Quando vado a vedere una mostra,
qualunque essa sia, specie se fotografica come questa Antologica di Michael
Kenna, a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, mi vengono sempre in mente alcune
frasi che Rudolf Arnheim ha scritto in Arte e percezione visiva: « ... l'artista
sintetizza l'azione rappresentata come un tutto, traducendo la sequenza
temporale in una posa senza tempo ... il materiale visivo ricevuto dall'occhio,
si organizza per farsi comprendere dalla mente, ... forma un contenuto ... la
creazione di immagini non consiste semplicemente nella proiezione ottica
dell'oggetto, ma è un equivalente ... » e questo equivalente ha qui uno
spessore davvero incredibile. Si può spaziare tra varie tipologie di paesaggi,
attraverso i quali, per dirlo con le parole di R. Arnheim, l'artista può
«migliorare la realtà o arricchirla mediante l'intervento della fantasia». Le
immagini scattate da Kenna sono al tempo stesso la testimonianza di un
paesaggio che non c'è più o che ci sfugge, data la nostra vorticosa vita, e ci
consegnano o meglio ci restituiscono la visione di una città, di un luogo, di
una fabbrica, da un altro punto di vista. Michael Kenna ci porta, ci conduce e
ci invita a “ripensare” e ci fa sentire un po'
come ipnotizzati e quindi costretti a star fermi con la voglia di ritornare ad
riacquistare “la lentezza” del vivere fatta di attese, silenzi, che possono di
nuovo farci sognare ad occhi aperti. I suoi paesaggi incontaminati, dove l'uomo
non c'è, ci portano fuori da una dimensione temporale, parlano di altro, di un
tempo infinito, di ricordi, di bellezze incontaminate.
Alcuni temi sono ricorrenti: immagini
di ponti, nuvole, fabbriche, stazioni, alberi, fontane, sedie a sdraio, moli,
etc.. che Michael Kenna ci consegna nella loro semplicità e con una prospettiva
che aiuta a comprendere meglio la nostra realtà, la nostra storia passata, le
nostre città.
Non a caso il titolo della mostra
racchiude un po' tutto questo: Immagini
del settimo giorno, 1947-2009, e come scrive il curatore della mostra,
Sandro Parmiggiani: «da quando conosco il lavoro di Michael, vi ho sempre
immediatamente colto, e amato,
una sorta di respiro lento e profondo del mondo, come se il silenzio fosse
finalmente sceso sulla terra - da qui il titolo della mostra Immagini
del settimo giorno: come ci dice il libro della Genesi, Dio, completata la
creazione del mondo, si riposa -, (e)
ciò che noi sbrigativamente e con scarsa consapevolezza chiamiamo paesaggio a
noi si offrisse nel suo incanto segreto, e nella sua essenza più vera. Non ci
sono persone, nelle fotografie di Kenna, né tantomeno volti e corpi che sviino
la nostra attenzione dalle pure linee, dalle nitide geometrie, dai contrasti,
alternativamente duri o soffusi, tra luce e ombra, tra il biancore assoluto di
una neve che tutto ammanta e la drammatica cupezza di rocce, di isole, di
spiagge, di livide distese d'acqua».
Una foto che sembra cogliere
quanto detto dal curatore è quella dal titolo: Bosco ceduo innevato, Studio 1 Wakkanai Hokkaido, Giappone 2004. Tutto
è perfetto: luce, neve, alberi … e di fronte ad essa si
prova un senso di quiete, dolcezza, candore, silenzio.
Mentre Castello di Felina Castelnuovo
ne' Monti (Reggio Emilia) Italia 2008, ci rimanda al castello arroccato in
cima, invalicabile, pieno di mistero; ricordi di tante fiabe ascoltate o lette,
che evocano storie di magia e di incantesimi.
Una sensazione esattamente
contrastante e diversa si coglie dalle foto dai vari titoli: Scarpe delle vittime, o Forno crematorio o Resti di capelli umani fotografate da Kenna negli anni novanta e
facenti parte del catalogo Impossibile
dimenticare. Foto piene di durezza, legate al dolore e alla sofferenza. Ci
mette di fronte ai luoghi dove milioni di corpi sono stati straziati. Kenna si
è recato nei luoghi dei campi di concentramento per ritrarre quelle
testimonianze che ancora rimangono affinché non
si dimentichi l'orrore dell' Olocausto. Riproporre queste 20 foto è molto
importante perché negli ultimi anni il pensiero revisionista e il ritorno di
formazioni di tipo neonazista stanno negando lo sterminio degli ebrei nei campi
di concentramento.
