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Antologica di Michael Kenna. Immagini del settimo giorno, 1947-2009  
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 30 Maggio 2010, n. 563
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Area Mostre

Quando vado a vedere una mostra, qualunque essa sia, specie se fotografica come questa Antologica di Michael Kenna, a Palazzo Magnani di Reggio Emilia, mi vengono sempre in mente alcune frasi che Rudolf Arnheim ha scritto in Arte e percezione visiva: « ... l'artista sintetizza l'azione rappresentata come un tutto, traducendo la sequenza temporale in una posa senza tempo ... il materiale visivo ricevuto dall'occhio, si organizza per farsi comprendere dalla mente, ... forma un contenuto ... la creazione di immagini non consiste semplicemente nella proiezione ottica dell'oggetto, ma è un equivalente ... » e questo equivalente ha qui uno spessore davvero incredibile. Si può spaziare tra varie tipologie di paesaggi, attraverso i quali, per dirlo con le parole di R. Arnheim, l'artista può «migliorare la realtà o arricchirla mediante l'intervento della fantasia». Le immagini scattate da Kenna sono al tempo stesso la testimonianza di un paesaggio che non c'è più o che ci sfugge, data la nostra vorticosa vita, e ci consegnano o meglio ci restituiscono la visione di una città, di un luogo, di una fabbrica, da un altro punto di vista. Michael Kenna ci porta, ci conduce e ci invita a “ripensare” e ci fa sentire un po' come ipnotizzati e quindi costretti a star fermi con la voglia di ritornare ad riacquistare “la lentezza” del vivere fatta di attese, silenzi, che possono di nuovo farci sognare ad occhi aperti. I suoi paesaggi incontaminati, dove l'uomo non c'è, ci portano fuori da una dimensione temporale, parlano di altro, di un tempo infinito, di ricordi, di bellezze incontaminate.

 Alcuni temi sono ricorrenti: immagini di ponti, nuvole, fabbriche, stazioni, alberi, fontane, sedie a sdraio, moli, etc.. che Michael Kenna ci consegna nella loro semplicità e con una prospettiva che aiuta a comprendere meglio la nostra realtà, la nostra storia passata, le nostre città.

Non a caso il titolo della mostra racchiude un po' tutto questo: Immagini del settimo giorno, 1947-2009, e come scrive il curatore della mostra, Sandro Parmiggiani: «da quando conosco il lavoro di Michael, vi ho sempre immediatamente colto, e amato, una sorta di respiro lento e profondo del mondo, come se il silenzio fosse finalmente sceso sulla terra - da qui il titolo della mostra Immagini del settimo giorno: come ci dice il libro della Genesi, Dio, completata la creazione del mondo, si riposa -,  (e) ciò che noi sbrigativamente e con scarsa consapevolezza chiamiamo paesaggio a noi si offrisse nel suo incanto segreto, e nella sua essenza più vera. Non ci sono persone, nelle fotografie di Kenna, né tantomeno volti e corpi che sviino la nostra attenzione dalle pure linee, dalle nitide geometrie, dai contrasti, alternativamente duri o soffusi, tra luce e ombra, tra il biancore assoluto di una neve che tutto ammanta e la drammatica cupezza di rocce, di isole, di spiagge, di livide distese d'acqua».

Una foto che sembra cogliere quanto detto dal curatore è quella dal titolo: Bosco ceduo innevato, Studio 1 Wakkanai Hokkaido, Giappone 2004. Tutto è perfetto: luce, neve, alberi … e di fronte ad essa si prova un senso di quiete, dolcezza, candore, silenzio. Mentre Castello di Felina Castelnuovo ne' Monti (Reggio Emilia) Italia 2008, ci rimanda al castello arroccato in cima, invalicabile, pieno di mistero; ricordi di tante fiabe ascoltate o lette, che evocano storie di magia e di incantesimi.

Una sensazione esattamente contrastante e diversa si coglie dalle foto dai vari titoli: Scarpe delle vittime, o Forno crematorio o Resti di capelli umani fotografate da Kenna negli anni novanta e facenti parte del catalogo Impossibile dimenticare. Foto piene di durezza, legate al dolore e alla sofferenza. Ci mette di fronte ai luoghi dove milioni di corpi sono stati straziati. Kenna si è recato nei luoghi dei campi di concentramento per ritrarre quelle testimonianze che ancora rimangono affinché non si dimentichi l'orrore dell' Olocausto. Riproporre queste 20 foto è molto importante perché negli ultimi anni il pensiero revisionista e il ritorno di formazioni di tipo neonazista stanno negando lo sterminio degli ebrei nei campi di concentramento.

