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Michelangelo Architetto a Roma: una recensione  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Novembre 2009, n. 543
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Se la figura di Michelangelo, a partire dalla fine dell’Ottocento, e anche prima se si tiene conto dei primi biografi contemporanei al maestro (Giorgio Vasari e Ascanio Condivi),  è stata ampiamente indagata e studiata sotto ogni punto di vista, non mancano certo monografie e lavori sull’attività dell’artista, il volume si colloca sul piano dell’analisi specifica dell’operato del toscano come architetto e urbanista della Roma di fine Cinquecento.

Il nome di Michelangelo ai più evoca subitamente la sorprendente volta della Cappella Sistina, o l’attiguo Giudizio Universale, ad altri la bellissima Pietà giovanile, o il possente Mosè di San Pietro in Vincoli, pochi, però, sanno che la proporzionata ed euritmica piazza del Campidoglio sia frutto della progettazione di un anziano Buonarroti.

Questo testo ha il compito e il merito di portare all’attenzione dei lettori un aspetto del lavoro dell’artista, ancora poco conosciuto. Il titolo stesso del catalogo, Michelangelo. Architetto a Roma, precisa e identifica le riflessioni e le ricerche che derivano dall’argomento. Nessuno si attenda novità, aneddoti e studi su l’iconografia o l’iconologia di opere scultoree o pittoriche del maestro, piuttosto uno strumento nuovo che consenta di scorgere nella città di Roma concezioni spaziali, urbanistiche ed architettoniche riconducibili allo straordinario pensiero del maestro rinascimentale.

Il volume, tipograficamente pregevole, esibisce una apprezzabilissima attenzione editoriale. Si pone come necessario aggiornamento bibliografico per la piena comprensione di una personalità eclettica che si definisce scultore, ma che rivoluziona tutte le arti del suo tempo; raccoglie testi critici sulla figura di “Michelangelo architetto”, redatti, appositamente per la mostra che si tiene in questi giorni nei Musei Capitolini [1] da studiosi, alcuni di fama internazionale, che hanno specifiche competenze nel campo della storia dell’architettura e dell’urbanistica. Sono affrontate tematiche, di cui si è, a volte, già scritto, ma secondo una sensibilità tutta contemporanea e, conseguentemente, secondo forme e modalità più consone ad un pubblico di studiosi, studenti e cultori di oggi.

Una parte critica corposa e densa, divisa in tre sezioni, ricca di illustrazioni in bianco e nero a compendio dei contributi, e un catalogo di 104 figure a colori, quasi tutte a piena pagina.

Dopo i doverosi ringraziamenti e interventi delle autorità istituzionali che hanno reso possibile l’evento [2] , si apre il capitolo contenente i saggi che introducono la personalità dell’architetto: Michelangelo architetto a Roma.

Christof Thoenes, intervenuto di recente al Convegno Internazionale svoltosi a Firenze, Michelangelo e il linguaggio del disegno d’architettura [3] , nei cui atti pubblica il medesimo elaborato in lingua originale, avvia magistralmente l’analisi sul toscano in veste di architector urbis. Nel suo contributo [4] , Michelangelo e Architettura, sostiene che non sia vero, come molti pensano, che l’attività architettonica dell’artista abbia carattere  di natura secondaria, infatti, il ruolo rivestito da Michelangelo, negli ultimi anni di vita, è stato fondamentale per l’evoluzione della facies cittadina e per le future generazioni di architetti che si sono formate meditando su i suoi disegni. L’operato del toscano, dalle qualità plastiche veementi, è presto divenuto un modello a cui ispirarsi e su cui riflettere.

Lo studioso si cimenta, quindi, con il difficile capitolo riguardante l’opera tarda del Buonarroti che, stremato e stanco, intraprende la nuova professione, impegnativa mentalmente, meno fisicamente, della progettazione urbanistica ed architettonica. I cantieri, dagli esiti eterogenei, mostrano che il maestro elabora e adotta soluzioni assolutamente individuali e non riconducibili ad uno stile unico.

