1. Roma nella prima metà del XV secolo
La nobile famiglia romana dei Capranica deriva il proprio nomen dal paese originario dellAgro Prenestino, Capranica Prenestina[1]. I Capranica, trasferitisi a Roma, fecero fortuna sotto il pontificato di Martino V (in quanto legati alla famiglia Colonna) ed è con questo pontefice che Roma entra di diritto nel Rinascimento. Per meglio definire gli sviluppi culturali, l'evoluzione costruttiva del Palazzo Capranica ed il personaggio chiave di questa storia, il cardinale Domenico Capranica, è necessario considerare la situazione di Roma durante la prima metà del XV secolo.
Nel passaggio tra il XIV e il XV secolo l'Urbe ha vissuto delle situazioni traumatiche, quali il trasferimento quasi secolare della curia papale ad Avignone e il grande scisma dOccidente. Tali eventi portarono miseria ed anarchia nella città, non bastò nemmeno la turbolenta parentesi di Cola di Rienzo a risollevarla dalla prepotenza dei baroni. Dice il Tomei: «La popolazione era ridotta a 17.000 abitanti, impoveriti; [...] gli acquedotti erano guasti e inefficienti; [...] la cerchia delle mura aureliane racchiudeva enormi zone disabitate»[2]. La popolazione si concentrò così nella parte bassa della città al Campo Marzio, al Velabro e a Trastevere. La decadenza di monumenti e basiliche fu ulteriormente aggravata da incendi, terremoti, alluvioni e addirittura invasioni di lupi. Le strade e le piazze erano ingombre di rifiuti, ai fori si faceva pascolare il bestiame. Le condizioni economiche e politiche erano altrettanto gravi. Questo spiega perché nei primi due decenni del XV secolo non vi fu a Roma un'autonoma cultura artistica.
In questo squallore l'unica nota positiva, nonostante l'opera distruttiva dei secoli, era lo stato dei monumenti antichi, che mantenevano ancora il loro fascino. I Papi, tornati da Avignone, dovettero preoccuparsi di restaurare gli edifici già esistenti, anziché fabbricare nuovi palazzi o chiese. Fu Martino V (1417 -1431) l'artefice della rinascita spirituale e materiale di Roma. La sistemazione urbanistica della città e la bolla Etsi in cunctarumdel 1425 ristabilirono la sicurezza nelle strade. Egli restaurò la basilica di San Giovanni in Laterano, dei tratti di mura e vari ponti. Il suo successore, Eugenio IV (1431 1447), si occupò della demolizione di botteghe infestanti le piazze (come quelle al Pantheon), ma durante il suo pontificato furono rari gli interventi architettonici a causa dell'esilio forzato a Firenze dal 1434 al 1445. Nicolò V[3] (1447 1455) continuò ad attuare la renovatio urbis progettando un vasto piano regolatore[4] e realizzando lavori e riedificazioni in Campidoglio e in Vaticano, inoltre restaurò numerosi ponti e chiese. Durante il breve pontificato di Callisto III [5]non vi furono grandi lavori di risistemazione, anzi «i piani elaborati dall'Alberti e da Nicolò V per l'area di San Pietro furono sostanzialmente abbandonati» [6].
La storia urbanistica di Roma nel Quattrocento fu caratterizzata dall'apertura di strade, da riforme edilizie e demolizioni di vecchi agglomerati. Le vie principali erano quelle che portavano verso San Pietro: la Via peregrinorum, la Via Papalis e la Via Recta[7]. Quest'ultima si congiungeva con la Via Lata, compresa nel rione Colonna dov'è ancora situato il palazzo dei Capranica.
2. Il cardinale Domenico Capranica
Domenico Capranica (1400 1458) fu un cardinale ed umanista che influenzò molto la vita ecclesiastica. Zelatore del bonum Ecclesiae, in un'epoca in cui nella Chiesa avevano libero corso affarismi e corruzione, per incarico di Nicolò V redasse un memoriale che tratteggiava «i lineamenti di una reformatio in capite da inserire nell'agenda della Chiesa romana»[8]: gli Advisamenta[9]. La salus animarumera per lui un bene di prim'ordine.
