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GLI IRRIPETIBILI ANNI ’60.
Un dialogo tra Roma e Milano
 
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 7 Giugno 2011, n. 609
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Area Mostre

I favolosi anni ’60 sono il tema della mostra, che si è aperta lo scorso 10 maggio al Museo del Corso-Palazzo Cipolla, per celebrare l’aspetto artistico di un’epoca leggendaria che tanti hanno vissuto, molti hanno sfiorato e numerosi, speriamo, conosceranno attraverso questa “immaginaria” esposizione fortemente voluta dal Presidente della Fondazione Roma, Emmanuele F. M. Emanuele, primo tra coloro che hanno respirato, amato e vissuto l’aurea magnifica di quell’epoca eccezionale.  Gillo Dorfles, protagonista del tempo, li definisce irripetibili: la carica aggregativa del periodo, infatti, ha avuto una tale capacità esortativa che, a suo parere, in seguito,  al confronto, non ci sono stati momenti capaci di stimolare in maniera altrettanto intensa. Certamente ci sono state esperienze importanti che hanno lasciato il segno, si pensi per esempio allo spazialismo, ma nulla di così totale, coinvolgente, e vitale come la sorprendente koinè culturale raccontata in questa rassegna.

Siamo alla fine degli anni '50, nella mente degli italiani sono ancora impressi i ricordi legati alle vicende belliche, l'economia del paese sta subendo un'impennata e la cultura artistica vive un momento di svolta e di forte creatività. Il momento è magico, gli artisti sperimentano nuove tecniche si supera l’informale, legato alla storia passata, per una nuova arte monocroma e concettuale. Milano e le sue gallerie (la Galleria Studio di Giorgio Marconi, la Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo, la Galleria dell’Ariete [1] di Beatrice Monti, e la poco nota Galleria Blu di Peppino Palazzoli, la Galleria Apollinaire [2] di Guido Le Noci) sono particolarmente vitali, quasi tutti i maestri del tempo hanno avuto contatti con almeno uno dei sopracitati luoghi, e anche gli artisti stranieri arrivano in città per esporre i propri lavori [3] . Ma Roma non è da meno, Mario Schifano, Jannis Kounellis, Tano Festa, Franco Angeli ed altri si ritrovano attorno alle storiche Gallerie d’arte romane come l’Attico, L’Obelisco, la Tartaruga e la Salita.

Si racconta una stagione particolarmente felice ed unica, in cui la sperimentazione artistica, nelle due città laboratorio, era un fatto diffuso e di vasta portata, gli artisti si incontravano e si scambiavano esperienze e posizioni, ovunque si respirava una ventata di libertà creativa. L’illuminante euforia artistica e la conseguente esplosione culturale generale è raccontata, anche in modo efficace, nell’esposizione curata da Luca Massimo Barbero.

Oltre 170 opere, divise in 4 sezioni, ognuna delle quali, con le debite accortezze, potrebbe diventare una mostra a se stante, ricostruiscono gli indirizzi assunti dalla ricerca artistica nel corso del decennio. In scena le personalità che hanno animato le due città laboratorio, in bilico tra l’eredità più dissacrante delle avanguardie e l’anticipazione delle ricerche concettuali, passando dalla provocazione della “tabula rasa” del monocromo al virtuosismo optical e cinetico, fino alla pop art.

L’itinerario comincia con la sezione Monocromia e Astrazione: è di scena l’operazione cosiddetta di “azzeramento espressivo” nel monocromo; le opere esposte ci guidano verso la comprensione del perché ad un certo punto si sia sentita la necessità di superare il caos cromatico dell’informale a favore di una monocromia, ancora astratta, ma portavoce di calma e armonia. Il processo di riduzione espressiva, avviato alla fine degli anni Cinquanta, riflette, evidentemente, il momento storico, si va oltre l’esperienza delle avanguardie e dell’informale, legata alla vicenda tragica della guerra, per un nuovo inizio caratterizzato da una libera e gioiosa creatività. La superficie monocroma, spesso chiara, è un campo nuovo, attraverso il quale si avvia il recupero del concetto di arte. Dal  soffitto, grava, come una costellazione, il Concetto Spaziale di Lucio Fontana che dialoga con l’armonia tonale della splendida tela grinzata di Piero Manzoni (Achromes, 1958/59, fig. 1).

