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La nascita dell'architettura del giardino rinascimentale nell'Hypnerotomachia Poliphili [1]  
Stefano Colonna
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 14 Maggio 2010, n. 562
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Il giardino rinascimentale viene ideato e realizzato in seguito ad una felice e fruttuosa riscoperta del giardino romano antico che, dopo il “sonno del Medioevo”, viene accuratamente riportato alla luce dagli umanisti attraverso un meticoloso studio dei testi classici che lo descrivono e infine amorosamente ricostruito in alcuni prototipi che sono rimasti storici.

Se è vero che il giardino rinascimentale all’italiana ha una lunga storia evolutiva praticamente ininterrotta dal Rinascimento ai giorni nostri, bisogna però osservare come gli esempi più magniloquenti vengono prodotti nel Settecento.

Prima di arrivare ai maturi e splendidi esempi del parco della Reggia di Caserta, che venne costruito a partire dal 1753; o, tornando indietro negli anni, all’ideazione della Villa d’Este di Tivoli a cura di Pirro Ligorio, databile dal 1560 in poi, mentre l’inaugurazione avvenne nel 1572; oppure ancora ai celebri Orti di Boboli, che furono acquistati nel 1418, quarant’anni prima della costruzione del palazzo Pitti, fino all’abbellimento dei giardini iniziato soltanto col passaggio della proprietà ai Medici nel 1549 per opera di Niccolò Tribolo.

Per arrivare alla maestà di questi esempi celeberrimi, la storia del giardino all’italiana ebbe un periodo di generosa e misteriosa incubazione intorno al testo primo dell’Hypnerotomachia Poliphili del 1499, racconto onirico dove l’architettura antica viene rievocata al tempo stesso con spirito scientifico e immaginazione fantastica, sia grazie alla perfetta conoscenza dei classici, da Plinio a Vitruvio, sia anche per la presenza discreta eppure fondamentale di personaggi-chiave del Rinascimento italiano come il grande architetto e teorico Leon Battista Alberti.

Per comprendere quanto sia stato importante l’Alberti per la genesi dell’ Hypnerotomachia basta dire che le “sue” parole vengono usate molto spesso nel nostro testo, vengono cioè citate spesso nell’ Hypnerotomachia parole desunte da opere rare di Leon Battista Alberti, talvolta anche inedite [2] . Questa circostanza sembra così dimostrare che la conoscenza della sua produzione letteraria avvenne in maniera personale in base ad una frequentazione diretta con l’autore. E infatti l’Alberti lavorò con Stefano Colonna, padre dell’autore del Polifilo, nella città di Palestrina per la costruzione di una parte del palazzo baronale.

Un esempio unico nel Rinascimento, l’Hypnerotomachia: laboratorio di ricostruzione filologica dell’antico esemplata sul modello perfetto dell’uomo ideale, macrocosmo e microcosmo insieme del rinnovato interesse per l’Uomo e la Natura che è al centro delle speculazioni filosofiche di quegli anni, al suo interno il giardino acquisterà il valore di ente perfetto, luogo ideale di manifestazione delle attività dello spirito, ma anche di tutte le bellezze possibili e immaginabili di una Natura perfetta e incorruttibile.

 

 
 

Il giardino romano antico

 

Per meglio comprendere le istanze culturali e sociali che stanno alla base della riscoperta del giardino romano antico nel Rinascimento è utile rileggere il paragrafo  introduttivo della monografia dell’architetto Domenico Filippone, Le zone verdi nella moderna urbanistica italiana, edita da Sperling & Kupfer nel 1937 dove viene affrontata con grande anticipo la questione del verde nell’urbanistica e a tal fine si ripercorrono in modo chiaro e sintetico le fasi salienti della storia del giardino nell’età antica:

«La rigida concezione della vita romana fino agli ultimi secoli della Repubblica non favoriva lo sviluppo del giardino di abbellimento; il gusto per i parchi e per le villeggiature incominciò a manifestarsi all’epoca di Silla, dopo le guerre mitridatiche, quando ricchi personaggi portarono dall’Asia le fastose abitudini orientali.

Lo sviluppo dei grandi parchi privati a detrimento della coltivazione agricola raggiunse, durante l’Impero, tali eccessi da provocare la reazione di spiriti eletti come Orazio e Virgilio. Ed è interessante notare come Seneca riprovasse persino la coltivazione dei fiori sulle terrazze, ritenendola «decadenza del costume».

