“Ma
ce la meritiamo la Venere di Morgantina?”, così comincia l’ottavo
paragrafo dell’avvincente libro di Gian Antonio Stella e Sergio
Rizzo sull’incapacità tutta italiana di valorizzare le proprie
bellezze. Nel caso in questione, i due giornalisti danno una
strigliata alla Regione Sicilia che non saprebbe dove collocare la
statua e infieriscono ricordando come e quanto fosse ammirata al Paul
Getty Museum di Malibù che la restituisce davvero a malincuore. “C’è
il rischio che la dea si svegli come nel film Il
bacio di Venere con Ava Gardner e che
soavemente dica, Scusate ma con tutti questi casini, perché non
avete lasciato che mi adorassero a Malibù ?”, scrivono a
conclusione.
La statua è databile alla fine del V o all’inizio del IV secolo a. C. e per alcuni studiosi fu scolpita da un
allievo di Fidia, due metri e venti centimetri di marmo policromo, in
origine Demetra o Persefone e, solo erroneamente, chiamata Venere.
In effetti l’epopea di questa scultura greca è davvero da film. L’opera, esportata illegalmente, nel 1977 era
finita al Getty diventando oggetto di un’inchiesta che ha fatto
emergere “una guerra mafiosa intorno al traffico di reperti” con
annesso “l’assassinio di qualche archeologo clandestino”. Poi
l’avvio della procedura di restituzione, le manifestazioni di
popolo, le polemiche per il suo sezionamento in tre pezzi ai fini del
trasporto e, ora, finalmente, l’arrivo e la collocazione.
Per
la sistemazione della dea era stata proposta la quattrocentesca
chiesa sconsacrata di San Domenico ad Aidone, in provincia di Enna, a
pochi chilometri da Piazza Armerina e a pochissimi da Morgantina,
“come se Demetra, la dea dell’agricoltura, delle messi e del vino
fosse una Madonna precristiana”, un’esposizione che avrebbe unito
“culti pagani e cristiani in un sincretismo di religioni degno di
una terra meravigliosamente meticciata come la Sicilia” scrive, nel
suo libro sui musei siciliani, Alessandra Mottola Molfino, museologa
e presidente nazionale di Italia Nostra. Il guaio è che i
finanziamenti ricavati dal Lotto per i lavori d’accoglienza sono
arrivati a Palermo solo tre mesi fa e non si è fatto in tempo ad
arrivare preparati all’appuntamento. Il problema, dunque, è ben
più a monte dei Monti Erei. Anche solo pochi flash bastano a rendere
l’immane disastro piombato su quello che un tempo veniva chiamato
il Bel Paese: le due gallerie della Tate Britain di Londra hanno
fatturato nell’ultimo anno fiscale circa 80 milioni di euro,
ovvero, quanto i biglietti di tutti i musei e i siti archeologici
statali italiani messi insieme; il business delle opere d’arte
trafugate è il terzo mondiale (dopo armi e droga) ma nessuno in
Italia finisce in carcere per avere contraffatto o sottratto beni
artistici e archeologici; nonostante le dichiarazioni di altri
intenti, dal 2001 al 2011, i finanziamenti pubblici alla cultura sono
stati quasi dimezzati (da 2.386 a 1.429 milioni di euro). Se è vero
che spesso la cura è nascosta dentro alla malattia, questi dati
potrebbero e dovrebbero essere trasformati in altrettanti antidoti,
tre miracolose terapie d’urto a contrastare tanto spreco: personale
più competente, regole più ferree, più valore al valore (della
cultura, dei beni, dei musei, dei piccoli centri e dei grandi
paesaggi della bellissima Italia). Morgantina, allora, meriterebbe la
sua dea, come le manifestazioni di popolo e la sentenza definitiva di
affidamento hanno già dimostrato.
La
statua, di nuovo intera, dovrebbe trovare il suo posto nel mondo ed
essere esposta a maggio, dando più tempo alla Regione per scampare
il rischio che le strutture espositive, organizzative e di gestione,
svalorizzino o mortifichino la sua bellezza, certamente, destinata
all’eternità. E se davvero è Demetra (e non Venere) e si
svegliasse, come nel film di Ava Gardner, siamo certi che vorrebbe
ritrovarsi a casa, là dove è nata, sul letto di grano che si è
coltivata nella sua campagna sicula.
IL LIBRO
GIAN ANTONIO STELLA, SERGIO RIZZO, Vandali: l'assalto alle bellezze d'Italia, Milano, Rizzoli, 2011,
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