Se la figura di Michelangelo, a
partire dalla fine dell’Ottocento, e anche prima se si tiene conto dei primi
biografi contemporanei al maestro (Giorgio Vasari e Ascanio Condivi), è stata ampiamente indagata e studiata sotto ogni
punto di vista, non mancano certo monografie e lavori sull’attività dell’artista,
il volume si colloca sul piano dell’analisi specifica dell’operato del toscano
come architetto e urbanista della Roma di fine Cinquecento.
Il nome di Michelangelo ai più
evoca subitamente la sorprendente volta della Cappella Sistina, o l’attiguo Giudizio
Universale, ad altri la bellissima Pietà
giovanile, o il possente Mosè di San Pietro in Vincoli, pochi, però,
sanno che la proporzionata ed euritmica piazza del Campidoglio sia frutto della
progettazione di un anziano Buonarroti.
Questo testo ha il compito e il
merito di portare all’attenzione dei lettori un aspetto del lavoro dell’artista,
ancora poco conosciuto. Il titolo stesso del catalogo, Michelangelo. Architetto a Roma, precisa e identifica le
riflessioni e le ricerche che derivano dall’argomento. Nessuno si attenda
novità, aneddoti e studi su l’iconografia o l’iconologia di opere scultoree o
pittoriche del maestro, piuttosto uno strumento nuovo che consenta di scorgere
nella città di Roma concezioni spaziali, urbanistiche ed architettoniche riconducibili
allo straordinario pensiero del maestro rinascimentale.
Il
volume, tipograficamente pregevole, esibisce una apprezzabilissima
attenzione editoriale. Si pone come necessario
aggiornamento bibliografico per la piena comprensione di una personalità
eclettica che si definisce scultore, ma che rivoluziona tutte le arti del suo
tempo; raccoglie testi critici sulla figura di “Michelangelo architetto”, redatti,
appositamente per la mostra che si tiene in questi giorni nei Musei Capitolini
da studiosi, alcuni di fama internazionale, che hanno specifiche competenze nel
campo della storia dell’architettura e dell’urbanistica. Sono affrontate
tematiche, di cui si è, a volte, già scritto, ma secondo una sensibilità tutta
contemporanea e, conseguentemente, secondo forme e modalità più consone ad un
pubblico di studiosi, studenti e cultori di oggi.
Una parte critica corposa e densa,
divisa in tre sezioni, ricca di illustrazioni in bianco e nero a compendio dei contributi,
e un catalogo di 104 figure a colori, quasi tutte a piena pagina.
Dopo i doverosi ringraziamenti e
interventi delle autorità istituzionali che hanno reso possibile l’evento,
si apre il capitolo contenente i saggi che introducono la personalità
dell’architetto: Michelangelo architetto
a Roma.
Christof Thoenes, intervenuto di
recente al Convegno Internazionale
svoltosi a Firenze, Michelangelo e il
linguaggio del disegno d’architettura,
nei cui atti pubblica il medesimo elaborato in lingua originale, avvia
magistralmente l’analisi sul toscano in veste di architector urbis. Nel suo contributo,
Michelangelo e Architettura, sostiene
che non sia vero, come molti pensano, che l’attività architettonica
dell’artista abbia carattere di natura secondaria,
infatti, il ruolo rivestito da Michelangelo, negli ultimi anni di vita, è stato
fondamentale per l’evoluzione della facies
cittadina e per le future generazioni di architetti che si sono formate meditando
su i suoi disegni. L’operato del toscano, dalle qualità plastiche veementi, è
presto divenuto un modello a cui ispirarsi e su cui riflettere.
Lo studioso si cimenta, quindi,
con il difficile capitolo riguardante l’opera tarda del Buonarroti che,
stremato e stanco, intraprende la nuova professione, impegnativa mentalmente, meno
fisicamente, della progettazione urbanistica ed architettonica. I cantieri,
dagli esiti eterogenei, mostrano che il maestro elabora e adotta soluzioni assolutamente
individuali e non riconducibili ad uno stile unico.
Pina Ragionieri, curatrice della
mostra assieme a Mauro Mussolin,
affronta il tema relativo a La collezione
di disegni di Michelangelo della Casa Buonarroti. La studiosa, direttrice della
Fondazione Buonarroti di Firenze, ricostruisce
la storia della nascita del corpus dei
disegni conservati nel museo della fondazione e aiuta il lettore a leggere ed interpretare
i fogli autografi ai fini della comprensione delle fasi iniziali di ideazione.
