Delle tante mostre presenti a New York in questo periodo ho scelto di andare a vedere Hopper perché mi è sempre piaciuto già dalla prima volta che lo vidi al Whitney nel lontano 1999 e dopo a Roma, alla Fondazione Roma Museo,
nel 2010, l’ho rivisto di nuovo, ma c’erano solo alcuni suoi quadri, troppo
pochi per la verità.
Allora quale migliore
occasione per vederli tutti assieme al famoso gruppo degli Otto (The Eight) ?
Ma come sempre quando si hanno delle aspettative, si rimane sempre un po’
delusi. Quindi, dopo una breve fila, fuori un po’ al freddo di una domenica di
gennaio 2011, mi sono recata subito al 2° piano, quello dedicato alla mostra.
Sulla parete di sinistra
viene proiettato, a ritmo continuo, un vecchio filmato in bianco e nero
(originariamente in 35 millimetri, ora riconvertito); un film d’avanguardia per
quel tempo: il 1921, dove in 65 inquadrature, viene mostrato tutto quello che
accade in un giorno qualunque nella città di New York, gente che va e viene dai
traghetti o dagli uffici, fiumi, ponti, strade affollate, sequenze sui
grattacieli e così via, tutti segnali del nuovo che avanza, la nuova era
industriale. Sull’altra parete una scritta racconta la storia della nascita di
un’arte prettamente americana perché fino ad allora lo sguardo artistico era
sempre rivolto verso l’arte europea e un Hopper ritrattista ironico e realista
era inusuale per l’inizio del XX secolo. Dello stesso periodo artistico vengono
inseriti e segnalati anche John Sloan (che insieme a W. Glackens, G. Luks, E. Shinn,
A. Davis, E. Lawson e M. Prendergast formavano il gruppo degli Otto, ma qui non
presenti), il maestro Robert Henri, Alfred Stieglitz, Ben Shahn, Paul Strand,
Charles Demuth, Guy Pène du Bois, George Bellows, Ralston Crawford, Louis
Lozowich, Charles Burchfield, William Glackens, ed altri.
Dopo aver letto tutto, si
rimane un po’ incerti, perché non c’è nessuna segnalazione, dove andare: dritti
o a sinistra ? Entriamo nella sala di fronte e troviamo subito due tele di
Hopper dei primi del Novecento e anche un suo autoritratto del 1903: sembra un
giovane studente, vestito di nero, con la testa di profilo, guarda
l’osservatore con quell’aria malinconica che ritroveremo nell’altro
autoritratto con cappello del 1925-1930, ma in quest’ultimo i colori sono più
chiari e il suo volto appare per intero, con uno sguardo più disteso.
Nella stessa sala ci sono
illustratori e fotografi come Stieglitz, Hine, Strand, ma quello che ci ha più
colpiti è un ritratto ad olio (127 x 182,9 cm.) di Henri del 1916, che fece a
Gertrude Vanderbilt Whitney. Lei appare distesa su un sofà vestita con abiti in
stile orientale, con tanto di pantaloni arricciati alle caviglie, un braccio
disteso sullo schienale del divano e l’altro rivolto verso se stessa con la
mano poggiata sulla spalla destra, pettinatura corta e arricciata. Si dice che
quando il marito, il ricco Whitney, vide il ritratto disse che non lo avrebbero
mai potuto appendere nel loro salotto della 5th Avenue perché non voleva che i
suoi ospiti vedessero sua moglie in pantaloni e allora Gertrude lo portò nel
suo studio di scultrice al Greenwich Village.
Già dal 1914 lo studio di
Gertrude si era trasformato in uno spazio espositivo per giovani artisti
sconosciuti o non accettati dalla critica e dal mercato americano dell’epoca;
nel 1931 diventerà Museo e nel 1966 sarà inaugurata l’attuale sede a Madison
Avenue.
Ritornando al quadro di
Henri, a parte l’aneddoto del marito, la scena, i colori, tutto il modo di
eseguire il ritratto è, per quel tempo, innovativo, diverso, un modo di
guardare e intendere la realtà, dove l’artista deve produrre quello che vede,
ma soprattutto quello che prova. Questo è quello che Henri trasmetteva ai suoi
allievi e che lo porterà, nel 1908, ad organizzare la mostra degli Otto, che
come lui volevano far nascere una nuova arte americana, capace di descrivere i
soggetti reali, la natura, la società in
evoluzione nel suo continuo mutare e divenire.