Dal catalogo Skirà leggiamo che
Ferdinando Scianna, uno dei fotografi italiani più noti, parla delle immagini
di Kenna, come «… illuminate da una luce
fisica e da un sentimento costante,…un atteggiamento estetico più da pittore
che da fotografo» e aggiunge che « … è
inconfondibile nelle fotografie di Kenna la materia, la luce, il clima
psicologico».
Però quando Scianna parla «di atmosfere brumose, incerte, malinconiche,
mai solari …» non siamo molto d'accordo perché invece troviamo in Kenna un
aspetto ironico ed infantile che ci rimanda ai giochi dei bambini, quando da un
finestrino si faceva a gara a contare prima e di più degli altri e per questo ci
divertiamo a leggere il titolo Centoquattro
uccelli o Nove barche o Dieci alberi che sembrano tanti
soldatini in fila sopra a una balaustra e Dieci
alberi e mezzo. O quando Kenna fotografa le Cinquanta staccionate che ci ricordano
un pentagramma senza note musicali, o il Cespuglio
non potato, divertente rappresentazione dove a destra e a sinistra si
vedono potature perfette e al centro il cespuglio dal ciuffo ribelle. Con questo
cogliere e soffermarsi su aspetti anche divertenti, sembra si possa dire che
l'artista consegni a noi spettatori la
possibilità di osservare tutto ciò che ci sta
attorno con occhi diversi suggerendoci una personale visione.
E tutto questo lo si percepisce
quando luoghi conosciutissimi, come le piramidi egizie e maya, il ponte Carlo praghese o il Pan di zucchero di Rio de
Janiero, le statue dell'Isola di Pasqua, Mont-Saint-Michel, il carro di Apollo
a Versailles e tanti altri, vengono ripresi da Kenna in un modo molto
particolare. E come dice Pierre Borhan, storico della fotografia Kenna «
… non apprezza le vedute a effetto, dai colori flashy, genere “cartolina”, né tantomeno i rilievi descrittivi del tipo “stato di fatto” perché lui “…da un viaggio, riporta dei paesaggi che ha
apprezzato come solo uno spettatore che li osserva con rispetto può fare, uno
spettatore che se ne appropria con simpatia e se ne lascia impregnare. I luoghi
hanno bisogno di complicità per condividere ciò che li abita. Occorre volere,
potere e sapere dedicare loro l'attenzione che meritano. Occorre anche
sapervisi integrare. Dotato di uno sguardo intuitivo, Kenna sa tutto questo,
come sa trasfigurarli».
La mostra presenta 290 fotografie
in bianco e nero del maestro inglese, ma americano d'adozione e riesce a darci
una panoramica del suo iter creativo e costituiscono un vero e proprio percorso
antologico. Alcune documentano lo sguardo sul territorio reggiano, frutto di
ricognizioni sul campo compiute negli ultimi cinque anni, altre su Venezia e il
resto su molti luoghi tra cui ricordiamo le bellissime foto dello skyline di
New York e di tutta la serie di grattacieli da Dubai ad Hong Kong, l'impianto
industriale nel Michigan, alcune foto di alberi persi in un accecante paesaggio
nevoso: solitarie presenze in un ammasso di neve, ci hanno ricordato alcuni
frammenti dei famosi film del regista giapponese Akira Kurosawa. Elencarle
tutte sarebbe lungo quindi si consiglia la visione diretta della mostra che
chiuderà il 18 luglio. La mostra è inserita nell'evento-manifestazione che
coinvolge tutta la città di Reggio Emilia: "Fotografia Europea", ora
alla sua quinta edizione. Per concludere mi piace ricordare
alcuni stralci del saggio scritto da Sandro Parmiggiani: «Certo, per
cogliere il valore della fotografia di Kenna, ……… occorre scrutare con l'ansia
di vedere, con l'intensità assoluta di chi è pronto ad accogliere dentro di sé
l'incanto della scoperta, la memoria di una visione perduta, l'epifania della
rivelazione di un mondo che, nonostante i clamori, le dissonanze, le trivialità
e le bestemmie che quotidianamente esibisce, resta ancora un inesauribile scrigno di bellezza, di serenità e di poesia, di
silenzio e di mistero, di armonia e di romantica malinconia».