Si formò nelle Università di Padova e Bologna sotto la guida dotta di Giovanni da Imola. Nel 1423 fu nominato da Martino V chierico della Camera Apostolica, e nel 1424 venne eletto vescovo di Fermo (è infatti spesso ricordato dalle fonti come episcopus Firmani)[10]. Nel 1426 gli venne assegnato il titolo diaconale di S. Maria in Via Lata e divenne Governatore della Romagna, nel 1430 Governatore di Perugia e del Ducato di Spoleto. La data precisa della creazione del Capranica non si sa con esattezza, le tristi vicende che seguirono alla nomina a cardinale costituiscono un avvenimento che, ancora oggi, dà notorietà a Domenico Capranica, ma questo argomento verrà affrontato più avanti.
Dal 1432 al 1435 partecipò al Concilio dei Basilea. Dal 1438 al 1443 fu impegnato nel Concilio di Ferrara Firenze. Il 6 ottobre fu nominato Vicario Generale della Marca Anconitana e nell'anno successivo fu designato per la seconda volta Governatore di Perugia. Due anni più tardi sarà costretto ad andare a Fermo, sua città episcopale, che nel frattempo era insorta contro gli Sforza. Durante il pontificato di Nicolò V si occupò di diverse missioni diplomatiche sempre nella Marca Anconitana e fu particolarmente impegnato come Penitenziere Maggiore durante il Giubileo del 1450.
Tre anni più tardi si distinse per aver sventato, insieme al Cardinale Bessarione, la congiura di Stefano Porcari e per essere stato a capo della legazione ad Alfonso V re di Napoli. Pochi anni prima della morte fondò il Collegio Capranica nel suo palazzo, dove aveva raccolto una preziosa biblioteca di codici. Alla morte di Callisto III, il 6 agosto 1458, «da ogni parte gli era preconizzata la tiara»[11], ma morì pochi giorni dopo, il 14 agosto. Suo fratello Angelo, anch'egli cardinale, eseguì le sue volontà testamentarie destinando una nuova ala del palazzo al Collegio.
3. La creazione cardinalizia
Il problema della creazione cardinalizia dipende, in massima parte, dalla pubblicazione del 1430; gli studiosi di storia della Chiesa e di Diritto canonico sono divisi nel determinare la data della nomina cardinalizia del Capranica. «L'8 novembre del 1430 Martino V celebrava l'ultimo concistoro del suo pontificato, fra gli altri nomi pubblicava anche la nomina del Firmano a Cardinale»[12], il quale in quella data si trovava a Montefalco. Non gli venne, però, inviato il Galero, essendo costume mandarlo ai cardinali incaricati di una importante legazione. Il Firmano non si preoccupò di andare a Roma per riceverlo, non potendo prevedere l'imminente morte del pontefice. Il Collegio cardinalizio si raccolse attorno lui con biglietti augurali, nella cui intestazione erano sempre menzionati il nuovo titolo e la dignità. Alla notizia della morte di Martino V, sopraggiunta il 20 febbraio del 1431, il Capranica lasciò la legazione di Perugia per dirigersi verso Roma. Qui rimase fuori dalle mura e inviò degli ambasciatori ai Padri Cardinali, affinché lo ammettessero al Conclave. «La sua situazione era anomala, non avendo adempiuto alle solennità richieste per entrare a far parte appieno del Sacro Collegio: ricezione del Galero e apertura della bocca»[13]. Una volta ricevuta la richiesta del Firmano, i Cardinali lo invitarono a lasciare l'Urbe e a tornare alla sede della sua legazione, assicurandogli che il futuro papa avrebbe regolarizzato ogni cosa. Da quel momento iniziò la peregrinazione del Capranica da Montefalco a Basilea, ovunque era braccato e osteggiato. Il cardinale Giordano Orsini, avversario del partito Colonnese, può essere considerato il responsabile dei mali del Firmano, a cui furono sequestrati i beni di Montefalco, private tutte le rendite e fu anche saccheggiata la sua abitazione romana. In quell'occasione andò distrutta la sua amata biblioteca, che ricostituì faticosamente. Inoltre nell'ottobre del 1431 fu pubblicata la bolla In eminenti, in cui si decretava che «nessun diritto reale o nominale al cardinalato potesse prendersi in forza di una promozione avvenuta in concistoro segreto da chi non abbia ancora ricevuto le relative insegne»[14], il riferimento al Capranica è evidente. Venne dunque dichiarato privo della dignità cardinalizia, della legazione di Perugia e della chiesa di Fermo. Arrivato a Basilea il 15 aprile 1432 prese parte al Concilio e, da quel momento, fu occupato in diversi lavori. Finalmente il 30 aprile 1434, nell'abitazione del cardinale Albergati, venne firmato l'accordo tra il Firmano ed Eugenio IV[15]. L'atto di concordia si articolava nei seguenti punti: l'assoluzione e l'annullamento di tutti gli errori o crimini eventualmente commessi dal Capranica[16]; la reintegrazione nella sede di Fermo e in ogni altro beneficio o dignità, compreso il cardinalato; l'impegno da parte di Eugenio IV di spedire una bolla entro tre mesi affinché il Capranica ottenesse ogni cosa di cui fatta menzione; la facoltà del cardinale di S. Croce di consegnargli le insegne cardinalizie; la restituzione al Firmano e al fratello dei beni immobili e mobili.