Fondamentale quindi fu l’incontro di
Edward Hopper con Robert Henri, uno dei suoi maestri di pittura alla New York
School of Art. Hopper nasce da una famiglia colta di origine anglo-olandese il
22 luglio del 1882 a Nyack, vicino a New York e morirà nel 1967 a New York. Nel
1900 si trasferisce per studiare illustrazione (che poi dovette fare per
necessità economica, cosa che non gli piacque mai molto) e pittura. Qui
incontra Robert Henri, considerato il
rappresentante del realismo democratico e i temi che trasmetteva: “la pittura non è scissa dalla vita, anzi la
quotidianità è fonte inesauribile di ispirazione”, fecero molta presa su
Hopper che si reca in Europa per ben 3 volte a distanza di pochi anni dal 1906
al 1910. Ed è forse da questi periodi trascorsi, soprattutto in Francia, che il
gioco di luci ed ombre si fa man mano più presente tanto da diventare
inconfondibile per quella luminosità pulita, chiara, asciutta, ma fredda. Un
esempio per tutti il quadro Early Sunday
Morning del 1930 (89,4 x 153 cm.), è una domenica mattina presto, tutto è
apparentemente tranquillo: i negozi sono chiusi, qualcuno ancora dorme negli
appartamenti al piano di sopra, non ci sono mezzi di locomozione in giro per la
strada, nessuna presenza umana. I colori verde, rosso e giallo sono perfetti,
ma qualcosa di scuro o di oscuro sulla destra appare, appena accennato, incombe
come un macigno. Cosa può essere ? un grattacielo, una torre industriale ? Ecco
questo è Hopper; quando osservi attentamente un suo quadro c’è sempre qualcosa
di misterioso, ti rimanda con il pensiero ad altro, a quello che non c’è, ma
che è presente. Tutto questo lo si ritrova anche quando descrivere interni, con
o senza la figura umana. Molte sono le figure femminili quasi tutte
riconducibili alla moglie, tranne rare eccezioni, come nel quadro South Carolina Morning del 1955 (77,6 x 102,2 cm.), dove c’è una signora nera col
cappello e vestito rosso fuoco che sta davanti alla casa con le braccia
conserte ad aspettare.
Si dice che i suoi quadri abbiano
ispirato altri pittori e anche registi. Infatti la famosa casa House by the Railroad del 1925 (61 x 73,7
cm.) ci rimanda ad un film famoso Psyco
di Hitchcock, se qualcuno ricorda la casa arroccata sulla collina del film
potrà trovare sbalorditive somiglianze !
Ricordiamo cosa disse di lui un
collega-amico Pène du Bois: “Ha
trasformato il puritanesimo in purismo, il rigore morale in precisione
stilistica”. Anche du Bois è presente alla mostra e segnaliamo solo il
quadro Woman with cigarette, 1929, donne
monumentali, gigantesche tanto da apparire quasi degli uomini travestiti, donne
che fumano e che vengono riprese da dietro, con profonde scollature e con la
sola testa ruotata all’indietro. Per tornare invece alle figure femminili di Hopper che sono diversissime da quelle
di du Bois, segnaliamo: Interior del
1921, una donna di spalle sta seduta e sembra stia cucendo un abito che
doveva indossare, ma che si è accorta, prima di uscire, all’ultimo momento, di
dover aggiustare; l’interno della stanza è molto curato nei particolari, a
destra c’è un caminetto con sopra cornici ed un orologio, a sinistra un quadro,
sul letto dove è seduta si intravede un cappello e forse anche un soprabito.
Un’atmosfera quindi di attesa, ma tranquilla, cosa che non è per il quadro A woman in the sun del 1919: una
donna in piedi, completamente nuda, tanto che si possono vedere persino le
venature delle sue gambe, il corpo di una donna adulta, capelli lunghi, una
sigaretta in mano e uno sguardo perso verso una finestra da dove entra il sole.
