Il giardino e il
contesto paesaggistico:
Il
giardino di Boboli, straordinaria estensione di hortus urbano - e ciò nonostante soggetto interessante anche per la
diversità floristica e faunistica che lo caratterizza - uno dei più importanti
esempi di giardino formale del Rinascimento italiano nonché prototipo assoluto,
con Palazzo Pitti, di complesso architettonico e paesaggistico unitario e
coerente, è un parco storico di notevoli dimensioni, circa 45 ettari, collocato
nel cuore della città di Firenze. Confina con il complesso della reggia di
Pitti, con piazza Pitti e parzialmente con via Romana, nonché con le proprietà
private disposte lungo tale asse urbano. Confina inoltre con il Museo
Zoologico, con piazza della Calza, con il complesso museale/universitario della
Specola, con il complesso dell'Istituto Statale d'Arte di Firenze, con parte
dell'antico circuito delle mura arnolfiane e le retrostanti proprietà private,
contraddistinte dalla presenza di alcuni oliveti, a ridosso del Viale dei
Colli, con il Forte Belvedere, con l'ex convento di San Giorgio alla Costa e con
altre proprietà private.
Vincolato
per circa quattro secoli al ruolo di giardino di reggia, luogo di
rappresentanza del potere e del fasto della famiglia regnante, teatro della
vita di corte per sontuosi allestimenti scenici, festeggiamenti di sponsali e
per i più celebri e magnifici episodi venatori dell'Europa intera, non ha
sofferto periodi di forte degrado e abbandono, comprendendo invece frequenti,
talvolta importanti, modifiche nel proprio assetto architettonico. Estensione
dominante l'Oltrarno, da un lato verso il fiume, quasi a raggiungere il cuore
della città, dall'altro verso le mura urbane che marcano il confine con
l'adiacente antico contado, oggi eminente tipologia storica di paesaggio
agrario, Boboli costituisce anche un vero museo all'aperto. Una preziosa
raccolta d'arte en plain air, per
l'impostazione architettonico-paesaggistica del sito e per la collezione delle
pregevoli sculture, che dai più antichi esempi romani percorrono secoli di
attività artistica e raffinato collezionismo fino a tutto il xx secolo proiettandosi nelle attuali
installazioni temporanee e permanenti di arte contemporanea. Costituisce ad
oggi parte integrante del sistema dei musei del Polo Museale Fiorentino.
Nato
come giardino regale e luogo teatrale e scenografico rappresentativo per la
residenza di palazzo Pitti, Boboli si colloca in un ampio spazio incuneato fra
via Romana e l'antica cerchia muraria, connettendosi anche al Forte di Belvedere,
avamposto militare cinquecentesco a ridosso delle mura medievali, con varie
entrate di accesso da Palazzo Pitti, da via Romana, dal piazzale di Porta
Romana, dal Forte dai Belvedere. Il sito si connota attualmente come un ampio
spazio verde a forma vagamente di triangolo allungato, con pendenze variabili,
anche notevoli, e due assi quasi perpendicolari che si incrociano vicino alla Fontana
del Nettuno, realizzata nel 1571 da Stoldo Lorenzi, a partire dai quali si
sviluppano una serie di terrazze, viali e percorsi secondari, vedute
prospettiche con statuaria, radure, episodi a giardino e annessi architettonici
in continua successione di visuali, corridoi prospettici, scorci scenografici.
L'asse
più antico, simmetrico alla facciata posteriore di Palazzo Pitti, si allunga
verso il colle di Boboli intercettando sul retro dell'edificio l’anfiteatro, al
cui centro venne collocato nel 1790 per volontà del granduca Pietro Leopoldo
quell’Obelisco Egizio, unico in Toscana, risalente al 1500 a. C. Eretto a Roma nel
Tempio di Iside al Campo Marzio dall’imperatore Domiziano, l’obelisco fu a
lungo ivi esposto nel giardino di Villa Medici e nel 1840 venne accoppiato in
Boboli alla grande vasca a blocco unico di granito grigio, probabile
provenienza dalle Terme Alessandrine di Roma.
1.
La
forte connotazione paesaggistica del giardino di Boboli e il suo costante
legame visivo con Firenze e con i rilievi collinari all’orizzonte emergono
nella successione dei plurimi scorci panoramici sulla città e sulla campagna
circostante che reiteratamente si intercettano lungo i percorsi di visita. Fotografie
Claudia Maria Bucelli, 2012.
Lo stesso asse incontra più in alto il
bacino e la Fontana del Nettuno, cui si accede da una doppia rampa
ornata da tre statue di epoca romana, un Settimio Severo, un Magistrato
ed una Demetra, dove vengono raccolte le acque che dalla sorgente
situata sotto il Giardino del Cavaliere irrigano
l’intera estensione di Boboli. Tutto attorno terrazzamenti erbosi digradanti
ripropongono la forma dell'anfiteatro sottostante mentre in sommità si colloca
la statua dell'Abbondanza che sostiene un covone di grano in bronzo
dorato, commissionata da Ferdinando I per commemorare la prima moglie di
Francesco I de' Medici Giovanna d'Austria e realizzata nel 1636 da Pietro Tacca
su lavoro iniziato dal Giambologna nel 1608. Dietro si stendono le muraglie
difensive che dal vicino Forte Belvedere dominano percorsi ombrosi ricchi di
alberi e siepi. Poco lontano sorge il Giardino
del Cavaliere che si colloca sopra un bastione delle fortificazioni
realizzate da Michelangelo nel 1529 in previsione dell'assedio dell'anno
seguente al quale si accede da una scala a tenaglia progettata da Zanobi del
Rosso tra il 1790 e il 1793, adorna di due statue, Flora e Giove,
di Giovanni Caccini. Questo giardino formale accoglie specie rare e odorose di
dalie e rose, una fontana centrale, detta Fontana
delle Scimmie per le
statue di tre scimmiette che l’adornano e il Casino del Cavaliere,
una palazzina costruita verso il 1700 su commissione di Cosimo III dove il cardinale
Leopoldo de’ Medici teneva conversazioni artistiche e letterarie e dove Gian
Gastone aveva il suo ritiro, che dal 1973 è sede del Museo delle Porcellane.
Quasi all'altezza della statua marmorea
dell'Abbondanza si colloca la Kaffeehaus,
un padiglione in stile rococò realizzato nel 1776 da Zanobi del Rosso alla cui
base, circondata da una scala a doppia tenaglia, si trova una grotticina. Questa
architettura rappresenta anche il punto visivo di fuga del Viottolone, il grande viale prospettico che, perpendicolare al
primo realizzato, retrostante Palazzo Pitti, costituisce il secondo asse di ampliamento
del giardino.
Dalla Kaffeehaus
è immediata la connessione all'ingresso a Boboli dal Forte Belvedere, ai bastioni
difensivi, all'accesso al prato digradante con al centro la fontana seicentesca
di Ganimede, nonché, sul lato est, a
tergo del fianco sinistro del palazzo, alla Grotticina
di Madama. Detta anche 'del Menabuoni', la grotticina fu realizzata da
Davitte Fortini su progetto del Tribolo fra il 1553 e il 1555 per Eleonora di
Toledo, ed è la più antica delle grotte di Boboli. Arricchita di spugne,
stalattiti, dagli affreschi a grottesche del Bachiacca e dalle suggestive
sculture di Giovanni Fancelli - putti e capricorni su una vasca ovale con uno
sfondo di figure zoomorfe - costituisce il prototipo di uno schema poi
largamente sviluppato nelle grotte dei giardini medicei. La grotticina si trova
a un'estremità del cosiddetto Giardino di
Madama, realizzato attorno al 1570 per Giovanna d’Austria. Ad esso
adiacente si colloca L’orto di Giove,
un giardino formale di pianta rettangolare con al centro la statua di Giove
seduto di Baccio Bandinelli, sucessivamente al quale due sculture antiche del
II secolo di barbari sottomessi in vesti di granito rosso, già a Villa Medici,
segnano l’accesso all’area.
Poco distante, appoggiata al muro
perimetrale sopra cui corre il Corridoio Vasariano, è situata la Grotta del
Buontalenti o Grotta Grande, costruita tra il 1583 e il 1593 su incarico di
Francesco I de’ Medici e preceduta, vicino all'uscita su piazza Pitti presso il
Rondò di Bacco, dalla Fontana del
Bacchino. Esemplare in stile grottesco, la fontana è dominata dalla figura
dell'obeso nano Morgante, il più popolare dei nani di corte di Cosimo I,
ritratto nel 1560 da Valerio Cioli nudo e a cavalcioni di una tartaruga.
2.
3.
Veduta della statua del Nano Morgante e sullo sfondo la Grotta Grande (sinistra)
e scorcio del Viottolone (destra). Fotografie Claudia Maria Bucelli 2010, 2012.
Le realizzazioni scultoree polimateriche
della facciata della Grotta Grande,
di mano di Giovan Battista del Tadda, furono rimaneggiate in un restauro
ottocentesco. Ai lati dell'entrata due nicchie contengono le statue di Cerere
e Apollo opera di Baccio Bandinelli. La statuaria della prima camera, dalle
cui pareti rocce, stalattiti, spugne, conchiglie sembrano prendere vita
componendosi in figure antropomorfe e zoomorfe, fu realizzata da Piero Mati,
ispirandosi forse al mito di Deulcalione e Pirra, e compongono con gli
affreschi di Bernardino Poccetti la più singolare manifestazione d'arte delle
grotte dei giardini fiorentini. Nella seconda camera, dove si ritrovano
analoghe decorazioni con stalattiti e conchiglie e affreschi, è ospitato il
gruppo marmoreo di Paride che rapisce
Elena realizzato nel 1580 da Vincenzo de’ Rossi, mentre la terza camera,
ancora allestita come una grotta con affrescato un cielo fittizio con voli di
uccelli, ospita la Fontana di Venere
del Giambologna.
Sul lato ovest, prima di giungere al Prato dell'Uccellare che costeggia il
bacino di Nettuno - "uccellare" significa cacciare piccoli
volatili e il luogo idoneo era appunto una radura in una macchia boscosa, qui
corrispondente all’ideale imbocco prospettico del secondo asse del giardino, il
Viottolone, un lungo rettilineo percorso
circondato da ragnaie, lecci e cipressi secolari - si incontra una scalinata
fiancheggiata da siepi e decorata da due statue di Muse sedute presso la
quale si colloca il gruppo marmoreo della Lavacapo realizzata da Valerio
Cioli fra il 1595 e il 1597 per Ferdinando I.
Il
Prato dell'Uccellare, collocato in
posizione rialzata, segna il confine con la parte occidentale del giardino. Al
centro è dominato da una colonna spezzata, mentre su un lato si colloca una
delle opere contemporanee ospitate a Boboli, la monumentale testa bronzea di
Igor Mitoraj, ivi collocata, e poi mantenuta, in seguito agli allestimenti
della mostra sull'artista polacco del 2002. Al di là si distende il cosiddetto Prato del Pegaso, un declivio collinare che riporta verso palazzo Pitti e la
palazzina della Meridiana. Questa zona dai grandi alberi isolati e asimmetrici,
arricchita da altre statue e dalla grande vasca di granito, deve il suo nome
alla scultura marmorea di Pegaso, opera ottocentesca di Aristodemo
Costoli. Nei vialetti ombrosi che occupano l’ampia area tra l'anfiteatro e il
prato del Pegaso si trovano inoltre le due curiose architetture coperte
da cupole e parzialmente interrate delle ghiacciaie granducali.