Da questa vicenda si capisce la difficoltà degli studiosi nell'indicare la data della creazione cardinalizia: per il il Pastor[17] risale al 1423, cioè al primo concistoro di Martino V, e poggia la sua considerazione sulla Cedola di Martino V del 1426 in cui: «Ilerdensis et Firmanus alias iuxta morem consecutum creati fuerunt sed ex bonis causis tunc et nunc una cum aliis duobus noluimus publicare»[18]. Nessuna fonte tramanda la data del 1423, ma l'interpretazione di tunc e di alias, nel senso di allora e prima, in altro tempo potrebbe avergli fatto credere in una creazione anteriore al 1426. Così anche la Molpurgo Castelnuovo[19], che non accetta la data del 1423, afferma comunque che la creazione sarebbe anteriore al 1426. Eubel, invece, asserisce «Domenicus de Capranica (XXXV,12) prom. 1426 Maii 24, publ. 1430 Nov. 8, trf. ad S. Crucis 1443, obiit 1458, Aug. 14»[20] e riporta un documento in cui è scritto: «Domenicus Capranica romanus el. Firmanus, diac. S. Mariae novae diac., isti inquam 4 card. Publicantur postea ab Eugenio IV»[21]. Per il Gangemi questo documento sarebbe l'opera di un fautore del partito del Condulmer, per cui contrario al Capranica, e non sarebbe nemmeno l'unico scritto in difesa dell'operato di Eugenio IV, come ad esempio il trattato di Giordano Bricio «pro Eugenio IV. Adversus Cardinalem de Capranica»[22]. Le affermazioni, in questo documento, circa la creazione da parte di Eugenio IV, l'accomunazione ad altri tre cardinali pubblicati dallo stesso pontefice[23], la diaconia in S. Maria nova invece che in S. Maria in via Lata sono tutte notizie inesatte. Secondo il Gangemi la Cedola di Martino V fu probabilmente scritta per salvaguardare i diritti dei cardinali creati, dopo il consueto scrutinio segreto, ma non pubblicati. In conclusione, la creazione da parte di Martino V sarebbe avvenuta nel 1426, la pubblicazione nel 1430, l'annullamento da parte di Eugenio IV nel 1431, il riconoscimento nell'aprile 1434 e infine la consegna delle insegne cardinalizie l'11 agosto dello stesso anno dalle mani del cardinale Albergati.
4. Il palazzo Capranica in Roma
Poco più a sud di piazza Montecitorio, quasi al limite occidentale del rione Colonna, sorge piazza Capranica che deve la sua denominazione al palazzo quattrocentesco di proprietà del cardinale Domenico Capranica. Il palazzo occupa interamente il lato nord della piazza, che a est è dominata dalla grande facciata di Santa Maria in Aquiro.
