"La meraviglia è scaturigine del sommo piacere intellettuale, in
quanto sempre congiunta con sapere ciò che prima era ignoto" è con questa frase
che voglio iniziare a parlare di un edificio conservatosi nella storia ed ai
miei occhi di straordinaria bellezza.
Il Triangolo
Barberini è una struttura architettonica, che nonostante il suo splendore e la
sua rilevanza, ha avuto uno studio limitato nel corso degli anni per la scarsità
di documenti, i quali, sono andati in parte dispersi durante i bombardamenti
della seconda Guerra Mondiale. Tutta via la critica è stata concorde nell’assegnare
la realizzazione dell’opera a Francesco Romano Contini, la cui figura emerge da
molti documenti riguardanti la famiglia Barberini, come Architetto di “Case”. Il Casino di Caccia è l’opera più
interessante di tale architetto. In esso riscontriamo una ricerca combinatoria
e simbolica, insieme all’acquisizione di un metodo geometrico compositivo che
acquisì sicuramente durante il rilievo di Villa Adriana a Tivoli. L’edificio si
snoda in una combinazione meticolosa di triangoli leggibile fin nei minimi
particolari e che si può considerare perno di un ampio disegno urbanistico che
interessò l’intero lotto.
La documentazione presa in esame assegna l’inizio dei lavori nell’anno 1642.
Ciò si riscontra nei documenti forniti da Peppino Tomassi
che si è fatto carico di farci avere nozione di atti relativi a pagamenti
effettuati a tale Giò Maria Pietro Paoli, Aquilano, Cavatirra, ritrovati nel
“Libro Maestro del Principe D. Taddeo Barberini” per alcuni scavi che furono
realizzati nella zona dove è ubicato il triangolo proprio nell’anno 1642.
Ciò ha
costituito, nell’avanzare degli anni, una sorta di topos condizionante per tutti i pareri successivi, concernenti
l’anno d’inizio dei lavori nel cantiere in riferimento a questo periodo.
Azzaro, Bevilacqua, Coccioli, Roca De Amicis,
hanno posto gli inizi dei lavori al 1642, reputando giusta l’ipotesi avanzata da
Tomassi. Sono emerse, però, altre tesi che possono essere indicative e sono
quelle di Petrini, Rendina, ma anche dallo stesso Tomassi, che in un certo
senso contraddicendosi, ha espresso una nuova congettura. Il Feudo di
Palestrina, fu acquistato per volere di Papa Urbano VIII da Francesco Colonna
nel 1630 e donato al fratello Don Carlo e inoltre fu ereditato alla sua morte
dal figlio Taddeo, che ne detenne il principato. Se i lavori fossero stati
realmente intrapresi nel 1642 significherebbe che, alla morte di Taddeo (1647),
questi non erano ancora stati terminati e che quindi andarono avanti per volere
di Maffeo, figlio di quest’ultimo.
Peppino
Tomassi ci parla, però, di uno stemma, ancora in loco e visibile sul portale d’ingresso della vigna. Tale stemma
riporta la torre della famiglia Giustiniani e le api di quella Barberini. Ciò
ha fatto credere che il Casino possa esser sorto in concomitanza con la
cerimonia nuziale del Principe Maffeo e Olimpia Giustiniani celebratasi, come
noto, nel 1653 e che doveva avere probabilmente la funzione di dote
matrimoniale. A sostegno di questa tesi si è unito in maniera simile il Rendina
il quale dichiara, mutando però la motivazione, che la costruzione fu fatta
edificare da Maffeo a metà Seicento, come omaggio alla moglie per ricordarle
l’emblema di famiglia. Il Petrini viceversa, occupandosi degli eventi accaduti
nella città di Palestrina nel Seicento, annovera l’edificio tra le sue “Memorie
Prenestine”.
nell’Anno di Cristo 1677. Se guardiamo, piuttosto alle piante del Catasto
Alessandrino, vediamo che il “Triangolo”, se pur in maniera abbozzata, è
inserito in quella del 1660. A conclusione di ciò è lecito affermare che il
dibattito riguardante la datazione di questa meravigliosa opera resta comunque
aperto in attesa di nuovi suggerimenti.
La
forma inconsueta della pianta, invece, ha stimolato grandi interessi. Francesco
Contini ha potuto far derivare la sua opera da costruzioni precedenti e/o
progetti che ebbe modo di vedere in quegli anni: il Casino è stato messo a paragone
con un progetto per un edificio classico del Peruzzi pubblicato dal Portoghesi,
una qualche influenza può averla fatta derivare dalla Chiesa della S.S. Trinità
a Torino di Ascanio Vittozzi. Quella che
resta però, la teoria più gradita, ed è anche quella a cui tutta la critica ha
aderito, è sicuramente la derivazione della forma dal simbolo araldico dell’ape
Barberini, cosa che a quel tempo era già visibile nella Chiesa di S. Ivo alla
Sapienza di Francesco Borromini.
Il
complesso monumentale in questione si trova nella vigna Barberini, nella piana
sottostante la cittadina di Palestrina. E’ contenuto in un’area che ha una
forma rettangolare con lati di 242 x 206 m. e annovera tre fabbricati che sono
disposti lungo l’asse maggiore del rettangolo:
·
il portale d’ingresso
a m. 95 dalla via dell’Olmata;
·
il Triangolo, piccolo
edificio posto al punto d’incontro degli assi del rettangolo, costruito su pianta triangolare per altezza di tre piani
sopra i quali vi è un ambiente a pianta esagonale;
·
i casali, un insieme
di tre edifici: il centrale adibito ad ambientazione e i due laterali destinati
uno alla Cappella dedicata a San Filippo Neri e l’altro a magazzino, collegati
da muri disposti simmetricamente.