Il Viottolone,
un ampio viale in ripida discesa affiancato da due filari di cipressi piantati
nel l637, decorato da numerose statue, romane e settecentesche, segna l'asse
secondario del giardino in direzione sud-ovest. L'area a sinistra del Viottolone, già un tempo occupata da labirinti,
ospita oggi il viale serpentino per il rondò delle carrozze e l'antica vasca
centrale, ora circondata da un'aiuola ellittica. L'area di destra, prima
dedicata alla caccia, ospita oggi anche l'orto murato. L'imbocco del lungo
percorso, ai cui fianchi corrono due gallerie rettilinee suggestivamente
circondate dalla vegetazione, è segnato da due statue di Tirannicidi
greci collocati davanti a una scenografica quinta di cipressi e siepi di
alloro. Questo lungo cannocchiale prospettico è tagliato perpendicolarmente da
tre viali laterali che creano in quest'estesa zona del giardino sei scomparti.
Il primo viale è coperto sui lati da pergolati di lecci che formano due
gallerie arredate da bassi sedili in pietra e statuaria al punto di incrocio,
opera di Giovanni Caccini: la Prudenza, Esculapio, Ippolito
morente, l'Autunno e l'Higea. All'incrocio del secondo viale
sono collocate altre quattro statue, tre romane, un Senatore, un Bacco
e un Filosofo calvo, e una quarta, Andromeda, settecentesca. In
fondo a sinistra, presso le mura cittadine, domina un busto colossale di Giove
Olimpico, attribuito al Giambologna con accanto la fontana dei Mostaccini, opera eseguita fra il 1619 e il 1621 da Romolo del
Tadda, una serie di piccole vasche digradanti a mascheroni collegate da
canalette che versano acqua da un livello all'altro, attirando in antico
piccoli volatili poi catturati nelle ‘ragne’, le reti, del vicino boschetto.
Dal terzo viale perpendicolare, quello più a sud-ovest, partono numerosi
percorsi che intrecciandosi conducono al segmento finale del giardino, mentre
al suo incrocio con il Viottolone
siepi di bosso disegnano quattro esedre nelle quali sono collocate altrettante
statue: Esculapio, Andromeda, Ninfa e la Modestia.
Nei pressi anche gruppi scultorei di fattura settecentesca: i Giocatori alla
pentolaccia di Giovan Battista Capezzuoli e i Giocatori del saccomazzone
di Orazio Mochi su disegni di Romolo del Tadda.
Al termine del lungo asse prospettico
l'arredo botanico muta, terminano i cipressi e lo spazio si allarga sulla forma
della Vasca dell'Isola, chiamata
anche Isolotto e realizzata su progetto di Alfonso e Giulio Parigi dal 1618. L'area
della vasca è totalmente circondata da alte siepi di leccio, quinta vegetale
alle numerose statue di pietra e marmo che raffigurano soggetti mitologici,
storici, campestri, popolani. Al centro del piazzale si erge da protagonista il
geometrico bacino ellittico con l'isola centrale accessibile da due passerelle
i cui cancelli sono sostenuti da colonne su ciascuna delle quali si trova la
statua di un Capricorno, animale simbolo del potere di Cosimo I, e ai
lati fontane che versano acqua in conchiglie. Sull'asse perpendicolare al Viottolone si trovano quattro fontane a
livello della balaustra esterna, due per lato: le fontane delle Arpie e
quelle dei Putti, decorate da delfini intrecciati, animali marini,
mascheroni fantastici e statue a tutto tondo sulla sommità. A filo dall'acqua
della vasca emergono alcuni gruppi marmorei della scuola del Giambologna
realizzati nel 1637: il Perseo a
cavallo verso sud-est e Andromeda
a nord-ovest.
L'isola al centro del bacino è circondata
da una ringhiera in pietra nelle cui interruzioni sono alloggiati gli orci di
terracotta che nei mesi estivi ospitano la collezione di agrumi, ed ha al
centro la fontana dell’Oceano, o del Nettuno,
eseguita dal Giambologna tra il 1571 e il 1576 utilizzando per la tazza quello
straordinario blocco di granito che il Tribolo aveva trovato all'isola d'Elba
nel 1550, e che entrò a Firenze solo successivamente all'allargamento di Porta
al Prato. La fontana, inizialmente collocata nel Prato dell'Anfiteatro - ed è
lì che é raffigurata nella lunetta di Giusto Utens - nel 1637 venne
definitivamente sistemata in questa collocazione. Supportata da un basamento a
bassorilievi con il Ratto di Europa, il Trionfo di Nettuno e il Bagno
di Diana, è composta di tre figure maschili sedute, i fiumi Nilo, Gange ed Eurfate, che
versano le loro acque nell'Oceano, simboleggiato dalla vasca, sotto lo sguardo
del soprastante Nettuno, il dio che
presiede al sistema delle acque terrestri, posizionato al centro della
composizione su uno sperone roccioso sul quale si trovano anche naiadi e
tritoni.
In asse verso Porta Romana, separato
dall'Isolotto da due boschetti simmetrici segnati da un ingresso neoclassico
con piccoli obelischi, si trova il grande spiazzo semicircolare dell' Emiciclo o Prato delle Colonne, con le due colonne in granito rosso egiziano
che sorreggono vasi in marmo bianco, un tempo appartenute a Lord Cower.
L'Emiciclo è circondato sul lato curvo da platani intervallati da dodici
nicchie verdi con statue. Il lato rettilineo è invece disegnato da una siepe di
bosso con nicchie di verzura e quattro busti antichi di Giove Serapide, Giove,
una divinità maschile e Claudio Imperatore. Nei pressi è anche la statua
di Vulcano di Chiarissimo Fancelli.
La punta estrema del giardino, dietro
l'emiciclo, è occupata da un rondò con siepi geometriche, dove sono collocate
statue in pietra fra le quali tre figure grottesche di Romolo del Tadda, Venere,
Amore e l'Architettura. Più avanti la fontana della Botticella,
realizzata nel 1560 da Giovanni Fancelli, e l'Uomo che vanga di Valerio
e Giovanni Simone Cioli. Davanti all'ingresso di Porta Romana si trova un Perseo
di Vincenzo Danti, già alla villa medicea di Pratolino, circondato da un'esedra
in bosso con un sarcofago romano che riporta le Fatiche di Ercole, e sul
lato che costeggia via Romana altre statue fra le quali l'Uomo che scarica
il secchio in un tino di Valerio e Giovanni Simone Cioli e l'edificio della
Limonaia. Frutto della trasformazione
di una precedente fabbrica di mosaici, spugne e statue, la Limonaia fu edificata verso il 1778 su progetto di Zanobi del Rosso
nel corso di una generale risistemazione del giardino voluta dal granduca
Pietro Leopoldo. In questo sito al tempo di Cosimo III esisteva il Serraglio degli Animali dove venivano ospitati
gli animali esotici. Le sculture sulla facciata rappresentano le Muse,
riproposte anche nelle aiuole antistanti assieme al gruppo della Fortuna con cornucopia, tutte opere
romane copiate da sculture ellenistiche, cui si affianca il Suonatore di
cornamusa di Giovanni Battista Caccini.
4.
5.
Veduta della statua del Pegaso e della vasca di epoca romana in granito grigio
(sinistra) e
del bacino dell’Isola (destra). Fotografie
Claudia Maria Bucelli, 2012.
Proseguendo lungo il vialetto parallelo a
via Romana si arriva all'ingresso detto di Annalena, dal nome di un antico
convento, con cancello affiancato da due leoni in pietra. La visuale da questo
ingresso è abbellita dalla Grotta di
Adamo ed Eva, costruita nel 1817 ad ospitare il gruppo scultoreo di Adamo ed Eva realizzato da Michelangelo
Naccherino verso il 1616, avanzata da una piccola esedra con due colonne che
sostengono un architrave, e con all'interno decorazioni di concrezioni spugnose
e mosaici in ciottoli policromi. Più avanti si trova la Palazzina di Annalena, una piccola costruzione in stile neoclassico
dell'architetto Cacialli, e la Palazzina
della Meridiana che prende il nome dalla meridiana che la attraversava
all'interno, opera in stile neoclassico iniziata da Gaspare Maria Paoletti
sotto il granduca Pietro Leopoldo nel 1779 e terminata da Pasquale Poccianti
nel 1822-1840. Conserva gli affreschi con episodi tratti dai Promessi Sposi
realizzati dal pittore ottocentesco Nicola Cianfanelli ed ospita la Galleria
del Costume. Adiacente si trova il Giardino
del Conte, chiuso da una cancellata e schermato da una siepe di lecci e
allori.
Aspetti topografici e
naturalistici:
La
collina di Boboli è stata interessata fin dai tempi più remoti da insediamenti
umani che, stratificandosi e sovrapponendosi, hanno lentamente definito un
contesto ambientale e architettonico di eccezionale interesse. Sviluppatasi
contemporaneamente alla colonia romana di 'Florentia', questa particolare area di
Oltrarno risentì nel periodo adrianeo di una manifesta floridezza economica,
legata anche alla realizzazione della ‘Cassia Nuova’, nonchè di una eccezionale
espansione edilizia consolidatasi successivamente con il completamento nel 1258
delle mura di Oltrarno e la coeva costruzione del nuovo ponte a Santa Trinita,
che imposero all’area una conclusiva forma urbana poi definitivamente
strutturata nel 1333 con l'ultima cerchia muraria comunale. L'imponente
perimetro difensivo inglobò, oltre a numerosi giardini conventuali, anche vaste
estensioni di terreno libero, poi divenute oggetto di una vertiginosa azione
speculativa - specialmente da parte dei Monaci Olivetani e delle Benedettine di
Santa Felicita assieme alla famiglia Bagnesi, che nel 1290 risulta in possesso
di rilevanti porzioni della collina - successivamente unificate nella proprietà
granducale.
Toponomasticamente
Boboli deriva dalla radice germanica longobarda Bobilo -a -olin,
presente anche in altre località della Toscana, e potrebbe riferirsi alla
presenza in età adrianea di bubilia, o stalle bovine, utilizzate per la
mattazione degli animali e il rifornimento del centro urbano, collocate in
un'area esterna alle mura in osservanza a principi religiosi. L'ipotesi del
Pieri attribuisce la toponomastica dei luoghi alla proprietà di tale Bobilo,
signore longobardo. Il borgo risulta citato nel 1172 come 'Bogole prope
Florentiam',
e ancora nel 1249, in merito ai beni dei Mannelli, 'in villa Bogole'.
Ancora nel 1397 si ricorda un "loco dicto al monte al pozo toschanelli
sive a bovoli".
Nella
traduzione cartografica della planimetria del Bonsignori è possibile apprezzare
il raffinato equilibrio colturale e la complessa organizzazione interna della
fattoria di Boboli e della relativa tenuta agricola, sviluppata attorno
all'articolata rete dei suoi viali e ai suoi due specchi d'acqua, il più ampio
dei quali era quel 'lagho vecchio' ripristinato da Giulio Parigi nella
formazione del vivaio dell'Isola tra il 1613 e il 1615. Emerge già evidente in
questo documento cartografico come il giardino si ripartisse nell’ampia area
libera sul retro del palazzo quale sistema verde ordinato e con ogni
probabilità altamente variegato in diversità floristica, una organizzazione di insulae vegetali separate da numerosi
percorsi.
Nella
lunetta dell’Utens compare una similare modalità distributiva: il
composito sistema formale di Boboli, caratterizzato da una quinta arborata alle
spalle di Palazzo Pitti e da altri tematismi a giardino vi è rappresentato
strutturato in modalità anche produttive, come una organizzata fattoria:
giardini di fiori si alternano alle insulae, ai selvatici, alle
ragnaie, ai frutteti, alle vigne, tutti differenziati formalmente e dal punto
di vista delle specificità botaniche. Ricordata anche nello Scrittoio delle
Possessioni come 'fattoria del Pitti', il complesso di Boboli rimase ancora
successivamente caratterizzato dal punto di vista gestionale quale struttura
aziendale produttiva complessa, che richiedeva in fase di esercizio una
manodopera numerosa.