Il giardino romano perdette dunque, dopo il II sec. A. C., il carattere esclusivamente utilitario, assumendo un carattere estetico ben definito che faceva prevalere le forme architettoniche su quelle naturali; le parti rustiche trovarono ben poco spazio nella villa romana, che si doveva modellare sul «gusto» di una società civilizzata. Doveva essere un «opus urbanissimum», come dice Plinio il Giovine. Numerose costruzioni (molte delle quali imitavano i più celebri monumenti conosciuti) arricchivano questi giardini: portici coperti e scoperti, esedre, vasche, ninfei, etc. Le piante non si sviluppavano liberamente, erano anch’esse assoggettate alla composizione architettonica mediante il taglio (opus topiarum) che dava al loro fogliame determinate forme geometriche o animali. L’acqua aveva poi una funzione importantissima nel giardino romano.

I grandi parchi patrizi che sorsero nelle più amene località italiche, come per es. a Tusculum, Antium, Tibur, Caieta, Baiae, Surrentum, ecc., formarono anche intorno a Roma una grande cintura verde press’a poco ubicata tra le mura serviane e le aureliane. Gli imperatori però tendevano ad incorporare nel demanio tali parchi, perché ritenevano pericolosa la permanenza di essi in mani private. Le località preferite per i giardini privati furono l’Esquilino (ove sorgevano i celebri giardini di Lucullo) [3] e il Pincio, allietato dagli orti sallustiani.

Ma i Romani non ebbero solo il giardino privato. Alcuni boschi, sul Celio, su l’Aventino, ai «Prata Flaminia», al Campo Marzio, servivano di pubblica passeggiata fin dai tempi della Repubblica. Ma poi questi boschi scomparvero quasi tutti per dar posto all’espansione edilizia o a parchi privati. Gli imperatori furono però munifici nel ridonare al popolo, sacrificando dei gruppi di case, numerosi giardini che inquadravano spesso edifici o complessi monumentali: Cesare legò per testamento una sua villa al popolo in Trastevere, Augusto rese pubblico il Campus Agrippae, Alessandro Severo costruì giardini intorno alle sue terme.

Anche i templi erano circondati spesso  da giardini consacrati alle divinità; così pure furono curati presso i Romani i giardini funerari» [4] .

 
 

 

 

L’Hypnerotomachia Poliphili

 

Ma veniamo all’Hypnerotomachia Poliphili.

L’incunabolo più importante del mondo è divenuto famoso per le sue 170 pregiate illustrazioni, xilografie incise su legno, ma anche e soprattutto per l’originalità di ogni cosa concepita all’interno del libro, a partire dalla rara complessità della lingua, fino ad arrivare alla ricchezza infinita delle simbologie degli episodi rappresentati. Originalissimo è lo stesso titolo che significa «battaglia d’amore in un sogno», parola composita che non esiste nel dizionario greco, ma che risulta dalla combinazione fantastica di tre parole greche, «ypnos», «eros» e «mache», appunto rispettivamente: «sogno, amore e battaglia». Sono molti gli hapax, cioè le parole inventate per l’occasione dall’autore con dotta competenza linguistica, fino a formare gli strumenti linguistici di un laboratorio filologico unico nel panorama di tutto l’Umanesimo.

Una delle cose più belle descritte nel romanzo è un giardino lussureggiante, ricco sia di piante e fiori di ogni specie, sia anche di architetture fantastiche, filologicamente ispirate ad altrettante architetture antiche realmente esistenti od esistite.

Questo giardino dell’Hpynerotomachia ne ha ispirati tanti altri, fino a potersi definire il prototipo del giardino rinascimentale tout court.

 

 

 

Il Somnium de Fortuna di Enea Silvio Piccolomini e il giardino della Fortuna

 

Per comprendere appieno i reconditi significati e il valore ultimo del giardino dell’Hypnerotomachia dovremo ripercorrere insieme il percorso iniziatico di Polifilo fin dall’inizio della sua storia.

Facciamo però prima ancora un ulteriore passo indietro, dal 1499, anno di stampa dell’Hypnerotomachia, al 1444, anno in cui Enea Silvio Piccolomini, che diventerà il famoso Papa umanista, cioè Enea Silvio Piccolomini, scrive, o meglio finge di scrivere una lettera all’amico Procopio di Rabenstain per consolarlo della mancata assegnazione di cariche nell’ambito della cancelleria imperiale, di cui Enea Silvio a quell’epoca era segretario.

L’operetta in questione si intitola Somnium de Fortuna e descrive con ricca immaginazione la dimora della Fortuna, che è fornita di un ricco giardino. La tematica del sogno, quella della Fortuna e quella del giardino paradisiaco anticipano puntualmente l’Hypnerotomachia. Per questo motivo ci fermiamo ora a leggere qualche pagina di quel testo piccolomineo come un’introduzione generale alla nostra discussione sul tema del giardino rinascimentale.