Tutta
l’area rettangolare intorno all’edificio presenta alberi da frutta ordinati a
esagoni concentrici con vertici sui sei viali che convergono al Triangolo, e sono
presenti due gruppi di piante disposte agli estremi del lato nord-ovest e un
ampio viale alberato, che completano lo studio della simmetria.
Il triangolo si alza su tre livelli oltre al piano interrato e ha per ciascuno
dei piani (piano terra, mezzano e primo piano) un vasto ambiente esagonale al
centro e piccoli ambienti triangolari in corrispondenza di due vertici
dell’edificio.
Lo
spazio corrispettivo al terzo vertice è usato per lo sviluppo della scala a
pianta triangolare, che tra il primo piano e l’altana diventa a chiocciola. «Tutto il complesso sembra voler illudere
l’osservatore, il quale, a seconda del punto da cui lo ammira, ne percepisce
un’impressione differente: una residenza agricola; un complesso a scopo
difensivo derivato dall’architettura militare; un casino di caccia; una villa
dove passare una giornata di svago…».
Al pian
terreno nell’ambiente centrale di forma esagonale vi è una pavimentazione
rustica a mosaico formata dall’accostamento di ciottoli di colore nero, bianco
e arancione, e in origine vi erano collocati sei panchetti di peperino a
formarne l’arredo.
Il vano
centrale è coperto da una volta a botte con cornice d’imposta sui tre lati e
con tre lunette triangolari sulle tre porte d’ingresso poste sui tre lati
dell’esagono.
Il
pavimento dei due lati degli ambienti triangolari è di cotto ed è disposto a
spina di pesce. Il piano seminterrato è illuminato da due aperture poste sotto
i vani finestra del pian terreno, e ospita i locali adibiti a servizi (è
possibile vedere un forno a sud con piano cottura e cappa semicircolare). Il
piano di mezzo è alto 2,90 m
nell’ambiente centrale e 3.10
m nei due vani triangolari; l’esagono, pavimentato in
cotto a spina di pesce, presenta sui tre lati due caminetti e le porte
d’accesso agli ambienti triangolari.
Al
piano nobile dell’edificio il pavimento resta un esagono in ceramica smaltata,
posto eccentricamente verso sud-ovest e formato da prismi che sono composti di
mattonelle di color nero e bianco, mentre una fila di mattonelle smaltate di
color arancio termina la composizione. La copertura ripete lo schema del piano
terreno, tuttavia le volte dell’ambiente centrale, con cornici di stucco,
presentano una considerevole decorazione a foglie d’acanto di cui restano solo
alcune tracce.
Il
piano dell’attico o altana è un ambiente esagonale interamente affrescato: vediamo
vedute esterne e sulla volta ci sono tracce di un disegno di un pergolato che
presenta due grandi aperture poste al centro dei lati lunghi dell’esagono,
mentre nel terzo lato si sviluppa la scala a chiocciola che sale alla terrazza.
Quest’ultima presenta un muro parapetto con caratteristici fori ovali e due “cariatidi-gendarme”
che difendono l’edificio .
La
decorazione interna è stata quasi del tutto distrutta: restano tracce di
stucchi con motivi floreali nella parte del piano nobile e parte degli
affreschi, che raffigurano un pergolato, sulle pareti e sull’altana. La facciata
è semplice, rispecchia la linearità delle ville extraurbane a carattere
agricolo - residenziale del periodo, costituite da volumi a due o tre piani
sormontati dalla torretta belvedere.
Il
Principe Antonio Barberini commissionò un restauro del complesso nel 1965, con
un ripristino che riguardò però solo e unicamente le coperture .
Lo
stato attuale della conservazione è sconfortante, perché il Casino è stato
soggetto a numerose sottrazioni e spogliato dalla maggior parte dei sedili e
dei camini che ne costituivano l’arredo, per non citare i gravi danni agli
affreschi delle pareti. L’opera tuttavia è di notevole rilievo e potrebbe
essere recuperata e restituita al suo stato originale, siccome la struttura ha
salvaguardato la sua interezza originale.
Lo
scopo del mio scritto è stato quello di cercare di capire da dove possa esser
derivata la planimetria del Casino basata sull’intreccio di due triangoli
equilateri che generano all’interno la figura di un esagono irregolare,
costituito da un’alternanza di lati lunghi che vengono ad alternarsi con quelli
più corti. Avendo cercato di approfondire uno studio che si riferisce alle
strutture che possiedono un impianto triangolare, mi sono balzati agli occhi
edifici appartenenti alla tipologia delle architetture militari e ho notato che
molte di queste opere presentano una conformazione analoga a quella in
questione.
L’Architettura
militare è una categoria di tipo manualistico che, come le altre (religiosa,
civile), intende distinguere nell’ambito della produzione edilizia particolari
tipologie e sistemi costruttivi a proposito di specifiche esigenze. Si tratta
di tutto un complesso d’interventi intesi a fornire organismi a carattere di
difesa e la distinzione teorica di un ramo di tale attività coincide con il momento
della diffusione delle armi da fuoco avvenuta in Occidente nella seconda metà
del ‘400.