Verso
la fine del Cinquecento i confini della tenuta granducale dovevano estendersi
fino all'altezza di via del Ronco, e con le aggregazioni, nei primi anni del
secolo seguente, di altri fondi incolti o lasciati alle greggi, come appunto
suggerisce il toponimo attribuito in antico all'intero comparto, si raggiunsero
i definitivi confini della proprietà. Se ancora nel 1610 si riconosceva in
prossimità di porta Romana l'esistenza di una vasta superficie libera,
riservata ai “bestiami de' Pitti e Boboli", entro il 15 giugno 1611 si
conclusero le vendite dei capi di bestiame, cessando le contabilità ogni
riferimento alla produzione di frutta e di foraggi per le aree dove a breve
sarebbero iniziati i lavori dell'ampia addizione seicentesca. E forse proprio
questa data può essere riferita all'avvio formale dei lavori, da allora
registrandosi la medesima contabilità, alla fine dello stesso mese, con somme
regolari destinate agli interventi di sterro e di livellamento dei suoli nel
'giardino de' Pitti e Boboli', sottolineando in primis quella specifica distinzione tra vecchia e nuova
'fabbrica' che verrà conservata fino alla seconda metà del Seicento.
6.
7.
Vedute della fontana dell’Oceano con la statua del Nettuno al centro della
vasca dell’isola (sinistra) e del gruppo scultoreo di Adamo ed Eva nell’omonima
grotta (destra). Fotografie Claudia Maria Bucelli, 2012.
Come
più tardi per i Lorena che ponevano sul mercato i prodotti non adatti ad essere
consumati sulle tavole granducali, anche per i Medici alla funzione prettamente
decorativa e rappresentativa si accompagnò sempre in Boboli - in cui sembravano
concretizzarsi spazi differenziati quali 'orti comuni', 'orti gentili' e
'giardini' - la presenza di specie orticole e fruttifere e vigne per la
produzione di uva da tavola e vino pregiato. In particolare l'impianto della
'vigna di moscadello' di Eleonora di Toledo era anche un riferimento
topografico nel giardino, in un'area, in seguito occupata dalla Kaffeehaus, compresa tra l'invaso del
prato grande e la ragnaia fino al 'guasto' del forte San Giorgio. Se dunque già
nel giardino cinquecentesco la componente decorativa non era affatto immune da
processi produttivi e la vendita dei prodotti quali frutta, ortaggi, legname
ricavato dalle potature e la produzione di fiori contribuiva a determinare una
rendita autonoma nel bilancio economico della proprietà, tale rimase
successivamente con la gestione lorenese, durante la quale una ricca produzione
orticola veniva rivenduta, riportando con regolarità nei registri contabili le
entrate relativamente alla voce di ciliege, ciliege amarene, carciofi, susine,
cipolle, radicchi, spinaci, rughetta, ma anche grano, olio, orzo e avena. Se
una modesta produzione era finalizzata alla mensa granducale, la maggior parte
delle derrate veniva offerta al mercato, concorrendo a mantenere Boboli, tale
rimasto anche sotto il governo lorenese, che diramò precise disposizioni a
regolarne la coltura degli ortaggi e dei frutti, una tenuta agricola di
rilevante produttività.
8.
Palazzo
Pitti e il retrostante giardino di Boboli nella lunetta di Giusto Utens, in
Daniela Mignani, Le ville medicee di Giusto Utens, Firenze, Arnaud, 1980.
Cenni storici:
Nel
1341, reinvestendo in visibilità e prestigio i proventi di una fiorente
attività, Cione di Bonaccorso Pitti, esponente di un'emergente ed ambiziosa
famiglia di mercanti, acquistava in Oltrarno un primo nucleo di patrimonio con
tre case, annessi e un vasto 'horto' confinante con le terre dei vicini monaci
Olivetani. In seguito Luca di Bonaccorso Pitti acquisiva un ulteriore
appezzamento su cui edificare quel 'palazzo novo' che, tra le tante fabbriche
presenti in Firenze nella prima metà del Quattrocento, sarebbe emerso qualche
anno dopo in Oltrarno nei pressi delle antiche mura lungo le pendici del colle
di 'Bogoli'. Una 'fabrica' di notevole rilevanza, probabile progetto di Luca
Fancelli con anche il coinvolgimento di Filippo Brunelleschi, suo maestro. Una
'fabrica' sorta da un nucleo di edifici "cum orto retro dictas domos et
cum puteo et logia",
confinanti anche con un podere 'a bovoli'
divenuti poi, per volontà dello stesso Luca Pitti, quel palatium novum
iniziato almeno nel 1454 e già inserito nella portata catastale del 1469 cui si
affiancava il giardino rinascimentale dei Pitti, nucleo del successivo Boboli.
Già
nel 1457 il catasto ricordava, a corredo del rilevante intervento
architettonico dell'edificio, in seguito definito dal Machiavelli "al
tutto maggiore che alcun altro che da privato cittadino infino a quel giorno
fosse stato edificato"
anche un vasto parco, con "vignie et giardini",
delimitate per alcuni tratti dalle fortificazioni dismesse del 1265. Alla
dimensione di 146 staiora fiorentine la proprietà giunse in successive fasi di
ampliamento ed annessioni, presentandosi già alla metà del XVI secolo con
"tutte le dette terre [...] ridotte a uso di detto giardino"
e con un impianto botanico definitivo. Nel 1472 la portata catastale
sottolineava, prologo visuale alla prospettiva della collina retrostante, la
presenza di piante di alto fusto all'interno del giardino formale, illustrato
anche da Vasari come chiuso da un ampio portale che ne precludeva la visione da
sguardi indiscreti. In esso, esempio innovativo di quella aspirazione del
'vivere in villa' che univa ideologicamente i nuovi palazzi patrizi fuori ma
anche entro le mura cittadine, sopravvivevano probabilmente archetipi medievali
affiancati da coeve evocazioni classiciste, con orti, vigne, siepi e bordure
mantenutesi fino al 1530, anno in cui la riaffermazione del principato mediceo
determinò la totale rovina del giardino dei Pitti. La proprietà della famiglia,
prima ben identificabile, nella Pianta della catena e nella Veduta di
Firenze di Francesco di Lorenzo Rosselli come giardino segreto murato,
ricco di piante d'alto fusto e descritto nei documenti catastali come
abbondante di vigne e frutteti, per il suo confinare proprio con porta a San
Giorgio e la fortezza di San Miniato - cardini della difesa repubblicana dove
furono realizzati un baluardo e lunghissimo bastione, con un 'gagliardissimo
cavaliere' - e per l'essere adagiato lungo quella cinta perimetrale che
scendeva fino a porta a San Pier Gattolini, durante l'assedio di Firenze subì
danni ingenti. L'affresco di Giorgio Vasari e di Giovanni Stradano nella Sala
di Clemente VII a Palazzo Vecchio la rappresentano spoglia e priva di esemplari
botanici. Negli anni successivi il giardino sarà ulteriormente intaccato
dall'edificazione di nuove difese, poi completate con un 'bastione di mura',
voluto da Cosimo I, e in conseguenza alla crisi economica e alla decadenza
della famiglia Pitti il prestigioso complesso, in parte incompiuto,
praticamente abbandonato, verrà definitivamente acquisito nel febbraio del 1549
(stile fiorentino) da Eleonora di Toledo.
Fra
le molteplici motivazioni alle origini dell'acquisto doveva essere la volontà
di fornire alla corte ducale giardini tali da competere con lo splendore dei
paradisi napoletani dei Viceré che la granduchessa aveva fino a qualche anno
prima vissuto nelle possessioni paterne. La scelta del complesso di Pitti,
tanto dimensionalmente e visivamente emergente nella Firenze repubblicana da
mantenere anche nei secoli successivi l'originaria denominazione, appariva a
questo fine particolarmente felice. Non soltanto la mole dell'edificio
signorile, la più grande dimora mai costruita fino ad allora in Firenze, ma
soprattutto la presenza, rara nel frammentato tessuto urbano medioevale, di un
vastissimo spazio inedificato, aristocraticamente separato dalla realtà cittadina,
si offrivano allo scopo. Un tale ampio possesso avrebbe infatti consentito la
creazione di un superbo giardino, degno del titolo ducale, protetto lungo i
confini dai muri di cinta delle proprietà limitrofe, dalle antiche mura urbane
e, verso sud, dai nuovi bastioni eretti da Cosimo I, ed in armonia con la
preferenza della granduchessa Eleonora della vita in villa, più salubre e
benefica. Non a caso immediatamente dopo l'acquisto gli sforzi progettuali ed
economici furono diretti alla realizzazione del giardino, prima che a quella
del palazzo. Dall'atto della vendita si rileva come la proprietà fosse
descritta sotto il nome di "palazzo e orto de' Pitti", e comprendesse
appunto con l'edifico principale, "cum dome seu domibus retro vocatis
el case vecchie cum platea anteriore usque ad viam publicam seu magistram cum
cortile lodia plateis fontibus et aliis eorum juribus et servitutibus et
pertinentiis nec non orti magni incipienti a dicto palatio et se extendentis
usque ad menia florentina staiora 146 vel circa"
compreso tra le mura arnolfiane, i bastioni del 1548 e i beni del monastero di
Santa Felicita, anche il giardino, che si sviluppava già in quest'epoca su una
superficie considerevole, pari a circa sette ettari e mezzo. Ingrandito a più
riprese a partire dal 1551, ne fa fede il Libro
dei ricordi e conti di Eleonora di Toledo
- un diario nel quale la duchessa registrò minuziosamente tutti gli interventi
condotti dalla primavera del 1550 ai primi mesi del 1555 intorno alla
"possessione de' Medici detta de' Pitti" - venne ulteriormente
ampliato fino al 1567 con aggiuntive oculate acquisizioni. La proprietà medicea
si costituì infatti nella sua progressione estensiva dalla fusione di numerosi
piccoli poderi, ognuno dotato di annessi edificati, in seguito utilizzati ai
fini gestionali dell'ampia possessione e come laboratori di scultura, di
botanica e di vetreria, ed in parte trasformati, sotto Cosimo III, nel nucleo
centrale del serraglio, definitiva unitaria sede delle collezioni zoologiche
granducali.
Nei
primi anni che seguirono l'acquisto fu curata da Eleonora di Toledo soprattutto
la sistemazione del giardino e degli appezzamenti agricoli che, dalle case dei
Pitti, si estendevano fino alle mura trecentesche della città. L'"Orto dei
Pitti" fu accresciuto di due poderi acquistati l'uno nel 1550 dalle
monache di Santa Felicita e l'altro nel 1551 dai Guidi di Monterigoli e fu
arricchito, negli spartiti geometrici regolatori dell'ampio spazio variamente
coltivato, con opere che sono ancora oggi elementi di grande pregio, fra cui la
'Grotticina di Madama', la più antica delle grotte presenti in Boboli,
realizzata fra il 1553 e il 1555 per volere di Eleonora e successivamente
modificata da Bernardo Buontalenti in onore di Giovanna d'Austria, moglie di
Francesco I. Punto chiave della progettazione del primo impianto del giardino,
celebrativa nell'allegoria pastorale scultorea delle virtù di Cosimo I, l’unico
ambiente della grotticina riproponeva una struttura spaziale classica in cui si
raccoglievano una vasca di marmo ovale ornata di putti che giocano con
capricorni, emblema del potere del duca Cosimo, con capre e teste di ariete,
sculture di Giovanni di Paolo Fancelli e Baccio Bandinelli.
In
seguito i lavori di giardino e palazzo avanzarono parallelamente, in
integrazione reciproca, a definizione di una nuova tipologia architettonica di
villa suburbana collocata a ridosso dell'abitato cittadino, memore di citazioni
archeologiche di ville romane e di riferimenti di rango alle origini della
granduchessa. Un vero e proprio hortus
albertiano, caratterizzato dall'importante sviluppo del giardino a
discapito del ruolo prettamente residenziale, divenuto secondario. Un esteso
sito, traduzione del primario modello di complesso architettonico e paesaggistico
di reggia poi ampiamente riecheggiato a scala europea, con un sistema di spazi
teatrali e rappresentativi - l'anfiteatro, il cortile, la stessa piazza
antistante il palazzo - armonicamente collocati nel contiguo scenario
paesaggistico, descritto esso stesso come 'un immenso anfiteatro creato dalla
natura’.