Dal catalogo Skirà leggiamo che Ferdinando Scianna, uno dei fotografi italiani più noti, parla delle immagini di Kenna, come «… illuminate da una luce fisica e da un sentimento costante,…un atteggiamento estetico più da pittore che da fotografo» e aggiunge che « … è inconfondibile nelle fotografie di Kenna la materia, la luce, il clima psicologico».

Però quando Scianna parla «di atmosfere brumose, incerte, malinconiche, mai solari …» non siamo molto d'accordo perché invece troviamo in Kenna un aspetto ironico ed infantile che ci rimanda ai giochi dei bambini, quando da un finestrino si faceva a gara a contare prima e di più degli altri e per questo ci divertiamo a leggere il titolo Centoquattro uccelli o Nove barche o Dieci alberi che sembrano tanti soldatini in fila sopra a una balaustra e Dieci alberi e mezzo. O quando Kenna fotografa le Cinquanta staccionate che ci ricordano un pentagramma senza note musicali, o il Cespuglio non potato, divertente rappresentazione dove a destra e a sinistra si vedono potature perfette e al centro il cespuglio dal ciuffo ribelle. Con questo cogliere e soffermarsi su aspetti anche divertenti, sembra si possa dire che l'artista  consegni a noi spettatori la possibilità di osservare tutto ciò che ci sta attorno con occhi diversi suggerendoci una personale visione.

E tutto questo lo si percepisce quando luoghi conosciutissimi, come le piramidi egizie e maya, il ponte Carlo praghese o il Pan di zucchero di Rio de Janiero, le statue dell'Isola di Pasqua, Mont-Saint-Michel, il carro di Apollo a Versailles e tanti altri, vengono ripresi da Kenna in un modo molto particolare. E come dice Pierre Borhan, storico della fotografia Kenna « … non apprezza le vedute a effetto, dai colori flashy, genere “cartolina”, né tantomeno i rilievi descrittivi del tipo “stato di fatto” perché lui “…da un viaggio, riporta dei paesaggi che ha apprezzato come solo uno spettatore che li osserva con rispetto può fare, uno spettatore che se ne appropria con simpatia e se ne lascia impregnare. I luoghi hanno bisogno di complicità per condividere ciò che li abita. Occorre volere, potere e sapere dedicare loro l'attenzione che meritano. Occorre anche sapervisi integrare. Dotato di uno sguardo intuitivo, Kenna sa tutto questo, come sa trasfigurarli».

La mostra presenta 290 fotografie in bianco e nero del maestro inglese, ma americano d'adozione e riesce a darci una panoramica del suo iter creativo e costituiscono un vero e proprio percorso antologico. Alcune documentano lo sguardo sul territorio reggiano, frutto di ricognizioni sul campo compiute negli ultimi cinque anni, altre su Venezia e il resto su molti luoghi tra cui ricordiamo le bellissime foto dello skyline di New York e di tutta la serie di grattacieli da Dubai ad Hong Kong, l'impianto industriale nel Michigan, alcune foto di alberi persi in un accecante paesaggio nevoso: solitarie presenze in un ammasso di neve, ci hanno ricordato alcuni frammenti dei famosi film del regista giapponese Akira Kurosawa. Elencarle tutte sarebbe lungo quindi si consiglia la visione diretta della mostra che chiuderà il 18 luglio. La mostra è inserita nell'evento-manifestazione che coinvolge tutta la città di Reggio Emilia: "Fotografia Europea", ora alla sua quinta edizione.

Per concludere mi piace ricordare alcuni stralci del saggio scritto da Sandro Parmiggiani: «Certo, per cogliere il valore della fotografia di Kenna, ……… occorre scrutare con l'ansia di vedere, con l'intensità assoluta di chi è pronto ad accogliere dentro di sé l'incanto della scoperta, la memoria di una visione perduta, l'epifania della rivelazione di un mondo che, nonostante i clamori, le dissonanze, le trivialità e le bestemmie che quotidianamente esibisce, resta ancora un inesauribile scrigno di bellezza, di serenità e di poesia, di silenzio e di mistero, di armonia e di romantica malinconia».

E con l'attesa di nuove scoperte e di nuovi incanti, che Kenna sicuramente ci potrà dare ancora,  lasciamo Palazzo Magnani, certi che quest'esperienza non solo ci ha arricchito negli occhi e nello spirito, ma ci ha coinvolto particolarmente portandoci a riflettere sulle meraviglie di questo nostro mondo.

 

  

 

INTERVISTA A SANDRO PARMIGGIANI

Breve intervista al curatore e direttore di Palazzo Magnani dalla sua apertura nel 1997, prof. Sandro Parmiggiani professore di Economia e mercato dell'arte nel corso di Laurea Specialistica in Gestione dei Beni Artistici e Culturali all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.


