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Modern Life: Edward Hopper and His Time. Una recensione  
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Febbraio 2011, n. 594
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Area Mostre

Delle tante mostre presenti a New York in questo periodo ho scelto di andare a vedere Hopper perché mi è sempre piaciuto già dalla prima volta che lo vidi al Whitney nel lontano 1999 e dopo a Roma, alla Fondazione Roma Museo, nel 2010, l’ho rivisto di nuovo, ma c’erano solo alcuni suoi quadri, troppo pochi per la verità.

Allora quale migliore occasione per vederli tutti assieme al famoso gruppo degli Otto (The Eight) ? Ma come sempre quando si hanno delle aspettative, si rimane sempre un po’ delusi. Quindi, dopo una breve fila, fuori un po’ al freddo di una domenica di gennaio 2011, mi sono recata subito al 2° piano, quello dedicato alla mostra.

Sulla parete di sinistra viene proiettato, a ritmo continuo, un vecchio filmato in bianco e nero (originariamente in 35 millimetri, ora riconvertito); un film d’avanguardia per quel tempo: il 1921, dove in 65 inquadrature, viene mostrato tutto quello che accade in un giorno qualunque nella città di New York, gente che va e viene dai traghetti o dagli uffici, fiumi, ponti, strade affollate, sequenze sui grattacieli e così via, tutti segnali del nuovo che avanza, la nuova era industriale. Sull’altra parete una scritta racconta la storia della nascita di un’arte prettamente americana perché fino ad allora lo sguardo artistico era sempre rivolto verso l’arte europea e un Hopper ritrattista ironico e realista era inusuale per l’inizio del XX secolo. Dello stesso periodo artistico vengono inseriti e segnalati anche John Sloan (che insieme a W. Glackens, G. Luks, E. Shinn, A. Davis, E. Lawson e M. Prendergast formavano il gruppo degli Otto, ma qui non presenti), il maestro Robert Henri, Alfred Stieglitz, Ben Shahn, Paul Strand, Charles Demuth, Guy Pène du Bois, George Bellows, Ralston Crawford, Louis Lozowich, Charles Burchfield, William Glackens, ed altri.

Dopo aver letto tutto, si rimane un po’ incerti, perché non c’è nessuna segnalazione, dove andare: dritti o a sinistra ? Entriamo nella sala di fronte e troviamo subito due tele di Hopper dei primi del Novecento e anche un suo autoritratto del 1903: sembra un giovane studente, vestito di nero, con la testa di profilo, guarda l’osservatore con quell’aria malinconica che ritroveremo nell’altro autoritratto con cappello del 1925-1930, ma in quest’ultimo i colori sono più chiari e il suo volto appare per intero, con uno sguardo più disteso.

Nella stessa sala ci sono illustratori e fotografi come Stieglitz, Hine, Strand, ma quello che ci ha più colpiti è un ritratto ad olio (127 x 182,9 cm.) di Henri del 1916, che fece a Gertrude Vanderbilt Whitney. Lei appare distesa su un sofà vestita con abiti in stile orientale, con tanto di pantaloni arricciati alle caviglie, un braccio disteso sullo schienale del divano e l’altro rivolto verso se stessa con la mano poggiata sulla spalla destra, pettinatura corta e arricciata. Si dice che quando il marito, il ricco Whitney, vide il ritratto disse che non lo avrebbero mai potuto appendere nel loro salotto della 5th Avenue perché non voleva che i suoi ospiti vedessero sua moglie in pantaloni e allora Gertrude lo portò nel suo studio di scultrice al Greenwich Village.

Già dal 1914 lo studio di Gertrude si era trasformato in uno spazio espositivo per giovani artisti sconosciuti o non accettati dalla critica e dal mercato americano dell’epoca; nel 1931 diventerà Museo e nel 1966 sarà inaugurata l’attuale sede a Madison Avenue.

Ritornando al quadro di Henri, a parte l’aneddoto del marito, la scena, i colori, tutto il modo di eseguire il ritratto è, per quel tempo, innovativo, diverso, un modo di guardare e intendere la realtà, dove l’artista deve produrre quello che vede, ma soprattutto quello che prova. Questo è quello che Henri trasmetteva ai suoi allievi e che lo porterà, nel 1908, ad organizzare la mostra degli Otto, che come lui volevano far nascere una nuova arte americana, capace di descrivere i soggetti reali, la natura, la  società in evoluzione nel suo continuo mutare e divenire.