Alla morte di Martino V, incominciarono a Roma i primi scontri tra le storiche famiglie nemiche dei Colonna e degli Orsini. Venuto a mancare papa Colonna, gli Orsini vollero recuperare il potere perso negli anni precedenti. Sotto il pontificato di Eugenio IV le scaramucce si trasformarono in una vera e propria guerra. Nell'aprile del 1431 i Colonna entrarono a Roma, accompagnati dal principe di Salerno Antonio Colonna. Presso la basilica di San Marco ebbe luogo uno scontro e i Colonna ebbero la peggio. Alla vittoria degli Orsini seguì il saccheggio: le case di Stefano e Antonio Colonna e del Capranica vennero interamente spogliate[24]. Il cardinale Capranica, durante i pontificati di Eugenio IV e Nicolò V, si trovava sovente in viaggio per lo Stato Pontificio a compiere missioni speciali nella Marca Anconitana, a Perugia e a Fermo. Decise quindi di costruirsi una nuova dimora per le brevi apparizioni romane. Domenico da Sarteano, suo segretario di vecchia data, procuratore e scrittore della Penitenziaria Apostolica e abitante del rione Colonna, stipulò i contratti di acquisto di case per conto del cardinale.
L'isolato, oggi delimitato da piazza Capranica, via di S. Maria in Aquiro, piazza Montecitorio, via degli Uffici del Vicario, vicolo della Guardiola e via del Collegio Capranica, aveva allora un aspetto assai diverso, soprattutto dal lato di piazza Montecitorio, dove vi furono le trasformazioni maggiori per la costruzione della Curia Innocenziana. Ai bordi della piazza vi erano delle case con orti interni, a cui si accedeva da una piccola strada: la Via Vicinalis.
Gli acquisti, e in seguito la costruzione del palazzo, avvennero a più riprese. Il primo acquisto, di cui manca il documento originale, è relativo al lato est. La notizia dell'ingaggio è ricavata da un documento successivo, datato 17 aprile 1447 e riguardante l'acquisto della proprietà di Lorenzo Piccari per 500 fiorini[25], il cui confine locus discopertus[26] si trovava verso la ex-proprietà di Giacomo Tomarelli, a quella data già del cardinale. Con l'atto del 16 marzo del 1448 Domenico da Sarteano insieme a Giacomo Vannozzi, accimator pannorum[27], decise l'accomunazione di un muro, che separava la casa del cardinale, appartenuta al Piccari, da quella dello stesso Vannozzi. All'inizio del maggio del 1448 venne acquistato da Antonio Ferrari un ortum sive casalenum per 20 ducati. Nel febbraio del 1449 seguì l'acquisto di metà delle case fatte nell'ottobre del 1426 «da Antonio Colonna a Corrado de Trinciis di Foligno per 300 ducati d'oro»[28] e in seguito vendute alla famiglia Brancaleoni, case dette comunemente Palazzo de Nobili di Monte Nero[29], la cui prima parte costò 700 ducati. L'anno precedente c'era stata una discussione tra il Capranica e i Brancaleoni sul diritto del cardinale a edificare un muro contiguo alla scala marmorea del palazecto, corrispondente all'attuale ingresso del Collegio; il problema venne risolto dal collegio arbitrale a favore del Capranica. L'acquisto della prima parte del palazzetto avvenne probabilmente nei primi di giugno del 1450 quando il Capranica, allora Penitenziere Maggiore, fu costretto a lasciare l'Urbe insieme a Nicolò V a causa della peste. Per la seconda parte del palazzetto, comprendente anche la torre, manca il prezzo, non citato nel documento relativo, che contiene soltanto la procura di Matteuccio Brancaleoni al fratello Melchiorre per concludere le trattative e procedere alla stipulazione dell'atto di vendita.
Il cardinale rientrò a Roma con Nicolò V alla fine dell'ottobre del 1450 e seguì la sistemazione della residenza, conclusasi nel 1451, la cui data figura sull'architrave della porta d'ingresso destra[30]. Per quanto riguarda i tempi di costruzione non ci sono indicazioni particolari. Sappiamo che una parte degli edifici acquisiti venne demolita per costruire il nuovo palazzo[31], valendosi probabilmente di elementi preesistenti e utilizzabili come la cappella dedicata a S. Agnese. Ad ogni modo la fabbrica ebbe diverse fasi.