La
nuova degna dimora della famiglia regnante, arricchita da uno splendido giardino
e circondata da frutteti e vigne, era nel 1558 ormai terminata. Eleonora morirà
l'anno seguente, e la successiva nuova fabbrica continuerà per diverso tempo
sotto la direzione del duca Cosimo I che aveva individuato nel sistema
Pitti-Boboli la possibilità di realizzare la sede rappresentativa del proprio
potere politico in speculare contrapposizione ai poli dell'antico potere
mediceo in città, San Marco, palazzo Medici, palazzo Vecchio, la basilica di
San Lorenzo.
Per
quello che si preannunciava da subito come un intervento di progetto
particolarmente articolato fu incaricato Niccolò di Raffaello Pericoli, detto
il Tribolo, poliedrico artista già validamente sperimentato da Cosimo a
Castello, e la trasformazione del nuovo grande giardino iniziò sotto la sua
direzione. Alla sua prematura morte, avvenuta nel settembre del 1550, i lavori
furono proseguiti, fino al 1554, dal genero Davide Fortini e da Luca Martini,
che si attennero al progetto, minuziosamente definito fin nel programma
decorativo, "tutti i disegni dell'Orto de Pitti e tutti gli indirizzi del
povero Tribolo [...] perché diaino l'ordine per finir la piantata"
del maestro scomparso. A lui è oggi giustamente attribuita la piena paternità
del primo impianto di Boboli, con la soluzione dell'asse centrale articolato
nella sequenza del grande spazio del 'Prato' con fontana al centro - quella
Fontana dell'Oceano, eseguita dal Giambologna fra il 1574 e il 1576 poi
spostata all’Isola - dell'anfiteatro di verzura e della peschiera o vivaio
grande dove successivamente fu collocato il Nettuno
di Stoldo Lorenzi. A questo primario disegno si appoggeranno successivamente
gli importanti interventi del Vasari, dell'Ammannati e del Buontalenti.
Nel
1551 la struttura principale del Giardino era definita, con la cava di pietra
forte, con cui era stato costruito il palazzo, trasformata in invaso a forma di
U, quell'Anfiteatro, menzionato anche come 'mezo tondo', spesso chiamato più
semplicemente, associandolo allo spazio centrale, il 'Prato'.
In
questa riqualificazione il Tribolo aveva adottato la forma ad ippodromo, di
evocativa memoria, piantando sui terrazzamenti circostanti, come già a
Castello, un sistema di alberature prevalentemente decidue ed intervenendo con
faticosi lavori di sbancamento e scarpate a controllo delle forti pendenze. Le
zone a nord, sistemate secondo compartimenti quadrangolari, vennero piantate
con olivi, alberi da frutto e vigne, e, sugli spicchi semicircolari di fronte al
palazzo, con una abetina. In un piccolo giardino segreto, presso la grotta poi
detta "di Madama", furono piantati i frutti nani, prediletti da Cosimo
I. Nel biennio 1551-52 il cantiere del giardino si presentava particolarmente
vitale, predisposto alla messa a dimora di molte piante, fra cui 400 esemplari
di alloro e numerosi melaranci e agrumi, piantati a spalliera lungo i muri di
cinta e anche presso la grotta di Madama.
9.
L’anfiteatro
con l’Obelisco Egizio e la grande vasca a blocco unico di granito grigio. Fotografia
Claudia Maria Bucelli 2010.
Un
altro giardino, destinato alla coltivazione dei semplici, fu creato in sommità
della collina, nel luogo detto "del Cavaliere", mentre una grande
ragnaia, detta "dalla banda di Santa Felicita", ben identificabile
nella lunetta dell'Utens, per la quale si acquistarono "allori corbezoli,
noci, olmi, querce selvatiche, sanguini, silio, ruvistichi"
e oltre 1000 ginepri, fu piantata nella zona nord-ovest. Contemporaneamente
alla piantagione di cerri, faggi, tigli, platani, castagni, noci, lecci e
ciliegi giunti dai vivai di Castello e di Santa Liberata, fichi e innesti di
pesco, giuggioli, lupini, aranci, limoni e cedri giunsero da Napoli, e
particolare impegno fu dedicato alla realizzazione delle "fosse fogniate",
una complessa rete di canali di drenaggio finalizzata ad ovviare al dilavamento
superficiale e alla captazione della sorgente della Ginevra nella collina
d'Arcetri, le cui acque furono convogliate e raccolte nel grande bacino a monte
del Prato da cui un condotto alimentava la sottostante Fontana dell'Oceano del
Giambologna.
Una derivazione secondaria alimentava un'altra conserva d'acqua presso la zona
terminale del corridoio di collegamento fra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti,
quel "vivaio" iniziato dal Vasari nel 1563 che fu il nucleo primitivo
della Grotta Grande. Ancora l'immagine dell'Utens offre lo stato di Boboli dopo
l'intervento dell'Ammannati, che, subentrato alla direzione dei lavori nel 1561,
completò il giardino e il Cortile Grande, ampliando il palazzo secondo l'idea
brunelleschiana del collegamento ideale fra la città e la collina retrostante
nella cerniera architettonica dei tre grandi fornici centrali della facciata e
nella realizzazione del terrazzo a conclusione del cortile, prolungamento
dell'asse ottico verso la soprastante vasca del Nettuno, detta anche del Forcone, e la riorganizzazione
visivo-percettiva dell'ampio spazio retrostante.
Il
1576 vide il compimento di un importante momento costruttivo di palazzo Pitti e
il contemporaneo raggiungimento per la famiglia Medici del titolo granducale.
Il palazzo, e con lui il giardino, alla fine del Cinquecento visita obbligata
per viaggiatori, curiosi e tecnici pronti a riprenderne spunti e innovazioni,
assumeva finalmente quel significato a lungo perseguito da Cosimo I, assolvendo
la funzione di simbolo dell'autorità propria e della dinastia Medici, nonché
della struttura e dominio del nuovo stato.
Già nel luglio 1568 si era effettuata la
complessa devoluzione delle proprietà cosimiane assegnando a Francesco, figlio
primogenito e pertanto, in linea di successione, primo futuro granduca,
"il Palazzo de' Pitti con tutte le sue Statue e Suppellettili, Orti e Beni
[...] due Case con Orto appiccicate al Palazzo [...] con sei poderi annessi al
detto Palazzo".
Segno del passaggio di Francesco I in Boboli è la Grotta Grande, piena
espressione del gusto manierista fiorentino, adattata su un precedente vivaio
del Vasari fra il 1583 e il 1587 su progetto del Buontalenti. Dall'ingresso,
con capitelli e architravi emergenti dalla viva roccia si giungeva alle tre
camere, l'ultima definita al tempo di Ferdinando I con la Venere del Giambologna, con i quattro Prigioni di Michelangelo che sorreggevano la copertura del primo
vano e con l'occhio centrale che illuminava, nella luce filtrata attraverso il
movimento dei pesci posti in una vasca di cristallo fissata all'apertura, le
pareti eseguite in spugne e stucco, gli affreschi a false rovine e scene
pastorali, realizzate da Pietro Mati e Bernardino Poccetti, e i pastori, le
ninfe e le greggi emergenti, bagnati dai minuti getti e dalla sottile
pioggerella che dagli alberi zampillava da tubi capillari, mantenendo umida la
vegetazione di capelvenere posta tra le figure e le rocce.
Alla
prematura dubbia morte di Francesco titolo e proprietà passarono al fratello
Ferdinando I che si insediò come granduca a Pitti, trasferendovi la residenza
ufficiale nel 1587, conferendo definitivamente al sito il rango di reggia. E fu
proprio in occasione delle sue nozze con Cristina di Lorena che il palazzo,
ampliato dal Buontalenti nelle nuove ali ortogonali al corpo quattrocentesco e
allineate alle terminazioni laterali dell'Anfiteatro progettato dal Tribolo,
poté nuovamente esprimere, dopo lo splendido spettacolo del 'Torneo alla
Sbarra' allestito in occasione delle nozze di Francesco I con Bianca Cappello,
tutta la propria potenzialità rappresentativa. Fra i molti e grandiosi
festeggiamenti per le nozze del nuovo granduca il più spettacolare fu la famosa
Naumachia, rappresentata nel cortile dell'Ammannati che, coperto e
trasformato per l'occasione in un bacino d'acqua, fu teatro di una vera e
propria battaglia navale in miniatura. Oltre la compiuta Grotta Grande, sul
fianco a nord-est del palazzo venne in seguito realizzato un magnifico giardino
di fiori creato nel 1596 per Cristina di Lorena ma già distrutto nel 1606 per
far posto ad uno spiazzo per spettacoli e coreografie militari.
Nel
XVII secolo Boboli assunse una dimensione e un aspetto sempre più grandiosi per
gli ampliamenti iniziati da Cosimo II e completati dal figlio Ferdinando II. I
lavori, richiesti dalla necessità di adeguare la residenza di famiglia al
prestigio e al rango acquisito per i vincoli con la dinastia imperiale degli
Asburgo - Cosimo II aveva infatti sposato Maria Maddalena d'Austria - e dalla
competizione con le nuove splendide residenze di Saint Germain en Laye e di
Neugabäude
iniziarono nel 1612 sotto la direzione di Giulio Parigi, già collaboratore del
Buontalenti. Alla sua sensibilità si deve l'orientamento alla scelta degli
scultori e dei decoratori che operarono per il giardino: i fratelli Pieratti,
Cosimo Salvestrini, Agostino Ubaldini e molti altri artisti precursori del
linguaggio barocco a Firenze. Il Parigi venne poi affiancato dal figlio
Alfonso, con lui protagonista della nuova fase di lavori di Boboli nei primi
decenni del Seicento, e da Gherardo Mechini, menzionato come 'ingegnere per i
problemi statici'.
Importante
intervento dal punto di vista tecnico ed economico, l'ampliamento seicentesco si
attuò a seguito dell'acquisto di aggiuntivi orti e poderi che occupavano il
pendio della collina digradante verso porta Romana, disponendosi tra la via
omonima, le mura trecentesche e il bastione cosimiano. La volontà di un
distacco generazionale dal passato si ricava nettamente dalla separazione
operata fin dall'inizio in chiave fisica, morfologica e descrittiva tra vecchio
e nuovo impianto. L'Orto dei Pitti risultava infatti nettamente distinto dal
Giardino di Boboli, nuova addizione seicentesca, raffinata estensione in
declinazione marcatamente ludica, ben differenziata dal nucleo antico e dal suo
simbolismo politico.
Cosimo
II, intellettuale raffinato sensibile ai cambiamenti e appassionato di
architettura, fu forse il reale progettista del giardino, operando sotto la
supervisione tecnica di Gherardo Mechini. Il progetto, redatto intorno al 1610,
appare incentrato tra elementi strutturalmente compositivi focalizzati alla
resa prospettica e singoli episodi articolati in successione lungo un imponente
viale rettilineo.
Questo secondo asse longitudinale di simmetria, perpendicolare al primo,
centrato sul palazzo, chiamato anche 'viale dei Cipressi' o 'Viottolone',
costituiva l'asse principale dell'ampliamento generale promosso da Cosimo II.
Era allineato secondo la bisettrice del grande cuneo entro cui si collocavano i
terreni dell'ampliamento, ed era interrotto dall'episodio dell'Isola.