Pina Ragionieri, curatrice della mostra assieme  a Mauro Mussolin, affronta il tema relativo a La collezione di disegni di Michelangelo della Casa Buonarroti. La studiosa, direttrice della Fondazione Buonarroti di Firenze, ricostruisce la storia della nascita del corpus dei disegni conservati nel museo della fondazione e aiuta il lettore a leggere ed interpretare i fogli autografi ai fini della comprensione delle fasi iniziali di ideazione.

Anna Bedon, docente di storia dell’architettura all’Università di Venezia, scrive sulle Architetture minori di Michelangelo a Roma. La studiosa analizza la situazione fisica, psicologica, finanziaria e lavorativa dell’artista a partire dal 1546 ed indica la nomina a direttore dei lavori della fabbrica di San Pietro come il momento di svolta per il vecchio maestro, che, non avendo più la forza per lavorare ad affreschi e sculture, assume con entusiasmo il prestigioso compito di sovrintendere ai lavori vaticani che diventano la sua nuova ragione di vita. Esamina, quindi, l’interessante ed esemplare organizzazione implementata dal Buonarroti per poter seguire con attenzione i  diversi cantieri assegnatigli.

L’ultimo saggio della prima sezione è di Clara Altavista, un documentato excursus bibliografico  su Le dimore di Michelangelo a Roma. Dalle prime abitazioni alla casa di Macel de’ Corvi. L’autrice redige in maniera  ancora compilativa, nonostante la comprovata capacità di ricerca d’archivio, la storia dei soggiorni romani del toscano.

La seconda parte del catalogo, Gli anni dal 1505 al 1516, si apre con un secondo scritto della Ragionieri, Michelangelo: ritratti e autoritratti. La studiosa parte dai 4 ritratti documentati del maestro, cosiddetti canonici, e traccia la vicenda di tutte le immagini conosciute dell’artista derivate dai precedenti.

Cammy Brothers, studiosa di storia dell’architettura rinascimentale italiana, scrive un articolo sulla Cappella Sistina [5] . Non si tratta dell’ennesima interpretazione iconografica della bellissima volta, quanto piuttosto di una lettura del rapporto tra pittura ed architettura ottenuto da Michelangelo nell’impresa che rappresenta il primo banco di prova dove, certamente, sono maturate le competenze di cui si sarebbe avvalso in campo architettonico, negli anni successivi. La Brothers riflette sul fatto che il lessico architettonico osservabile nella cappella è il medesimo impiegato dal Buonarroti in alcune architetture posteriori. La logica scultorea alla base della progettualità della Sistina è, infatti, la medesima osservabile altrove [6] : le partizioni architettoniche, ancora dipinte nella volta, per esempio, sono reimpiegate dall’artista nel progetto della facciata di San Lorenzo (Firenze). I disegni sopravvissuti, sottolinea l’autrice, indicano un lento, ma continuo processo di elaborazione che partendo da schemi ancora quattrocenteschi conducono alle soluzioni innovative, tutte cinquecentesche, tipiche del suo nuovo linguaggio artistico. Raramente gli esperti mettono la volta in relazione all’operato architettonico del maestro, in questo elaborato, invece, si evidenzia il fatto che i problemi sollevati dalla Sistina abbiano consentito a Michelangelo di sviluppare tutta una serie di pratiche che gli sono poi tornate utili nell’affrontare futuri progetti architettonici.

Da non sottovalutare anche le importanti indicazioni di natura bibliografica che l’autrice offre al lettore per la piena comprensione del rapporto tra cappella ed architettura.

Mauro Mussolin, curatore della mostra e del catalogo, si concentra sulla Finestra a edicola della cappella dei santi Cosma e Damiano in Castel Sant’Angelo. La sua riflessione parte dalla considerazione che l’edicoletta, per l’artista, costituisce una sorta di incunabolo, ossia la prima vera prova in campo architettonico. Lo schema applicato è piuttosto vitale e mostra un effetto di notevole potenza espressiva che tradisce la concezione architettonica fortemente plastica del Buonarroti: i vigorosi risalti dell’edicola sono paragonati alla forza plastica del telaio architettonico della Sistina. Lo studioso osserva che con questa opera il maestro anticipa soluzioni presenti nei fogli progettuali del prospetto di San Lorenzo.