Questa mostra ha avuto una lunga gestazione, quasi cinque anni, come mai?

Il primo incontro con Michael Kenna qui a Palazzo Magnani, per l'organizzazione dell'esposizione, risale all'ottobre 2005. Lui accettò la mia proposta di avere, nella mostra, una sezione dedicata al paesaggio di Reggio Emilia e dintorni. Tra il 2006 e il 2009 Michael è così venuto qui tre volte, a fare fotografie, e ogni volta, prima o dopo Reggio, è stato anche a Venezia. Ecco perché la mostra e il catalogo, oltre al vero e proprio corpus antologico (200 immagini), presentano 35 fotografie di Reggio e altrettante di Venezia. Ovviamente, per avere un numero sufficiente di immagini tra cui scegliere, sono state necessarie tre spedizioni da Seattle, dove Kenna vive, in Italia, di solito durante la stagione più propizia alle atmosfere che lui ama di più, l'inverno.   


Lei che ha ospitato, in 13 anni di attività, i più importanti fotografi e fotoreporter del mondo, ci può dire se la sua è stata una scelta dettata da una personale passione o se vede o meglio trova nell'arte fotografica l'espressione artistica più consona al nostro secolo ?

Quando, nel 1998, ho avviato il filone fotografico a Palazzo Magnani presentando la mostra di Kertész, ciò non rispondeva a una mia speciale passione per la fotografia - considero la fotografia un mezzo di espressione artistica di pari dignità rispetto a quelli tradizionali, ma sono tuttora innamorato della pittura, della scultura, della grafica di qualità. Proporre, una o due volte l'anno, come ho fatto, mostre di fotografia - sulle cinque che abitualmente abbiamo programmato - ha voluto dire anche mettersi in relazione con un pubblico giovane, colto, appassionato, che si muove da lontano e che acquista i cataloghi delle mostre. Forse, la fotografia, e il cinema, possono essere considerate le espressioni artistiche di più immediata fruizione in questi tempi, ma ciò non significa che la campana stia suonando per la pittura, la scultura, la grafica, come qualche analisi, troppo ideologica, s'è affrettata a fare.

 
Le diversità tra i vari artisti fotografi sono tangibili da André Kertész, Eugene Smith, Luigi Ghirri, Arnold Newman, Edward Curtis, James Natchwey, Werner Bischof, Edward Steichen fino a Michael Kenna. Poi ci sono state mostre importanti come Memoria dei campiIl volto della follia, Un fotografo cinese nella rivoluzione culturale. Nonostante i linguaggi siano diversi, però mi sembra di cogliere un sottile “fil rouge” che li unisce, cosa ne pensa ?

Questi nomi e queste mostre vogliono dire fotografia di ricerca formale, "pittura in forma di fotografia", fotoreportage - filone che mi interessa molto, anche perché trovo intollerabile l'ignoranza diffusa nel nostro Paese sulle vicende internazionali -, e fotografia che ci induce a pensare a qualcosa (i campi di concentramento e sterminio; la follia, i manicomi, la sofferenza) che troppo spesso viene rimosso o che non è affatto noto (le violenze durante la Rivoluzione culturale in Cina). Il filo rosso che ho cercato di seguire - si pensi emblematicamente a Eugene Smith - è quello di una fotografia che prende la parola attraverso i suoi valori formali e la sua testimonianza etica, che personalmente non ritengo possano essere disgiunti. Certo, non mi interessa parte della fotografia che si risolve in metri quadrati colorati, che mi ricorda le astuzie dei maxischermi ma che comunica assai poco: se ridotta a dimensioni usuali, crollerebbe come una casa senza fondamenta.

 
Una curiosità: chi ha deciso il titolo della mostra ?

Io stesso, pensando a quanto ci racconta la Genesi: il settimo giorno è quello in cui Dio si riposa, dopo avere terminato la Creazione. Le immagini di Kenna mi sembra abbiano dentro questo respiro lungo, questa visione di un mondo che finalmente si riconcilia con il silenzio e con la solitudine.


Dato che Lei è professore di economia e mercato dell'arte, all'università Cattolica di Milano, vorrei farLe una domanda un po' provocatoria. Come mai i nostri musei sono per lo più visitati da stranieri che da italiani ? E ancora: esiste in Italia una politica  museale che sia in grado di “gareggiare” con quelle straniere ?