All'ingresso
di questo maestoso cannocchiale prospettico furono in un primo tempo create due
terrazze per la coltivazione degli agrumi, favoriti dall'esposizione a sud e
dalla possibilità di sfruttare, come supporto delle spalliere, le cortine
murarie della fortificazione di Cosimo I. Da qui il viale conduceva alla zona
dell'Anfiteatro e del Forcone, a un folto gruppo di ragnaie - nelle piante
settecentesche le ragnaie risulteranno occupare aree così estese da potere
definire il giardino di Boboli un vero e proprio sistema di 'ragne'
- ed all'ampia piazza rettangolare con terminazioni semicircolari con, al
centro, l'Isola di analoga forma anulare, destinata a giardino di fiori e
d'agrumi. Fra le mura trecentesche e il viale dei Cipressi fu creato anche un
grande labirinto a pianta ovale, cui seguirà la realizzazione di altri due
labirinti, uno in forma ancora ovale nel 1622, l'altro in forma ottagonale nel
1638. Le sagome ovali, ben leggibili nelle planimetrie di Marco Credo Vogt,
1652, e di Michele Gori, 1709, potrebbero ipotizzarsi quale riferimento alle
orbite ellittiche dei Sidera Medicea,
i satelliti di Giove scoperti agli inizi del Seicento da Galileo Galilei,
precettore di Cosimo II fanciullo e successivamente onorata amicizia del regnante
granduca e del figlio e successivo granduca Ferdinando II.
Fu
inoltre creata la 'Cerchiata Grande', un viale coperto da un intreccio di rami
di leccio che incrocia, a metà percorso, il viale dei Cipressi, e ancora, ai
lati del viale, le 'Cerchiate Piccole', due lunghi passaggi coperti di
dimensioni minori. Le contabilità dei lavori di Cosimo II ricordano
puntualmente le opere murarie necessarie per l'impianto botanico dei labirinti,
per la realizzazione di ‘due strade coperte’ a fianco del viale principale e
per le cerchiate di castagni a mezza botte, collocate a separazione degli
'spartimenti maggiori'.
Quando
Cosimo II morì i lavori proseguirono per alcuni anni sotto la guida delle
reggenti Maria Maddalena d'Austria e Cristina di Lorena, durante il cui governo
vennero incrementate le coltivazioni di vite e di piante da frutto e costruita
la palazzina del Cavaliere, e, successivamente, sotto il figlio Ferdinando II.
Egli, insediatosi sul trono granducale nel 1629, proseguì, completandola,
l'opera del padre, impegnando per il miglioramento ed ampliamento del giardino
di Boboli un gran numero di scultori, scalpellini e decoratori. Del 22 ottobre
1630 fu il primo ordine di stanziamento dei fondi per la nuova fabbrica di
Pitti-Boboli, nell'espresso desiderio di "dare in questo Anno (sic) penurioso
impiego alli Artisti".
Il 1630 era stato infatti segnato dalla peste, che colpì duramente con l'Europa
anche la Toscana, lasciando dolorosi strascichi economici e sociali ai quali la
ripresa delle fabbriche granducali rispondeva politicamente e socialmente,
fornendo lavoro alla massa degli artigiani sopravvissuti e ai tanti nuovi
indigenti.
Contemporaneamente
ai lavori per l'ampliamento dell'edificio di Pitti dunque si procedette anche
alle imponenti trasformazioni del giardino. Oltre alla costruzione
dell'anfiteatro, tutta la collina fino a Porta Romana, che doveva apparire
all'epoca un enorme spazio a cantiere in piena attività, venne inclusa nel
nuovo progetto secondo gli orientamenti progettuali di Giulio e soprattutto di
Alfonso Parigi. Al riordino del vivaio delle acque e dello spazio anulare che
circonda la cosiddetta 'Isola’ si procedette quasi ininterrottamente tra il
1620 e il 1645. Vennero realizzate nell'intorno nicchie di verzura come sfondo
di statue di contadini, uccellatori, cacciatori con cani, un vero e proprio
teatrino rusticano di cui restano alcuni esemplari ben conservati,
progressivamente arricchito, fino alla fine del XVIII secolo, di altri soggetti
di carattere mitologico, biblico e allegorico provenienti da vari contesti.
Come
specifica Litta Medri il vivaio dell'isola trovò un assetto definitivo nel 1637
con l'innalzamento della fontana dell'Oceano
al centro dell'isolotto - al posto di una precedente allusiva a Venere, racchiusa in un tempietto
sostenuto da colonne in marmo, con il Trionfo
di Cupidi naviganti nell'acqua, i quattro Amori intenti a mettere in opera le loro arti seduttive, e il
contorno villereccio della selva circostante popolata di contadini e cacciatori
- dominata dal Nettuno del
Giambologna e i suoi fiumi, sostitutivi della preesistente evocazione dell'
isola di Citera legata al gusto di Cosimo II. Il nuovo impianto decorativo
programmato da Alfonso Parigi riproponeva la celebrazione della politica
granducale di Ferdinando II distinguendola da quella paterna, ricongiungendosi
al programma celebrativo della Grotta di Mosè, allegoria del buongoverno
mediceo.
Già
nel 1628 palazzo Pitti era tornato, dopo l'intermezzo di Poggio Imperiale, ad
essere il luogo di rappresentanza della dinastia medicea. Accanto agli
interventi in Boboli il nuovo giovane granduca Ferdinando II predispose anche
l'ampliamento del palazzo di residenza. Negli anni fra il 1630 e il 1640 si
registrarono invii di sculture, mosaici, stalattiti e marmi provenienti da
Carrara e Serravezza per la fabbrica, nonché pagamenti a scultori famosi per la
grotta di Mosè, il cui apparato decorativo celebrava le virtù di Ferdinando in
complementarietà iconografica agli emblemi di Vittoria della Rovere sua sposa.
L'originario
ninfeo, conosciuto anche come 'grotta del cortile de' Pitti', era fulcro del
nuovo rapporto fra il cortile dell'Ammannati e la terrazza sovrastante,
passaggio tra l'imponente corte murata e la naturalità retrostante del giardino
disteso alle sue spalle, connotato dall'ampio anfiteatro.
Ricavata
la statua di Mosè da un antico torso
togato nell'intervento di Raffaello Curradi e successivamente di Cosimo
Salvestrini, le commissioni granducali per la decorazione della grotta, come
poi della soprastante fontana del Carciofo, videro l'impiego, in
complementarietà a Filippo Tarchiani che dipinse la volta, degli allievi di
Giovanni Caccini, Agostino Ubaldini, Francesco Generini, Giovan Francesco
Susini e Giovan Battista Pieratti, che con Domenico Pieratti, autore delle
statue dell'Impero e dello Zelo, Antonio Novelli che scolpì la Legge e Ludovico Salvetti che produsse i
due puttini di marmo rosso per le nicchie laterali e i due delfini di bronzo
delle due fontane in marmo mischio, fra il 1635 e il 1642 lavorarono in tutte
le maggiori commissioni medicee. In quasi vent'anni, nell'impiego di numerosi
giovani artisti, Ferdinando II arricchì Boboli di un gran numero di sculture
'Moderne', ultimo atto del mecenatismo mediceo verso gli artisti fiorentini
contemporanei. In seguito il giardino verrà arredato con opere provenienti da
Roma o dalle collezioni granducali di Poggio Imperiale, Pratolino, e della
Galleria.
La
costruzione della nuova parte del giardino comportò anche il rinnovamento
funzionale e tipologico dell'impianto cinquecentesco preesistente retrostante
palazzo Pitti, per il quale è documentato fra il 1631 e il 1637 l'avvio della
trasformazione dell'’anfiteatro di verzura’ in una struttura permanente su
progetto di Giulio Parigi, un luogo di spettacolo con le gradinate in muratura
sormontate e delimitate da nicchie decorate ad arredi scultorei, accanto alla
radicale trasformazione del bastione cinquecentesco, praticamente abbattuto per
lasciare spazio a collezioni di aranci e spalliere di altri agrumi. Anche il
terreno attorno alla peschiera cinquecentesca fu oggetto di importanti lavori,
con modellazioni ad andamento semicircolare.
Come
ben evidenziano sia la planimetria di Michele Gori (1709) che la descrizione
del Cambiagi, i nuovi terrazzamenti circoscrivevano una esibizione di broderies fiorite a cornice di un
imponente stemma di famiglia in bosso, ben visibile da palazzo Pitti, cui si
aggiungevano nuove visuali prospettiche create con l'apertura di due grandi
viali rettilinei fra le zone nord e l'imbocco del viale dei Cipressi presso il
nuovo allargamento della rampa fra l'Anfiteatro e il Forcone. Un innovativo
sforzo da parte di Ferdinando II nella finalità di traduzione barocca dell'antico
impianto, cui si associò il costante perfezionamento dei 'verzieri' geometrici
compositori del nuovo complesso sistema di percorsi basato sulla percezione
prospettica dei cannocchiali visuali. Anche il margine meridionale dei
labirinti venne arricchito, con la costruzione di una lunga fascia di ragnaie
estese fino al confine inferiore del giardino, chiamate le Ragnaie dell'Isola e
le Ragnaie della Pace.
Negli
stessi anni si costruì anche la spezieria, collocata sul sito oggi occupato
dalla Palazzina della Meridiana, dove venivano coltivate varietà officinali da
Andrea Donnini, semplicista giardiniere incaricato e attento selezionatore,
costantemente impegnato ad arricchire il patrimonio botanico del granduca
grazie a viaggi ed esperimenti di ibridazione.
Nella
prima metà del Seicento si esaurì la felice stagione creativa degli scultori
fiorentini nel giardino di Boboli con la collocazione, sulla terrazza sopra la
Grotta di Mosè, della Fontana del Carciofo, terminata nel 1642, adesione,
seppur ancora su schemi manieristi, alle nuove coeve soluzioni barocche. Fu
Giovan Francesco Susini che innalzò all'interno della vasca ottagonale,
arricchita dai dodici amorini provenienti dall'antico complesso statuario
dell'Isola creato nel 1620 da Cosimo II, un'elaborata struttura a candelabra
con due grandi tazze in marmo mischio e granito grigio sostenute da coppie di
nereidi e di tritoni.
In
seguito, e fino all'ultimo periodo mediceo, la gestione del giardino di Boboli
fu orientata ad un attento controllo e alla conservazione dei beni e dei
manufatti, come emerge dalla stessa planimetria del Gori, forse eseguita in
ordine alla manutenzione a finalità conservative, perseguita da Cosimo III, di
quello che era oramai uno splendido museo all'aperto. In un periodo di crisi
politica ed economica la gestione fu rigorosa e attenta, e le integrazioni
botaniche, fedelmente riportate negli inventari, vennero eseguite con esemplari
provenienti dai vivai granducali.
