L'articolo Alcuni appunti su Giovanni da Gaeta
apparso su bta del 26 novembre 2010 a firma di Luigi Agus[1] è un
invito per dibattere sulla tavola della
Madonna della Misericordia (1448) di
Giovanni da Gaeta[2] e sulle ragioni della sua committenza,
di cui ho recentemente scritto su «Theologica & Historica, Annali della
Facoltà di Teologia della Sardegna»[3]. Motivo
di questo ulteriore intervento è la rettifica di talune inesattezze, per le
quali mi sono attribuite affermazioni mai espresse, ma anche l'occasione per
esporre le risultanze di nuove indagini che sostengono l'ipotesi già
prospettata di una commissione medicea.
I. Le ragioni della committenza.
Una lettura poco attenta del saggio porta l'Agus ad intendere che «L'invio
della tavola in Sardegna sarebbe giustificato [...] da un voto fatto da Piero il
gottoso», laddove, a seguito di una articolata analisi storico-filologica, concludo:
«Il donativo sarebbe - lo si afferma qui per
la prima volta - il solo noto di una credibile più ampia
strategia in esecuzione di un medesimo progetto, nel quale devozione, amicizia,
diplomazia, politica e finanza [medicea] si confondono, mirato alla raccolta
dei consistenti proventi dell'imminente Giubileo»[4] del
1450.
Scartato il debito votivo, confermo
le stesse ragioni della committenza in precedenza individuate. Quella epigrafica, che formalmente
giustifica l'opera, è il ventennale (1448) della seconda apparizione mariana
sul Monte Berico, a sud di Vicenza; quella pretestuosa è indicata nel dono di
circostanza per il concomitante insediamento di Sissinnio nuovo vescovo di
Bisarcio (1449); quella realistica, di cui ho appena detto, è riconosciuta in
un disegno strategico di più ampia portata, posto in essere da Piero De' Medici
il Gottoso, committente dell'opera, mirato alla raccolta dei consistenti
proventi giubilari, già avviato e lungamente coltivato[5] dal
padre Cosimo il Vecchio con il patrocinio del Concilio Ecumenico Fiorentino del
1439.
II. La cronologia. E'
credibile che Giovanni abbia adottato l'indizione bizantina nel computo cronologico,
ed è pacifico che il 1 novembre 1448 indicato nell'epigrafe dedicatoria cada
nella xii indizione di uno stesso
anno, il 1448, che al 31 agosto marcava l'xi
indizione[6]. La
proposta dell'Agus di una normalizzazione della cronologia, per la quale quel
1448 dovrebbe leggersi 1449, è irricevibile perché frutto di una doppia lezione
errata, che confonde 'l'indizione bizantina' con 'lo stile bizantino' (che peraltro
non sembra in uso in quegli anni a Gaeta, dove il tempiese presume sia stata
realizzata l'opera[7]) e su questo compie una
conversione inversa a quella indicata in tutti i manuali di cronologia e
cronografia[8]. Il
solo tratto comune è che entrambi decorrono dal 1 settembre ma mentre lo stile bizantino
comporta un'anticipazione di quattro mesi del capodanno, l'indizione bizantina,
che è uno dei sistemi di numerazione delle indizioni, si abbina allo stile adottato
senza alcuno stravolgimento, fermo restando che ogni anno sarà distinto da due
indizioni con cambio al 1 settembre.
Non occorre essere «chiaroveggente»[9] per
giustificare una 'regalia trasversale', che mira a Sissinnio neoeletto
vescovo di Bisarcio per colpire Papa Niccolò v
e rinsaldare un'antica amicizia di famiglia, per provate ragioni di opportunità
finanziaria[10]. Si ha, infatti, motivo
di credere nella persistente attualità del dono della tavola celebrativa del
ventennale di Monte Berico (1 novembre 1448[11]
)
seppure questa, come pare vero, sia stata confezionata nei primissimi mesi del
1449. La data del 1 novembre non
è, infatti, da intendersi come quella dell'esecuzione della tavola ma quella di
un ventennale, la cui stretta ricorrenza ricadeva in quel giorno (più
esattamente il 2 agosto), ma le cui celebrazioni si sarebbero protratte per un
anno intero, decadendo solo il 1 novembre (o il 2 agosto) del 1449, allorchè si
sarebbe entrati nel xxi
anniversario dell'apparizione mariana.