Anna Bedon, docente di storia
dell’architettura all’Università di Venezia, scrive sulle Architetture minori di Michelangelo a Roma. La studiosa analizza la
situazione fisica, psicologica, finanziaria e lavorativa dell’artista a partire
dal 1546 ed indica la nomina a direttore dei lavori della fabbrica di San
Pietro come il momento di svolta per il vecchio maestro, che, non avendo più la forza per lavorare ad affreschi e sculture, assume con entusiasmo il prestigioso compito di sovrintendere ai lavori vaticani che diventano la sua nuova ragione
di vita. Esamina, quindi, l’interessante ed esemplare organizzazione
implementata dal Buonarroti per poter seguire con attenzione i diversi cantieri assegnatigli.
L’ultimo saggio della prima
sezione è di Clara Altavista, un documentato excursus bibliografico su Le dimore di Michelangelo a Roma. Dalle
prime abitazioni alla casa di Macel de’ Corvi. L’autrice redige in
maniera ancora compilativa, nonostante
la comprovata capacità di ricerca d’archivio, la storia dei soggiorni romani
del toscano.
La seconda parte del catalogo, Gli anni dal 1505 al 1516, si apre con
un secondo scritto della Ragionieri, Michelangelo:
ritratti e autoritratti. La studiosa parte dai 4 ritratti documentati del
maestro, cosiddetti canonici, e traccia la vicenda di tutte le immagini
conosciute dell’artista derivate dai precedenti.
Cammy Brothers, studiosa di
storia dell’architettura rinascimentale italiana, scrive un articolo sulla Cappella Sistina.
Non si tratta dell’ennesima interpretazione iconografica della bellissima
volta, quanto piuttosto di una lettura del rapporto tra pittura ed architettura
ottenuto da Michelangelo nell’impresa che rappresenta il primo banco di prova
dove, certamente, sono maturate le competenze di cui si sarebbe avvalso in
campo architettonico, negli anni successivi. La Brothers riflette sul fatto che
il lessico architettonico osservabile nella cappella è il medesimo impiegato
dal Buonarroti in alcune architetture posteriori. La logica scultorea alla base
della progettualità della Sistina è, infatti, la medesima osservabile altrove:
le partizioni architettoniche, ancora dipinte nella volta, per esempio, sono reimpiegate
dall’artista nel progetto della facciata di San
Lorenzo (Firenze). I disegni sopravvissuti, sottolinea l’autrice, indicano
un lento, ma continuo processo di elaborazione che partendo da schemi ancora
quattrocenteschi conducono alle soluzioni innovative, tutte cinquecentesche,
tipiche del suo nuovo linguaggio artistico. Raramente gli esperti mettono la
volta in relazione all’operato architettonico del maestro, in questo elaborato,
invece, si evidenzia il fatto che i problemi sollevati dalla Sistina abbiano consentito
a Michelangelo di sviluppare tutta una serie di pratiche che gli sono poi tornate
utili nell’affrontare futuri progetti architettonici.
Da non sottovalutare anche le importanti
indicazioni di natura bibliografica che l’autrice offre al lettore per la piena
comprensione del rapporto tra cappella ed architettura.
Mauro Mussolin, curatore della
mostra e del catalogo, si concentra sulla Finestra
a edicola della cappella dei santi Cosma e Damiano in Castel Sant’Angelo. La
sua riflessione parte dalla considerazione che l’edicoletta, per l’artista,
costituisce una sorta di incunabolo, ossia la prima vera prova in campo
architettonico. Lo schema applicato è piuttosto vitale e mostra un effetto di
notevole potenza espressiva che tradisce la concezione architettonica
fortemente plastica del Buonarroti: i vigorosi risalti dell’edicola sono
paragonati alla forza plastica del telaio architettonico della Sistina. Lo
studioso osserva che con questa opera il maestro anticipa soluzioni presenti
nei fogli progettuali del prospetto di
San Lorenzo.
Sempre la Brothers redige un rilevante
articolo sui Disegni dal Codice Coner:
studi dall’antico e da architetture romane, la magnetica attrazione che le spoglie
classiche esercitano sugli artisti non è argomento nuovo, lo è, invece, il
particolare rapporto tra l’antico e Michelangelo: l’artista a differenza dei
suoi “colleghi” non si preoccupa di registrare su grossi taccuini il fascino esercitato
dai ruderi, ancora visibili, della civiltà romana, il toscano è attirato solo da
esigui dettagli, estrapolati e ripensati secondo il suo specifico interesse. Della
sua predisposizione rimangono 6 fogli a matita rossa,
tratti dal cosiddetto Codice Coner,
i quali dimostrano come il maestro non sia attratto dal taccuino - sono, infatti, tralasciati tutti i dati identificativi riportati nel codice - quanto piuttosto da alcuni particolari (basi, cornici o trabeazioni), ritenuti utili od interessanti per il suo lavoro, che risulteranno essere i modelli rielaborati in alcuni progetti approntati successivamente.