Le architetture
militari sono preminenti in Francia e ciò si deve alla munificenza del suo
sovrano e all’eccellenza del suo più grande architetto militare: Sébastien Le
Prestre de Vauban, che progetta una serie di rivoluzionarie e ingegnose
fortificazioni. L’elemento che mi ha interessato di più in questa mia ricerca tipologica
è il rivellino, un tipo di fortificazione che risulta indipendente, una sorta
di piccolo castello, che è generalmente sito a protezione di una porta di una
fortificazione più grande. La struttura si è diffusa in molte parti dell’Europa
nell’ambito della fortificazione alla moderna. Si poteva trovare in quasi tutte
le grandi fortezze o cinte murarie; queste erano però spesso delle strutture
provvisorie (non dovevano offrire protezione a un assalitore che se ne fosse
impadronito, cosicché doveva essere facile renderli inutilizzabili nella fronte
rivolta alla fortificazione che proteggevano). Nella fortificazione alla
moderna questo elemento perde la libertà compositiva e l’aspetto di fortezza in
miniatura e la sua forma s’irrigidisce in una struttura triangolare posta
davanti alla cortina in cui si apre un ingresso. Fattore caratterizzante del rivellino
è la versatilità del suo impianto, caratterizzato da queste geometrie
diversificate a seconda delle singole esigenze topografiche e difensive.
Al loro
interno, poi, le singole tipologie d’impianto presentano un’altra
differenziazione, legata all’evoluzione delle armi e delle tecniche di
combattimento come testimonia l’impianto a mezzaluna, che nel secolo successivo
compare con andamento triangolare all’esterno e semicircolare all’intero,
mentre vedremo che nel Seicento ci sarà solo un unico andamento: quello
triangolare. Tra le varie geometrie quella triangolare consegue più successo, perché
in grado, più delle altre, di garantire un’efficace difesa non solo della
propria struttura, ma anche del complesso fortificato vero e proprio, situato
in posizione più arretrata.
Un
esempio importante di rivellino triangolare viene offerto dal grande Maestro
Leonardo Da Vinci:
il disegno del foglio 65r del Manoscritto L rappresenta un rivellino tracciato
in pianta e in alzato tra Quattro e Cinquecento. È uno di quei rivellini
triangolari che Leonardo ha spesso immaginato a protezione delle porte, con le
facce fiancheggiate dai torrioni d’angolo del circuito. Il foglio è databile
tra il 1501 e il 1504 e riporta il disegno eseguito a penna con inchiostro
seppia, di un rivellino triangolare visto in pianta e in alzato.
Il
disegno, che sembra rifarsi a norme architettoniche già esistenti (probabilmente
del centro Italia, Romagna o Lazio), mostra un bastione fortemente scarpato,
con tamburo e beccatelli su archetti e merli sovrastanti. Nel bozzetto non vi è
alcun riferimento al fossato e all’entrata con il ponte levatoio, che invece
sono stati aggiunti nel modello. Nella seconda metà degli anni Ottanta per
proteggere gli ingressi principali di fortezze quadrangolari, il Maestro
disegna rivellini di forma triangolare per assecondare l’azione di
fiancheggiamento dai torrioni angolari della fortezza (Ms. B, 5 r, 24 v, 57 v;
Codice Atlantico, 763 v, già 281 v-b) .
Le
dimensioni del rivellino aumentano al diminuire di quelle del fossato e
diminuiscono all’aumentare di queste ultime, come se la variazione di un
elemento si ripercuotesse su tutto il sistema, alla maniera di ciò che avviene
nella linguistica strutturale, quando la variazione di un fonema si ripercuote
sul tutto solidale .
Il
disegno di questo rivellino, ispirato probabilmente ad un'architettura già
esistente, risale al periodo in cui Leonardo si trovava in Romagna a
sovrintendere alle fortificazioni militari di Cesare Borgia. Il modello, a
forma triangolare, che presenta sulla sommità tre piccoli edifici di servizio,
possiede inoltre un camminamento utilizzato anche come piazza d'armi per la
fila superiore delle cannoniere. Ha pareti fortemente scarpate divise in due
settori da un cordolo. Nella fascia superiore sono presenti feritoie per le
postazioni di artiglieria. Gli spigoli del rivellino sono smussati. Il modello
di fortificazione con base scarpata documenta le evoluzioni dell'ingegneria
militare nella seconda metà del XV secolo, quando le nuove armi da fuoco
impongono modifiche strutturali. È in atto una discussione su ciò che esso
possa essere realmente: in altre parole, se si tratta di un rivellino oppure di
un baluardo di bastioni, poiché queste strutture verranno così realizzate nel
corso del XVI secolo.
Leonardo
ha anche immaginato i rivellini in concomitanza di alte torri di avvistamento
(Ms. B, 23 v; Louvre, Raccolta Vallardi, 2282). Sull’argomento dei rivellini
Leonardo ritorna negli anni Novanta (Codice Atlantico, 121 r, già 43 r-b), e
tra Quattro e Cinquecento all’esterno di un impianto ottagonale (Codice
Atlantico, 121 v, già 43 v-b) .
Durante
la mia ricerca ho incontrato vari edifici con tipologia di pianta triangolare
che ho messo a rapporto con il Triangolo Barberini. Ne riporto qualcuno di
seguito:
La Fortezza di Sarzanello
È una fortificazione
militare che sorge sulla collina di Sarzanello, nei pressi della città di
Sarzana, in provincia della Spezia e domina dall’alto la Val di Magra. La sua costruzione è antecedente
al X secolo e fu terminata solo nel 1502. La struttura è composta di due
elementi di fabbrica che sono distinti tra loro; il primo, il vero e proprio
castello ed elemento principale della fortificazione ha una pianta triangolare,
con ai vertici tre bastioni. Questo elemento di fabbrica ospita la struttura
vera e propria del fortilizio. Il secondo è un enorme rivellino in forma di
terrapieno fortificato triangolare, quasi delle stesse dimensioni della
fortezza contrapposto al primo e collegato attraverso un ponte volante, così da
formare con il primo elemento una sorta di rombo costituito da due triangoli .