Sempre la Brothers redige un rilevante articolo sui Disegni dal Codice Coner: studi dall’antico e da architetture romane, la magnetica attrazione che le spoglie classiche esercitano sugli artisti non è argomento nuovo, lo è, invece, il particolare rapporto tra l’antico e Michelangelo: l’artista a differenza dei suoi “colleghi” non si preoccupa di registrare su grossi taccuini il fascino esercitato dai ruderi, ancora visibili, della civiltà romana, il toscano è attirato solo da esigui dettagli, estrapolati e ripensati secondo il suo specifico interesse. Della sua predisposizione rimangono 6 fogli a matita rossa [7] , tratti dal cosiddetto Codice Coner [8] , i quali dimostrano come il maestro non sia attratto dal taccuino - sono, infatti, tralasciati tutti i dati identificativi riportati nel codice - quanto piuttosto da alcuni particolari (basi, cornici o trabeazioni), ritenuti utili od interessanti per il suo lavoro, che risulteranno essere i modelli rielaborati in alcuni progetti approntati successivamente.

La terza ed ultima sezione indaga Gli anni dal 1534 al 1564, e si apre con uno studio di Maddalena Scimemi, esperta storica dell’architettua e urbanistica, su Michelangelo e la cultura architettonica a Roma alla metà del XVI secolo. A differenza dei suoi contemporanei (Bramante, Raffaello, Peruzzi, i Sangallo e altri) impegnati a redigere trattati e commentari a stampa di natura architettonica, Michelangelo sembra non cedere a questa moda, né sembra accettare le regole classiche di costruzione degli edifici [9] . Il Buonarroti se cita l’antico lo fa perché un particolare ha catturato la sua attenzione ed è considerato dall’artista degno di essere replicato o, il più delle volte, ripensato e reinterpretato nei suoi progetti. Egli sembra sottrarsi al dibattito culturale che si è sviluppato: non è coinvolto nella querelle tra antiquari e vitruviani, le sue ideazioni sono il risultato di vere e proprie sperimentazioni e non imitazioni.

Claudia Echinger-Maurach, del Kunsthistorisches Institut di Firenze, si occupa del cosiddetto “dramma di Michelangelo”: La “sepoltura” di Giulio II: dai primi progetti alla realizzazione. Ne dà una lettura non legata, come spesso è stato fatto, alla disposizione sentimentale del maestro, quanto piuttosto al particolare rapporto tra scultura ed architettura che si ricava da un’attenta osservazione. La struttura a ben guardare si colloca come diaframma tra il luogo di preghiera e canto dei religiosi e la navata vera e propria dove le parole dei regolari o dei canonici si diffondono con effetto di amplificazione. Mettere in relazione il coro con il monumento sepolcrale e porlo in rapporto spaziale con l’altare delle reliquie e la tomba del Cusano è certamente una soluzione audace, un’invenzione assolutamente inedita e complessa, che dimostra una libertà espressiva sotto molti aspetti quasi epocale.

Viene, quindi, tracciata una storia dell’evoluzione del monumento, citando sia Vasari che il Condivi,  che considera le varie riduzioni che conducono al convenzionale progetto a muro, assolutamente non banale nella concezione spaziale.

Guido Rebecchini, studioso del Rinascimento italiano, nello scritto Michelangelo e le mura di Roma, indaga il valore simbolico insito nell’azione di ridefinizione dei confini della città e di  rifacimento delle mura da parte di Paolo III, che vuole così riaffermare l’autorità pontifica e allo stesso tempo ammonire contro ribellioni interne. Michelangelo è incaricato dal Farnese, ma lascia presto questa commissione per altri mandati.

Oronzo Brunetti, prof. a Parma di disegno architettonico, in Michelangelo e le fortificazioni del Borgo affronta la questione attributiva del vigoroso e monumentale Bastione del Belvedere, ascritto all’artista da importanti studiosi come Bruno Zevi, Paolo Portoghesei e Lionello Puppi.