Fondamentale quindi fu l’incontro di Edward Hopper con Robert Henri, uno dei suoi maestri di pittura alla New York School of Art. Hopper nasce da una famiglia colta di origine anglo-olandese il 22 luglio del 1882 a Nyack, vicino a New York e morirà nel 1967 a New York. Nel 1900 si trasferisce per studiare illustrazione (che poi dovette fare per necessità economica, cosa che non gli piacque mai molto) e pittura. Qui incontra Robert Henri, considerato il rappresentante del realismo democratico e i temi che trasmetteva: “la pittura non è scissa dalla vita, anzi la quotidianità è fonte inesauribile di ispirazione”, fecero molta presa su Hopper che si reca in Europa per ben 3 volte a distanza di pochi anni dal 1906 al 1910. Ed è forse da questi periodi trascorsi, soprattutto in Francia, che il gioco di luci ed ombre si fa man mano più presente tanto da diventare inconfondibile per quella luminosità pulita, chiara, asciutta, ma fredda. Un esempio per tutti il quadro Early Sunday Morning del 1930 (89,4 x 153 cm.), è una domenica mattina presto, tutto è apparentemente tranquillo: i negozi sono chiusi, qualcuno ancora dorme negli appartamenti al piano di sopra, non ci sono mezzi di locomozione in giro per la strada, nessuna presenza umana. I colori verde, rosso e giallo sono perfetti, ma qualcosa di scuro o di oscuro sulla destra appare, appena accennato, incombe come un macigno. Cosa può essere ? un grattacielo, una torre industriale ? Ecco questo è Hopper; quando osservi attentamente un suo quadro c’è sempre qualcosa di misterioso, ti rimanda con il pensiero ad altro, a quello che non c’è, ma che è presente. Tutto questo lo si ritrova anche quando descrivere interni, con o senza la figura umana. Molte sono le figure femminili quasi tutte riconducibili alla moglie, tranne rare eccezioni, come nel quadro South Carolina Morning del 1955 (77,6 x 102,2 cm.), dove c’è una signora nera col cappello e vestito rosso fuoco che sta davanti alla casa con le braccia conserte ad aspettare.

Si dice che i suoi quadri abbiano ispirato altri pittori e anche registi. Infatti la famosa casa House by the Railroad del 1925 (61 x 73,7 cm.) ci rimanda ad un film famoso Psyco di Hitchcock, se qualcuno ricorda la casa arroccata sulla collina del film potrà trovare sbalorditive somiglianze !

Ricordiamo cosa disse di lui un collega-amico Pène du Bois: “Ha trasformato il puritanesimo in purismo, il rigore morale in precisione stilistica”. Anche du Bois è presente alla mostra e segnaliamo solo il quadro Woman with cigarette, 1929, donne monumentali, gigantesche tanto da apparire quasi degli uomini travestiti, donne che fumano e che vengono riprese da dietro, con profonde scollature e con la sola testa ruotata all’indietro. Per tornare invece alle figure femminili di Hopper che sono diversissime da quelle di du Bois, segnaliamo: Interior del 1921, una donna di spalle sta seduta e sembra stia cucendo un abito che doveva indossare, ma che si è accorta, prima di uscire, all’ultimo momento, di dover aggiustare; l’interno della stanza è molto curato nei particolari, a destra c’è un caminetto con sopra cornici ed un orologio, a sinistra un quadro, sul letto dove è seduta si intravede un cappello e forse anche un soprabito. Un’atmosfera quindi di attesa, ma tranquilla, cosa che non è per il quadro A woman in the sun del 1919: una donna in piedi, completamente nuda, tanto che si possono vedere persino le venature delle sue gambe, il corpo di una donna adulta, capelli lunghi, una sigaretta in mano e uno sguardo perso verso una finestra da dove entra il sole. Un sole che la illumina nel suo rettangolo e l’accoglie donandole forse quel calore tanto desiderato, da un uomo che non c’è. Il letto sulla sinistra è sfatto ed è vuoto, dovevano incontrarsi e lui non è venuto o se ne è andato lasciandola sola ? Hopper ci sta raccontando la fine di una storia ? Un’altra finestra con un paesaggio collinare chiude il quadro con un gioco di linee che rendono perfetta la composizione geometrica. Curiosa ed interessante invece la figura femminile nel Barber Shop 1931 perché è posta in posizione centrale lasciando a destra il barbiere al suo lavoro, infatti lo vediamo solo di spalle e a sinistra le scalette per l’uscita dal negozio. La giovane è intenta a leggere e sta davanti al suo banchetto di manicure. Ricordiamo anche il famoso Seven A. M. 1948 (76,7 x 101,9 cm.) insieme a Gas 1940 (66,7 x 102,2 cm.) con quel coloratissimo rosso fuoco delle pompe di benzina che contrasta con il verde scuro dietro e il giallo stopposo delle erbacce, seminascosto da una pompa c’è la figura di un uomo, un luogo isolato, perso nel tempo e nello spazio, ma ce ne sono molti altri.