L’accesso alla fortezza è possibile attraverso un ponticello in pietra, che
scavalca l’ampio e profondo fossato, fortificato anch’egli.
Nel
diploma dell’Imperatore Ottone I (menzionato nel Codice Pelavicino) alla data
19 maggio 963, è documentata per la prima volta l’esistenza di un edificio a
scopo militare. In questo viene concesso al Vescovo di Luni Adalberto, il
possesso di sei castra tra i quali
quello di cui sto parlando. La collina già prima di questa data, sicuramente
ospitava una rocca o una torre, con funzioni di presidio viario. Con il passare
degli anni e con il mutare delle situazioni sia politiche, sia militari, la
fortezza acquistò sempre più importanza. Ospitava negli anni intorno alla fine
del X secolo, una delle residenze vescovili della vallata, un Palatium Episcopii del quale però non è
rimasta alcuna traccia.
Tra il
1314 ed il 1328 fu plenipotenziario della zona il vicario imperiale Castruccio
Castracani degli Antelminelli signore di Lucca e Vicario Imperiale. Egli
scegliendo Sarzanello come sua residenza si limitò ad apportare delle
variazioni alla rocca preesistente, della quale però non rimane nessuna traccia
essendo stata completamente demolita o inglobata nella fortezza che si vede
oggi .
Nel
1421 Tomaso di Campofregoso fece eseguire dei lavori di riadattamento della
rocca e altre modifiche si susseguirono poi fino alla venuta della Signoria
Fiorentina nel 1487. Dopo che la città fu fortificata, i Medici decisero di
trasformare la vecchia rocca e di adeguarla alle nuove esigenze belliche.
L’incarico fu dato a Francesco di Giovanni detto il Francione e a Luca del
Caprina. La nuova struttura sostituì completamente la precedente. Nel 1494,
quando Piero dei Medici consegnò Sarzana e Sarzanello a Carlo VIII, la fortezza
era ancora incompleta. L’opera fu ripresa in seguito quando il re tornò in
Francia e i due siti entrarono in possesso del genovese Banco di San Giorgio e
curata da Pietro Biancardo e Matteo Civitali che la terminarono nel 1502.
Il
progetto del Francione e del Caprina fu seguito fedelmente, in ossequio ai
dettami espressi dalle teorie sull’architettura militare del senese Francesco
di Giorgio Martini. Completata la costruzione della fortezza, con i tre
torrioni ai vertici, s’iniziò la realizzazione del rivellino che probabilmente
inglobò l’antica torre del castrum.
Questa nuova struttura si rese necessaria sia per proteggere l’ingresso alla
fortezza, sia per evitare che questo lato potesse essere battuto dalle artiglierie
dalla collinetta a sud-est, luogo detto il Fortino, dove ben presto venne
approntata una rudimentale linea di difesa.
Fu
allora che la fortezza raggiunse la sua compiutezza formale, in uno
straordinario equilibrio di volumi, facilitato nella comprensione
dall’isolamento che godeva rispetto ad altri edifici, condizione che tuttora ci
permette di ammirarla .
Nel
XVIII secolo i francesi apportarono nuovi cambiamenti agli elementi difensivi,
dettati dall’ammodernamento delle tecniche militari. Nel 1747, durante la
guerra per la successione austriaca, i soldati di Maria Teresa d’Austria, al
comando del generale Wocter, tentarono di impadronirsi della fortezza senza
riuscirvi. Durante la dominazione francese la fortezza corse il rischio,
inspiegabile, di essere demolita e fu risparmiata solo per ragioni di tempo poiché
l’operazione doveva compiersi entro tre mesi. Nel 1814, con il passaggio del
Ducato di Genova al Regno di Sardegna, fu decretato il restauro e il ripristino
della struttura.
Come
l’architettura, oggetto del mio studio, la fortezza è costituita dunque da pianta triangolare. La purezza della
loro geometria planimetrica rendono entrambi gli edifici un esempio
straordinario di architettura rinascimentale, ben assimilabile alle teorie dei
più grandi costruttori dell'epoca e l'uno e l'altro
si alzano a formare imponenti edifici che messi a confronto risultano molto
simili nelle loro tipologie costruttive.
Il Castello di Gagliano Aterno
Gagliano
Aterno è uno splendido e antico borgo di circa 315 abitanti sito nella Valle
Subequana, all’interno del meraviglioso Parco Naturale del Sirente - Velino.
Qui troviamo il sorprendente Castello medievale costruito da De Aquila, che
esisteva nella cittadina sotto forma di palazzotto-fortezza per i
feudatari. Il palazzo fortificato fu
ricostruito sui ruderi di un’antica fortezza, come attesta una lapide, per
opera della Contessa Isabella di Celano nel 1328. Nel 1462 fu distrutto da
Baccio da Montone, passò dai Piccolomini, che furono feudatari nel 1463, alla
famiglia dei Barberini che ne conservarono la proprietà sino al 1806 .
Eretto su pianta triangolare, il manufatto si compone di tre corpi di fabbrica
che sono disposti intorno all’elegante cortile con loggiato. Scenografico lo
scalone a giorno che conduce al primo piano e notevole è il rivellino
antistante all’ingresso principale, connesso con il ponte levatoio, uno dei
pochi superstiti nella regione.