Dopo
la morte di Giangastone nel 1737 il granducato di Toscana passò agli Asburgo
Lorena e per ventisei anni, rifiutandosi Francesco Stefano di Lorena di
insediarsi stabilmente nel nuovo stato acquisito, fu governato da un Consiglio
di Reggenza. In questo periodo, soppresse le antiche strutture amministrative
medicee, si creò in sostituzione lo Scrittoio delle Fabbriche, la cui direzione
fu affidata a Jean Nicolas Jadot. Quasi contemporaneamente, alla fine del 1737,
giungeva a Firenze Louis Ferdinand de Nesle detto Gervais, dal 1735
riconosciuto ingénieur des jardins e
dal 1736 dessinateur ordinaire de S.A.R. in
Lorena, il 16 aprile 1739 formalmente nominato Directeur générale et dessinateur de bosquets et jardins del
Granducato di Toscana. Gervais fu il primo ‘giardiniere’ della Maison Lorraine che operò in Toscana tra
il 1737 e il 1756. A lui fu affidata, contemporaneamente a Boboli, anche la
manutenzione dei giardini dei palazzi e delle ville già medicei. Allo Gervais si
deve il riconoscimento, se non l’affermazione, di una professione fino ad
allora sconosciuta a Firenze e in Italia, quella di un nuovo tecnico in
competenze specifiche nel campo dell’architettura e della botanica, un nuovo
professionista, il giardiniere, il cui rango professionale si equiparava a
quello dell'artista e dell'architetto. Operando nell’ufficio a cui era stato
destinato, per il quale doveva assicurare il mantenimento di ogni specie
vegetale e di ogni elemento decorativo, provvedendo anche all’inventario degli
utensili, dei vasi, delle piante di agrumi, beneficiando della vendita dei legumi
prodotti e del legname ricavato dalle potature e dai tagli alle piante, Jadot
propose per Boboli soluzioni particolarmente convenienti dal punto di vista
economico. Fra queste la manutenzione ordinaria tramite pubblico appalto e la
creazione di vivai destinati alla riproduzione di piante ornamentali e da
frutto, costituendo una sorta di azienda arboricola specializzata per il
trapianto, l’innesto e la potatura di formazione di giovani piante utili per il
giardino della reggia e per tutti gli altri giardini delle antiche possessioni
medicee. Tuttavia i suoi interventi in Boboli furono oggetto di aperte critiche
e vivaci proteste da parte dei fiorentini per il taglio giudicato eccessivo di
molti alberi e per alcune variazioni d'assetto, adeguato alla moda e al gusto
francese in voga all'epoca, fra cui le nuove decorazioni dell’anfiteatro. La
platea dell'anfiteatro in muratura divenne infatti nel 1740 un parterre de broderie su spunto delle tavole riportate nel manuale La
Theorie et la Pratique du Jardinage di Dezailler d'Argenville pubblicato
l'anno precedente.
Con
l'insediamento di Pietro Leopoldo di Lorena nel 1765 iniziarono sistematici
lavori di restauro nel giardino di Boboli. Tra le prime iniziative intraprese
dal nuovo granduca vi fu quella di annullare tutti i contratti di cottimo, in
particolare quello relativo a Boboli, rescindendo l'impegno con Agostino Ricci,
fino ad allora capo giardiniere con l'incarico del "mantenimento e coltura
di tutti quei che si trovano attualmente e compresi sul recinto di detto luogo
[...] e mantenimento degli ortami, tutti gli aranci che si trovano, o sieno in
vasi, o terra".
Deplorando la politica paterna che aveva ridotto Boboli "in cattivo grado,
simile ad un bosco inculto, per il sistema tenuto in passato per il suo
mantenimento",
il nuovo granduca dispose di realizzare un giardino di specie commestibili
rare, attrezzato con couches e serre calde per la coltivazione di piante
e frutti esotici sul perimetro del mediceo Orto
degli Ananassi, affidandone il progetto a Giuseppe Ruggeri e Niccolò
Gaspero Paoletti, coadiuvati per il programma botanico da Ulrich Prucker. Venne
costruito un recinto esterno in muratura, caratterizzato da statue su piedistalli
e vasi in terracotta su pilastri ai lati del cancello d'ingresso, tutto attorno
all’ampia area delle spartizioni geometriche e agli strutturati formalismi del
nuovo orto, arricchiti anche di spalliere sempreverdi e realizzati secondo
quegli schemi da jardin potager
probabilmente vicini alle tavole esplicative dell'Encyclopédie. Vennero posizionate stufe, cassette, coperti, per
"ridurlo capace di fornire in tutte le stagioni quegli erbaggi, que'
legumi e que' frutti, che non si trovano punto altrove, [...], Ananassi, il
Caffè o altre piante esotiche".
Si trattava di uno spazio destinato alla coltivazione di legumi, frutti,
verdure, per avere in ogni stagione tutte le varietà di primizie e raffinatezze
per la tavola granducale. Nel 1767 vennero acquistate 1500 piantine di fragole,
600 piante di asparagi giunsero da Pescia, con innesti per 57 albicocchi e 30
peschi, 100 peri e 70 meli di varie specie, susini, 900 cavoli verza, 600
cavolfiore, 400 broccoli, 4500 cipollini, 5000 cipolle.
Non si trattava tanto di un orto botanico, quanto di un orto giardino per il
servizio delle cucine del granduca. Nello stesso periodo vennero comprati
numerosi bulbi da fiore, "1000 cipolle giacinti doppi di olanda di varie
specie e colori tutti da fiori [...], 250 tulipani [...], 200 cipolle narcisi
di Olanda [...], piante di violi diverse".
Il giardino del Cavaliere, il giardino di Madama, il vivaio dell'Isola vennero
riforniti di bulbi di tulipani, ranuncoli, anemoni giacinti, tuberose e
mughetti giunti direttamente dall'Olanda e da Genova.
Nel
1771 Paoletti iniziò la trasformazione di palazzo Torrigiani nella sede del
Gabinetto di Fisica e Storia Naturale istituito da Pietro Leopoldo nel 1771,
lavorando anche alla creazione di due orti botanici moderni posti a colmatura
del dislivello altimetrico tra la nuova costruzione e il giardino di Boboli. Risolti
con la costruzione di due terrazzamenti collegati da un terrapieno e
organizzati per l'esposizione delle numerose specie botaniche in essi custodite
- comprese piante esotiche d'altofusto - entro 132 spazi rettangolari, furono chiamati
Giardino Botanico Inferiore e Giardino Botanico Superiore, o anche Botanica
inferiore e Botanica superiore.
Il
Giardino Botanico Inferiore, annesso al Museo di Fisica e Storia naturale,
sorto per volontà di Pietro Leopoldo nel 1775, confinava con Boboli ed era un
ampio spazio in cui vennero piantati semi e piante, provenienti dai paesi più lontani, portati
a Firenze dall'abate Niccoli, in contatto a Parigi con i più celebri
viaggiatori dell'epoca. Era uno spazio deputato alla sperimentazione ed
innovazione finalizzate al miglioramento economico e gestionale del territorio
toscano. Nei pressi si trovava la spezieria, che accoglieva dal giardino di
Boboli agrumi e fiori di tiglio per la confezione di essenze e liquori. Nel
1777 furono inviati fiori d'arancio, rose, ribes, cedrati,
mele, 420 'bergamotte', limoni, 'arance forti’ ma anche 'rose spicciolate',
'bottoni di rose', erba Santa Maria'.
Ancora
Zanobi del Rosso costruì la Kaffeehauss, frequente ritrovo per la famiglia granducale, situata sotto i
bastioni del Forte di Belvedere, composta da tre volumi con svolgimento
verticale, sormontata da una cupoletta 'a cipolla', eco del barocco viennese e
del rococò allora in voga in molti giardini europei, e con tre terrazze con
balaustra. Le rampe di accesso alla Kaffeehaus,
decorato internamente da pitture di Giuliano Traballesi, Giuseppe Del Moro e
Pasquale Micheli, coprivano una piccola grotta e i terrazzamenti erano nella
parte inferiore coltivati a pomari, con nuove piantagioni di viti e alberi
fruttiferi, e nella parte superiore caratterizzati dal terrazzamento della
fontana del Ganimede con l'Aquila.
Poco lontano, a sinistra, si collocava la grande uccelliera fatta trasportare
da Pratolino.
In
luogo del serraglio degli animali voluto da Cosimo III, fu eretta, fra il 1777
e il 1778, una grande limonaia su disegno di Zanobi del Rosso, nel richiamo del
verde e del bianco dell'intonaco del Kaffeehaus.
Sempre Zanobi del Rosso, in collaborazione con
Niccolò Gaspero Paoletti, trasformò il bacino del Forcone, come era chiamato
dai fiorentini il Nettuno, in chiave rococò. Statue e fontane furono restaurate
o sostituite con copie da artisti coevi: John Harwood, Innocenzo Spinazzi,
Giovan Battista Capezzuoli. Prima dell'arrivo di Pietro Leopoldo la platea
dell'Anfiteatro era stata riempita, rialzando il livello di calpestio di circa
tre metri con il terreno risultante dallo scavo per far spazio a una cappella
Palatina, che non fu tuttavia mai realizzata. Da quest'operazione l'Anfiteatro,
impoverito visivamente dell'originario basamento, venne ad essere mortificato
nelle sue proporzioni, presentandosi nel 1775 suddiviso in grandi aiuole
erbate, con il grande sterro della cava limitrofa colmato e decorato a grandi
partiture di prato alternate ad aiuole. Dopo la costruzione nel 1778 della Kaffeehaus i terreni adiacenti a corona
della nuova struttura, prima occupati da vigne, vennero trasformati,
nell'ambito di un intervento di riordino generale, in giardino a partiture
geometriche. Si trattò di interventi architettonici di rilievo, per i quali
risulta dai bilanci un impegno notevole di rinnovamento botanico sulla base di
un progetto relativo ad alcune aree ancora problematiche, come il prato
dell'uccellare ed il pendio sottostante, risolti con una sequenza di rampe a
tenaglia non realizzate.
Vennero
inoltre posti in opera attorno a Forte San Giorgio tre 'piccoli giardinetti'
per i granduchini lorenesi, denominati "Giardinetti per i Reali
Arciduchini" o "Piccoli Giardinetti per i Reali Principini", collocati
all'estremità sinistra del giardino, fra la nuova uccelliera dopo la Kaffeehaus e il passaggio che conduceva
al Belvedere. Erano spazi verdi di ridotte dimensioni, finalizzati alla
didattica dei figli del granduca, che dovevano con le proprie mani imparare a
far crescere le piante secondo principi educativi che si ispiravano
all'osservazione diretta della natura. Collocandosi in terrazzamenti, in una
zona del parco in forte pendenza, erano collegati tra loro da scalini in pietra
e da un sentiero a zeta, recintati da palizzate in legno e chiusi a chiave con
un cancello, perché non vi entrassero estranei.
Vicino venne costruita una loggetta con panca murata per brevi soste. Vi era
anche un'area molto privata del giardino, oggi nota come "giardino delle
camelie", all'epoca denominata "giardino di SAR" o
"giardinetto del sovrano" che costituiva il prolungamento esterno
degli appartamenti di Pietro Leopoldo e della sua segreteria privata,
inaccessibile agli estranei, che conteneva anche 'arboscelli da fiore', cioè
camelie, e coltivazioni di diverse specie di viti.
L'orto
seicentesco collocato nell'area compresa fra l'Isola e Porta Romana venne
trasformato da Pietro Leopoldo in prato con vialetti e percorsi convergenti
verso due colonne poste in opera dal Paoletti forse su idea di Leopold Prucker.
Nel 1778, sulle rovine dell'antico serraglio mediceo, collocato nella parte
meridionale del giardino di Boboli presso l'attuale ingresso di Annalena, fu
costruito, negli anni 1777-78, il grande 'Stanzone degli Agrumi' o Orangerie,
ricovero alle preziose colture, protette nei mesi freddi in un ambiente di
raffinata praticità.
Nacque
in quegli anni anche una nuova figura di giardiniere gentiluomo,
scientificamente preparato e non solo empiricamente edotto, di cui fu emblema Antonio
Capretti, incaricato, in qualità di giardiniere granducale, di "istruirsi
sulla coltivazione dei giardini" e delle specifiche raffinate colture con
riferimento al clima e qualità dei terreni, agli strumenti di giardinaggio,
nell'obbligo di aggiornarsi costantemente nella professione.
Nel 1790 venne poi completata la palazzina della Meridiana e dell'area
circostante.
A
seguito del trasporto della collezione di Ferdinando I da Villa Medici a Roma erano
giunti in Boboli molti reperti antichi, quali l'Obelisco Egizio e i Prigionieri
Daci. Fu nel periodo lorenese, quando il giardino assunse un assetto
stabile, che nel 1792 Leopld Prucker, primo giardiniere, resocontando i lavori
da farsi e le necessità di potature e rilegature di spalliere segnalava la
necessità di "guardaportoni e guardie capaci di invigilare a chi entra nel
medesimo e di difenderlo dai danni dei malfattori".