 

 

Somnium de Fortuna di Enea Silvio Piccolomini, 1444 :

 

Il Poeta Enea Silvio, saluta vivamente il signor Procopio di Rabenstain notevole letterato.

 

La notte scorsa, prima di abbandonarmi al sonno, tra me e me ho parlato molto di te. Mi meravigliavo che per le tua alte qualità non ti si dava il posto conveniente, perché anche se sei gradito a Cesare, non ti vedo esaltato alla stregua del tuo valore.

Infatti, sebbene risplendano in te nobiltà e probità, non vedo perché tu non debba essere posto tra i primati. Accusai dunque la Fortuna, che si crede ora dispensatrice di onore, ora di ricchezza e dissi tra me e me fino alla sazietà come mai colpisse i buoni ed innalzasse i cattivi, e non ebbi pace finchè non mi colse un sonno profondo.

Ma nella quiete del sonno contemplai cose mirabili, che ora ho deciso di riferirti.

Tu apri le orecchie e apprendi cose tanto mirabili quanto stupende.

Già passata una parte della notte, ebbi questa visione.

Giunsi in luoghi lieti ed in ameni luoghi verdeggianti: vi era un campo di grano in mezzo ad un lussureggiante bosco, cinto da un ruscello e da un muro, e là due porte, l’una di corno, l’altra splendente di lucente (bianco) avorio. Muri altissimi di diamante. Un ruscello di profondità immensa. Nessun accesso alle porte tranne che due ponti, che tuttavia, sollevati da catene, aprivano il passo ai pochi che venivano. Sulle rive che c’erano nella parte delle porte una grande quantità di uomini e donne che tendevano le mani e supplicavano di essere trasportati. Spaventato da questo fatto strano, mentre corro qua e là mi vengono incontro molti di cui conoscevo i volti; non conoscevo tuttavia per quale ragione accadesse che nessuno mi rivolgesse a lungo la parola.

Giunsi alla porta cornea, al sommo alla quale vidi scritte queste parole in lettere antiche: «Ammetto pochi, ne faccio rimanere meno». Ansioso di conoscere che cosa ci sia più all’interno, supplico il custode della porta con grandi preghiere che mi apra le porte. Allora viene un giovane accompagnato da un gran numero di gente. Conosco la natura del luogo: era dalle parti del Reno. Chiunque esso sia, dico, si avvicina a me un uomo importante togato, credo Italico, riconosce in me un Italico; (viene) dalla parte di Ludovico, dice costui, duce della Bavaria, principe elettore che ci condurrà al di là di quel muro, ed insieme con lui: ma quell’uomo illustre mi ottiene il passaggio poiché qualche diritto crea tra noi la patria comune. Lo farò, disse egli, ed avevamo appena cominciato a parlare quando, fatti calare i ponti, entrò Ludovico ed insieme con lui molti altri che il custode della porta chiamò ad uno ad uno.

Io, come per esplorare, sotto il mantello del principe che stringeva Ludovico, che mi parve uno dei capi di Brandeburgo, entrai di nascosto.

Colà fiori, prati, ruscelli, qua ruscelli correnti di latte e di vino, fresche fonti, laghi pieni di pesci, gradevolissimi bagni, ricchi vigneti sempre pesanti di grappoli, alberi di perpetuo autunno, come si crede abbiano avuto i giardini delle Esperidi o i Feaci. Attraverso le selve, di cui il solo profumo serve di nutrimento, animali selvatici facili a catturarsi: uccelli nati per il canto, è l’unico luogo chiamato presso gli Etiopi tavola del sole, sempre ripieno di ricche mense su cui tutti si nutrono a sazietà, presso cui vi è un lago saluberrimo di lievi sorsi di latte. Qui vi sono molti luoghi di tal genere, mense allestite sotto gli alberi, con una grande quantità di coppe ricche di gemme e di coppe d’oro. Nessun vino può essere paragonato a quello che scaturisce da quelle parti dalla viva roccia. Qua e là fluiscono  sorgenti di miele e canne piene di zucchero. Ogni genere di profumi cade dagli alberi. Inestinguibili miniere d’oro e d’argento. Pietre preziose pendono nei boschi come bacche, belle fanciulle e giovani eleganti tessono perpetue danze. Qualsiasi tipo di musica esista, risuona colà. Non tanto voluttuoso paradiso Maometto promise ai suoi fedeli, quanto avresti potuto vedere qui.

Qua e là correvano tesorieri Bacco, Cerere e Venere [5] .

 

Le due porte di corno e d’avorio che si mostrano davanti ad Enea Silvio Piccolomini sono le stesse descritte nell’Eneide (VI, 893-896): alla porta di corno corrispondono i sogni veri e a quella d’avorio i falsi.