L’irregolarità
della pianta denuda fasi successive di completamento, che dalla struttura
militare si evolvono verso il Castello – dimora cui s’ispira il loggiato su due
piani che conduce il lato verso il paese .
È possibile pertanto che per la realizzazione del Triangolo il Contini abbia
potuto guardare anche a quest’opera, dal momento che era di proprietà dei
Barberini.
La Fortezza Medicea di Volterra
É uno
dei complessi difensivi più grandi che si possano trovare nella penisola. La
struttura anticipò le successive fortezze medicee che si svilupparono nel corso
del Cinquecento. Si presenta costituita da due nuclei; il primo denominato
Rocca Antica presso porta a Selci, include parti di più antica fortificazione
resi visibili da recenti restauri, e la torre di forma semiellittica, detta
volgarmente la Femmina,
fu costruito nel 1343 dal Duca di Atene .
Si presenta con una tipologia di pianta triangolare come il nostro Casino di
Caccia. Ha come differenza un bastione, uno sprone e una torre ellittica poiché
nasce effettivamente come Rocca a differenza della mia architettura, la quale
ancora oggi non si capisce bene quale sia stata la sua funzione originaria.
Per
quanto riguarda la Rocca
Nuova, invece, fu eretta nel 1472 da Lorenzo il Magnifico sul luogo dove
esisteva il Palazzo dei Vescovi distrutto dai fiorentini nel 1472 dopo la resa e
il saccheggio della città. Questa presenta una pianta quadrangolare con torri
cilindriche agli angoli e mastio interno che domina. I due corpi furono
all’epoca collegati tra loro mediante una doppia cortina, coronata da un
ballatoio sorretto da archetti pensili (il cosiddetto Cammino di Ronda), mentre
all’interno forma un vasto piazzale privo di opere difensive .
Tale
fortezza edificata a uso militare fu in realtà realizzata fin dall’inizio per
essere adibita a carcere politico.
La Rocca di Ostia
Tra il
1434 e il 1487, durante il pontificato di Sisto IV, il Cardinale Giuliano della
Rovere, eletto Cardinale nel 1471, futuro Pontefice nel 1503, promosse la
costruzione del Castello, affidando i lavori all’architetto fiorentino Baccio
Pontelli . La sua
fama è legata alle sue iniziative politiche che valsero alla riconquista dei
territori dello Stato Pontificio perduti dai suoi predecessori, così da essere
ricordato come il Papa guerriero .
La Rocca si trova a 4 km. da Ostia Lido, sulla via del mare, dove una volta
c’era l’ultima grande ansa del Tevere. Il suo compito era quello di sbarrare la
strada a qualunque scorreria che al di là tendesse a risalire nel retroterra .
Il
complesso architettonico è costituito da un sistema perimetrale di casematte
ovvero camere da sparo, che raccordano tre torrioni, il principale dei quali
ingloba la più antica torre di papa Martino V. Il Castello è ulteriormente
protetto da un rivellino e da un ampio fossato.
All’interno
lo scalone monumentale presenta volte e pareti decorate con affreschi policromi
eseguiti nei primissimi anni del XVI secolo. Il castello posto a difesa del
borgo si presenta a forma di triangolo scaleno con la base rivolta verso il
mare.
Anticamente,
infatti, la foce del Tevere si trovava a ridosso delle mura del castello.
Per il suo ruolo fondamentale nel sistema difensivo costiero, che aveva il
compito di proteggere Roma, fu fatto costruire dal cardinale d’Estouteville,
che prima fece restaurare la torre di Martino V e, in seguito, pensò alla
costruzione del castello, la cui progettazione fu affidata al famoso architetto
Baccio Pontelli, aiutato nei lavori da Giuliano da Sangallo.
L’opera
fu portata a termine nel 1484 sotto la direzione del Cardinale Della Rovere, la
cui attività è testimoniata dall’iscrizione sull’architrave marmoreo del
portale centrale che reca, oltre il suo nome, anche quello dell’architetto. Nel
1537 una parte della Rocca fu colpita da un fulmine e rimase semidistrutta. Ne
fu poi ordinata la ricostruzione da Paolo III Farnese .
Oggi il
castello si presenta formato da diversi torrioni dai quali emerge la torre di
Martino V, che costituisce il mastio del castello, sul quale sono visibili gli
stemmi dei pontefici che apportarono delle migliorie al castello stesso: a
sinistra quello di Sisto IV, al centro quello di Giulio II e a destra quello di
Innocenzo VIII. L’edificio è attorniato da un fossato e si articola attorno a
un cortile da dove si possono raggiungere e visitare i locali adibiti ai
servizi militari e gli altri ambienti dove si svolgeva la vita dei soldati. Sempre
dal cortile inizia una rampa cordonata, le cui pareti furono decorate da
Baldassarre Peruzzi, dalla quale si sale sino alla piazza d’armi e al terzo
piano, composto di tre stanze con cinque finestre che affacciano sul cortile .
Il castello all’occorrenza fungeva anche da residenza signorile. Quando nel
XVII e XVIII secolo Ostia fu abbandonata, il castello fu utilizzato come
deposito di fieno e come dormitorio per i detenuti impiegati nei lavori di
scavo nella zona archeologica di Ostia Antica.
Il Castello Dentice di Frasso
Il
Castello di Carovigno sorge in una posizione eccentrica, si trova sul punto più
alto del paese ed è per questo che è strategicamente più adatto alla difesa. Il Castello presenta una pianta
triangolare, con una torre quadrata sul vertice orientale, una circolare sul
vertice occidentale e una a mandorla sul vertice settentrionale. Il primo nucleo del Castello è sicuramente
di origine Normanna .