Poco
dopo l'arrivo del granduca lorenese il 28 febbraio 1766 Boboli fu aperto al
pubblico, secondo la consuetudine consolidata durante il periodo del granducato
mediceo, alcuni giorni la settimana ad ogni ordine di persone vestite in modo
appropriato. I ragazzi potevano accedervi se accompagnati da adulti. Era
proibito l'accesso a persone di bassa plebe e ai rivenditori, ed erano proibiti
alcuni giochi pericolosi per l'incolumità dei luoghi e delle statue. Nelle
immagini di Aniello Lamberti si può notare l'alta frequentazione del giardino,
con bambini, dame e gentiluomini a passeggio. Pietro Leopoldo ordinò a più
riprese di posizionare panche in pietra per rendere più comoda la passeggiata,
e ne vennero sistemate nella rotonda attorno al Giardino dell'Isola e presso il
Kaffeehaus. Ma erano soprattutto i granduchini a godere di Boboli come luogo di
giochi, passeggiate a piedi e a cavallo, soste per gettare pane ai pesci presso
la Vasca dell'Isola, letture o compiti di scuola su seggioline e ripiani di
legno collocati all'aperto.
Con
la fuga dei Lorena nel 1799 e il governo di Maria Luisa di Borbone Parma
vennero intrapresi nella reggia di Pitti e contemporaneamente in Boboli
importanti interventi di ammodernamento di cui fu incaricato Onofrio Boni,
nominato nuovo direttore dello Scrittoio delle Fabbriche, che variò le colture
"in parte a bosco, a prato, a pomario, a giardino di fiori e di
agrumi"
nella platea dell'anfiteatro.
Dopo
un breve periodo di abbandono Elisa Bonaparte principessa Baciocchi perseguendo
un ambizioso progetto di trasformazione iniziò dal 1809 progressivi lavori in
ampie aree, trasformando alcune parti del giardino di Boboli in parco
all'inglese, forse favorendo un orientamento già in atto, probabile parziale
conseguenza dell'assenza di periodica manutenzione. Agli inizi del 1813 la
principessa autorizzava anche lo "slargamento del viale detto d'Adamo ed
Eva",
eliminando il corridoio di verzura prima collocato presso il gruppo scultoreo
del Naccherino, e tra le mura trecentesche e la limonaia creò una nuova fuga
prospettica collocando due filari di platani. Furono complessivamente pochi gli
interventi effettivamente condotti sul giardino, fra i quali lo smantellamento
nel 1809 ad opera del Cacialli del giardinetto della Spezieria per dare veste
definita alla palazzina costruita dal Paoletti, costruendo un nuovo giardino
lungo il margine inferiore dell’edificio neoclassico previo innalzamento di un
"muraglione per sostegno del terrapieno con scannafossi per le acque".
In questo periodo fu limitato quell'utilizzo ludico e moderatamente pubblico
del giardino di Boboli inaugurato da Pietro Leopoldo e accessi pubblici furono circostanziati
ad avvenimenti quali la nascita dell'erede di Napoleone, esercitazioni di paggi
e sfilate di reggimenti toscani in partenza per diversi fronti di guerra con
conseguente riduzione di tutta l'area della cavea ad anfiteatro a prato per la
rivista delle truppe.
Dopo
la caduta di Napoleone e la conseguente fuga di Elisa Baciocchi nel periodo
della Restaurazione Ferdinando III interverrà energicamente per ripristinare il
sistema delle potature e provvedere alla gestione delle piante cresciute senza
controllo e più volte descritte come ridotte a bosco e sterpaglia. Già dopo il
1820 la sequenza di piante verificate di tutti gli Stabili Regi dipendenti
dallo Scrittoio delle Fabbriche testimonia il ritrovato assetto del giardino,
poi fortemente modificato con un intervento, su richiesta di Leopoldo II, prima
attribuito al Poccianti e poi a Luigi de Cambray Digny. L'intervento è forse il
più incisivo della storia del giardino, con la sostituzione nel 1834 dei tre
grandi labirinti secenteschi con il viale carrozzabile a serpentina, che dalla
zona dell'Isola sale in sommità al viale dei Cipressi. Una netta trasformazione
del tessuto seicentesco che sostituì il declivio ai terrazzamenti cancellando
l'antico disegno e lasciando all'abbandono i boschetti laterali, trasformatisi
in lecciaia.
Un
arricchimento importante venne fornito dalla costruzione del nuovo giardino
botanico, iniziato nel 1841 sul sito dell'antico jardin potager sotto la
guida del grande botanico palermitano Filippo Parlatore, già attivo dal 1842 in
Boboli come 'responsabile della Botanica Inferiore', e strutturato in moderne costruzioni
con aiuole
e percorsi in andamento mistilineo. Qui serre e tepidari garantirono la
coltivazione di piante tropicali, esibite secondo criteri di distribuzione
geografica, e di varie specie di piante acquatiche in numerose vasche, fra le
quali l'Aquarium, un bacino circolare suddiviso in quarantotto celle.
Nel periodo postunitario la trasformazione più significativa di Boboli fu la
sistemazione del viale che dal piazzale di Bacco conduce all'Anfiteatro,
realizzata fra il 1890 e il 1891 per volere dell'Amministrazione della Casa
Reale. Da allora il Giardino è rimasto pressoché immutato, salvo l'avvicendarsi
di vari restauri conservativi o la sostituzione o l'inserimento alquanto
sporadico di nuove specie arboree.
Fortuna critica del
giardino di Boboli nelle arti:
Dall'affresco di Giorgio Vasari e Giovanni
Stradano nella Sala Clemente VII in Palazzo Vecchio emerge chiaramente
l'assetto che il Giardino di Boboli presentava nel 1530, all'epoca dell'assedio
di Firenze. Fuori dalle mura della città era accampato il principe Filiberto
d'Orange, comandante delle truppe imperiali, e il giardino, ancora proprietà
della famiglia Pitti, appare nudo e spoglio, abbattute le piante per le
necessità difensive della città assediata. In un periodo compreso fra il 1599 e
il 1602 sia il Giardino di Boboli che Palazzo Pitti furono riprodotti da Giusto
Utens in una delle diciassette lunette commissionategli da Ferdinando I dei
Medici per la Villa di Artimino.
Come osserva acutamente Bruce Edelstein,
la pianta irregolare del giardino Boboli, incuneata nel fitto tessuto urbano
dell'Oltrarno fiorentino, ha contribuito a rendere il giardino, già prototipo
ed archetipo formale della cultura rinascimentale in Toscana, un modello
architettonico esportabile ed adattabile ad analoghe realtà europee. Un esempio
emblematico della sua riproposizione, ad ulteriore conferma dell'importanza
dell'originale impianto di Boboli quale modello nella storia dell'arte europea,
è il caso del Palais du Luxembourg e dei suoi giardini. Commissionati da Maria
de' Medici, nipote di Eleonora di Toledo, divenuta regina di Francia, la loro
realizzazione segue una celebre lettera, scritta da Maria a Cristina di Lorena,
sua zia e all'epoca granduchessa regnante, dove, esprimendo il vivo desiderio
di costruire un complesso ad imitazione di Pitti-Boboli, la giovane regina
chiedeva il permesso di inviare a Firenze un suo architetto per eseguire il
rilievo del giardino e dei decori del palazzo. E' ben evidente, sottolinea
ancora Edelstein, come tanto la facciata posteriore del Palais du Luxembourg
quanto l’attinente giardino, realizzati a Parigi da Salomon de Brosse, siano
debitori del modello fiorentino, quasi una traduzione in idioma francese di
quell'originaria idea di palazzo con hortus urbano di matrice albertiana
che divenne in seguito così influente da costruire un fondamentale anello tra
l'ultima fioritura del giardino rinascimentale fiorentino ed i prodromi del
giardino alla francese.
In
occasione delle nozze con Bianca Cappello, il granduca Francesco I utilizzò il
cortile principale di palazzo Pitti per allestire uno sfarzoso 'Torneo alla
sbarra', trasformando l'anfiteatro di verzura del giardino di Boboli in uno
spazio scenico dove si collocava l'episodio centrale della rappresentazione.
Nel 1589 in occasione dei fastosi festeggiamenti di nozze fra il granduca
Ferdinando I con Cristina di Lorena venne allestita nel cortile di palazzo
Pitti una Naumachia con la regia del
Buontalenti descritta da Gherardo Silvani ed immortalata in un'incisione di
Orazio Scarabelli.
Le
prime testimonianze di una stabile attività rappresentativa nel giardino di
Boboli risalgono ai primi anni del Seicento e sono relative ad un nuovo genere
di spettacolo che arricchiva le modalità del torneo e della giostra di un
supporto maggiormente enfatico, richiedendo una trama e l'impiego di gran
numero di comparse, fra cui anche cavalli addestrati, nonché l'utilizzo di
varie macchine sceniche, fino ad allora impiegate in ambito specificamente
teatrale. Tali spettacoli vennero in seguito chiamati 'balletti a cavallo' e,
frequentemente riprogrammati, si mantennero praticamente immutati per più di un
secolo.
Nel
1606 fu organizzato da Giulio Parigi, presumibilmente nel prato dietro a
palazzo Pitti, uno spettacolo militare con l'assalto vittorioso ad un baluardo
difensivo turco da parte delle truppe cristiane comandante dal giovane figlio
di Ferdinando I, futuro Cosimo II, suo allievo. La scenografia potentemente
geometrica della rappresentazione vide la partecipazione della nobile gioventù
legata alla corte coinvolta nel corteo e nella parata militare con carri.
Nel
1628, in occasione delle nozze di Margherita de' Medici con Odoardo Farnese si
organizzò, sempre nel prato retrostante il cortile, La Disfida d'Ismeno, opera
poetica con musiche e canti di Andrea Salvadori, arricchita di figure a
cavallo, azioni militari, cortei e l'apoteosi finale del carro trionfale.
L'8
luglio 1637 il cortile di Palazzo Pitti ospitò, nell'ambito dei festeggiamenti
per il matrimonio di Ferdinando II dei Medici con Vittoria della Rovere,
l'opera in musica Le nozze degli Dei.
Per la prima volta una commedia musicale fu rappresentata nel cortile
dell'Ammannati, per altro dotato di una splendida acustica e fino ad allora
utilizzato prevalentemente per manifestazioni iconografiche. Nell’occasione
anche l’anfiteatro di Boboli venne inaugurato quale 'luogo teatrale', in
controparte al cortile. Trasformato in vero e proprio palcoscenico, a
rievocazione di antichi schemi coreografici, da Alfonso Parigi, ingegnere
granducale succeduto nella carica al padre Giulio nonché appaltatore e scenografo
dell'opera musicale, l’anfiteatro accolse infatti un continuo succedersi di scenografie
con strutture mobili, supporti tecnici per nuvole e voli accompagnati da
musica, cori e balli.
In
occasione della visita di Maria Carolina e Ferdinando di Napoli nel 1785 venne
organizzata nei cortili di Palazzo Pitti e nell'anfiteatro di Boboli una
fastosa festa immortalata da Giuseppe Maria Terreni nella guache Festa da
ballo data a Palazzo Pitti e nel giardino di Boboli il 31 maggio 1785. Aperti nell'occasione ad ogni ceto di persone,
questi luoghi già splendidamente scenografici vennero arricchiti di
architetture effimere e giochi di luci, e vi vennero ospitati concerti
d'orchestre, canti e danze di contadine, giochi e rinfreschi offerti al popolo
e ai signori.