La terza ed ultima sezione
indaga Gli anni dal 1534 al 1564, e
si apre con uno studio di Maddalena Scimemi, esperta storica dell’architettua e
urbanistica, su Michelangelo e la cultura
architettonica a Roma alla metà del XVI secolo. A differenza dei suoi
contemporanei (Bramante, Raffaello, Peruzzi, i Sangallo e altri) impegnati a
redigere trattati e commentari a stampa di natura architettonica, Michelangelo
sembra non cedere a questa moda, né sembra accettare le regole classiche di
costruzione degli edifici.
Il Buonarroti se cita l’antico lo fa perché un particolare ha catturato la sua
attenzione ed è considerato dall’artista degno di essere replicato o, il più
delle volte, ripensato e reinterpretato nei suoi progetti. Egli sembra
sottrarsi al dibattito culturale che si è sviluppato: non è coinvolto nella querelle tra antiquari e vitruviani, le
sue ideazioni sono il risultato di vere e proprie sperimentazioni e non
imitazioni.
Claudia Echinger-Maurach, del Kunsthistorisches Institut di Firenze,
si occupa del cosiddetto “dramma di Michelangelo”: La “sepoltura” di Giulio II: dai primi progetti alla realizzazione.
Ne dà una lettura non legata, come spesso è stato fatto, alla disposizione
sentimentale del maestro, quanto piuttosto al particolare rapporto tra scultura
ed architettura che si ricava da un’attenta osservazione. La struttura a ben
guardare si colloca come diaframma tra il luogo di preghiera e canto dei
religiosi e la navata vera e propria dove le parole dei regolari o dei canonici
si diffondono con effetto di amplificazione. Mettere in relazione il coro con
il monumento sepolcrale e porlo in rapporto spaziale con l’altare delle
reliquie e la tomba del Cusano è certamente una soluzione audace, un’invenzione
assolutamente inedita e complessa, che dimostra una libertà espressiva sotto
molti aspetti quasi epocale.
Viene, quindi, tracciata una
storia dell’evoluzione del monumento, citando sia Vasari che il Condivi, che considera le varie riduzioni che
conducono al convenzionale progetto a muro, assolutamente non banale nella
concezione spaziale.
Guido Rebecchini, studioso del
Rinascimento italiano, nello scritto Michelangelo
e le mura di Roma, indaga il valore simbolico insito nell’azione di
ridefinizione dei confini della città e di rifacimento delle mura da parte di Paolo III,
che vuole così riaffermare l’autorità pontifica e allo stesso tempo ammonire
contro ribellioni interne. Michelangelo è incaricato dal Farnese, ma lascia
presto questa commissione per altri mandati.
Oronzo Brunetti, prof. a Parma
di disegno architettonico, in Michelangelo
e le fortificazioni del Borgo affronta la questione attributiva del
vigoroso e monumentale Bastione del
Belvedere, ascritto all’artista da importanti studiosi come Bruno Zevi,
Paolo Portoghesei e Lionello Puppi.
La Ragionieri, sulla base dei
disegni della Fondazione Casa Buonarroti,
propone un saggio sulla Tomba di Cecchino
Bracci, nipote di Luigi del Riccio, fuoriuscito fiorentino, provveditore
del Banco Strozzi a Roma e segretario del toscano. Gli studi preparatori indicano
una genesi-elaborazione piuttosto tormentata che conduce alla tipologia del
sarcofago a coperchio. Sulla base dei disegni esaminati la struttura della
tomba a parete è ricondotta alle ricerche eseguite per la Sagrestia Nuova in San
Lorenzo.
La Bedon sviluppa un secondo interessante
contributo (Piazza del Campidoglio) in
cui è delineata una precisa storia della piazza rinascimentale a partire dal
momento in cui papa Farnese affida i lavori di ristrutturazione al maestro. Approfondisce
non solo gli incarichi e il modo di affrontare le questioni legate
all’architettura del Buonarroti, ma anche il ruolo «determinante» di Tommaso
dei Cavalieri, amico del primo e deputato ai lavori. Tommaso sembra abbia avuto
una funzione attiva nell’ambito della progettazione della piazza che per sua
volontà avrebbe assunto l’aspetto aulico e dal forte significato ideologico che
ha oggi. L’autrice, dunque, ritiene che l’artefice principale della facies scenografico-teatrale odierna del
Campidoglio sia stato proprio quel Tommaso dei Cavalieri, nostalgico dei fasti
antichi romani.