«Il decreto di nomina di
Sissinnio e di Antonio [...] è del 21 ottobre 1448, ma è statisticamente
credibile, perché prassi comune, che l'intronizzazione sia avvenuta qualche
tempo dopo, nei primi mesi dell'anno seguente, per dare modo al novello pastore
di organizzare materialmente la presa di possesso della diocesi. Nel mentre
sarebbero giunte a compimento quelle condizioni nelle quali si trova una
giustificazione indiretta ma, alla luce della strettissima sequenza degli
eventi che verranno [leggi: nomina a cardinale del fratello uterino Filippo Calandrini (20 dicembre
1448) e indizione dell'anno giubilare 1450 (4 gennaio 1449)], più che
attendibile di tanta insolita liberalità»[12].
L'apparente discronia era, dunque, stata rilevata e adeguatamente giustificata.
Una maggiore attenzione nella lettura, avrebbe evitato tanta perdita di tempo e
spreco di inchiostro, con un'ipotesi imbastita su ripetuti errori cronologici.
Il testo dell'epigrafe recante la
data appare decentrato se si considera nella sua interezza. L'allineamento
sarebbe invece quasi perfetto[13], ove
si guardasse solo alla prima parte, indizione esclusa. L'anomalia andrebbe
letta non ipotizzando la cancellazione di una presunta firma dell'artefice ad
opera di un ipotetico falsario, quanto mettendo in conto che, così come nel Redentore
in trono benedicente del duomo di Sezze dello stesso Giovanni da Gaeta[14], il
riferimento all'indizione, nelle intenzioni dell'artefice, non vi dovesse
essere ma sia stata aggiunto in corso d'opera, disperdendo quella simmetria
appena impostata.
III. Gli stemmi. Poco giova
invocare l'ausilio di Federico Zeri per attestare che gli stemmi in capo alla
tavola siano falsi[15]. Lo
studioso di chiara e riconosciuta fama non può rendere alcuna «testimonianza»[16],
perché mai ebbe occasione di un'ispezione diretta della Madonna della Misericordia, ma solo per il tramite di una pessima
immagine monocromatica di fine Ottocento, dove gli scudi sono raffigurati, la
stessa ancora disponibile presso l'Archivio fotografico storico della Soprintendenza
ai Beni ambientali paesaggistici e al Patrimonio storico e antropo-demologico
di Cagliari, per la quale recepì l'aquila (insegna di Piero il Gottoso) su di
un broncone (insegna di Cosimo il Vecchio) come «un giglio»[17]. Gli
stemmi - fino a documentata prova contraria - sono da considerarsi autentici. E ancora, se si sostiene
la falsità del
blasone, che senso ha, come fa l'Agus, ipotizzare un falso Medici ottocentesco e
alludere, senza un filo di coerenza, a un autentico Doria del Quattrocento[18], nel
quale, peraltro, l'aquila non stringe tra gli artigli alcun broncone ? Electa una via, non datur recursus ad alteram!
Non si possono applicare le
odierne regole dell'araldica, come il tempiese vorrebbe, in un epoca, il
Quattrocento, nel quale quelle stesse non erano state ancora codificate o,
comunque, non erano considerate inderogabili. Ne è riprova il fatto che «In
origine, l'arma della famiglia dei Medici mostrava sei palle rosse in campo oro,
ma con una certa licenza espressiva, almeno fino per
tutto il xv secolo, vennero
realizzate varianti dello scudo che presentano da tre a undici palle, diversamente
disposte[19].
L'assunzione di un campo di un tono differente da quello canonico aureo - scrissi
allora, e oggi confermo - è dettata dalla necessità di contrastare un blasone
che rischiava di perdersi nel fondo oro della tavola. Il verde cupo adottato rimanda all'alloro del broncone [...] ed è uno dei colori delle
divise dello stesso casato. La palla azzurra, in
un'opera datata 1448, si giustificherebbe con una ripresa del testo pittorico,
per un adeguamento a seguito del privilegio concesso dal sovrano» di
Francia [20], verosimilmente - ed è anche questa una novità - su commissione dello
stesso Sissinnio che nel 1465 sedeva ancora in cattedra a Bisarcio[21].