Franz Kline (Sabro, 1956, fig. 2) stravolge l’atmosfera pacata con una violenza nuova, in linea con il gesto sotteso di una plastica di Alberto Burri (Combustione, 1964). Alexander Calder con un semplice filo di ferro è capace di  restituirci i tratti di Giovanni Carandente [4] (Ritratto, 1967, fig. 3), una struttura sospesa che si lega all’ambiente in una fusione di espansione immaginifica e rigore strutturante. E Osvaldo Licini con la sua grande amica n. 2 (1948/50) ci propone il suo mondo fiabesco, un ponte tra l’astrazione e la figurazione.

L’esposizione prosegue con Oggetti e immagini Pop: è proposta una serie di sculture piccole, tipologie espressive poco note, che testimoniano le indagini condotte dagli artisti sugli oggetti, in taluni casi, secondo un moderno concetto di riciclo: il piccolo Horse di carta di Calder (1967), o la Spugna blu di Kline [5] . Tra i manufatti esposti ci piace segnalare il confronto approntato tra i due Specchi di Enrico Baj (1959) e di Marcel Duchamp (1964, fig. 4).

Segue la “sala rossa” dove sfilano i gesti clamorosi, le sperimentazioni oggettuali del gruppo del Nouveau Réalisme [6] , che, nel 1970, è anche protagonista di interventi nel contesto urbano della città lombarda. Un bellissimo smalto su tela, allestito ad arte sopra un’immagine che vede Villeglé e Rotella mentre, per le strade parigine, strappano manifesti per farne opere d’arte [7] ,  ritrae I Vip (1962). È interessante notare come i due maestri, vestiti in giacca e cravatta con scarpe lucide, non hanno nulla a che vedere con la figura dell’artista bohémien che i più immaginano. Si notino anche i decollage di Villeglé Rue Saint Yves (1964, fig. 5) e Il punto e mezzo di Rotella, le accumulazioni di Arman e le compressioni di rottami di César.

Gli artisti romani sono, invece, impegnati nella rivisitazione, o meglio demistificazione, di materiali e icone della società: immagini decontestualizzate e riprodotte come dettaglio e frammento, presentano al pubblico la dissacrazione concettuale, perpetrata da taluni maestri, della società dei consumi che all’inizio degli anni Sessanta si avviava ad essere protagonista e universo.

In un ambiente giallo è in scena lo scintillante ciclo di Mario Schifano Tuttestelle (1967, fig. 6): cieli stellati, paesaggio desertico, oasi artificiale e palme dai colori squillanti, sono la sofisticata risposta,  altrettanto innaturale, dell’artista all’urbanizzazione progressiva, tipica del periodo [8] .

La terza sezione punta l’attenzione su “l’internazionalità e la nuova scultura”: i grandi maestri dadaisti vivono e respirano il clima culturale milanese, Duchamp e Man Ray espongono nelle gallerie della città lombarda e, necessariamente, contribuiscono alla ricerca artistica. Una nuova tipologia di scultura diventa protagonista oggettiva: l’installazione di barili colorati di Christo, 28 barrels structure (1968, fig. 7), sullo sfondo grigio riproducente il Duomo milanese,  ne è un esempio emblematico. Affianco, in vetrina, la Venus restaurée di Man Ray (1936/71, fig. 8) di gesso e corda. Sulla parete alcune foto ritraggono Mirò con un filo, è la sua firma, e forse ispireranno Fontana quando sperimenterà l’uso del neon.

Lo sviluppo scientifico e tecnologico cammina di pari passo con la ricerca artistica, e i maestri si fanno promotori di proposte oggettuali interattive, capaci di coinvolgere lo spettatore: è il caso della Macchina inutile di Bruno Munari (1951), il teorizzatore del “vietato non toccare”, o il quadro di Giovanni Anceschi, Tavola di possibilità liquide.

La quarta e ultima parte della mostra si concentra sulle potenzialità dei “Materiali, segni e figure”; esiste un filone di sperimentazioni e ricerche che si è concentrato sulle relazioni tra parole, segni ed immagini, un cenacolo di artisti, cioè, ha voluto mettere in discussione alcune basi della comunicazione visiva, introducendo materiali ed elementi eterodossi. È il caso, per esempio, dei collage, Generale (1961, fig. 9) e Dame, su stoffa di Baj, o dell’Italia in pelliccia di Luciano Fabbro (1969, fig. 10), ma seguendo un altro indirizzo citiamo l’immagine verbo-visuale della Volkswagen di Emilio Isgrò (1964, fig. 11), e come non segnalare la modernissima, che è anche l’emblema della mostra, figurazione de La camera afona di Emilio Tadini 81969, fig. 112) ?

