnia” di Botticelli, «Engramma»,
42 (luglio-agosto), http://www.engramma.it/engramma_v4/rivista/saggio/42/42_viero_arianna.html
(visto 22.11.2009).
Wind, E. (1971), Misteri pagani nel Rinascimento, Milano, Adelphi.
|