Enea Silvio entra nel palazzo della Fortuna e viene stupefatto da una visione d’incanto: un luogo primordiale sconosciuto ai mortali che appare perfetto in ogni sua manifestazione.

L’enumerazione delle splendide ricchezze che abbondano in ogni parte di quel luogo edenico non fa che amplificare la meraviglia di Enea Silvio.

Ma la presentazione stupefatta di tanta ricchezza serve solo a preparare un discorso in chiave morale che consiste nel topos letterario dell’ubi nunc, vale a dire: «dov’è ora ? ». Dov’è ora, si chiederà Enea Silvio nel prosieguo del Sogno, dov’è ora la ricchezza di Antonio o Cesare, dei grandi e potenti di un tempo ? È finita in malo modo: di fronte allo scorrere del tempo si capisce che la ricchezza della Fortuna è transitoria e le bellezze mortali non sono eterne e la gioia che deriva dai beni di Fortuna viene presto sostituita dalla sofferenza per la loro perdita. La riflessione sulla caducità delle cose di questo mondo non fa dunque che mettere in risalto i valori dell’eterna Sapienza che alla caduca Fortuna si oppongono in senso rinascimentale. Nondimeno la descrizione del giardino della Fortuna è veramente degna di un giardino edenico.

 
 

 

Il tema del giardino della Fortuna nell’Hypnerotomachia Poliphili

 

Su questa stessa articolazione di massima, vale a dire sulla riflessione critica sul concetto di Fortuna condita dalle belle digressioni su monumenti antichi e giardini edenici, si svolge il discorso sulla Fortuna nell’Hypnerotomachia qualche anno più tardi, nel 1499, anno della stampa veneziana del volume per i tipi di Aldo Manuzio il vecchio.

Polifilo si trova in un bosco, smarrito come Dante nella Commedia. Ma riesce ad uscirne indenne nonostante i pericoli. E la prima visione antiquariale importante che gli si staglia perentoria e robusta è, come ha scoperto Maurizio Calvesi, quella dell’immenso Palazzo della Fortuna, la cui complessa descrizione si ispira al Tempio della Fortuna Primigenia di Preneste, il più grande tempio dedicato alla Fortuna nell’antichità [6] .

Il tema della Fortuna ritorna più volte durante la prima parte del viaggio iniziatico di Polifilo. Lungo il suo travagliato percorso infatti Polifilo incontra un frenetico cavallo che disarciona dei puttini scaraventandoli a terra. La brutta fine dei puttini sta ad indicare la cattiva sorte, ovvero la mancata Fortuna.

Nel prosieguo del libro, grazie ad una tutta rinascimentale dialettica degli opposti, a contraltare della Fortuna ad un certo punto compare davanti a Polifilo la visione dell’elefante “obeliscoforo”, vale a dire di un elefante che sorregge sul groppone un obelisco egizio. Il simbolo va così interpretato: l’elefante, grazie alla sua possente memoria, è simbolo di una mente robusta che sostiene la Sapienza egizia. Elefante perciò come simbolo di Sapienza tout court.

Se dunque la Fortuna dà e toglie senza garanzie di stabilità alcuna, la Sapienza al contrario regala a premio della Saggezza beni di eterna durata. È un invito allo studio, alla riflessione, a coltivare gli studia humanitatis e le buone inclinazioni dell’essere umano, rifuggendo le facili tentazioni del potere, del denaro e delle ricchezze di questo mondo che danno facili e spesso intense, ma effimere soddisfazioni.

Molto spesso l’Hpnerotomachia viene letta come un romanzo pagano e basta, ma in realtà i riferimenti alle pur presenti tematiche sensuali e “laiche” sono “posti per essere tolti” in una filosoficamente complessa “dialettica degli opposti” di matrice cristiana.

 

 
 

L’Isola di Citera nell’Hypnerotomachia Poliphili

 

Traboccante di sensualità è la descrizione dell’amore di Polifilo per Polia, che è come una pentola in ebollizione, quando il liquido fuoriesce dai bordi a causa del fuoco troppo alto, causato dagli sguardi penetranti della donna amata.

Polifilo giunge sull’isola di Citera con una navicella a sei remi. Il luogo è incantevole: è un giardino pieno di delizie. L’aria limpida profuma di incredibili effluvi floreali. Frutti di tutti i colori in mezzo al verde dei fogliami, con percorsi ben definiti tra le piante e coperti da pergolati di rose di tutte le specie.