Sul lato sud, a ridosso della torre quadrata probabilmente doveva svilupparsi
il “palatium” descritto
nell’inventario di Maria d’Enghein del 1440. Le fabbriche successive a questa data insistono sulla zona nord,
inglobando in una struttura triangolare sia la torre quadrata, normanna, sia
quella circolare, forse aragonese. Il
torrione a mandorla posto sullo spigolo nord-est fu fatto edificare, tra
Quattro e Cinquecento, dai Loffreda, feudatari di Carovigno in questo periodo
come testimonia la presenza dalle insegne araldiche di matrimonio di Pirro
Loffreda, che sono state murate nella stessa torre. Pare che gli architetti della torre a mandorla abbiano subito gli
influssi dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, la cui presenza
in Puglia è attestata nel 1492 per sopraintendere alla costruzione delle
piazzeforti di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Con l’inserimento della torre a mandorla la fortezza prende la
planimetria triangolare, che rimarrà invariata nel corso dei secoli nonostante
i numerosi interventi di restauro che ha subito .
La
dimensione e l’importanza del maniero, che consta di 101 ambienti, viene notata
subito entrando dal lato Nord e dal lato Nord-ovest. Un’imponente struttura che guarda il mare Adriatico che sovrasta
le torri che, disposte lungo la costa, guardavano e preservavano il territorio
da attacchi nemici. La città ha
origini antichissime e il suo nome deriva dal messapico Carbina. Di tale città restano tracce delle
mura; queste sono visibili alle spalle della Chiesa nuova. Nel 473 a.C. fu espugnata dai Tarantini .
I Romani la chiamavano “Corvineum” e
i carovignesi furono fedeli a Roma anche quando altre città si arresero ad
Annibale. Fu dominata, dopo la
caduta dell’Impero Romano d’Occidente, da Visigoti, Bizantini, Longobardi,
Normanni, Angioini, Aragonesi, Veneziani.
Il castello sarebbe stato realizzato dopo la conquista di Carovigno da
parte del regno di Napoli (XIII) con una sola torre di avvistamento e ampliato
successivamente dalle famiglie feudali che amministravano il territorio della
cittadina.
La
rocca assunse la sua forma definitiva solo nel 1792 per opera dei Dentice di
Frasso, che la abitarono dal 1806 al 1954.
Si può affermare, dunque, che tale cittadella è un tipo di fortificazione
militare tardo medioevale a impianto triangolare con torri ai vertici. I locali
a piano terreno e quelli corrispondenti sotterranei hanno conservato inalterata
la struttura originaria .
Questo castello a mio avviso si sposa bene con la struttura di Palestrina anche
per il tipo di materiale utilizzato per la costruzione, presentano entrambi un
carattere molto residenziale.
Il castello Orsini a Scurcola Marsicana
Il
territorio di Scurcola Marsicana presenta due esempi di castelli medievali: uno
si trova sull'altura di Monte S. Nicola e l’altro sulla sommità dell'attuale
centro storico con l'evidente mole della rinascimentale Rocca Orsini. Meno
conosciuto il primo, sovrapposto a un precedente insediamento fortificato
italico, per la sua posizione apicale e per gli scarsi resti, il secondo ha una
maggiore fama per l'imponenza della struttura muraria, per la sua importanza
nella storia dell'architettura fortificata italiana e per l'attribuzione della
sua trasformazione, da Castello medievale a Rocca rinascimentale, al famoso
architetto senese Francesco di Giorgio Martini .
La struttura fortificata del Castello Orsini, che oggi vediamo si presenta
nella sua fase rinascimentale con una pianta triangolare dotata alla base da
due torrioni cilindrici sugli spigoli e un bastione, di forma semiovata, sul
puntone a nord-ovest. A questa rocca apicale posta a quota 768 s.l.m., si
contrapponeva il recinto murario trecentesco di Scurcola che, con impianto
trapezoidale su pendio e dotato di successivi torrioni cilindrici rompitratta
rinascimentali, racchiudeva il borgo medievale. Sulla recinzione si aprivano
due porte dette «Porta Cantalupo», sul versante ovest e «Portella», sul
versante est. Nel corso del Cinquecento nello spazio che si poneva fra questa
prima cinta e il castello, fu innalzata la nuova chiesa di S. Maria della
Vittoria. A questa prima recinzione in età rinascimentale, se ne aggiunse una
seconda che scendeva verso il piano fino a raggiungere la parrocchiale della
SS. Trinità sulla cui piazza si svolgeva il mercato, mentre la vecchia Pieve di
S. Egidio era posta fuori le mura. I soci degli Archeoclub abruzzesi di Pescara
e della Marsica dal 1997, hanno eseguito una ripulitura parziale della parte
interna del Castello Orsini e ciò ha permesso una prima lettura delle strutture
e delle fasi cronologiche del manufatto fortificato .
Tali
interventi hanno evidenziato, nelle vicinanze dell'ingresso principale
sopraelevato del lato sud-ovest, resti di un muro che divideva il piccolo
cortile d'ingresso del versante sud e da cui ci s’immetteva su un secondo che
era caratterizzato da una pavimentazione rocciosa, su questo si aprivano due
ambienti e una scala. Gli ambienti individuati sono caratterizzati dal crollo
di un grande portale ad arco ogivale tardo-gotico e dai resti di una cappella
piccola interna dedicata a S. Angelo cui sono riferibili i numerosi frammenti
architettonici di epoca rinascimentale e neoclassica rinvenuti ed ora
conservati nella torre angolare est.
