La monografia di Francesco
Franco su Baldo Diodato è stata pubblicata dalla casa editrice Exorma nella
collana TAC – Tomografie d’Arte Contemporanea, volumi in cui ritroviamo il
sapore di un approccio all’Arte in chiave anatomopatologica tipico dei tempi
attuali. A dire il vero però, questo libro risulta essere meno tecnico di
quanto il titolo della Collana farebbe presupporre e la lettura scorre
facilmente come in un testo dei vecchi tempi. Anzi, la familiarità dell’autore
con l’artista viene condivisa dal lettore che si trova piacevolmente coinvolto
in un delicato gioco delle parti che lo porta a rivisitare i tratti
fondamentali dell’arte di Diodato in un clima positivo e rasserenante.
In particolare risulta ottima
l’idea d’inserire le micro-interviste, in cui domande e risposte, fuse
all’interno di una fluida narrazione generale di tipo biografico, ricordano lo
stile attuale di Melania Mazzucco. C’è da dire, in verità, che Francesco Franco
non ha allestito come la nota scrittrice contemporanea un piccolo romanzo
storico, quanto piuttosto un’opera scientifica che in un certo modo riprende la
struttura tripartita di Saggi, profili e interviste di Marisa Volpi
Orlandini miscelandola in una struttura
unica ed aggiornando la narrazione scientifica con inserti alla Mazzucco. Il
risultato è innovativo e il libro, che si legge gradevolmente, dà la
possibilità di imparare molte cose su questo complesso artista a cui si erano
precocemente interessati Lea Vergine ed Achille Bonito Oliva nei lontani Anni
’60.
Nella biografia ricostruita da
Francesco Franco si legge che Diodato lascia Napoli per l’America per poi
tornare in Italia e stabilirsi a Roma dopo un soggiorno durato un quarto di
secolo. Franco indaga discretamente sulle notazioni e confidenze in merito alla vita d’oltreoceano
dell’artista per poi passare a descriverne il metodo di lavoro, soffermandosi
anche sui minimi dettagli. Citando i più recenti studi sull’argomento egli
prende in esame tutti i testi disponibili, Tesi di Laurea comprese, per
discettare poi sui rapporti di Baldo Diodato con l’Action Painting e l’opera di Pollock partendo dalle informazioni
fornite dall’artista stesso.
Un capitolo importante riguarda
l’impegno civile di Diodato testimoniato nella sua opera attraverso le memorie
dei conflitti contemporanei, dalla Guerra in Jugoslavia alla Guerra del Golfo.
Il Franco ribadisce che nell’arte di Diodato la sofferenza è rara: «è un’arte
gioiosa anche quando parla di guerra» (p. 29). Qui sembra riemergere il titolo
della collana del volume: “TAC”, vale a dire quella strana passione per l’
anatomopatologia, per il macabro e le brutture della guerra che vengono lette
come qualcosa di piacevole, analogamente all’influsso narcotizzante dei
mass-media che iniettano nello spettatore ingenti dosi di tranquillante
mediatico per non farlo impazzire di fronte alla visione della morte e degli
orrori che vi si connettono. Un approccio che definirei tipico della
post-società di massa, appunto, un ancóra poco studiato e sottolineato elemento
inquietante della moderna società dell’informazione. Ne parla Francesco Franco
a proposito gli interventi di Walter Pedullà «secondo cui la guerra ricorda ‘le
luminarie napoletane che facevano felice il piccolo napoletano che è stato
Baldo Diodato’» (p. 30).
Un interessante capitolo
riguarda poi la fotografia analogica, ovviamente a pellicola, in cui erano
abbondanti gli esperimenti di esposizioni multiple, ovvero quella tecnica che
consiste nella doppia esposizione del medesimo fotogramma col risultato di una
sovrapposizione creativa di due immagini differenti, anche scattate in luoghi e
tempi diversi. Si tratta di un procedimento che rende la fotografia più onirica
e meno legata al suo ruolo tradizionale di riproduzione fedele della realtà. Curiosissimo il capitolo su Diodato podofilo, che descrive
l’abitudine dell’artista a lavorare con i piedi invece che con le mani: «nella Installazione alla J.F.K. Plaza di
Philadelphia del ‘74 il camminare delle persone sparge i colori sulla tela e,
attraverso lo sfregamento (frottage),
emerge la trama del lastricato sottostante» (p. 39). L’opera di Diodato si
espande dunque dall’happening alla
partecipazione collettiva.
Il Franco dedica ampio spazio
ad una delle più importanti realizzazioni di Diodato: I sanpietrini (di
metallo), vale a dire un intervento sui sanpietrini romani di Piazza del
Campidoglio rivestiti con sottili lastre di alluminio sopra le quali gli
spettatori furono invitati a camminare per creare il calco della famosa “stella”
di Michelangelo. Un’opera, questa,
che offre all’autore l’opportunità di proporre un confronto di contrapposizione
dialettica con le Stolperstein (Pietre d'inciampo) di Gunter Demnig della metà degli anni
Novanta, anche se in quest'ultimo «non è ammessa alcuna ironia» (p. 44).
Francesco Franco cerca dunque
di ricostruire il delicato equilibro creato da Baldo Diodato tra Arte
concettuale, Arte povera e Pop art,
esperienze che lo portarono alla sperimentazione della “strada in casa”: ancora
una volta un tentativo di carpire il “timbro” della sagomatura di un copertone
di auto sulla solita striscia di alluminio poi esposta in galleria o nelle
abitazioni private, un analogo tentativo dell’artista di carpire su una
striscia di alluminio il timbro della sagomatura di un copertone d’auto che
viene successivamente esposta all’interno di gallerie o abitazioni private.
Lo spirito giocoso di Baldo
Diodato ritorna in un’opera pubblica per la metropolitana di Parigi dove l’artista usa la fibra ottica per
simulare i peli di una “origine du monde” immaginaria e luminescente
che, secondo il Franco, ricorda archetipi di sessualità femminile e maternità
universale collegati con il trasporto dei tempi moderni: la fine del viaggio
metropolitano cittadino e la relativa uscita all’aperto suggeriscono l’idea di
una continuo tornare alla vita dell’uomo contemporaneo.
Simpaticamente l’autore ricorda
che per par condicio il Diodato
tratta anche il tema della sessualità maschile usando il simbolo dell’Albero
vestito, che rappresenta un tronco d’albero vestito di edera luminosa
attraverso l’uso di «un grosso ciocco di alluminio cilindrico accartocciato,
rivestito di luce attraverso fibre ottiche, inclinato a 45 gradi…una pubblica
erezione vegetale in un’orgia luminosa (consumabile solo voyeuristicamente al
buio) » (p. 57).
Il volume di Francesco Franco
contiene un buon corredo di illustrazioni, una lunga intervista all’artista
pubblicata in appendice, una bibliografia significativa e infine la versione
inglese del testo, tutti elementi che rendono questa snella monografia un
strumento utile per la lettura scientifica di un artista complesso come Baldo
Diodato che ha saputo coniugare le istanze culturali di movimenti artistici
contemporanei internazionali con uno spirito schiettamente italico, raggiungendo quel felice equilibrio estetico
che finalmente è stato ben rievocato da Francesco Franco. In quest’opera egli
ha dimostrato di possedere indubbie capacità critiche e storico-artistiche
valorizzate da una scrittura fluida e coinvolgente.
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