E con l'attesa di nuove scoperte e
di nuovi incanti, che Kenna sicuramente ci potrà dare ancora, lasciamo Palazzo Magnani, certi che
quest'esperienza non solo ci ha arricchito negli
occhi e nello spirito, ma ci ha coinvolto particolarmente portandoci a
riflettere sulle meraviglie di questo nostro mondo.
INTERVISTA A SANDRO PARMIGGIANI
Breve intervista al curatore e
direttore di Palazzo Magnani dalla sua apertura nel 1997, prof. Sandro
Parmiggiani professore di Economia e mercato dell'arte nel corso di Laurea
Specialistica in Gestione dei Beni Artistici e Culturali all'Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Questa
mostra ha avuto una lunga gestazione, quasi cinque anni, come mai?
Il primo incontro con Michael Kenna qui a
Palazzo Magnani, per l'organizzazione dell'esposizione, risale
all'ottobre 2005. Lui accettò la mia proposta di avere, nella mostra,
una sezione dedicata al paesaggio di Reggio Emilia e dintorni. Tra il 2006 e il
2009 Michael è così venuto qui tre volte, a fare fotografie, e ogni volta,
prima o dopo Reggio, è stato anche a Venezia. Ecco perché la mostra e il
catalogo, oltre al vero e proprio corpus antologico (200 immagini),
presentano 35 fotografie di Reggio e altrettante di Venezia. Ovviamente,
per avere un numero sufficiente di immagini tra cui scegliere, sono state
necessarie tre spedizioni da Seattle, dove Kenna vive, in Italia, di solito
durante la stagione più propizia alle atmosfere che lui ama di più,
l'inverno.
Lei che ha
ospitato, in 13 anni di attività, i più importanti fotografi e fotoreporter del
mondo, ci può dire se la sua è stata una scelta dettata da una personale
passione o se vede o meglio trova nell'arte fotografica l'espressione artistica
più consona al nostro secolo ?
Quando, nel 1998, ho avviato il filone
fotografico a Palazzo Magnani presentando la mostra di Kertész, ciò non
rispondeva a una mia speciale passione per la fotografia - considero la
fotografia un mezzo di espressione artistica di pari dignità rispetto a quelli
tradizionali, ma sono tuttora innamorato della pittura, della scultura, della
grafica di qualità. Proporre, una o due volte l'anno, come ho fatto, mostre di
fotografia - sulle cinque che abitualmente abbiamo programmato - ha voluto dire
anche mettersi in relazione con un pubblico giovane, colto, appassionato, che
si muove da lontano e che acquista i cataloghi delle mostre. Forse, la
fotografia, e il cinema, possono essere considerate le espressioni artistiche
di più immediata fruizione in questi tempi, ma ciò non significa che la campana
stia suonando per la pittura, la scultura, la grafica, come qualche analisi,
troppo ideologica, s'è affrettata a fare.
Le diversità tra i vari artisti fotografi
sono tangibili da André Kertész, Eugene Smith, Luigi Ghirri, Arnold Newman,
Edward Curtis, James Natchwey, Werner Bischof, Edward Steichen fino a Michael
Kenna. Poi ci sono state mostre importanti come Memoria dei campi, Il
volto della follia, Un fotografo
cinese nella rivoluzione culturale. Nonostante i linguaggi siano
diversi, però mi sembra di cogliere un sottile “fil rouge” che li unisce, cosa
ne pensa ?
Questi
nomi e queste mostre vogliono dire fotografia di ricerca formale,
"pittura in forma di fotografia", fotoreportage - filone che mi
interessa molto, anche perché trovo intollerabile l'ignoranza diffusa nel
nostro Paese sulle vicende internazionali -, e fotografia che ci induce a
pensare a qualcosa (i campi di concentramento e sterminio; la follia, i
manicomi, la sofferenza) che troppo spesso viene rimosso o che non è affatto
noto (le violenze durante la Rivoluzione culturale in Cina). Il filo rosso
che ho cercato di seguire - si pensi emblematicamente a Eugene Smith - è
quello di una fotografia che prende la parola attraverso i suoi valori
formali e la sua testimonianza etica, che personalmente non ritengo possano
essere disgiunti. Certo, non mi interessa parte della fotografia che si
risolve in metri quadrati colorati, che mi ricorda le astuzie
dei maxischermi ma che comunica assai poco: se ridotta a
dimensioni usuali, crollerebbe come una casa senza fondamenta.
Una curiosità: chi ha deciso il titolo
della mostra ?
