Per
qualche mese Catania ospita Carla Accardi in uno dei suoi palazzi più belli,
Palazzo Valle sede della Fondazione Puglisi Cosentino. L’artista trapanese che
ha scritto una delle più importanti pagine del libro di storia dell’arte del
Novecento torna in Sicilia con una grande mostra che svela ai catanesi (e non
solo) la rivoluzione dell’arte astratta. Unica donna in quel mondo di uomini
che osa opporsi all’arte figurativa e agli schemi precostituiti sradicando da
sé «i pregiudizi e quel senso di falsa maternità e modestia per cui tutte le pittrici
hanno la loro discendenza segnata da Rosalba Carriera». A chi ancora oggi si
domanda come decifrare i segni, le forme, i colori dell’arte astratta,
certamente meno decifrabile ma per lo stesso motivo più sconvolgentemente
libera, si potrebbe rispondere con le parole dell’artista: «i segni si scambiano
questa loro solitaria esistenza ma l’insieme che compongono intrecciandosi
rappresenta la vita», «l’impulso vitale che è nel mondo». Carla Accardi non è
la sola donna, però, a portare avanti questa battaglia che negli anni del dopoguerra
in Italia si faceva a colpi di penna, pennello e persino pugni negli ambienti
romani. «L’umanità ha vissuto le grandi ideologie e si credeva di cambiare il
mondo col marxismo, con la psicanalisi e anche con l’astrattismo» scriveva all’altra
Carla, amica e crtica d’arte, Carla Lonzi .
A Guttuso, a Trombadori e a Togliatti, comunque, quegli “scarabocchi” non
piacevano, dimenticando che la spinta all’arte astratta era venuta proprio
dalla patria del comunismo, la Russia.
Ci
voleva un’altra donna a compiere il miracolo in Italia, Palma Bucarelli,
direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, intenzionata a mettersi
contro il ministero, i politici, gli artisti figurativi e a suscitare «l’ira
dei vecchi critici parrucconi, arroccati nel loro conservatorismo».
A
chi le chiedeva se avrebbe desiderato essere qualcun altro, rispondeva «Sì,
quando domandano se credo davvero all’arte astratta, e capita spesso, vorrei
essere qualcun altro per poterlo prendere a calci»; «con questi giovani si
viene affermando la validità poetica e la vitalità di un’arte tutta spirito e
intelligenza, degna dei più vecchi e già illustri maestri».
In
quegli anni in America, Helen Frankenthaler, muoveva passi così lontani ma così
vicini a quelli di Carla Accardi. Anche lei, unica donna in un gruppo di artisti
uomini, aderisce a un movimento (l’Espressionismo astratto americano per lei,
Forma 1 per l’Accardi) per poi emanciparsene; anche lei moglie di un pittore,
Robert Motherwell, come Carla di Antonio Sanfilippo, per poi divorziare; anche
lei col tributo di un grande critico, Clement Greenberg (che fece per la
Frankenthaler quello che Michel Tapié fece per l’Accardi), raggiunse la
consacrazione internazionale; anche lei sperimenta la pittura di tele su
pavimento, interessandosi «alla linea fluida, calligrafica, e alla linea non in
quanto linea ma in quanto forma», cercando un ordine tutto femminile in quel
caos di colori che Jackson Pollock, comune ispiratore per entrambe le artiste,
aveva consacrato attraverso il suo «dripping».
L’America
così nuova e libera, così contemporanea, con cui intessono proficui scambi Laetitia
Pecci Blunt (fondatrice della galleria La Cometa) e Palma Bucarelli a Roma,
Peggy Guggenheim a Venezia, Irene Brin (con la sua rubrica sulla rivista
Omnibus di Leo Longanesi, poi corrispondente italiana e in seguito direttrice
della nota rivista di Diana Vreeland, Harper’s Bazar). L’America. E New York,
città natale di alcuni dei musei d’arte moderna più famosi al mondo, quasi
tutti istituiti grazie a donne temerarie. Il P.S.1 Contemporary Art Center
pensato nel 1972 da Alanna Heiss per rendere vivo il dialogo con i nuovi
linguaggi dell’arte contemporanea, il Guggenheim Museum nato nel 1939 grazie al
sogno di Hilla Von Rebay di creare un tempio per l’arte non-oggettiva, il
Whitney Museum of American Art fondato nel 1931 dalla mecenate Gertrude
Vanderbilt Whitney. E, infine, il primo e famoso MoMA, fondato nel 1929, anno
della più grande depressione economica che la storia ricordi, nove giorni dopo
il crollo di Wall Street, da tre donne ricche e pioniere dell’arte come Lillie
Plummer Bliss, Abby Aldrich Rockefeller e Mary Quinn Sullivan (che era stata amica
e compagna di un viaggio in Italia di Katherine Dreier, prima donna fondatrice
insieme a Marcel Duchamp, nel 1920, della sperimentale Société Anonyme Inc.
Museum of Modern Art).
Qualche
foto dentro al mare di internet riporta a galla i loro volti fieri e
appassionati. Così, in tempi di crisi culturale ed economica e di
manifestazioni di piazza sulla dignità rubata alle donne ,
ci ricordiamo delle pioniere.
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