Questo luogo aveva una circonferenza di 3 miglia ed era circondato da ogni parte da acque marine. Sul litorale crescevano cipressi di altezza uniforme. Ogni cipresso era separato dal successivo da una distanza di tre passi. Un altro cerchio era disegnato con un bel mirteto fiorito consacrato e dedicato alla divina Genitrice «de li amorosi fochi». All’interno della siepe di mirto vi erano venti partizioni eguali recintate da cancellate marmoree contenenti ciascuna un boschetto.

Seguivano boschetti di querce; di profumati cipressi silvestri e di pini ed ancora di bossi piantati in urne marmoree rotonde o quadrate. Tagliate nel bosso le Fatiche di Ercole finte in stile antico. Vi era poi il duro corniolo, il tasso, olmi, tigli, vetrici, carpini, frassini, la lancia di Romolo in fiore, nespoli e sorbi. Abeti, larici, noce, persico, basilico, il mollusco e il tarantino, i noccioli, mandorli. Un boschetto di castagni, lo sparto, i melograni, un boschetto di loto, la fava siriaca e il celti, o meliloto o ciceraso. Paliuri dai frutti rossi. I luoghi erano salubri e privi di venti freddi.

Ad un certo punto si poteva ammirare un pergolato con cupole di forma emisferica ricoperte di rose gialle, i pergolati lungo le strade rivestiti di ogni specie di rose bianche e poi ancora di rose vermiglie, con altri fiori profumati. C’era una barriera di aranceti interrotta da una finestra ad arco. Ogni prato presentava quattro porte. Nei prati più esterni vi erano fontane zampillanti, poste sotto padiglioni realizzati in bosso verdeggiante.

Dappertutto germogliavano erbe profumate: basilico, cedronella, e cerfoglio, poi il timo e il gliciacono, chiamato nettario o abrotano, la valeriana celtica. Poi ancora i meli, l’appiano, il claudiano, il paradisiaco e le mele dece.

 
Non mancavano gli alberi da frutto.  Vi si producevano quattro tipi diverse di pere: la muscatella, la crustumina, le siriache e le curmundule.

Qui viene da pensare ad un’anticipazione del pittore mediceo Bartolomeo Bimbi (1648-1723), che rappresentò nei suoi quadri 115 varietà di pere e 59 di mele [7] .

 
In alcune casse distinte germogliavano la saliunca, cioè la valeriana saliunca, il polio montano, cioè il camedrio polio, il ladano e il cisto e l’ambrosia, cioè l’artemisia o assenzio selvatico.

Particolarmente belli e curati erano i roseti, con le damascene, le prenestine, le pentafille, le campane, le milesie, le pestine, le trachivie, le allabandicie.

Un riferimento al tema della rosa è testimoniato dai versi immortali coevi di Lorenzo il Magnifico, nella sua egloga in terza rima Corinto: «Cogli la rosa, o ninfa or ch'è 'l bel tempo» [8] .

 
Fra le decorazioni abbondavano narcisi in fiore, bulbi emetici d’acqua o cepee marine, come anche il giacinto e il giglio della valle, lo xifio campestre e l’illirico, la calta, l’ippotesi, ovvero coda equina, la coda di leone, viole tusculane, marine, calaziane e autunnali, la balsamite, cioè la menta d’acqua, ovvero cimiadon o trachiotis.

Non mancavano melaranci, cedri e limoni.

Tutta questa bellezza non era lasciata a se stessa, ma costantemente curata da fanciulli e fanciulle che coltivavano la natura con lo scopo di preservare una tale creazione.

Giardini di forme e colori particolarissimi venivano creati grazie alla armoniosa composizione di diverse specie floreali e botaniche. C’erano aiuole quadrangolari formate da sansuco, abrotano, camepito, serpillo montano, camedrio, rosa di viole color ametista. E ancora viole in fiore candide come cigni, melanzio ovvero git, cioè gettaione comune, viole gialle, ciclamini, ruta, primule fiorite. E ancora disegni a foglie di acanto, polio montano e adianto. Malve rosa, porporine e lilla, palle di issopo.  Gli ottagoni che incorniciavano i quadrati si presentavano con una delicata composizione di laureanziana, tarcon, achillea, senniculo, idiosmo, terrambula, baccara, amaraco e politrico.

 
Ma la meraviglia più grande consisteva in un edificio in stile antico di forma circolare situato al centro dell’isola che poteva ricordare il Colosseo o l’Arena di Verona e che al suo interno era decorato da bellissimi giardini pensili in stile orientale. Lo spettatore però, a differenza dei citati monumenti antichi, stava al centro del monumento e i giardini erano disposti sugli spalti tutt’intorno, dove si spargevano con profusione tanti fiori e profumi d’incanto.