L'inizio della costruzione del palazzo avvenne sul lato orientale, con le tre finestre a bifora. L'ultima finestra a destra, diversa dalle altre, sembrerebbe anteriore e corrispondente alla casa Tomarelli (mentre le altre due alla Piccari). Dello stabile del Tomarelli non si ha notizia di demolizione, ma la finestra reca lo stemma del Capranica e potrebbe quindi indicare una prima fase di ricostruzione[32]. Oggi l'aspetto dell'edificio è decisamente deformato in seguito all'aggiunta di un terzo piano, ma la cornice a mensole, probabilmente di coronamento e contigua alla torre su via del Collegio Capranica, consente di stabilire l'altezza originaria del palazzo. Eula propone un'ipotesi di ricostruzione del fronte principale diversa da quella del Tomei: l'altezza è differente; è inserita la cornice a mensole di coronamento; è presente una cornice marcapiano (oggi rimanente solo sulla torre); è segnalata l'esistenza di finestre per illuminare i locali del piano terreno e, infine, sono esclusi i contrafforti, aggiunti nel 1695[33]. Il palazzo originario a un solo piano e con torre ricordava il Palazzo Vaticano di Nicolò V e il palazzo cardinalizio di Pietro Barbo. Il pian terreno probabilmente ospitava delle botteghe, e dallo scalone dell'attuale ingresso del cinema si accedeva al piano nobile dove erano disposti in fila i locali di abitazione e le sale di rappresentanza. Il Tomei evidenzia come sia le stanze comunicanti, sia altri elementi accomunino questo edificio a quello di Nicolò V: la muratura a tufelli coperti da intonaco e decorati a graffito (visibili ancora nel XVII secolo); la torre angolare coperta a tetto con altana; le finestre crociate; l'asimmetria delle porte marmoree architravate e le dimensioni del prospetto caratterizzano lo stile architettonico della metà del Quattrocento a Roma.
Secondo Tomei intorno alla metà del XV secolo si forma un nuovo stile costruttivo: elemento tipico di queste opere è la finestra crociata, intesa come «pietrificazione del telaio in legno della finestra medievale»[34], la cui radice lontana è da cercare nella Francia meridionale in cui fu diffusamente usata nel Trecento e da cui passò al Piemonte. La finestra crociata sarebbe quindi a quell'epoca «la finestra più caratteristica di Roma, tanto largamente vi era diffusa»[35]. Il modello non ha dunque inizio con il Palazzo Venezia. A testimoniare la diffusione della finestra crociata non sono soltanto i numerosi monumenti che lo precedono, che non stiamo qui a indicare, ma anche le diverse vedute di Roma che riproducono tale elemento architettonico[36].
La casa riceveva luce dalla parte interna, dove era situato un ortus magnus[37], come ci dice l'atto del Piccari. Nell'atto di divisione tra gli eredi del cardinale Angelo Capranica viene nominato il cortile della cisterna su di un terrapieno all'altezza del piano nobile. Il cortile ha mantenuto questo livello fino all'inizio del Novecento. Ciò è ulteriormente attestato da antiche finestre della facciata sul cortile con sottostanti cornici tipiche dei seminterrati, oggi situate al primo piano.
Dice Eula: «la loggia a due archi che si apre sui quattro lati della torre è uno dei primi esempi sopravvissuti di belvedere»[38]. Questa loggia alleggeriva il prospetto severo del palazzo, appesantita ulteriormente dall'aggiunta di un piano nel XVII secolo, cui seguì l'addossamento dei contrafforti nel 1695. La torre è probabilmente l'unica parte superstite del palazzetto Brancaleoni: ciò si deduce dalla preesistente cappella di S.Agnese e dalle finestre su Via del Collegio Capranica che suggeriscono, per forma e materiale, di appartenere a un periodo precedente alla costruzione del palazzo, non essendo né di forma gotica né a croce.