La Ragionieri, sulla base dei disegni della Fondazione Casa Buonarroti, propone un saggio sulla Tomba di Cecchino Bracci, nipote di Luigi del Riccio, fuoriuscito fiorentino, provveditore del Banco Strozzi a Roma e segretario del toscano. Gli studi preparatori indicano una genesi-elaborazione piuttosto tormentata che conduce alla tipologia del sarcofago a coperchio. Sulla base dei disegni esaminati la struttura della tomba a parete è ricondotta alle ricerche eseguite per la Sagrestia Nuova in San Lorenzo.

La Bedon sviluppa un secondo interessante contributo (Piazza del Campidoglio) in cui è delineata una precisa storia della piazza rinascimentale a partire dal momento in cui papa Farnese affida i lavori di ristrutturazione al maestro. Approfondisce non solo gli incarichi e il modo di affrontare le questioni legate all’architettura del Buonarroti, ma anche il ruolo «determinante» di Tommaso dei Cavalieri, amico del primo e deputato ai lavori. Tommaso sembra abbia avuto una funzione attiva nell’ambito della progettazione della piazza che per sua volontà avrebbe assunto l’aspetto aulico e dal forte significato ideologico che ha oggi. L’autrice, dunque, ritiene che l’artefice principale della facies scenografico-teatrale odierna del Campidoglio sia stato proprio quel Tommaso dei Cavalieri, nostalgico dei fasti antichi romani.

Francesco Benelli, storico dell’architettura, consegna alcune osservazioni singolari sulla morfologia e sull’uso di Le colonne alveolate di palazzo dei Conservatori. Reputa la struttura  “trilitica” così come conformata e ideata dall’artista assimilabile a quei sistemi a baldacchino di memoria medievale. Michelangelo, però, grazie alla duplice funzione visiva impiegata, reinterpreta in maniera assolutamente nuova e moderna la compagine architettonica inserita; essa serve a:

a. inquadrare gli ingressi del Palazzo;

b. rendere il complesso trilitico indipendente dall’adiacente ordine gigante [10] .

Tale sistema architettonico al tempo stesso funge da struttura e da decorazione, la soluzione sperimentata, infatti, è pervasa da un’insolita nota chiaroscurale che consente di esaltare e percepire le possenti forme delle colonne anche in condizione di penombra [11] .

L’autore, inoltre, sottolinea il dato che la colonna alveo diffusamente utilizzata in Campidoglio in precedenza non abbia avuto un largo impiego, mentre, a partire da quel momento, si registra un conseguente e ampio uso.

Claudio Parisi Presicce, direttore dei Musei Capitolini, presenta un intervento articolato e meticoloso sulla evoluzione decorativa della piazza: Michelangelo e la decorazione scultorea della piazza Capitolina.

Lo studio di Emanuela Ferretti, studiosa di storia dell’architettura, si basa sul corpus delle testimonianze scritte ed iconografiche relative alla fabbrica di Palazzo Farnese giunte a noi. Propone un quadro ben articolato delle diverse fasi costruttive della corte, costruzione fondamentale per la comprensione non solo della vicenda architettonica romana, ma anche del capitolo relativo alle grandi residenze nobiliari italiane ed europee. L’attenzione è, ovviamente, concentrata sul periodo in cui vi lavora il Buonarroti (tra il 1546 e il 1549), momento in cui nel cantiere farnesiano si avvia un decisivo cambiamento d’indirizzo. La sua presenza, seppur breve, è stata profondamente significativa; i suoi interventi esplicitano, da una parte, il caratteristico approccio all’architettura del maestro, ovvero quel tipico rapporto dialogico tra architettura e scultura, dall’altra, un particolare, quanto insolito, interesse per l’antico, che implica l’uso di un linguaggio assolutamente unico. Sono individuati precipuamente gli elementi di matrice o di derivazione michelangiolesca. Nello scritto l’autrice prospetta il superamento di una progettazione di natura strettamente architettonica, per implicare un concetto più esteso di matrice urbanistica. Il Palazzo, infatti,  rappresenta un momento di costante comunicazione tra architettura e scultura da un lato e architettura-scultura e ambiente dall’altro: è già in nuce il risultato che otterrà con la ristrutturazione del Campidoglio.