Per evidente debito di riconoscenza, è lui il solo motivato all'aggiornamento del
prestigioso stemma e l'unico ad avere autorità e competenza di intervento sulla
pala dell'altare maggiore di S. Maria del Regno di Ardara, il maggiore
tempio della antica diocesi dopo il duomo di Bisarcio, con funzioni
straordinarie di cattedrale supplente. L'ipotesi è
sensata perché trova riscontro ne «La maggiore efficacia della resa volumetrica
di questa [azzurra] rispetto alle altre, [che] induce a considerare una
ridipintura, ad opera di altra mano (credibilmente un maestro locale), di una
preesistente sfera rossa»[22].
IV. Il Committente. Una indagine più accurata - ed è questo un ulteriore, rilevante sostegno in favore dell'ipotesi di una committenza medicea - ha posto in evidenza l'antica frequentazione
dei Medici di Gaeta, centro nodale degli interessi di impresa della famiglia, dove
nel 1420 aveva sede una delle quattro storiche filiali del Banco De' Medici di
Firenze, accanto a quelle di Roma, Napoli e Venezia[23]
.
Nella città laziale, alla fine del Trecento, «i Medici avevano preso in affitto
le dogane e avevano bisogno di un rappresentante permanente che badasse ai loro
interessi»[24]. A tale ufficio si dava
adempimento per il tramite de «La filiale di Roma [che] aveva sotto controllo
le agenzie di Napoli e Gaeta, aperte nel 1400»[25]
. «Dal
1426 al 1471 il banco Medici non ebbe filiale a Napoli; era però rappresentato
da corrispondenti, che trattavano i suoi affari ricevendo una commissione. Nel
1455 i corrispondenti dei Medici a Napoli erano Filippo Strozzi & C.,
Benedetto Guasconi e Bartolomeo Buonconti»[26]. Nello
stesso anno a Roma, da cui si è detto dipendeva Gaeta, erano corrispondenti Giovanni
e Piero De' Medici[27] il proposto
committente di questa tavola. Gottoso, ma non totalmente impedito come Agus,
forse, l'ha immaginato[28].
E, ancora, perché tacere dei due vescovi
ammantati dalla Vergine, nessuno dei quali impugna il solo pastorale raffigurato
che, invece, è affidato ad un anonimo diacono ? E' un momento iconografico denso
di significato, metafora del passaggio delle consegne che in quel 1448 si compie
nella cattedra di Bisarcio, in favore di Sissinnio, destinatario del dono di
Piero, che ammicca il riguardante.
V. L'ipotesi alternativa.
Ribadite punto su punto le ragioni di questa committenza, sostenuta oggi da
nuovi riscontri documentali, al lettore la facoltà di scelta di riconoscere il genuflesso
in Piero il Gottoso piuttosto che in Franceschino Saba, per lo scioglimento di
un presunto e tortuoso voto espresso nel 1448, adempiuto solo nel 1452 dopo un
incontro col re Alfonso a Napoli, dove si sarebbe ricordato della sua Ardara acquistata
nel 1442, pensando alla presa di Castel Aragonese del 1448[29].
Un'ultima annotazione, prima del
congedo, mi sia concessa: dopo aver impegnato circa metà del suo articolo per
spiegare che quel '1448' epigrafico deve essere letto '1449' stile moderno,
Luigi Agus 'imprudentemente' trova ragione della committenza nel voto del Saba datato
1448 stile moderno, perdendo di fatto la coincidenza con quel '1449' inutilmente
rincorso Se poi, ammesso e non concesso, ci si sforzasse di normalizzare quel
'1448' presunto stile bizantino o stile pisano - in realtà a Gaeta è
documentato in quegli anni lo stile della natività e lo stile dell'incarnazione
fiorentino[30] - si guadagnerebbe, si è
spiegato in precedenza, un '1447'[31], cioè
un anno in anticipo sul 1448 dell'espugnazione di Castel Aragonese. Tanto basta
per dimostrare la fragilità e l'inconsistenza di un'alternativa minata da
ripetute incoerenze ed errori oggettivamente riscontrati.
NOTE
[2] Madonna della
Misericordia di Giovanni da Gaeta, 1448, tempera e oro su tavola, cm 215 x
137, Cracovia, Castello Reale del Wawel,
inv. n. 1436.
[5] A. Mai, Spicilegium romanum. Vite di uomini illustri del xv
secolo, Scritte da Vespasiano Fiorentino contemporaneo. Parte i.