Il palazzo non risponde a un progetto unitario ben definito e al Capranica era estranea la ricerca del fasto, d'altronde l'idea di fondare un collegio destinato a pauperum scholarium lo portava a evitare grandiosità superflue. La distribuzione interna è completamente alterata a causa della costruzione del Teatro Capranica nel 1678. Tuttavia alcune informazioni sono fornite dagli atti di successione del cardinale Angelo Capranica: al pian terreno locali di servizio, sotto le cantine, sul retro stalle e pollai. In comune agli eredi rimasero l'atrio, cui si accede ancora oggi dalla piazza, lo scalone che terminava in una loggia e un corridoio vicino al portico, dal quale si arrivava al pozzo.
Il cardinale lasciava il palazzo pro indiviso agli eredi, i quali erano i figli dei fratelli, Giuliano e Antonio, e ai pronipoti del fratello Bartolomeo. Questi si misero d'accordo per una separazione verticale «ab infinis terrae usque ad coelum»[39], per cui la parte orientale del palazzo fu occupata dai figli di Giuliano, dove si trovavano l'appartamento del cardinale e locali annessi, metà cortile, un trullo e una stalla (già Vannozzi).
La parte centrale, abitata dai figli di Antonio, si estendeva fino all'anticamera del grande salone, all'esterno comprendeva una stalla (acquistata da mastro Giuliano Angelini)[40]. La parte occidentale era costituita dal salone, tre camere e un'altra stalla. La clausola della Bolla di Sisto IV sull'inalienabilità del palazzo contribuì a limitare la costruzione all'interno delle mura.
Oggi il Collegio e il Palazzo ci appaiono completamente modificati nelle loro strutture originarie e le loro proporzioni volumetriche. La radicale ristrutturazione dell'interno avvenne con la costruzione del teatro privato (poi a pagamento) ad opera di Pompeo e Federico Capranica, le cui esigenze funzionali portarono all'innalzamento dei muri esterni. I lavori di rinnovamento del teatro del 1694 1695 furono opera dell'architetto Carlo Buratti. L'ostilità di papa Innocenzo XII per gli spettacoli teatrali portò nel 1699 alla chiusura del teatro, che riaprì nel 1711 grazie all'intercessione della regina polacca Maria Casimira. Alla morte di Federico Capranica (1723) suo figlio Camillo ne assunse la gestione; quest'ultimo, amante del teatro, fu il creatore del Teatro Valle (1727)[41]. I Capranica nel 1766 cedettero la gestione al conte Raimondo Ottini, nel 1790 passò al conte Michele Negroni e infine alla famiglia Torlonia nel 1852, che lo lasciò immediatamente a Bartolomeo Capranica. Nel 1853 furono realizzati una prima serie di lavori dall'architetto Gaspare Servi (altri lavori vennero fatti nel 1870 dal Servi e dal Vespignani). L'ultima recita con l'Ernani di Verdi avvenne il 1° marzo 1881. Nel novembre 1922 venne inaugurato il cinema, dopo i lavori dell'ingegnere Carlo Waldis, e come tale rimase attivo fino al 2000. Il resto del palazzo venne donato al Collegio dalla marchesa Irma Capranica del Grillo con atto del 23 dicembre 1971.
5. L'Almo Collegio Capranica
L'Almo Collegio Capranica è stato fondato ad honorem et utilitatem Almae Urbis Romae[42] con ogni solennità il 5 gennaio 1457 ed è ancora oggi una delle più eminenti istituzioni ecclesiastiche dell'Urbe[43]. L'atto di nascita però va riferito al 24 dicembre 1456, quando il Cardinale Capranica chiese ai Guardiani della Confraternita della Sacra Immagine del Salvatore ad Sancta Sanctorum, di cui il cardinale era membro fin dal 1452, la responsabilità del governo del Collegio[44]. La lode di Dio, la propagazione della fede Cattolica e la pubblica utilità sono le ragioni che spinsero il Capranica a fondare tale Collegio dei Pauperum Scholarium[45].
L'istituzione del Collegio rispondeva all'esigenza di offrire alla società del tempo un clero più preparato a livello culturale e spirituale. Per questo motivo agli studenti avviati agli studî ecclesiastici venivano offerte ospitalità, vitto e ogni aiuto per gli studî come, ad esempio, la preziosa biblioteca pro utilitate et commodo studentium[46]. Essa consisteva originariamente di 388 volumi per un totale di circa 2000 opere in essi contenuti[47], disgraziatamente dispersa nel corso dei secoli[48]. La grande cura che il Cardinale nutriva per la sua biblioteca è documentata dal suo testamento[49] e dalle Costituzioni del Collegio[50], redatte da lui stesso e riedite con qualche aggiunta fino al XX secolo, le quali contengono alcuni capitoli specificatamente dedicati alla manutenzione della biblioteca.