La domanda meriterebbe una risposta lunga e articolata, giacché ciò che viene giustamente denunciato ha molte radici, lontane nel tempo e attuali, che in un'altra occasione mi piacerebbe affrontare. Potrei rispondere con alcune altre domande la cui risposta subito denota l'assenza di consapevolezza, e dunque di elaborazione di strategie adeguate. La prima domanda che mi viene spontaneo porre è: cosa si fa, a livello nazionale e locale, per fare crescere il numero dei frequentatori interessati, e non coatti, ai musei e alle mostre ? Che offerte differenziate, verso i diversi segmenti di pubblico, fanno i nostri musei e i nostri centri espositivi ? Che cosa viene fatto per favorire la conoscenza degli artisti italiani all'estero - l'arte italiana del Novecento è del tutto sottovalorizzata -, e dei nostri musei, grandi e piccoli ? Ma il clima generale, sui musei e sulle mostre, e sul ruolo della cultura in generale, non è propizio, è tragicamente fosco, e in fondo ricorda i versi di Arnaldo Fusinato: «il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca !».  

 

 

 

BIOGRAFIA DI MICHAEL KENNA

Michael Kenna nasce a Widnes, Lancashire (Inghilterra) nel 1953. Dopo avere a lungo sognato di dedicarsi alla pittura, studia fotografia al London College of Printing. Nel 1975 la mostra The Land, a cura di Bill Brandt, al Victoria and Albert Museum di Londra gli rivela le straordinarie possibilità della fotografia artistica; oltre a Brandt, Kenna riconosce di avere guardato con interesse a Atget, Emerson, Sudek, Bernhard, Callahan, Sheeler, Stieglitz. Alla fine degli anni Settanta, Michael si trasferisce negli Stati Uniti, e va a vivere a San Francisco – in seguito, abiterà prima a Portland e poi a Seattle, dove attualmente risiede. A San Francisco incontra Ruth Bernhard (1905-2006), sensibile fotografa di nudi e di nature morte, della quale diventa assistente, aiutandola nella stampa delle sue immagini e maturando una grande esperienza in camera oscura, che nitidamente si rivelerà nel tempo in tutto il lavoro di Kenna.
Pressoché dagli esordi, Michael sceglie il paesaggio come tema elettivo delle sue fotografie, avviando una infaticabile ricognizione sugli infiniti volti segreti del pianeta, e arrivandone a toccare tutti i continenti; gli esiti di questi viaggi e soggiorni, determinati da commissioni o da scelte personali, vengono documentati in alcune monografie specifiche e nei cataloghi delle mostre a lui dedicate. Tra le tante esposizioni che si sono tenute in spazi pubblici e in gallerie private, ricordiamo quelle in vari musei francesi, statunitensi, giapponesi – ultima quella alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi nel 2009. Tra i suoi cicli ci piace ricordare L'impossibile oblio, sui campi di concentramento e di sterminio nazisti, esposto anche a Palazzo Magnani nel 2002, come sezione della mostra Memoria dei campi.

 

 

 

LA MOSTRA

MICHAEL KENNA
Immagini del settimo giorno.
Reggio Emilia, Palazzo Magnani Corso Garibaldi 29
8 maggio – 18 luglio 2010

Orari: 10.00 - 13.00, 15.30 - 19.00, chiuso il lunedì
Biglietto: intero 7 euro: ridotto 4 euro; studenti 2 euro

convenzione con Fotografia Europea 2010: presentando il biglietto di Fotografia Europea 2010 si avrà diritto all'ingresso ridotto

Catalogo: Skira 272 pagg., 300 immagini, 30 euro in mostra (40 euro in libreria)


 








Castello di Felina

Fig. 1
MICHAEL KENNA, Castello di Felina / Felina's Castle, Felina, Reggio Emilia, Italia / Italy, 2008

Bird over San Marco

Fig. 2
MICHAEL KENNA, Bird over San Marco / Uccello che vola oltre San Marco, Venezia / Venice, Italia / Italy, 1990

Albero del Lago Kussharo, Studio 2

Fig. 3
MICHAEL KENNA, Kussharo Lake Tree, Study 2 / Albero del Lago Kussharo, Studio 2, Kotan Hokkaido, Giappone / Japan, 2005

Centrale elettrica di Ratcliffe, Studio 54

Fig. 4
MICHAEL KENNA, Ratcliffe Power Station, Study 54 / Centrale elettrica di Ratcliffe, Studio 54, Nottinghamshire, Inghilterra / England 2000

Ponte di Brooklin, Studio 1

Fig. 5
MICHAEL KENNA, Brooklin Bridge, Study 1 / Ponte di Brooklin, Studio 1, New York, USA, 2006

Bosco ceduo innevato, Studio 1

Fig. 6
MICHAEL KENNA, White Copse, Study 1 / Bosco ceduo innevato, Studio 1, Wakkanai, Hokkaido, Giappone / Japan 2004


Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra




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