bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Padiglione Italia alla Biennale: Il Deposito dell'Arte  
Cristina De Santis
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 20 Giugno 2011, n. 612
http://www.bta.it/txt/a0/06/bta00612.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Artisti

Un grande magazzino durante la stagione delle svendite, un luna park mal congeniato. Un’atmosfera caotica da ultimo girone infernale.

La carneficina dell’arte italiana si compie a Venezia, messa in croce assieme al simulacro dello stivale sanguinante, opera di Gaetano Pesce, che svetta icastico al centro del padiglione assunto - forse non è un caso - a simbolo della mostra.

Ma facciamo un passo indietro, ricostruendo quella che è stata la giornata inaugurale della mostra, impegnandoci a schivare posizioni preconcette.

L’arrivo in Biennale nel giorno della sua inaugurazione, svoltasi il 3 giugno, fa da subito temere il peggio per quanto riguarda l’affluenza.

Le ansie claustrofobiche vengono confermate però, non tanto dal prevedibile assembramento che accalca l’ingresso del padiglione quanto, piuttosto, dal fatto che nel padiglione in questione quella stessa presenza umana, si ha come l’impressione che non sia stata prevista.

Gli spazi (o spiragli) che occasionalmente si vengono a creare, rendono difficile per il pubblico la capacità di spostamento, condizionando pesantemente ogni occasione di contemplazione.

Una situazione di assoluto disagio per lo spettatore costretto a schivare ostacoli, alla ricerca di prospettive da cui (e verso cui) guardare.

Sarà forse capitato a chi legge di vedere a volte qualche tela del Panini, raffiguranti le quadrerie settecentesche nelle quali le singole opere, che tappezzano interamente le superfici scompaiono, perdendo la loro individualità, a favore di una visione globale della scena. Splendide immagini d’altri tempi!

Quando però a proporre anacronisticamente il più empirico dei criteri museografici è il responsabile del Padiglione Italia dell’ultima Biennale, una simile scelta rischia di essere classificata come mancanza di sensibilità nei confronti del pubblico, condizionando la fruibilità delle opere. Inoltre, questi criteri espositivi dimostrano, a nostro avviso, uno scarso rispetto nei confronti degli stessi artisti, le cui opere in mostra, alle prese con una sgomitante lotta, addossate le une sulle altre, si contendono, l’attenzione dei visitatori. Tutto ciò presenta di fatto un problema di impostazione del progetto espositivo basato su un’offerta eccessiva e non commisurata con le finalità della mostra e le reali possibilità espositive.

Il curatore, in preda ad ansie da horror vacui, infila - o infilza - le opere, ancorandole a griglie metalliche più appropriate per lo stockaggio di merce da magazzino che per l’esposizione di lavori ritenuti opere d’arte.

Con ansia egli stipa, affastella, tappa ogni spiraglio minacci di trasformarsi in imprevisto e fortuito punto di fuga e di respiro per lo sguardo affannato.

Fin qui dunque si è detto del fallimentare tentativo espositivo, negazione di ogni moderno criterio di allestimento museale.

 

La riflessione a questo punto si sposta sulla figura di Sgarbi in veste di curatore. Beninteso, il giudizio è da riferirsi esclusivamente al ruolo da lui ricoperto che, a nostro avviso, da un certo punto della vicenda organizzativa in poi ha subito numerosi affondi che ne hanno minato, se non del tutto compromesso, il senso e la ragion d’essere.

Per carità, qui ciascuno è libero di pensarla come meglio crede.

Chi scrive in questo caso si limita a fare una considerazione: se è vero – e data l’autorevolezza della fonte non abbiamo motivo di credere il contrario - che la figura del curatore è quella che, come dichiarato dal Presidente della Biennale Paolo Baratta sul mensile “Insideart”, richiede determinate capacità professionali [«..il curatore deve avere occhio esperto, spirito indipendente, generosità verso gli artisti, severa capacità di selezione, grande fedeltà a quella misteriosa dea che è la qualità» ] allora evidentemente qualcosa non torna.

Ci riferiamo in particolare alla pratica messa in atto da Sgarbi di delegare a terzi la responsabilità di selezionare  un così alto numero di artisti. Cosi facendo egli ha, di fatto, dimostrato di abdicare al suo ruolo, alla funzione primaria del curatore: il momento della scelta. Tutto ciò in funzione di un complesso obiettivo: l’arbitraggio di una conciliazione tra sistema dell’arte e il mondo di una cultura, diciamo cosi, onnicomprensiva.

Com’è noto, rari sono i casi di convergenza tra le opposte categorie della quantità e della qualità; in virtù di questo e sulla base delle considerazioni svolte fin qui, in base a cosa dovremmo dunque ritenere che sia stato fatto un lavoro organico nella selezione degli artisti da esporre?

Tale scelta infatti è stata affidata alla discrezione delle più disparate personalità, illustri e senza dubbio competenti nel proprio settore, sprovviste però di quella pratica e di una visione unitaria necessarie al conseguimento dell’obiettivo curatoriale. Nomi di artisti avanzati dunque sulla base, quando va bene, del proprio personale gusto o, altrimenti, per via di amicizie o parentele.

Riteniamo perciò che una tale strategia, anche se mossa dal più nobile proposito di un allargamento delle frontiere al di là dei confini di settore, non si sia rivelata vincente, specie se riferita a quel palcoscenico di rilevanza internazionale che è la Biennale veneziana, poco adatta a sperimentazioni spurie, svolte cioè in assenza di controllo e pianificazione accurata e soprattutto centralizzata.

Al contrario sarebbe come chiedere, per assurdo, a critici e storici dell’arte di entrare nel merito della selezione degli artisti da far cantare a Sanremo. Si otterrebbe certamente un analogo risultato,  sconnesso e disorganico.

 

Il rischio più serio che tutto ciò minaccia di generare è un diffuso senso di confusione nel pubblico il quale, privo di adeguati mezzi critici, trova accostati artisti di riconosciuto valore ed illustri sconosciuti.

Siamo d’accordo invece con il curatore Sgarbi nell’idea che il giudizio estetico non vada in nessun modo orientato per mano di una ristretta oligarchia culturale, favorendo la via dello sviluppo di una coscienza critica autonoma.

Invitiamo in questo senso il pubblico interessato all’arte a prendere visione di questa 54° edizione della Biennale esprimendo il proprio parere e, con questo, stabilendo il successo o il biasimo dell’evento.

 
















 

Risali



BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it