Pontefici Re, e Principi Sovrani, Roma 1839, pp. 38, 42.
[7] Per lo stile in uso a Gaeta nel Quattrocento vedi nota 30.
[8]
«Lo stile bizantino è in anticipo sullo stile comune o della 'circoncisione' di una
unità dal 1° settembre al 31 dicembre [e] vi coincide dal 1° gennaio al 31 agosto», di conseguenza il 1 novembre 1448 del presunto stile bizantino, nello stile moderno (o della circoncisione), sarebbe semmai stata (ma non è il caso)
il 1 novembre 1447 e non il 1449 indicato (ivi, prefazione s.n.).
In un secondo intervento pubblicato sulle pagine di un quotidiano sardo appena quattro giorni dopo quello sul BTA, il tempiese ha già rivisto la cronologia, suggerendo l'adozione dello stile pisano in luogo dello stile bizantino indicato nel Bollettino. Conferma, quindi, con un ennesimo errore di calcolo, un comunque improponibile 1449 - lo stile dell'incarnazione pisana, infatti, «coincide con l'anno comune dal 1° gennaio al 24 marzo, [ma] ha un'unità in più rispetto a tale anno dal 24 marzo al 31 dicembre» (ivi, prefazione s.n., tav. 7b); una corretta conversione (ibidem) porterebbe, semmai, al 1447 - e non ci dà più ragione dell'incoerenza di Giovanni nella Incoronazione della Vergine di Gaeta, nel quale il 25 marzo del 1456 coincide con la
iv indizione dichiarata su quella tavola (cfr. L. Agus, Lo studio del Cau. Una Madonna, tanti misteri, «L'Unione Sarda», a. cxxii
, n. 330, Lettere & Opinioni, Cagliari 1 dicembre
2010, p. 43; http://edicola.unionesarda.it/Articolo.aspx?Data=20101201&Categ=0&Voce=1&IdArticolo=2527479
[9] L. Agus, Alcuni appunti su Giovanni da Gaeta,
cit.
[10] A. Mai, Spicilegium romanum, cit., p. 42.
[11] In realtà la seconda apparizione della Vergine data al 2
agosto 1428. Per un equivoco del committente la data del «1 novembre trova,
invece, corrispondenza nel giorno in cui è festa nella chiesa vicentina di
Ognissanti, in borgo S. Caterina, nel cui cimitero la [veggente Vincenza]
Pasini era stata sepolta», cfr. G.
G. Cau, «Non si può errare essere
liberale inverso gli uomini grati»,cit., p. 243.
[12] G. G. Cau, "Non si può errare essere
liberale inverso gli uomini grati", (cit.), p. 254,
cit.
[13]
L'allineamento non è perfetto (è, anzi, come in questo caso decentrato a
sinistra) anche nell'ultima riga della sovrastante epigrafe sull'alzata del gradino soppedaneo della Vergine.
[14] 'ad mcccclxxii mag[ister] ioannes de caieta me
pinxit'.
[15] F. Zeri,
Perché Giovanni da Gaeta e non Giovanni
Sagitano, «Paragone», n. 129, 1960, p. 53.
[16] L. Agus, Alcuni
appunti su Giovanni da Gaeta, cit.
[17] F. Zeri, Perché Giovanni da
Gaeta e non Giovanni Sagitano, cit., p. 53.
[18] L. Agus, Alcuni appunti su Giovanni da Gaeta,
cit.
Nel citato articolo su
L'Unione Sarda, l'Agus, smentendo ancora una volta se stesso, si dice certo che
quello stemma con l'aquila sia di una famiglia «pisana, visto il calendario
usato per l'epigrafe», cfr. L. Agus,
Lo studio del Cau. Una Madonna, tanti misteri, cit. La nuova proposta, tuttavia, non potrebbe comunque essere
accolta perché quella pisana ha le zampe libere mentre questa ghermisce il
broncone mediceo, secondo una precisa iconografia riscontrabile in quelle del
Cortile delle Colonne di Palazzo Medici Riccardi a Firenze.