Sul
versante nord-ovest si sviluppa una scala rinascimentale, ancora ben
riconoscibile, che permetteva di accedere ai piani superiori. La scala si
avvolge ad una piccola cisterna a pianta trapezoidale con volta a botte, che
sembra aver condizionato nel tempo lo sviluppo architettonico interno: la
riserva d'acqua per la sua posizione centrale e la pianta obliqua, ha fatto
ipotizzare una sua relazione, come cisterna interna, con una torre
d'avvistamento concernente la prima fase d’incastellamento dell'area (XI-XII
secolo). La ripulitura del cortiletto centrale fino al livello di roccia ha
portato alla luce numerosi frammenti ceramici databili fra il XIV e il XVIII
secolo (Ceramica smaltata, Maiolica Arcaica, Rinascimentale e Moderna). I
ritrovamenti testimoniano che nel corso del Trecento e Quattrocento i lavori di
sistemazione degli interni approntati dai monaci cistercensi e dagli Orsini
dovettero essere consistenti, tanto da asportare i livelli più antichi
nell'area del cortile interno. Sul settore dei muri perimetrali nord-est, è
stato ripulito il secondo accesso sopraelevato del Castello, un’apertura minore
relativa a una posterla rinascimentale caratterizzata da uno stretto corridoio
interno dotato di una scalinata, che dal puntone (mastio) sopraelevato
permetteva di raggiungere l'esterno. È stato sostenuto un esame del corridoio
che ha permesso di riconoscere la successione di tre recinzioni difensive
contenenti, inglobata nella muratura, una torretta-rompitratta ad "U"
relativa alla recinzione duecentesca: lo stesso è verificabile sul recinto del
lato sud-ovest, dove un grosso crollo ha evidenziato le tre murature in
successione, una torretta-rompitratta e l'inizio del puntone della prima fase. Sulle
murature perimetrali interne (sud-est e nord-est e sul puntone a nord-ovest) si
sono evidenziate numerose feritoie da arciera duecentesche, strombate verso
l'interno e chiuse dalle successive murature trecentesche e rinascimentali.
Dall'esame delle strutture emerse con relativo materiale ceramico e frammenti
architettonici, si può tracciare un primo profilo cronologico del Castello di
Scurcola. La prima fase, dell'XI-XII secolo, ancora da perfezionare, è forse
rappresentata da una piccola torre trasversale (quella della cisterna) molto
simile, come pianta, a quella del vicino "Castello Vetoli" di
Corcumello (AQ). Una piccola torre di avvistamento di fondovalle dell’XI secolo,
racchiusa nel XII secolo da un recinto a
puntone (torre-cintata) dotato di feritoie ("arciere") e collegata al
castello-recinto di Scurcole posto sul sovrastante Monte S. Nicola. Il recinto
murario, a filo, è in opera incerta medievale con cuciture degli spigoli
composte di blocchi ben rifiniti, con accesso sopraelevato, dotato forse di
battiponte esterno sul versante sud-ovest.
All’inizio
di questa prima fase (XI secolo) si può ipotizzare l'appartenenza del
manufatto, insieme con il sovrastante incastellamento di Monte S. Nicola, a un
esponente della Contea dei Marsi del ramo carseolano, probabilmente Oderisio II,
poiché a metà del successivo secolo abbiamo le fortificazioni scurcolane in
mano ai suoi discendenti Taino e Rainaldo De Pontibus definiti nei documenti
normanni “Filii Oderisii”.
La
seconda fase, del XIII secolo, è caratterizzata dall'aggiornamento del recinto,
con la realizzazione di almeno tre torrette-rompitratta ad "U" su tre
lati e, probabilmente, anche di due sul puntone, nelle vicinanze degli angoli
ottusi. Nell'area del puntone a nord-ovest, in posizione sopraelevata, fu
ricavata una torre quadrangolare (m. 7 × 7) ammorsata direttamente sulle
murature precedenti del puntone dotato di feritoie su due livelli. La zona
interna era occupata dalle riserve idriche e dalla torretta centrale ridotta in
altezza che aveva due ambienti affiancati. Le ricerche che gli studiosi hanno
fatto hanno dimostrato che nel 1269 Scurcola era posseduta da Odorisio De
Pontibus, un sostenitore di Carlo I d'Angiò: è possibile che allo stesso sia da
attribuire la costruzione di questo castello di Scurcola; il feudo era però
tenuto da Oderisio per una quarta parte, mentre altra quarta parte era
proprietà di Rosanie De Pontibus .
Il
castello medievale è sostanzialmente rimasto in questa forma fino a Virginio
Orsini. La storia del maniero per gli inizi del XV secolo è complessa. Agli
inizi del Quattrocento, infatti, ma probabilmente già al termine del Trecento,
il Castello di Scurcola era caduto in mano del demanio regio di Napoli, con
rivendicazioni e tentativi di recupero da parte di Giacomo Orsini e la badia di
S. Maria della Vittoria: il definitivo possesso da parte di Giacomo Orsini
avvenne solo nel 1426.
La
quarta fase, della fine del XVI secolo, è attribuibile a Virginio Orsini con il
sostanziale apporto progettuale di Francesco di Giorgio Martini .