Alessandro Brodini, studioso di storia dell’architettura, si pronuncia sui 17 anni in cui Michelangelo è stato alla guida del cantiere di San Pietro in Vaticano; ritiene che, sotto molti aspetti, l’intervento del maestro sia stato decisivo per la configurazione definitiva della basilica. Nella relazione il Brodini riassume e sintetizza quanto espresso dalla sterminata bibliografia sull’argomento. Vi osserva che, grazie ai documenti di cantiere, è possibile seguire in maniera abbastanza puntuale l’andamento dei lavori, nonché la portata delle innovazioni introdotte dall’artista. Il toscano si sente l’esecutore ideale di Donato Bramante [12] , e, pur creando un organismo completamente nuovo, crede e dichiara di seguire “pedissequamente” il progetto del lombardo.

Vitale Zanchettin, ricercatore all’Università di Venezia, si concentra su Il tamburo della cupola di San Pietro in Vaticano; della struttura architettonica ideata dal Buonarroti esamina i profili e le parti architettoniche portate a termine. I disegni del maestro mostrano le iniziali fasi progettuali ed esecutive dell’organismo, i fogli indicano l’idea piuttosto chiara che l’artista doveva avere sulle forme della copertura. Lo studioso presenta dati tecnici molto approfonditi, forse anche troppo, e sulla base dei progetti sono documentate le varie fasi costruttive e le variazioni subentrate rispetto alle primitive concezioni.

La Echinger-Maurach interviene nuovamente con Progetti per edifici residenziali eseguiti a Roma intorno al 1550-1560, un contributo che fornisce una lettura tecnica e stilistica di diversi disegni autografi riferibili ad architetture di natura residenziale. Degno di nota il fatto che Michelangelo trasformi i classici corridoi in veri e propri vestiboli, di memoria laurenziana, che qualificano profondamente le strutture a cui lavora.

Il Mussolin torna con uno saggio su San Giovanni dei Fiorentini, dove delinea con precisione sintetica una storia costruttiva del monumento, con particolare attenzione alla fase che ha visto coinvolto il maestro rinascimentale. I fogli di progettazione della chiesa rappresentano da un punto di vista stilistico i più superbi esempi di disegno di architettura del periodo maturo del toscano, sono vere e proprie opere d’arte autonome che, se osservate con attenzione, restituiscono riflessioni grafiche d’intensità, fantasia e lungimiranza assolutamente significative.

Georg Satzinger, storico dell’architettura rinascimentale italiana, consegna uno studio sulla Cappella Sforza in Santa Maria Maggiore, dove si valuta il contributo del maestro alla facies attuale della cappella, ideata dal Buonarroti,  ma terminata dopo la sua morte. Si traccia anche una storia delle relazioni intercorrenti tra il toscano e i committenti, quindi si tenta una ricostruzione dell’aspetto originario della struttura secondo le primitive concezioni michelangiolesche.

Golo Maurer, studioso di Michelangelo, scrive del progetto del prospetto interno di Porta Pia, commissionata da papa Pio IV Carafa. Il fatto che Michelangelo sia chiamato ad occuparsi della facciata interna della porta è piuttosto interessante: fino a quel momento, infatti, l’attenzione è esclusivamente al prospetto esterno [13] . Per la prima volta si mette in scena l’uscita dall’Urbe e non la tradizionale entrata trionfale, nel ribaltamento del concetto di accesso si celebra l’ingresso alla campagna ! L’artista è incaricato di costruire ex novo una porta cittadina, in sostituzione dell’antica Porta Nomentana, come termine del nuovo tracciato viario voluto dal papa (Via Pia, oggi Via XX Settembre).  Si tratta dell’ultimo, e meno popolare [14] , intervento architettonico dell’anziano maestro che si conclude dopo la sua morte. Il contributo affronta, sulla base dei disegni progettuali pervenuti, vari problemi di autografia. I fogli [15] indicano che il Buonarroti combina diversi motivi mutuati dal suo repertorio con nuove invenzioni formali (per esempio la forma del varco del portale terminante con un’insolita piattabanda o le forme e proporzioni grandi al limite del colossale per creare una più efficace visione da lontano).