Io
stesso, pensando a quanto ci racconta la Genesi: il settimo giorno è quello in
cui Dio si riposa, dopo avere terminato la Creazione. Le immagini di Kenna mi
sembra abbiano dentro questo respiro lungo, questa visione di un mondo che
finalmente si riconcilia con il silenzio e con la solitudine.
Dato che Lei è professore di economia e
mercato dell'arte, all'università Cattolica di Milano, vorrei farLe una domanda
un po' provocatoria. Come mai i nostri musei sono per lo più visitati da
stranieri che da italiani ? E ancora: esiste in Italia una politica
museale che sia in grado di “gareggiare” con quelle straniere ?
La domanda meriterebbe una risposta lunga e
articolata, giacché ciò che viene giustamente denunciato ha molte radici, lontane
nel tempo e attuali, che in un'altra occasione mi piacerebbe
affrontare. Potrei rispondere con alcune altre domande la cui risposta
subito denota l'assenza di consapevolezza, e dunque di elaborazione di
strategie adeguate. La prima domanda che mi viene spontaneo porre è: cosa si
fa, a livello nazionale e locale, per fare crescere il numero dei frequentatori
interessati, e non coatti, ai musei e alle mostre ? Che offerte differenziate,
verso i diversi segmenti di pubblico, fanno i nostri musei e i nostri
centri espositivi ? Che cosa viene fatto per favorire la conoscenza degli
artisti italiani all'estero - l'arte italiana del Novecento è del tutto
sottovalorizzata -, e dei nostri musei, grandi e piccoli ? Ma il clima
generale, sui musei e sulle mostre, e sul ruolo della cultura in generale, non
è propizio, è tragicamente fosco, e in fondo ricorda i
versi di Arnaldo Fusinato: «il pan ci manca / sul ponte sventola /
bandiera bianca !».
BIOGRAFIA DI MICHAEL KENNA
Michael Kenna nasce a Widnes, Lancashire (Inghilterra) nel 1953. Dopo avere a
lungo sognato di dedicarsi alla pittura, studia fotografia al London College of
Printing. Nel 1975 la mostra The Land,
a cura di Bill Brandt, al Victoria and Albert Museum di Londra gli rivela le straordinarie
possibilità della fotografia artistica; oltre a Brandt, Kenna riconosce di
avere guardato con interesse a Atget, Emerson, Sudek, Bernhard, Callahan,
Sheeler, Stieglitz. Alla fine degli anni Settanta, Michael si trasferisce negli
Stati Uniti, e va a vivere a San Francisco – in seguito, abiterà prima a
Portland e poi a Seattle, dove attualmente risiede. A San Francisco incontra
Ruth Bernhard (1905-2006), sensibile fotografa di nudi e di nature morte, della
quale diventa assistente, aiutandola nella stampa delle sue immagini e
maturando una grande esperienza in camera oscura, che nitidamente si rivelerà
nel tempo in tutto il lavoro di Kenna.
Pressoché dagli esordi, Michael sceglie il paesaggio come tema elettivo delle
sue fotografie, avviando una infaticabile ricognizione sugli infiniti volti
segreti del pianeta, e arrivandone a toccare tutti i continenti; gli esiti di
questi viaggi e soggiorni, determinati da commissioni o da scelte personali,
vengono documentati in alcune monografie specifiche e nei cataloghi delle
mostre a lui dedicate. Tra le tante esposizioni che si sono tenute in spazi
pubblici e in gallerie private, ricordiamo quelle in vari musei francesi,
statunitensi, giapponesi – ultima quella alla Bibliothèque Nationale de France
di Parigi nel 2009. Tra i suoi cicli ci piace ricordare L'impossibile oblio, sui campi di concentramento e di sterminio
nazisti, esposto anche a Palazzo Magnani nel 2002, come sezione della mostra Memoria dei campi.
LA MOSTRA
MICHAEL KENNA
Immagini del settimo giorno.
Reggio Emilia, Palazzo Magnani Corso Garibaldi 29
8 maggio – 18 luglio 2010
Orari: 10.00 - 13.00, 15.30 - 19.00, chiuso il lunedì
Biglietto: intero 7 euro: ridotto 4 euro; studenti 2 euro convenzione
con Fotografia Europea 2010: presentando il biglietto di Fotografia Europea
2010 si avrà diritto all'ingresso ridotto
Catalogo: Skira 272 pagg., 300 immagini, 30 euro in mostra (40 euro in
libreria)
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