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Francesco Franco, Baldo Diodato: una recensione  
Stefano Colonna
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 6 Dicembre 2013, n. 697
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Area Libri

La monografia di Francesco Franco su Baldo Diodato è stata pubblicata dalla casa editrice Exorma nella collana TAC – Tomografie d’Arte Contemporanea, volumi in cui ritroviamo il sapore di un approccio all’Arte in chiave anatomopatologica tipico dei tempi attuali. A dire il vero però, questo libro risulta essere meno tecnico di quanto il titolo della Collana farebbe presupporre e la lettura scorre facilmente come in un testo dei vecchi tempi. Anzi, la familiarità dell’autore con l’artista viene condivisa dal lettore che si trova piacevolmente coinvolto in un delicato gioco delle parti che lo porta a rivisitare i tratti fondamentali dell’arte di Diodato in un clima positivo e rasserenante.

In particolare risulta ottima l’idea d’inserire le micro-interviste, in cui domande e risposte, fuse all’interno di una fluida narrazione generale di tipo biografico, ricordano lo stile attuale di Melania Mazzucco. C’è da dire, in verità, che Francesco Franco non ha allestito come la nota scrittrice contemporanea un piccolo romanzo storico, quanto piuttosto un’opera scientifica che in un certo modo riprende la struttura tripartita di Saggi, profili e interviste di Marisa Volpi Orlandini  miscelandola in una struttura unica ed aggiornando la narrazione scientifica con inserti alla Mazzucco. Il risultato è innovativo e il libro, che si legge gradevolmente, dà la possibilità di imparare molte cose su questo complesso artista a cui si erano precocemente interessati Lea Vergine ed Achille Bonito Oliva nei lontani Anni ’60.

Nella biografia ricostruita da Francesco Franco si legge che Diodato lascia Napoli per l’America per poi tornare in Italia e stabilirsi a Roma dopo un soggiorno durato un quarto di secolo. Franco indaga discretamente sulle notazioni e confidenze  in merito alla vita d’oltreoceano dell’artista per poi passare a descriverne il metodo di lavoro, soffermandosi anche sui minimi dettagli. Citando i più recenti studi sull’argomento egli prende in esame tutti i testi disponibili, Tesi di Laurea comprese, per discettare poi sui rapporti di Baldo Diodato con l’Action Painting e l’opera di Pollock partendo dalle informazioni fornite dall’artista stesso.

Un capitolo importante riguarda l’impegno civile di Diodato testimoniato nella sua opera attraverso le memorie dei conflitti contemporanei, dalla Guerra in Jugoslavia alla Guerra del Golfo. Il Franco ribadisce che nell’arte di Diodato la sofferenza è rara: «è un’arte gioiosa anche quando parla di guerra» (p. 29). Qui sembra riemergere il titolo della collana del volume: “TAC”, vale a dire quella strana passione per l’ anatomopatologia, per il macabro e le brutture della guerra che vengono lette come qualcosa di piacevole, analogamente all’influsso narcotizzante dei mass-media che iniettano nello spettatore ingenti dosi di tranquillante mediatico per non farlo impazzire di fronte alla visione della morte e degli orrori che vi si connettono. Un approccio che definirei tipico della post-società di massa, appunto, un ancóra poco studiato e sottolineato elemento inquietante della moderna società dell’informazione. Ne parla Francesco Franco a proposito gli interventi di Walter Pedullà «secondo cui la guerra ricorda ‘le luminarie napoletane che facevano felice il piccolo napoletano che è stato Baldo Diodato’» (p. 30).

Un interessante capitolo riguarda poi la fotografia analogica, ovviamente a pellicola, in cui erano abbondanti gli esperimenti di esposizioni multiple, ovvero quella tecnica che consiste nella doppia esposizione del medesimo fotogramma col risultato di una sovrapposizione creativa di due immagini differenti, anche scattate in luoghi e tempi diversi. Si tratta di un procedimento che rende la fotografia più onirica e meno legata al suo ruolo tradizionale di riproduzione fedele della realtà.

Curiosissimo il capitolo su Diodato podofilo, che descrive l’abitudine dell’artista a lavorare con i piedi invece che con le mani: «nella Installazione alla J.F.K. Plaza di Philadelphia del ‘74 il camminare delle persone sparge i colori sulla tela e, attraverso lo sfregamento (frottage), emerge la trama del lastricato sottostante» (p. 39). L’opera di Diodato si espande dunque dall’happening alla partecipazione collettiva.

Il Franco dedica ampio spazio ad una delle più importanti realizzazioni di Diodato: I sanpietrini (di metallo), vale a dire un intervento sui sanpietrini romani di Piazza del Campidoglio rivestiti con sottili lastre di alluminio sopra le quali gli spettatori furono invitati a camminare per creare il calco della famosa “stella” di Michelangelo. Un’opera, questa, che offre all’autore l’opportunità di proporre un confronto di contrapposizione dialettica con le Stolperstein (Pietre d'inciampo) di Gunter Demnig della metà degli anni Novanta, anche se in quest'ultimo «non è ammessa alcuna ironia» (p. 44).

Francesco Franco cerca dunque di ricostruire il delicato equilibro creato da Baldo Diodato tra Arte concettuale, Arte povera e Pop art, esperienze che lo portarono alla sperimentazione della “strada in casa”: ancora una volta un tentativo di carpire il “timbro” della sagomatura di un copertone di auto sulla solita striscia di alluminio poi esposta in galleria o nelle abitazioni private, un analogo tentativo dell’artista di carpire su una striscia di alluminio il timbro della sagomatura di un copertone d’auto che viene successivamente esposta all’interno di gallerie o abitazioni private.

Lo spirito giocoso di Baldo Diodato ritorna in un’opera pubblica per la metropolitana di Parigi  dove l’artista usa la fibra ottica per simulare i peli di una “origine du monde” immaginaria e luminescente che, secondo il Franco, ricorda archetipi di sessualità femminile e maternità universale collegati con il trasporto dei tempi moderni: la fine del viaggio metropolitano cittadino e la relativa uscita all’aperto suggeriscono l’idea di una continuo tornare alla vita dell’uomo contemporaneo.

Simpaticamente l’autore ricorda che per par condicio il Diodato tratta anche il tema della sessualità maschile usando il simbolo dell’Albero vestito, che rappresenta un tronco d’albero vestito di edera luminosa attraverso l’uso di «un grosso ciocco di alluminio cilindrico accartocciato, rivestito di luce attraverso fibre ottiche, inclinato a 45 gradi…una pubblica erezione vegetale in un’orgia luminosa (consumabile solo voyeuristicamente al buio) » (p. 57).

Il volume di Francesco Franco contiene un buon corredo di illustrazioni, una lunga intervista all’artista pubblicata in appendice, una bibliografia significativa e infine la versione inglese del testo, tutti elementi che rendono questa snella monografia un strumento utile per la lettura scientifica di un artista complesso come Baldo Diodato che ha saputo coniugare le istanze culturali di movimenti artistici contemporanei internazionali con uno spirito schiettamente italico,  raggiungendo quel felice equilibrio estetico che finalmente è stato ben rievocato da Francesco Franco. In quest’opera egli ha dimostrato di possedere indubbie capacità critiche e storico-artistiche valorizzate da una scrittura fluida e coinvolgente.



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Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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