“Che
piacere vedere di nuovo la città-tanto quanto amo i contadini e la campagna”.
“Quanto l’unione degli estremi mi fa venire nuove idee-estremi, la campagna nel
suo insieme e il trambusto di qui. Ne avevo proprio bisogno”.
Questi
versi, vergati da Vincent van Gogh in una lettera del 1886 indirizzata al
fratello Theo, enfatizzano quell’intenso sentimento naturalistico che ha
caratterizzato l’intero percorso artistico del maestro olandese.
Dall’8
ottobre scorso e fino al prossimo 6 febbraio 2011, le sale del Complesso del
Vittoriano di Roma ospitano, dopo ventidue anni d’assenza, la mostra intitolata
“Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo - Città moderna”. Il progetto espositivo
curato dall’emerita studiosa Cornelia Homburg, massima esperta dell’artista
olandese, si avvale della collaborazione di un comitato scientifico internazionale.
In mostra sono presenti oltre settanta variegate opere tra dipinti ed acquerelli del maestro, in più, per arricchire maggiormente il contesto
espositivo e mettere in risalto quella fitta rete di scambi artistico-culturali
tra Van Gogh e gli artisti delle “avanguardie”parigine, gli organizzatori hanno
esposto circa una
quarantina di capolavori appartenuti a Millet, Pissarro, Cézanne,
Gauguin e Seurat provenienti dalle più grandi istituzioni museali del mondo e
dalle più preziose collezioni private; ad esse si aggiunge un’ interessante
raccolta di originali lettere redatte da Vincent Van Gogh e provenienti da
numerose raccolte private.
Il
percorso espositivo presenta una coinvolgente ed esplicativa visione dell’intero
corpus del grande pittore; la mostra s’apre con una selezione delle prime opere
del periodo olandese, nelle quali si comprende visivamente come Van Gogh si
adoperò nello studio e nella riproduzione di numerose incisioni dei maestri del
passato come Delacroix, Daubigny e Millet; da queste ed altre opere su tela,
egli trasse quella monocromatica tinteggiatura scura caratterizzata dalle
misere presenze di contadini immersi in drammatiche suggestioni sociali; in
queste numerose e poetiche distese naturalistiche, piene di “casette dai tetti
di paglia” (abbondanti soprattutto nella produzione di Saint-Rémy 1889-1890), l’artista
rappresenta il concetto inalterabile della dura realtà rurale, come in un
continuo dialogo atemporale con quelle tele raffiguranti il costante progresso
della città moderna.
L’affascinante
espressionismo materico di Van Gogh, concentrato su pochi centimetri di
superficie pittorica e palesato sia nei ritratti che nei paesaggi, è generato
da una originale interpretazione “di ciò che l’artista voleva che l’osservatore
vedesse”; queste seducenti costruzioni figurative sono frutto, oltre che di
quella consolidata e geniale concezione artistica, anche di quella grande
cultura di raffinato pensatore; ad esempio in una lettera scritta al fratello
Theò si evince che la tela raffigurante la Montagne
a Saint-Rémy con casolare scuro, sia stata ispirata dalla lettura di un passo
in un romanzo.
La
serie delle teste di contadini in
esposizione, eseguite tra il 1884 e l’anno seguente, sottolineano la volontà
dell’artista di cogliere i tratti più caratteristici della fisionomia umana;
questi studi sono la premessa del primo grande quadro con figure umane ritratte
nella celebre tela I mangiatori di patate
del 1885, esempio oggettivo della cruda vita contadina in cui la realtà non è
idealizzata.
Le
opere esposte nelle sale successive raccontano la svolta coloristica parigina
avvenuta tra il 1886 e il 1888, periodo in cui lo studio del maestro olandese è
contrassegnato dal rinnovamento e dalle sperimentazioni apportate sia dalle
influenze degli Impressionisti come Pissarro e Cézanne e sia da quelle dei
post-Impressionisti suoi contemporanei come Gauguin e Seurat, tutti attivi
nell’eccentrico quartiere di Montmartre; in questo periodo l’artista si
“aggiorna” manifestando l’uso limpido del colore e della pennellata espressiva
esaltata nei piccoli quadri dai minuti tratti di brillanti pigmenti; in altre
opere egli volge il proprio interesse nei confronti del ritratto “moderno”
descritto nella coppia di Autoritratti
provenienti dal Van Gogh
Musem di Amsterdam.
Parigi
non era semplice da vivere, cosi nel 1888 il bizzarro Vincent abbandona per
sempre la “febbrile”capitale francese per intraprendere un itinerante viaggio
nella Francia meridionale alla scoperta della tanto ricercata tranquillità di
provincia; l’artista visse gli ultimi soggiorni della sua vita tra la cittadina
di Arles (1888-1889) e quella di Saint-Rémy (1889-1890) fino a quando, in preda
al delirio, morì suicida nel paesino di Auvers-sur Oise nel Luglio 1890.
In
quel periodo il pittore si lasciò
ispirare dal paesaggio e dalla luce del sud, dipinse alberi da frutto e
numerosi campi di grano, disegnò e raffigurò ciò che era il suo mondo, fatto di
cipressi ed alberi d’olivo vibranti ed a volte sinuosi, costruiti in maniera
rapida con vivaci pennellate simulanti l’idea del movimento. Allo stesso tempo
combina in maniera equilibrata immagini tipiche della città moderna e della
vita rurale dando prosecuzione a quel senso di continuum verso l’eternità.
Nel Seminatore dell’Hammer
Museum di Los Angeles e nella reinterpretazione della tela di Daumier Le quattro età dell’uomo si comprende
come la figura dell’uomo sia l’ago della bilancia tra il passato, rappresentato
dalla campagna e dagli alberi in fiore sullo sfondo, ed il futuro tratteggiato
nei fumi delle ciminiere.
La completa visione dell’itinerario espositivo,
dedicato all’equilibrata e coloristica concezione pittorica del grande maestro
olandese, dà maggiore respiro ed immedesimazione nei versi indirizzati al
fratello Theo. Chiaro ed esplicativo è il pensiero filosofico della mostra. In
conclusione possiamo dire: «Ne avevamo proprio bisogno».
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