Il Brodini conclude la parte saggistica con uno scritto su Santa Maria degli Angeli, secondo gli studiosi la chiesa, dopo il restauro del Vanvitelli, ha completamente mutato forme [16] per cui il progetto del toscano presenta sotto molti aspetti contorni piuttosto sfocati. Dell'edificio sacro, inoltre, non rimangono fonti grafiche contemporanee, o di poco successive, all’intervento del maestro, né sono stati rintracciati autografi che si riferiscano con certezza ad esso. È tracciata la storia delle terme, nel cui frigidarium la basilica si insedia, da servizio pubblico a simbolo della riconquista al Cristianesimo [17] .

A questa prima parte segue un catalogo di 104 illustrazioni a colori, purtroppo non commentate e una esauriente bibliografia generale organizzata in ordine alfabetico.

 

IL LIBRO
Michelangelo Architetto a Roma

a cura di Mauro Mussolin, con la collaborazione di Clara Altavista.
Catalogo della Mostra, Roma, Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, 6 ottobre 2009 - 7 febbraio 2010 .
Silvana Editoriale, Milano, ottobre 2009.
358 pagine, 104 illustrazioni.
€ 35,00

 

 

NOTE

[1] Roma, Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli, 6 ottobre 2009 – 7 febbraio 2010. La progettazione scientifica è della Fondazione Casa Buonarroti.

[2] Gianni Alemanno, Umberto Croppi, Federico Mollicone, Umberto Broccoli, per il Comune di Roma; Claudio Strinati, per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Pietro Folena, per l’Associazione Culturale Metamorfosi; Giovanni Carucci, per British American Tobacco Italia; Maria Flora e Zefferino Monini, per la Ditta Monini.

[3] 29-31 gennaio 2009. Gli atti sono in via di pubblicazione.

[4] Tradotto in italiano da Colette Bouverat ed Elisabetta Pastore.

[5] Tradotto in italiano da Floriana Pagano.

[6] Non si dimentichi che Michelangelo nasce scultore  e si definisce scultore.

[7] Particolare interessante, la matita rossa, infatti, non è il medium più idoneo alla realizzazione di disegni architettonici!

[8] Taccuino, conservato presso il Sir John Soane’s Museum (Londra),  realizzato, si crede, dall’architetto fiorentino Bernardo della Volpaia.

[9] Per questo motivo il Gobbo, Giovan Battista Sangallo, in una lettera scritta a papa Paolo III Farnese attacca il Buonarroti sostenendo che l’artista non rispetti le cosiddette “regole auguste”, principi assolutamente inderogabili per chi si occupa di architettura.

[10] Invenzione, anche questa, introdotta per la prima proprio nella piazza capitolina.

[11] È evidente che il maestro continua a servirsi di una sensibilità di matrice scultorea.

[12] Il primo architetto della fabbrica.

[13] La facciata esterna verso la campagna è stata realizzata tre secoli dopo!

[14] Ancora oggi alcuni studiosi parlano del monumento con una certa perplessità: le soluzioni architettoniche introdotte sono state malviste (Milizia), considerate  troppo arbitrarie ed eccessive nel linguaggio artistico impiegato. Solo alla metà del XVIII secolo Jacob Burchard, nonostante le sprezzanti critiche del passato, ne riconosce l’importanza. Nel XX secolo la storiografia tedesca elegge la Porta ad opera chiave per comprendere il Michelangelo architetto, diviene il monumento simbolo del linguaggio manierista della generazione successiva.

[15] Forse nessun altro progetto di Michelangelo è così ben documentato come il telaio della Porta Pia, di cui rimangono vari disegni autografi. Queste carte sono dense ed articolate, mostrano il processo ideativo di Michelangelo, che, cambiando idea, non sostituisce il foglio, ma copre con la biacca e ridisegna sopra evidenziando con acquarello scuro le nuove linee. È chiaramente intuibile non solo il modus operandi del maestro, ma anche il processo di elaborazione delle forme che ha tormentato il maestro.

[16] In realtà la situazione era fortemente compromessa già in precedenza.

[17] L’intento ultimo del papa Paolo IV era di trasformare la chiesa in mausoleo privato, il titolo della chiesa, infatti, fa riferimento al suo nome: Giovanni Angelo.




 

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