Lo spessore murario fu ampliato con l'aggiunta di una terza fasciatura esterna
larga circa m 1.40, dotata di fori per cannoni e merloni superiori su beccatelli
in mattoni. Furono realizzati i due torrioni cilindrici angolari
inferiori, dotati di fori per colubrine e l'ingresso minore. Il puntone fu
avvolto da un nuovo bastione avanzato a forma semiovata dotata di fori per
cannoni sull'attacco delle cortine rettilinee. Nell'interno il mastio fu
reso pentagonale e collegato a due ambienti triangolari sorti ai lati tramite
la creazione di nuovi inserti murari. La vecchia cisterna fu avvolta da
una scala che permetteva l'accesso al mastio tramite due ambienti triangolari
di passaggio alle cannoniere interne e ai piani superiori. L'ingresso
maggiore fu dotato di ponte levatoio e di fregio d'arme con iscrizione sul
fronte estero. L'interno fu ulteriormente suddiviso con la creazione di un
secondo cortile e di una piccola cappella che fu dedicata a S. Angelo. Con i
Colonna, possessori del castello dal 1497, questo perde d'importanza perché i
nuovi feudatari preferivano risiedere nella rocca di Avezzano, trasformata in
palazzo da Marcantonio Colonna.
Più interessante appare la notizia riportata dal Corsignani nel Settecento,
riguardo al possesso della prima fortificazione da parte dei De Pontibus e dei
successi miglioramenti degli Orsini .
Il Settecento vede un nuovo conflitto fra i Colonna e la Curia napoletana che rivendicava
il possesso del castello scurcolano: nel 1768, grazie all'abilità dell'avvocato
Aloi, i Colonna ebbero sentenza favorevole e quindi la riconferma ufficiale della loro proprietà sul “feudum Sculculae”. Nei secoli
successivi non vi furono ristrutturazioni degne di nota, eccezion fatta per quelle
che si riferiscono al terremoto del 1706, che sono ancora leggibili (archi a
sesto ribassato e rifacimenti delle cortine degli ambienti interni), e le
successive che portarono alla realizzazione della piccionaia sul torrione
angolare sud.
Conclusioni
A partire dal Rinascimento e poi
ancora per tutto il XVI e XVII secolo, la teoria e la pratica dell'architettura
sono strettamente connesse allo studio della scienza. Inoltre, in particolare
nel Seicento, le scienze esatte si intrecciano con l'occulto, l'astrologia,
l'alchimia, e le opere d'arte sono ricche di significati espressi in simboli,
allegorie e metafore; comprensibili agli interlocutori di allora, ma non sempre
ad un odierno osservatore profano. L’immagine del triangolo si collega alle
varie simbologie del ternario. Questa figura esprime sia l’ideale della
Divinità, dunque simbolo della Trinità, sia l’idea dell’Ascesi dell’uomo verso
la trascendenza divina; il Macro-Cosmo, l’universale, ma anche l’idea della
proiezione Divina o di potenze celesti verso l’umanità e la natura.
Ciascun
triangolo corrisponde ad un singolo elemento: l’equilatero alla terra, il
rettangolo all’acqua, lo scaleno all’aria e l’isoscele al fuoco. Se lo si
considera con la punta in alto vediamo che questo simboleggia sia il fuoco che
il sesso maschile, se presenta invece la punta in basso sta a significare l’acqua
e il sesso femminile. Il Pentacolo di Salomone (comunemente chiamato Stella di
David) è composto da due triangoli inversi e significa saggezza umana. Esso è
altresì la chiave della geometria ed è la base della sezione aurea, per cui è
chiamato anche proporzione divina.
Oltre
l'importanza riconosciutagli dai Pitagorici, in alchimia il triangolo è, ad un
tempo, simbolo del fuoco e del cuore. A questo proposito occorre considerare i
rapporti tra triangolo dritto e triangolo rivoltato, essendo il secondo il
riflesso del primo e, per estensione, la natura divina di Cristo e la sua
natura umana, cioè la montagna e la caverna. Ai triangoli sono legate varie
speculazioni, così come sui poliedri regolari del resto che derivano dai
poligoni equilateri sulle innumerevoli triadi della storia religiosa; sui
trittici della moralità: ben pensare, ben dire, ben fare; saggezza, forza,
bellezza; sulle fasi del tempo e della vita, passato, presente e futuro;
nascita, maturità, morte; ancora sui tre principi base dell’alchimia: sale,
zolfo, mercurio.
La forma del
triangolo, nonché la sua simbologia spesso è stata usata dagli artisti per la
realizzazione di opere relative a quelle che vengono considerate le tre arti
maggiori, ovvero, scultura, pittura e architettura. Anche il Triangolo Barberini,
potrebbe racchiudere in sé molti di questi significati. Durante la mia ricerca
ciò che mi ha colpito di più di esso è stata proprio questa particolarità della
pianta. La struttura, le dimensioni ridotte delle
porte e delle finestre, come pure il trattamento delle superfici e la presenza
delle statue dei gendarmi, figure un po’ misteriose, che sono collocate sulle
balaustre, mi hanno fatto poi abbandonare l’idea che il Casino possa esser
stato realizzato sulla base dello schema dell’ape, che resta pur sempre una
fonte attendibile, e mi sono dirottata sull’ analisi della tipologia di
architettura che ho sopra illustrato avendo tutto sommato dei riscontri soddisfacenti.
Sulla base di quanto raccolto,studiato ed esplicato posso affermare il concetto
che il Casino Barberini deriva secondo la mia argomentazione dall’architettura
militare e in particolare da quella a pianta triangolare.
NOTE
C. Rendina, I
Papi, storia e segreti, dalle biografie dei 265 romani Pontefici rivivono
retroscene e misteri della cattedra di Pietro tra antipapi, giubilei, conclavi
e concili ecumenici, Newton & Compton editori, Ariccia 2005.
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