La Masson giustamente ricorda come la «tomba di Augusto in Roma era stata realmente sistemata a giardino, di cui restano le incisioni cinquecentesche del Bufalini» [9] e quindi l’Hypnerotomachia viene a configurarsi come un incubatore di idee per questo nuovo ed interessante rapporto tra il monumento antico e il giardino sperimentato poi nella pratica urbanistica della città di Roma.

 
Maurizio Fagiolo in un saggio molto interessante ricostruisce con cura la lunga filiazione del tema del giardino circolare, qual è appunto l’isola di Citera dell’Hypnerotomachia, lungo il corso dei secoli e in tutto il mondo, a partire da un Ideogramma cosmologico del XVI sec.; citando il frontespizio della Partheneia sacra di H. Hawkins del 1633; il Giardino circolare di J. W. Gent, da Systema Horticulturae, 1683; di  R. Smythson un importante disegno del 1609, vale a dire il Rilievo del giardino di Lucy Harington duchessa di Bedford a Twickenham; un’incisione della seconda metà del XVII sec. che raffigura il Giardino del castello di Enghien in Belgio; il Progetto di G. London per il Giardino del castello di Chatsworth, incisione da Kip, 1727 e altri interessanti opere correlate [10] .

 
Tra le meraviglie descritte nell’Hypnerotomachia Poliphili vi è anche un misterioso e rarissimo labirinto d’acqua, che fa parte della storia del giardino italiano a pieno diritto, labirinto illustrato soltanto nell’edizione parigina del 1600 curata da Francois Beroalde de Verville. Un’edizione che si differenzia dalle precedenti per la presenza di questa nuova illustrazione e anche di un nuovo frontespizio inciso di carattere alchimistico.

«L’immagine descritta come un labirinto in realtà è una spirale con sette spire e sette torri, dove la via è formata da una sorta di canale che scorre fra le mura, a simboleggiare la vita umana; chi vi sia avventurato una volta con la sua navicella non può più tornare indietro e dopo un periodo iniziale di gioia in centro viene inghiottito da un drago» [11] .

 
Una delle aiuole dell’Hypnerotomachia Poliphili comprendeva quindici specie di fiori ed erbe: Maggiorana, Ruta, Altea rosata, Issopo, Aquilegia, Querciuola, Artemisia, Primula, Lavanda, di Spagna, Viola gialla, Nigella damascena, Timo, Ciclamino, Mammola purpurea, Mammola bianca [12] .

 
Tra le presenza più curiose nei giardini dell’Hypnerotomachia possiamo ricordare un’orchidea singolarissima notata dalla Masson, la quale a proposito dottamente afferma che «[…] I nomi che il Colonna adopera testimoniano con anche maggiore evidenza della sua cultura curiosamente eclettica e rendono l’identificazione di molte piante estremamente ardua. Alcuni sono nomi greci, altri latini ed altri d’uso corrente, sembra, nelle campagne italiane. Un tipo di orchidea, ad esempio, è da lui chiamata dibulbo unomico, con riferimento evidente al doppio tubero dell’orchidea maschio che, così come l’orchidea femmina, secondo una superstizione assai diffusa nelle campagne, non era soltanto un afrodisiaco, ma aveva proprietà magiche e, come la mandragora, poteva addirittura generare uomini. Nei trattati di giardinaggio del diciassettesimo e diciottesimo secolo entrambe le varietà sono sempre menzionate come coltivate in Italia» [13] .

 

Ma anche le semplici bordure diventavano sontuose grazie alla molteplicità delle essenze vegetali utilizzate nella fervida fantasia dell’autore: «[…] Tra le erbe enumerate dal Colonna come le più adatte per creare bordure vi erano la maggiorana, la ruta, l’artemisia, la querciuola, la lavanda, il timo e la calamandrea marittina; quando agli spazi interni delle aiuole, erano piantati a viole del pensiero bianche e gialle, primule, fior di finocchio e viole bianche e purpuree. Per dare risalto a questi fiori più piccoli, si alternavano con macchie di altee rosate e piante di issopo potate a palloncino, mentre al centro delle aiuole vi erano alternativamente, come nel giardino del Laurana ad Urbino, piccole are romane o grandi orci con un cipresso e fiori o cespugli di bosso potati in forme complicate, come quella di un pavone in atto di bere da una ciotola» [14] .

 


APPENDICE

 
Fiori del XV secolo citati nell'Hypnerotomachia [15]

  

NOME LATINO

NOME VOLGARE

ANTICO NOME ITALIANO

Aceras antropophora

Ballerino

Dibulbo uomico aequicoli; M. Testiculus; C. antropofore degli equicoli

Achillea rupestris (?) tanacetifolia (?)