Un sole che la illumina nel suo rettangolo e l’accoglie donandole forse quel
calore tanto desiderato, da un uomo che non c’è. Il letto sulla sinistra è
sfatto ed è vuoto, dovevano incontrarsi e lui non è venuto o se ne è andato lasciandola
sola ? Hopper ci sta raccontando la fine di una storia ? Un’altra finestra con
un paesaggio collinare chiude il quadro con un gioco di linee che rendono
perfetta la composizione geometrica. Curiosa ed interessante invece la figura
femminile nel Barber Shop 1931 perché
è posta in posizione centrale lasciando a destra il barbiere al suo lavoro,
infatti lo vediamo solo di spalle e a sinistra le scalette per l’uscita dal
negozio. La giovane è intenta a leggere e sta davanti al suo banchetto di manicure.
Ricordiamo anche il famoso Seven A. M.
1948 (76,7 x 101,9 cm.) insieme a Gas
1940 (66,7 x 102,2 cm.) con quel coloratissimo rosso fuoco delle pompe di
benzina che contrasta con il verde scuro dietro e il giallo stopposo delle
erbacce, seminascosto da una pompa c’è la figura di un uomo, un luogo isolato,
perso nel tempo e nello spazio, ma ce ne sono molti altri.
Nella mostra, curata da Nicholas Haskell
Barbara e Sasha, delle 80 opere esposte e degli artisti presenti ci preme
segnalare di John Sloan: Back yards Greenwich Village 1914 (66 x 81,3 cm.) una
scena di vita quotidiana, tipica del Village innevato: due bambini stanno
costruendo un omino di neve e due gatti neri passeggiano sulla neve bianca
mentre alla finestra, sulla destra, si intravede una bimba che guarda e
sorride, in alto panni stesi ad asciugare in un tiepido sole invernale.
Di George Bellows segnaliamo: Dempsey and Firpo 1924 (129,5x160,7cm)
un grande quadro che riflette anche la sua professione di illustratore oltre
che amante della box. L’americano Dempsey era l’allora campione dei pesi
massimi e dovette adottare tutta la sua aggressività e tecnica per mettere K.O.
l’argentino Firpo, considerato l’uomo più forte e questo quadro rappresenta in
modo egregio questo momento con la sua luce e l’espressione dei vari
spettatori.
William Glackens (uno degli Otto) con Hammerstein's Roof garden 1901 ci mostra
l’interno di un teatro con gli spettatori intenti a vedere un acrobata sul filo
e si presume che lo spettacolo continui con giocolieri e saltimbanchi. Mentre
ben altra scena è quella di Ben Shahn: Scotts
run, West Virginia 1937. Per chi non lo sapesse tra la fine dell’800 e gli
inizi del ‘900 nel West Virginia ci fu un vero e proprio boom e sviluppo delle miniere di carbone. All’inizio questa
crescita portò l’arrivo di molti immigrati, ma poi con la depressione, negli
anni Trenta, si trasformò in una terrificante miseria. Shahn ci descrive, in
bianco e nero, questa miseria nei volti dei tre minatori sicuramente immigrati.
In primo piano due uomini con la “coppola” in testa e l’altro con un cappello,
tipo borsalino; il loro volto è segnato, lo sguardo ai vagoni, forse vuoti,
l’uomo col cappello guarda diretto l’osservatore, le mani in tasca o dietro il
corpo, in lontananza case di legno un po’ fatiscenti, tutto denota tristezza e
dolore, la disperazione di un lavoro che non c’è più.
Charles Burchfield con il suo quadro Ice glare 1939 ci porta invece su un
paesaggio innevato dove spicca un’auto nera e il gioco di luci ed ombre della
casa e del lampione creano un bellissimo contrasto che l’artista ha voluto
segnalarci già dal titolo glare appunto
significa riverbero, luce abbagliante.
LA MOSTRA
New York Whitney Museum of
American Art
Modern Life: Edward Hopper and His Time
Fino
al 10 aprile 2011.
http://whitney.org
Elenco
delle opere citate nell’articolo
Opere di E. Hopper
- Gas 1940
- Early Sunday Morning 1930
- House by the Railroad 1925
- Self Portrait 1925-30
- Interior 1921
- A woman in the sun 1961
- Barber Shop 1931
- Seven A.M. 1948
Robert
Henri, Gertrud Whitney 1916-19
John Sloan, Back yards Greenwich
Village 1914
George Bellows, Dempsey and Firpo 1924
William Glackens,
Hammerstein's Roof garden 1901c
Guy Pène du Bois,
Woman with cigarette 1929
Ben Shahn, Scotts run, West Virginia 1937
Charles Burchfield, Ice
glare 1939
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