[19] L'ipotesi
più accreditata vuole che lo stemma, che nella forma più antica
sarebbe stato un campo d'oro seminato di bisanti vermigli (o,
meglio, tondi vermigli, essendo i bisanti per definizione smaltati
d'oro o d'argento), sia derivato, mediante inversione degli smalti,
dall'insegna dell'Arte del Cambio (di rosso, seminata di bisanti
d'oro), alla quale i Medici si erano iscritti dopo essersi stabiliti
a Firenze; cfr. F. Cardini
, Le insegne laurenziane, in Paola Ventrone (a cura di), 'Le temps revient
'l tempo si rinuova: feste e spettacoli nella Firenze di Lorenzo il Magnifico, Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 8 aprile - 30 giugno 1992', catalogo della mostra, Cinisello Balsamo 1992, pp. 58-59.
[20] G. G. Cau, «Non si può errare essere liberale inverso gli uomini
grati», cit., p. 245.
[21] Sinninio
muore nel 1466; nello stesso anno gli succede il francescano Lodovico de Santa
Croce, cfr. F. Amadu, La diocesi medioevale di Bisarcio,
Cagliari 1963, p. 131.
[22] G. G. Cau, «Non si può errare essere liberale inverso gli uomini
grati», cit., p. 245.
[23]
F. Arcelli, Il banchiere del Papa: Antonio della Casa, mercante e banchiere a Roma
(1438-1440), Rubbettino, 2001, p. 12.
[24] R. A. De Roover, Il banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), Scandicci
1988, p. 362.
[29] L. Agus, Alcuni appunti su Giovanni da Gaeta,
cit.
[30] Per una
sintesi del mutevole panorama degli stili in Italia in rapporto al
tempo e allo spazio, si rimanda allo studio di Adriano Cappelli che,
pur nella sua lacunosità, resta ancor oggi un punto di riferimento
per gli studi cronografici nella Penisola (A. Cappelli
, Cronologia, etc., cit., pp. 8-11). Per quanto riguarda lo stile adottato a Gaeta, si porta l'esempio di due atti tra i quali si colloca la cronologia della tavola in esame, entrambi stilati a Gaeta tra il 1438 e il 1526, nei quali l'anno dell'era
cristiana è espresso secondo lo stile della natività e di un terzo del 1419, redatto anche questo a Gaeta, espresso secondo lo stile dell'incarnazione fiorentina. Il primo riguarda l'atto con il quale Re Alfonso scrive a fra Giuliano de' Maiali, costituendolo
suo ambasciatore al Re di Tunisi per conchiudere con lui pace o tregua con quelle condizioni che parranno al detto Fra Giuliano del 1 dicembre 1438 (cfr. Archivio di Stato di Palermo,
Diplomatico,Tabulario del monastero di San Martino delle Scale, TSMS
0793),
http://www.archivi-sias.it/scheda_pergamene.asp?FiltraPergamene=990012669, il secondo il Testamento di Lorenzo de Scaquara di Gaeta del 23 novembre
1526, cfr. Archivio di Stato
di Palermo, Diplomatico, Pergamene di diversa provenienza (già
Pergamene varie 1-178, 243-259), Serie I, PDP 040.40 (PVa
100),
http://www.archivi-sias.it/scheda_pergamene.asp?FiltraPergamene=990015769. Nel terzo Giuliano, abbate del monastero di Fossanova dell'ordine dei Cistercensi,
affida a frate Loysio Spina, di Trapani, l'amministrazione della chiesa di S. Maria della Misericordia di Palermo datato 20 settembre 1419 Archivio di
Stato di Palermo, Diplomatico, Tabulario del monastero di Santa
Maria del Bosco di Calatamauro, TSMB 597
http://www.archivi-sias.it/scheda_pergamene.asp?FiltraPergamene=990014265. Lo stile della natività "comincia dal 25 dic.,
anticipando sul moderno, al quale corrisponde dal 1° genn. al 25
dic.", (A. Cappelli
, Cronologia, etc., cit., p. 8); lo stile dell'incarnazione fiorentina "comincia dal 25 mar., posticipando sul moderno, al quale corrisponde dal 25 mar. al 31 dic." (ivi, p. 8). Ammesso che Giovanni
abbia operato nella sua Gaeta, all'ipotesi di adozione dello stile della natività o dell'incarnazione fiorentino consegue che gli anni dichiarati in tutte le sue tavole nella normalizzazione sono perfettamente allineati allo stile moderno, perché tutte datate
tra il 25 marzo e il 25 dicembre.
[31]
Ivi, prefazione all'ediz. critica
aggiornata, s.n. tavv. 7a, 7b.
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