Achillea o Millefoglie

Achilea

Althea rosea

Malvarosa o Malvone

Malva

Aquilegia alpina

Aquilegia

Aquilegia

Artemisia abrotanum

Artemisia

Aurotano; M. Abrotanum

Caltha palustris

Farferugine

 

Celosia plumosa

Celosia

Amarantho

Convallaria majalis

Mughetto o Giglio delle convalli

Lilli convalli

Cyclamen europaeum

Ciclamino o Pan porcino

Cyclamino

Gladiolus segetum

Fil di spada

Xiphion segetale, M. Xiphion segetale

Helichrysum angustifolium (?)

Elicrisio semprevivo

Heliochrysso

Hippuris vulgaris

Ippuride

Hippotesi

Hyacinthus orientalis

Giacinto orientale

Hiacynthi albenti, cerulei, purpurei che non fiorisce in Gallia

Hyssopus officinalis

Issopo

Issope

Inula helenium

Enula

Lachryme di Helena

Lavandula officinalis

Lavanda

Lavandula

Lonicera periclymenum

Caprifoglio

Periclymeno; M. Periclymenum madreselva

Myosotis palustris

Non-ti-scordar-di-me

Auricole fluvicole; M. Myosotis palustre

Narcissus tazzetta ( ?)

Narciso a mazzetti

Floribondi narcissi

Nigella damascena

Capelli di Venere o Damigelle o Fanciullaccia

Mellantio o Gyth; M. Gith o Niella

Origanum majorana (?)

Maggiorana

Origani

Primula auricula

Orecchia d’orso

Senniculo; M. Sanicula o Auricula ursi

Primula vulgaris

Primula

Primula verisflorida

Ranunculus acris flore pleno (?)

Ranuncolo

Dilherba anemone o Dilherba tora; M. Ranunculus tora giallo

Ruta graveolens

Ruta

Ruta

Santolina chamaecyparissus (?)

rosmarinfolia (?)

Santolina o Crespolina

Chamaepitas; M. Chamaecyparissus Chamaepytis ; Santolina cypressus

Teucrium fruitcans (?)

Teucrio

Chamaedryos; M. Teucrium chamaedry, Germandrée

Thalictrum minus adiantifolia

Talitro

Adiantho aquilegie

Thymus serpyllum

Pepolino o Serpillo

Serpillo montano

Viola sylvestris

Viola selvatica

Viole amythystine

Viola odorata

Viola mammola

Viole olorine

Viola tricolor

Viola del pensiero

Viole Luteole; M. Viola arborescens o jacea o pensieri

 

 

 


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

BORSI 1995
Stefano BORSI, Polifilo Architetto. Cultura architettonica e teoria artistica nell'Hypnerotomachia di Francesco Colonna, Roma, Officina, 1995.

CALVESI 1983
Maurizio CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma, Officina, 1983.

CALVESI 1996
ID., La pugna d'amore in sogno di Francesco Colonna romano, Roma, Lithos, 1996.

CALVESI 2004
ID., Venere effimera e Venere perenne, II : Francesco Colonna verso la cultura  fiorentina (e una troppo maldestra "traduzione"), in “Storia dell’Arte”, 2004, n. 109, N.S. 9, pagg. 5-92.

CAZZATO 1993
V. CAZZATO, M. FAGIOLO, M. A. GIUSTI, Teatri di verzura: la scena del giardino dal Barocco al Novecento, Firenze, Edifir, 1993.

COLONNA F 1499
Francesco COLONNA, Hynerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499.

COLONNA F 1980
ID., Hynerotomachia Poliphili, a cura di GIOVANNI POZZI e LUCIA A. CIAPPONI, Padova, Antenore, 1980.

COLONNA F 1999
ID. Hynerotomachia Poliphili, a cura di MARCO ARIANI e MINO GABRIELE, Milano, Adelphi, 1999. Cfr. a proposito CALVESI 2004.

COLONNA F 2002
ID., Hynerotomachia Poliphili, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499, edizione elettronica del 28 giugno 2002 a cura di VITTORIO VOLPI e RUGGERO VOLPES,
http://www.liberliber.it/biblioteca/c/colonna/hypnerotomachia_poliphili_etc/pdf/hypner_p.pdf

COLONNA S 1989
Stefano COLONNA, Variazioni sul tema della Fortuna da Enea Silvio Piccolomini a Francesco Colonna, in “Storia dell’Arte”, 1989, n. 66, pagg. 127-142.

COLONNA S 1994
ID., Arte e letteratura. La civiltà dell'emblema in Emilia nel Cinquecento, in La pittura in Emilia e in Romagna. Il Cinquecento. Un'avventura artistica tra natura e idea, Milano, Nuova Alfa Editoriale - Elemond Editori Associati - Credito Romagnolo, 1994, pagg. 102-128.