Il
14 maggio 1906 l'anfiteatro del giardino di Boboli ospitò un concerto diretto
da Pietro Mascagni. Rimangono ancora celebri quegli spettacoli all'aperto di
musica, teatro, danza, che si svolsero nel giardino nel secolo scorso, fra i
quali Il sogno di una notte di mezz'estate di William Shakespeare, con
la regia di Max Reinhart nel 1933, il Come vi pare di Jaques Copeau nel
1938, La Tempesta di William Shakespeare con regia di Giorgio Strehler
nel 1948, il Troilo e Cressida di William Shakespeare con regia di
Luchino Visconti nel 1967, Egmont di Johann Wolfgang Goethe ancora con la regia
di Visconti, The Fairy Queen, diretto da Luca Ronconi nel 1987.
In occasione del III Maggio Musicale Fiorentino venne rappresentata in Boboli
nel 1937 l'Incoronazione di Poppea di
Claudio Monteverdi, e dal 2000 il giardino ospita le edizioni di "Opera
Festival", rassegna di opera lirica, danza e concerti.
Come
riporta Margherita Azzi Visentini, molte testimonianze di viaggiatori che nella
prima metà del Seicento visitarono l'Italia riportavano descrizioni e
apprezzamenti del già famoso giardino di Boboli. Sia la residenza granducale di
Pitti che Boboli erano infatti inseriti nel percorso urbano raccomandato dalle
sempre più numerose guide alle bellezze d'Italia, corresponsione alla crescente
domanda di coloro che si apprestavano a compiere il Grand Tour. Nell'Itinerario di Franz Scott, apparso per la prima
volta nel 1600 ed in seguito più volte riedito, nonché negli appunti di
viaggiatori colti e attenti quali Michel de Montaigne, Johann Jacob Grasser,
George Sandys, Fybnes Moryson, l'anonimo autore dell'Itinerarium Italiae totius, pubblicato a Colonia nel 1602 e di Richard
Lassels, si riportano descrizioni di Boboli. Fra i viaggiatori illustri il principe
Ludwig von Anhalt-Köhten fece tappa a Firenze dal 1599 al 1601, stringendo
rapporti di amicizia con gli esponenti della cultura locale e descrivendo nel
suo diario sia il palazzo granducale di Pitti che il magnifico giardino di
Boboli. Charles De Brosses, in visita a Firenze nel 1739, descrisse il
complesso di Pitti, evidenziandone le similitudini con quello del Louxembourg
eretto a Parigi per volere di Maria de' Medici, e nel 1765 anche il De La Lande
descrisse dettagliatamente Boboli. Due decenni più tardi lo stesso Wolfgang
Goethe, passando a Firenze, citava Boboli elogiando la sua magnifica
collocazione di statuaria, mentre i fratelli Goncourt, verso la metà del XIX
secolo, ammiravano in particolare l'Isola
e il gruppo del Giambologna.
Fra
i numerosi viaggiatori che visitarono i giardini toscani e che, interessati per
competenza professionale all'architettura o all'arte dei giardini, registrarono
le loro impressioni in preziosi taccuini o diari di viaggio furono i tedeschi
Heinrich Schickhardt, architetto del principe del Wüttenberg, in Italia sia nel
1598 che nell'anno successivo, Joseph Furtenbach il Vecchio, che nel 1621
pubblicò Newe Itinerarium Italie dove
descrisse l'architettura conosciuta durante la lunga residenza in Italia,
dedicando ampio spazio anche a residenze private e ai loro giardini e
descrivendo dettagliatamente Boboli con i giochi d'acqua, le grotte e la
fontana dell'Oceano, e il suo discepolo Georg Andreas Böckler che nel suo Architectura Curiosa Nova, apparso 1664,
dedicò quattro tavole a Palazzo Pitti e al giardino di Boboli, nonché il
britannico John Evely, che giunse a Firenze nel 1644, e che descrisse in
particolare la grotta dell'Ammannati. Costoro videro il giardino di Boboli
nelle fasi del suo ampliamento, descrivendole minuziosamente.
La
fortuna editoriale di Boboli non finì con il Seicento. L'americana Beatrix
Jones, famosa landscape architect,
visitò Boboli il 12 maggio 1895, descrivendolo e riproponendone le suggestioni
nei propri progetti, tra cui la grande ‘Ellipse’ di Dumbarton Oaks che rievoca
vagamente l'Isola.
Un
documento di particolare importanza è il Cabreo "Palazzo Pitti, Boboli e
loro attenenze" che insieme ad altri sei costituisce parte di quella
preziosa collezione cartografica conservata presso l'Archivio Centrale dello
Stato a Praga nel fondo Archivio
Familiare degli Asburgo di Toscana. Si tratta di un ampio insieme di cabrei
di edifici, palazzi, ville e fattorie, poderi e giardini appartenenti ai
granduchi Asburgo di Toscana, commissionati dal granduca Pietro Leopoldo
nell'ambito dell'attività di riallestimento di palazzo Pitti e di altri
immobili della corona. L'organica raccolta del Cabreo conserva documenti
risalenti alla seconda metà del Settecento, disegnati a penna su carta,
colorati a mano e rilegati in pelle marrone con fregi in oro, e contiene oltre
a centinaia di piante e alzati di diversi edifici anche dettagliate planimetrie
delle varie possessioni.
In particolare la pianta di Boboli denominata "Descrizione del Real
Giardino detto Boboli di S. A. R.", la "Pianta del Seraglio
degl'Animali di Boboli con la Casa che abita il Rossi Fontaniere di
S.A.R", la "Pianta delle Stanze à Terreno, che servono di Serraglio
d'Animali in Boboli di S.A.R.", la "Pianta della Grotta di Bacco in
Boboli di S.A.R.", la "Pianta dello Stanzone di Vasi per gl'Agrumi
del Real Giardino di Boboli di S.A.R.", la Pianta del Piano Terreno della
Villa detta del Cavaliere in Boboli di S.A.R." con l'annesso giardino, la "Pianta
del Piano Terreno della Real Fabbrica del Caffeaus in Boboli con il circondario
delle Vigne annesse al medesimo di S.A.R.".
Nel
periodo lorenese, come del resto durante tutto il periodo mediceo, si trovavano
in Boboli le abitazioni di alcuni addetti ai servizi di corte: Ulderico
Prücker, giardiniere del Jardin Potager,
dimorava accanto al giardino degli ortaggi. Anche il fontaniere Rossi, il
giardiniere Agostino Ricci e il custode Giovan Battista Sestini abitavano in
annessi dentro il giardino. Il bibliotecario Giovanni Gaspero Menabuoni viveva
presso Costa San Giorgio in una villa a tre piani dove conservava una ricca
collezione di dipinti. Altri edifici del giardino erano adibiti a botteghe ed
abitazione per artigiani attivi nei cantieri di corte, legnaioli, fontanieri,
aiuti giardinieri, guardie, nonché per il fornaio di corte, per lo speziale,
l'"anatomico" Giuseppe Ferrin e per il "macchinista" del
Museo della Specola Anonio Matteucci, per la lavandaia dei regnanti, Eva
Schmitz, per suo marito, usciere a Pitti e per le balie della real prole.
Alessandro
Sardelli ci informa di un documento di particolare interesse datato 11 aprile
1908 dal quale apprendiamo come il giardino di Boboli fosse aperto
'liberamente' al pubblico il giovedì e la domenica "da tempo
antichissimo", concessione mantenuta anche durante "il tempo in cui
Firenze era Capitale del Regno", mentre venivano dati permessi di accesso
"per un giorno o permanenti" a forestieri di passaggio che non
potevano "profittare dei giorni nei quali il Giardino era aperto al
pubblico" e a "persone di una certa distinzione" che avessero
chiesto "di poter mandare a passeggiare [...] le loro mogli, figli o altri
membri della loro famiglia" a Boboli. Il direttore del giardino, redattore
del testo, sottolineando come l'usanza dell'apertura al popolo del giardino
granducale fosse antica - già nel 1744 infatti era stato riconfermato
quel regolamento per l'apertura al pubblico nei giorni festivi che risaliva al
tempo del principato mediceo - specificava anche come, trovatala in vigore
quando nel 1890 ne aveva assunto la direzione, avesse deciso di mantenerla.
Altri
documenti segnalano come Boboli venisse aperto anche per manifestazioni
pubbliche, garden party di
beneficienza, concerti e celebrazioni, testimoniando come la struttura del
giardino si trasformasse, attrezzandosi con banchi di vendita, giochi, giostre,
gite in barca nella vasca dell'Isola, in funzione delle esigenze di una società
di massa, e di come le aree del parco si dividessero in zone per eventi
artistici e feste campestri, sempre riservando uno spazio privato ad uso
esclusivo della famiglia reale.
Nel
primo dopoguerra si intensificarono le richieste di plurimi eventi da
allestirsi in Boboli, in particolare eventi di beneficienza in favore di reduci
e orfani e per la raccolta di fondi contro la tubercolosi, diffusasi con il
ritorno in città dei soldati. Nel 1922 nei locali delle ex scuderie, già
destinati all'Istituto artistico e alla scuola Leonardo da Vinci, si tenne la
prima Fiera Internazionale del Libro. Da questa data le ex Scuderie Reali
divennero la sede privilegiata di un ampio ventaglio di manifestazioni
culturali, poi decentrate anche nel circuito di altri palazzi fiorentini,
aventi Boboli quale ponte e cerniera tra la città e le manifestazioni
internazionali in essa ospitate.
Negli anni '70 e '80 del Novecento Boboli è
stato anche uno spazio privilegiato di esposizione di arti concettuali e il
giardino, nell’occasione luogo della memoria, dell'immaginario e della messa in
scena di nuovi linguaggi tra natura e artificio, passato e presente, arte e
tecnologia, ha ospitato i lavori di Anne e Patrick Poirier (Boboli. Frammenti di marmi e di parole),
Mario Bagnoli (L'anello mancante alla
catena che non c'è), nonché installazioni di Roberto Barni, Antonino Bove,
Fabrizio Corneli, Franco Guerzoni, Mario Mariotti, Albert Mayr, Giulio Paolini,
Renato Ranaldi, Thomas Virnich e altre mostre ed installazioni, alcune delle quali
divenute parzialmente permanenti, come quella, nel 2002, dell'artista polacco
Igor Mitoraj.
All'interno del programma di salvaguardia e di
valorizzazione del Giardino di Boboli, promosso e gestito da un apposito
Comitato costituitosi nel 1987 presso l'Accademia delle Arti del Disegno,
coadiuvato dalle tre Soprintendenze fiorentine per i Beni Ambientali e
Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici e dall'Opificio delle Pietre
Dure, fu decisa l'organizzazione del Convegno Internazionale “Boboli ‘90”, sede
di confronto pluridisciplinare attorno alle istanze conservative e conoscitive
del complesso monumentale del giardino di Boboli cui seguì la preziosa
pubblicazione degli Atti.
Alla sensibilizzazione degli organi tecnici e
amministrativi competenti verso le esigenze di una conservazione programmata,
da attuarsi nei diversi settori del giardino con ciclici interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, seguì l'informazione presso diverse
fasce di pubblico e il vincolo d'accesso, in seguito a Decreto Ministeriale del
3 agosto 1990, allo storico complesso, gratuito per i residenti, a pagamento
per tutti gli altri. Eletto il giardino quale ‘universo complesso da conoscere,
interpretare e gestire in ottica multidisciplinare’, vennero definite sei
discipline, storia dell'arte, architettura, ingegneria e idraulica,
archeologia, scienze biologiche e botaniche, scienze antropologiche, sulle
quali modulare le regole d'uso e di conservazione del complesso. Venne anche
decisa la musealizzazione dei manufatti lapidei, le numerose statue antiche e moderne
insidiate dall'esposizione agli agenti atmosferici, che vennero in parte
trasferite e sostituite da copie, ulteriormente connotando il giardino di
Boboli, primo esempio in tal senso, come museo all'aperto.
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Le fonti
iconografiche sono riportate nelle didascalie in fondo alle immagini e dove non
espressamente indicato sono da intendersi di proprietà dell’Autore.
©
Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la
fonte.
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