L’esposizione si conclude con un “salottino cinematografico”, dove su un triplice schermo scorrono filmati optical-cinetici che inducono lo spettatore ad assaporare il clima effervescente del periodo.

 

 

 


 

Il catalogo

A cura di Luca Massimo Barbero ed edito da Skira, il catalogo si presenta con una divertente veste editoriale, riproduce, cioè, particolari de La camera afona di Tadini. In brossura con alette e tipograficamente pregevole, esibisce un’attenzione apprezzabile. Il volume più che un catalogo è una storia sulla recente koiné culturale che ha visto protagoniste le due città italiane di Milano e Roma. Un ricco e vario apparato fotografico, fatto di foto in bianco e nero e a colori, di piccole dimensioni e a tutta pagina, completano l’opera arricchendola.

Consta di ben 8 saggi storico-artistico-culturali, sbilanciati verso la città lombarda, che danno un quadro assolutamente completo di ciò che accadeva nei favolosi anni Sessanta nelle due città laboratorio. Autori eccellenti degli scritti sono, in ordine di apparizione: Vanni Codelupi, Luca M. Barbero, Walter Guadagnini, Giorgina Bertolino, Francesca Pola e Natalia Aspesi.

Un’antologia critica, o meglio scritti di artisti, critici e intellettuali del tempo, mutuati da giornali, riviste e cataloghi di mostre, approfondiscono l’argomento e calano il lettore nella frizzante temperie culturale di quegli anni.

A chiusura, due testimonianze inedite di due protagonisti dell’epoca: Gillo Dorfles per Milano e Emanuele Stolfi per Roma.

 

 

 

DOVE
Museo Fondazione Roma – Palazzo Cipolla


QUANDO
Quando: 10 maggio – 31  luglio 2011

 

 



NOTE

[1] Dove approda ed espone Robert Rauschenberg. Già nel 1961, comunque prima della Biennale del 1964.

[2] Dove nel 1957 sbarca per una mostra Yves Klein, padre del Nouveau Réalisme. È l’alba della stagione straordinaria in scena prima a Roma e poi a Milano.

[3] Rauschenberg (cfr. n.1), Man Ray, Jasper Johns e altri espongono nelle gallerie milanesi.

[4] Critico italiano ideatore del concorso “Scultura in Città” (1962) e  cofondatore del “Festival dei due Mondi” (1967).

[5] Acquistata da Fontana.

[6] Costituitosi a Milano nel 1960 attorno alla Galleria Apollinaire, tra i protagonisti citiamo Mimmo Rotella, Arman, Cèsar, Raymond Hains, Jacques Villeglé e Christo.

[7] È il rito della lacerazione che dagli anni Cinquanta si impadronisce della città lombarda.

[8] L’artista è nato a Holms (Libia), l’antica Leptis Magna, che nell’immaginario del pittore diventa l’archetipo di uno spazio alternativo rispetto alla condizione di urbanizzazione crescente.








Achrome

Fig. 1
P. MANZONI, Achrome, 1958-1959
Fondazione Piero Manzoni, Milano

Sabro

Fig. 2
F. KLINE, Sabro, 1956
Museu C. Berardo, Lisbona

Ritratto di Giovanni Carandente

Fig. 3
A. CALDER, Ritratto di Giovanni Carandente, 1967
Museo Carandente, Spoleto

Specchio

Fig. 4
M. DUCHAMP, Specchio, 1964
Coll. Privata, Milano

Rue St. Yves

Fig. 5
J. Villeglé, Rue St. Yves, 1964
Agnelli Arte Moderna, Brescia

Tuttestelle

Fig. 6
M. SCHIFANO, Tuttestelle, 1967
Fondazione Marconi, Milano

Barrels structure

Fig. 7
CHRISTO, Barrels structure, 1968
Fondazione Marconi, Milano

Venus restaurée

Fig. 8
M. RAY, Venus restaurée
Fondazione Marconi, Milano

Generale

Fig. 9
E. BAJ, Generale, 1961
Fondazione Marconi, Milano

Italia in pelliccia

Fig. 10
L. FABRO, Italia in pelliccia, 1969
Coll. Privata, Milano

Volkswagen

Fig. 11
E. ISGRO', Volkswagen, 1964
Archivio Emilio Isgrò

La camera afona

Fig. 12
E. TADINI, La camera afona, 1969
Fondazione Marconi, Milano



Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

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