COLONNA S 1996
ID., Anteprime documentarie polifilesche, in CALVESI 1996, pagg. 313-317.

COLONNA S 2002
ID., Per Martino Filetico maestro di Francesco Colonna di Palestrina. La polyfilia e il gruppo marmoreo delle Tre Grazie, in “Storia dell'Arte”, 2002, N.S. n. 2, n. 102, pagg. 23-29.

COLONNA S 2004
ID., L’Hypnerotomachia e Francesco Colonna romano: l'appellativo di frater in un documento inedito, in “Storia dell'Arte”, 2004, n. 109, N.S. 9, pagg. 93-98.

FILIPPONE 1937
Domenico FILIPPONE, Le zone verdi nella moderna urbanistica italiana, Milano, Sperling & Kupfer, 1937.

FOGLIATI 2002
Silvia FOGLIATI, e Davide DUTTO, Il giardino di Polifilo. Ricostruzione virtuale dalla Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna stampata a Venezia nel 1499 da Aldo Manuzio,  con una introduzione di GIOVANNI MARIOTTI, Nota al Liber de simplicibus di SUSY MARCON, Milano, Franco Maria Ricci, 2002.

KERN 1981
Hermann KERN, Labirinti. Forme e interpretazioni. 5000 anni di presenza di un archetipo. Manuale e filo conduttore, Milano, Feltrinelli, 1981 (Catalogo della Mostra In labirinto, Milano, Palazzo della Permanente, giugno-agosto 1981).

MASSON 1961
Georgina MASSON, Giardini d’Italia (Titolo originale: Italian gardens, London, Thames and Hudson, 1961), Milano, Garzanti, 1961.

PICCOLOMINI 1551
Enea Silvio PICCOLOMINI, Aeneae Sylvii Piccolominei ... opera ... omnia, etc., Basileae, 1551, Epist.CVIII, foll. 611-616 (testo del 1444).






NOTE


[1] Questo contributo è il resoconto di una conferenza che ho tenuto domenica 11 maggio 2008 nella Sala Consiliare del Palazzo Municipale di Portogruaro (VE). Ringrazio Antonio Diego Collovini Assessore alla Cultura e Loretta Balasso Responsabile della Biblioteca Civica del Comune di Portogruaro per avermi invitato a tenere la conferenza. Ringrazio inoltre Marco Rinalducci per avermi concesso l’utilizzazione gratuita delle sue belle fotografie della Reggia di Caserta, Villa d’Este a Tivoli e dei Giardini di Boboli durante la conferenza e anche all'interno di questo articolo. Ringrazio infine Maria Rosa Patti per la consulenza di carattere archeologico.

[2] BORSI 1995.

[3] Oggi si ritiene che gli Horti Luculliani siano posizionati sul Pincio vicino ai Sallustiani grosso modo nel quartiere Boncompagni. Sull'Esquilino, tra gli altri, sono ubicati gli Horti Lamiani. Ringrazio Maria Rosa Patti per avermi suggerito questa nota.

[4] Cfr. FILIPPONE 1937, pagg. 11 e sgg.

[5] Il testo originale è scritto in lingua latina e presento qui la traduzione italiana inedita di Anna Filippone de Montagu.

[6] CALVESI 1983.

[7] Bartolomeo Bimbi: un pittore di piante e animali alla corte dei Medici, a cura di SILVIA MELONI TRKULJA e LUCIA TONGIORGI TOMASI, Firenze, Edifir, 1998.

[8] Lorenzo il Magnifico, Opera Omnia, Corinto, Egloga in terza rima, ultimo verso.

[9] MASSON 1961, pag. 61.

[10] MARCELLO FAGIOLO, in CAZZATO 1993.

[11] Cfr. KERN 1981, pagg. 244-245.

[12] MASSON 1961.

[13] MASSON 1961, pag. 61.

[14] Ibidem.

[15] MASSON 1961, pag. 282. Abbreviazioni: M. Mattioli nell’edizione del Bauhin; C. Clarici.








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Fig. 1
Giardini della Reggia di Caserta
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 2
Veduta notturna di Villa D'Este a Tivoli
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 3
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 4
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 5
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 6
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 7
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 8
Giardini di Boboli a Firenze
Foto © Mario Rinalducci

Fig. 9
Esempio di ars topiaria, Hypnerotomachia, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499

Fig. 10
Esempio di ars topiaria, Hypnerotomachia, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499

Fig. 11
L'Isola di Citera, Hypnerotomachia, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499

Fig. 12
Polifilo e Polia tra le ninfe, Hypnerotomachia, Venezia, Aldo Manuzio Sr., 1499


Foto 1-8 cortesia di Mario Rinalducci




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