Francesco Benelli, storico
dell’architettura, consegna alcune osservazioni singolari sulla morfologia e sull’uso
di Le colonne alveolate di palazzo dei
Conservatori. Reputa la struttura “trilitica”
così come conformata e ideata dall’artista assimilabile a quei sistemi a
baldacchino di memoria medievale. Michelangelo, però, grazie alla duplice
funzione visiva impiegata, reinterpreta in maniera assolutamente nuova e
moderna la compagine architettonica inserita; essa serve a:
a. inquadrare gli ingressi del
Palazzo;
b. rendere il complesso
trilitico indipendente dall’adiacente ordine gigante.
Tale sistema architettonico al
tempo stesso funge da struttura e da decorazione, la soluzione sperimentata, infatti,
è pervasa da un’insolita nota chiaroscurale che consente di esaltare e
percepire le possenti forme delle colonne anche in condizione di penombra.
L’autore, inoltre, sottolinea il
dato che la colonna alveo diffusamente utilizzata in Campidoglio in precedenza
non abbia avuto un largo impiego, mentre, a partire da quel momento, si registra
un conseguente e ampio uso.
Claudio Parisi Presicce,
direttore dei Musei Capitolini, presenta un intervento articolato e meticoloso
sulla evoluzione decorativa della piazza: Michelangelo
e la decorazione scultorea della piazza Capitolina.
Lo studio di Emanuela Ferretti,
studiosa di storia dell’architettura, si basa sul corpus delle testimonianze scritte ed iconografiche relative alla
fabbrica di Palazzo Farnese giunte a
noi. Propone un quadro ben articolato delle diverse fasi costruttive della
corte, costruzione fondamentale per la comprensione non solo della vicenda
architettonica romana, ma anche del capitolo relativo alle grandi residenze
nobiliari italiane ed europee. L’attenzione è, ovviamente, concentrata sul periodo
in cui vi lavora il Buonarroti (tra il 1546 e il 1549), momento in cui nel
cantiere farnesiano si avvia un decisivo cambiamento d’indirizzo. La sua
presenza, seppur breve, è stata profondamente significativa; i suoi interventi
esplicitano, da una parte, il caratteristico approccio all’architettura del
maestro, ovvero quel tipico rapporto dialogico tra architettura e scultura,
dall’altra, un particolare, quanto insolito, interesse per l’antico, che
implica l’uso di un linguaggio assolutamente unico. Sono individuati precipuamente
gli elementi di matrice o di derivazione michelangiolesca. Nello scritto l’autrice
prospetta il superamento di una progettazione di natura strettamente architettonica,
per implicare un concetto più esteso di matrice urbanistica. Il Palazzo,
infatti, rappresenta un momento di
costante comunicazione tra architettura e scultura da un lato e architettura-scultura
e ambiente dall’altro: è già in nuce il
risultato che otterrà con la ristrutturazione del Campidoglio.
Alessandro Brodini, studioso di
storia dell’architettura, si pronuncia sui 17 anni in cui Michelangelo è stato
alla guida del cantiere di San Pietro in
Vaticano; ritiene che, sotto molti aspetti, l’intervento del maestro sia
stato decisivo per la configurazione definitiva della basilica. Nella relazione
il Brodini riassume e sintetizza quanto espresso dalla sterminata bibliografia
sull’argomento. Vi osserva che, grazie ai documenti di cantiere, è possibile
seguire in maniera abbastanza puntuale l’andamento dei lavori, nonché la
portata delle innovazioni introdotte dall’artista. Il toscano si sente
l’esecutore ideale di Donato Bramante,
e, pur creando un organismo completamente nuovo, crede e dichiara di seguire “pedissequamente”
il progetto del lombardo.
Vitale Zanchettin, ricercatore
all’Università di Venezia, si concentra su Il
tamburo della cupola di San Pietro in Vaticano; della struttura
architettonica ideata dal Buonarroti esamina i profili e le parti
architettoniche portate a termine. I disegni del maestro mostrano le iniziali
fasi progettuali ed esecutive dell’organismo, i fogli indicano l’idea piuttosto
chiara che l’artista doveva avere sulle forme della copertura. Lo studioso
presenta dati tecnici molto approfonditi, forse anche troppo, e sulla base dei
progetti sono documentate le varie fasi costruttive e le variazioni subentrate
rispetto alle primitive concezioni.