 

Nella mostra, curata da Nicholas Haskell Barbara e Sasha, delle 80 opere esposte e degli artisti presenti ci preme segnalare di John Sloan: Back yards Greenwich Village 1914 (66 x 81,3 cm.) una scena di vita quotidiana, tipica del Village innevato: due bambini stanno costruendo un omino di neve e due gatti neri passeggiano sulla neve bianca mentre alla finestra, sulla destra, si intravede una bimba che guarda e sorride, in alto panni stesi ad asciugare in un tiepido sole invernale.

Di George Bellows segnaliamo: Dempsey and Firpo 1924 (129,5x160,7cm) un grande quadro che riflette anche la sua professione di illustratore oltre che amante della box. L’americano Dempsey era l’allora campione dei pesi massimi e dovette adottare tutta la sua aggressività e tecnica per mettere K.O. l’argentino Firpo, considerato l’uomo più forte e questo quadro rappresenta in modo egregio questo momento con la sua luce e l’espressione dei vari spettatori. 

William Glackens (uno degli Otto) con Hammerstein's Roof garden 1901 ci mostra l’interno di un teatro con gli spettatori intenti a vedere un acrobata sul filo e si presume che lo spettacolo continui con giocolieri e saltimbanchi. Mentre ben altra scena è quella di Ben Shahn: Scotts run, West Virginia 1937. Per chi non lo sapesse tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 nel West Virginia ci fu un vero e proprio boom e sviluppo delle miniere di carbone. All’inizio questa crescita portò l’arrivo di molti immigrati, ma poi con la depressione, negli anni Trenta, si trasformò in una terrificante miseria. Shahn ci descrive, in bianco e nero, questa miseria nei volti dei tre minatori sicuramente immigrati. In primo piano due uomini con la “coppola” in testa e l’altro con un cappello, tipo borsalino; il loro volto è segnato, lo sguardo ai vagoni, forse vuoti, l’uomo col cappello guarda diretto l’osservatore, le mani in tasca o dietro il corpo, in lontananza case di legno un po’ fatiscenti, tutto denota tristezza e dolore, la disperazione di un lavoro che non c’è più.

Charles Burchfield con il suo quadro Ice glare 1939 ci porta invece su un paesaggio innevato dove spicca un’auto nera e il gioco di luci ed ombre della casa e del lampione creano un bellissimo contrasto che l’artista ha voluto segnalarci già dal titolo glare appunto significa riverbero, luce abbagliante.

 

 

 

 

LA MOSTRA

New York Whitney Museum of American Art

Modern Life: Edward Hopper and His Time

Fino al 10 aprile 2011.

http://whitney.org

 

 

 

 

Elenco delle opere citate nell’articolo

 

Opere di E. Hopper

  • Gas 1940
  • Early Sunday Morning 1930
  • House by the Railroad 1925
  • Self Portrait 1925-30
  • Interior 1921
  • A woman in the sun 1961
  • Barber Shop 1931
  • Seven A.M. 1948

Robert Henri, Gertrud Whitney 1916-19

John Sloan, Back yards Greenwich Village 1914

George Bellows, Dempsey and Firpo 1924

William Glackens, Hammerstein's Roof garden 1901c

Guy Pène du Bois, Woman with cigarette 1929

Ben Shahn, Scotts run, West Virginia 1937

Charles Burchfield, Ice glare 1939

 

 

 








 

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