Il fratello Angelo Capranica, cardinale e vescovo di Rieti, fu il primo porporato creato da Pio II, Enea Silvio Piccolomini, che a Basilea era stato segretario di Domenico Capranica[51]. Nel 1478 ottenne da Sisto IV la licenza[52] di costruire come sede specifica per il Collegio una nuova ala del palazzo, interamente separata dall'originario edificio costruito presso la chiesa di Santa Maria in Aquiro. L'origine del titolo almo viene immediatamente ricollegato al Sacco di Roma nel maggio 1527: in quell'occasione tutti gli alunni del Collegio Capranica morirono per mano dei Lanzichenecchi in difesa del Pontefice Clemente VII (1523-1534). Da questo luttuoso episodio deriverebbe, secondo molti[53], lorigine del titolo almo, cioè datore di vita. Secondo il Gangemi[54] è più accettabile che il titolo voglia invece significare munifico, illustre o nobile, essendo il Collegio il primo fra quelli fondati a Roma per l'istruzione dei chierici[55].
L'Almo Collegio Capranica è una delle pochissime istituzioni che ha conservato l'edificio originario di cinque secoli fa. La vigilanza del Collegio venne affidata, come già detto, ai Guardiani della Confraternita della Sacra Immagine del Salvatore e anche al fratello cardinale Angelo Capranica. Questi avevano un reale potere di giurisdizione sull'andamento disciplinare ed esercitavano questo potere annualmente con una visita canonica alla quale tutti erano tenuti a rendere conto del proprio operato. Venivano inoltre eletti un Rettore e quattro Consiglieri fra i membri della comunità. Tale pratica educava ad una presa di coscienza e dunque alla tutela dell'istituzione stessa, di cui l'alunno si sentiva parte integrante. Gli aspiranti alunni, prima di essere accettati, venivano sottoposti a un esame sul grado di cultura, il comportamento morale e l'età, di solito tra i quindici e i trentacinque anni. La permanenza era limitata ad un settennio, ad eccezione di coloro che non avevano un'adeguata base di conoscenza filosofica, e agli alunni veniva richiesto un giuramento: innanzitutto sul loro reale bisogno economico, poi sull'osservanza delle costituzioni e sull'obbedienza al Rettore, oltre che sull'impegno ad avere sempre a cuore la difesa del Collegio. Gli studenti erano obbligati a recarsi quotidianamente allo Studium Urbis a seguire i corsi di Teologia e Diritto Canonico, e a usare come testo fondamentale S. Tommaso e non le Sentenze di Pietro Lombardo, che venivano invece insegnate nello Studium Urbis.
Nel corso dei secoli le modifiche alle Costituzioni e alla vita del Collegio furono relativamente poche. Nel 1661 il papa Alessandro VII riformò la prassi di nomina del Rettore e la sottopose all'approvazione della Santa Sede. Le vicende napoleoniche nel decennio 17971807 costrinsero il Collegio a interrompere le attività. Nel 1917 papa Benedetto XV (l'ex alunno Giacomo della Chiesa) affidò agli alunni del collegio la cura del servizio liturgico per le celebrazioni della Basilica Patriarcale di Santa Maria Maggiore. Tra il 1953 e il 1955 l'edificio venne interessato da un radicale intervento che ne alterò profondamente l'aspetto[56].
Un'idea della grandezza della fondazione capranicense la dà il confronto con le disposizioni del Concilio di Trento: nella sessione XXIII del 15 luglio 1563 era stato promulgato il decreto di riforma della vita sacerdotale il cui canone, l'ultimo, si presentava come novità assoluta in quanto prescriveva la costituzione di Seminari nelle singole diocesi o regioni. Alla luce di questo si può capire, tra laltro, la felice intuizione del Capranica, essendo riuscito il Collegio a sostenere il vaglio del tempo.
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NOTE
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