La Echinger-Maurach interviene
nuovamente con Progetti per edifici
residenziali eseguiti a Roma intorno al 1550-1560, un contributo che
fornisce una lettura tecnica e stilistica di diversi disegni autografi riferibili
ad architetture di natura residenziale. Degno di nota il fatto che Michelangelo
trasformi i classici corridoi in veri e propri vestiboli, di memoria
laurenziana, che qualificano profondamente le strutture a cui lavora.
Il Mussolin torna con uno saggio
su San Giovanni dei Fiorentini, dove
delinea con precisione sintetica una storia costruttiva del monumento, con
particolare attenzione alla fase che ha visto coinvolto il maestro
rinascimentale. I fogli di progettazione della chiesa rappresentano da un punto
di vista stilistico i più superbi esempi di disegno di architettura del periodo
maturo del toscano, sono vere e proprie opere d’arte autonome che, se osservate
con attenzione, restituiscono riflessioni grafiche d’intensità, fantasia e
lungimiranza assolutamente significative.
Georg Satzinger, storico
dell’architettura rinascimentale italiana, consegna uno studio sulla Cappella Sforza in Santa Maria Maggiore,
dove si valuta il contributo del maestro alla facies attuale della cappella, ideata dal Buonarroti, ma terminata dopo la sua morte. Si traccia
anche una storia delle relazioni intercorrenti tra il toscano e i committenti,
quindi si tenta una ricostruzione dell’aspetto originario della struttura
secondo le primitive concezioni michelangiolesche.
Golo Maurer, studioso di
Michelangelo, scrive del progetto del prospetto interno di Porta Pia, commissionata da papa Pio IV Carafa. Il fatto che Michelangelo
sia chiamato ad occuparsi della facciata interna della porta è piuttosto
interessante: fino a quel momento, infatti, l’attenzione è esclusivamente al
prospetto esterno.
Per la prima volta si mette in scena l’uscita dall’Urbe e non la tradizionale
entrata trionfale, nel ribaltamento del concetto di accesso si celebra
l’ingresso alla campagna ! L’artista è incaricato di costruire ex novo una porta cittadina, in
sostituzione dell’antica Porta Nomentana,
come termine del nuovo tracciato viario voluto dal papa (Via Pia, oggi Via XX Settembre).
Si tratta dell’ultimo, e meno popolare,
intervento architettonico dell’anziano maestro che si conclude dopo la sua
morte. Il contributo affronta, sulla base dei disegni progettuali pervenuti,
vari problemi di autografia. I fogli
indicano che il Buonarroti combina diversi motivi mutuati dal suo repertorio con
nuove invenzioni formali (per esempio la forma del varco del portale terminante
con un’insolita piattabanda o le forme e proporzioni grandi al limite del
colossale per creare una più efficace visione da lontano).
Il Brodini conclude la parte
saggistica con uno scritto su Santa Maria
degli Angeli, secondo gli studiosi la chiesa, dopo il restauro del Vanvitelli,
ha completamente mutato forme
per cui il progetto del toscano presenta sotto molti aspetti contorni piuttosto
sfocati. Dell'edificio sacro, inoltre, non rimangono fonti grafiche contemporanee, o
di poco successive, all’intervento del maestro, né sono stati rintracciati
autografi che si riferiscano con certezza ad esso. È tracciata la storia delle
terme, nel cui frigidarium la
basilica si insedia, da servizio pubblico a simbolo della riconquista al
Cristianesimo.
A questa prima parte segue un
catalogo di 104 illustrazioni a colori, purtroppo non commentate e una
esauriente bibliografia generale organizzata in ordine alfabetico.
IL LIBRO Michelangelo Architetto a Roma
a cura di Mauro Mussolin, con la collaborazione di Clara
Altavista. Catalogo
della Mostra, Roma, Musei
Capitolini, Palazzo Caffarelli, 6 ottobre 2009 - 7 febbraio 2010
.
Silvana
Editoriale, Milano, ottobre 2009.
358 pagine, 104
illustrazioni. € 35,00
NOTE
Particolare interessante, la matita rossa, infatti, non è il medium più
idoneo alla realizzazione di disegni architettonici!
Ancora oggi alcuni studiosi parlano del monumento con una certa
perplessità: le soluzioni architettoniche introdotte sono state malviste
(Milizia), considerate troppo arbitrarie
ed eccessive nel linguaggio artistico impiegato. Solo alla metà del XVIII
secolo Jacob Burchard, nonostante le sprezzanti critiche del passato, ne
riconosce l’importanza. Nel XX secolo la storiografia tedesca elegge la Porta ad opera chiave per comprendere il
Michelangelo architetto, diviene il monumento simbolo del linguaggio manierista
della generazione successiva.
|