La villa e il contesto
paesaggistico:
Situato lungo la via Bolognese, a Nord di
Firenze, nei Comuni di Barberino di Mugello e San Piero a Sieve, Cafaggiolo
nasce come piccolo borgo a fianco di un castello poi denominato ‘de' Medici di
Cafaggiolo’ ed in seguito trasformato nella più illustre fra le residenze
medicee mugellane. Si inquadra all'interno del contesto strategico nel
triangolo Trebbio-Cafaggiolo-San Martino, posti a difesa della valle e della
viabilità verso Bologna, importante quale unica possibile via di accesso,
eventuale percorso per invasive truppe straniere e dunque conseguentemente
presidio obbligato, nonché indispensabile itinerario ai fini del
vettovagliamento della città di Firenze. Collocato in pianura, Cafaggiolo si
insinua nella stretta valle retrostante, tra la collina ricca di boschi, il
corso d'acqua della Sieve e i campi coltivati del paesaggio agricolo
allungandovi la forma a cuneo trapezoidale dell'estensione retrostante del
giardino.
Toponomasticamente Cafaggiolo deriva da Cagio,
Fagio, e Cagiolo, vocabolo quest'ultimo simile a Cagagio,
che prima dell'anno Mille designava un parco o ampio spazio recintato coperto
di boschi, mentre Cafagium, da cui il diminutivo di Cafaggiolus,
dal quale poi Cafaggiolo, denominava successivamente, nella lingua volgare
della bassa latinità, un piccolo bosco o boschetto di faggi. Mutando
significato nel tempo Cafaggiolus venne a significare una resede di
caccia, circondata e difesa da boschi preposti alle battute del signore,
oppure, amministrativamente, quell'edificio, poi fortificato da torri e fossi,
sede del castaldo, detto in toscano 'cagarriaio', fulcro gestionale di un vasto
sistema territoriale di mansi e poderi. Da questo primo nucleo di castello di
caccia, fortilizio di difesa e controllo sulla viabilità verso Bologna, nonché
centro direzionale di gestione e governo di ampie aree agricole e boschive,
sorse in seguito la villa medicea.
Il
complesso di Cafaggiolo, schema architettonico chiuso, recintato, fortificato,
una grande villa 'edificata in fortezza' dall'aspetto medievaleggiante
paragonabile alla vicina Trebbio, racconta ancora oggi la sua storia di
villa-fattoria, prototipo e modello di residenza signorile in campagna
finalizzata alla villeggiatura, al riposo, allo studio, alla cura delle
attività agricole, collocata nel Mugello al centro di una grande bandita di
caccia e di una ricchissima tenuta agraria. Sorta attorno ad un fortilizio
della Repubblica fiorentina, cui si aggiunsero nel tempo vari ampliamenti, era
una residenza signorile per il doctum otium del possidente, preferita da
Cosimo il Vecchio che vi ospitava quei testi antichi e moderni, sacri e
profani, da lui tanto amati, quando si ritirava in campagna per dedicarsi allo
studio e alla frequentazione di dotti umanisti del proprio circolo, nonché
all'attività agricola e venatoria, emulando Cicerone e come lui dedicandosi con
passione alla creazione di giardini e alla ricerca di opere d'arte con cui
abbellirli. Costituiva anche il nucleo direttivo di un'ampia proprietà terriera
extraurbana circondata di annessi agricoli, stalle, fienili, cantine, case per
contadini e addetti alla sua conduzione. Era nello stesso tempo anche un
palazzo fortificato dai volumi robustamente articolati, munito di torri, mura
con aperture per gli archibugi e le balestre, ponte levatoio e fossati per la
difesa e il controllo militare del territorio circostante. Cafaggiolo costituì
anche, quale prima esemplificazione dei caratteri morfologici delle ville
toscane di campagna con annesso giardino, quella modalità di successione
giardino-paesaggio agricolo-selvatico (bosco) che inaugurò la traduzione di
prima seconda e terza natura nel disegno della nuova villa suburbana. Narra
infatti il Vasari nella vita di Michelozzo Michelozzi che questi mise mano alla
villa di Cafaggiolo per ordine di Cosimo de' Medici, aggiungendovi un
vastissimo parco per la selvaggina, intramezzato da giardini, orti, ragnaie e
fontane, riordinando i poderi e le strade, incrementando la tenuta di nuove
piantagioni d'alberi e aumentando notevolmente l'estensione dei boschi.
Nel sistema legislativo mediceo sulla
caccia e sulla pesca, che molto interessò le terre mugellane, e fra queste i
possedimenti di Cafaggiolo, è evidente la volontà di riservare alla famiglia
granducale ampi territori interessati alla tutela e difesa del patrimonio
faunistico in cui esercitare in termini di esclusività le attività venatorie.
Numerosi sono i casi, fin dal Cinquecento, di luoghi in cui per pubblico bando
fosse proibita o limitata l'attività venatoria in difesa della riproduzione e
per la tutela degli animali e dei pesci. Nel Mugello i Medici possedevano
proprietà molto estese che comprendevano bandite di una certa rilevanza fra cui
Cafaggiolo, la cui proprietà si collocava al centro di una grande bandita
riservata alla caccia e alla pesca e di una ricchissima tenuta agricola,
delimitata dalle bandite di Panna a nord e del Carlone a sud. L'importanza di
Cafaggiolo fra le molte proprietà medicee consisteva non solo nella ricchezza e
varietà di selvaggina del suo territorio, che la rendeva tra le preferite, come
è testimoniato dal poemetto giocoso scritto da Lorenzo il Magnifico, Uccellagione
di starne in occasione di una famosa battuta di caccia svoltasi proprio nei
boschi di Cafaggiolo, ma anche nella sua collocazione sulla principale strada
fra Firenze e Bologna. A Cafaggiolo il bando del 4 febbraio 1549/1550 precisava
i confini della bandita di Scannellone e Cafaggiuolo, in cui la caccia veniva
proibita con qualsiasi strumento, dalle reti ai lacci, e affinché le
proibizioni emanate venissero rispettate, erano stabilite pene per i
trasgressori.
L'importanza di questo territorio e di
quelli di tutta la provincia del Mugello, dove spesso i granduchi si dedicavano
alle attività venatorie, è confermato da bandi successivi che aggiunsero altri
territori alla bandita di Cafaggiolo: importanti ad esempio quelli del 15
luglio 1564 e del 12 ottobre 1605 che ampliarono la riserva annettendo alcuni
territori della valle della Sieve. Da segnalare il bando generale del 1622 che
riunì tutte le disposizioni precedenti in materia di caccia e pesca concedendo
ai proprietari di fondi danneggiati del Dominio e del Distretto fiorentino la
libera caccia degli animali nocivi, quali volpi, lupi e tassi senza uso di
archibugi o di reti.
Nuovi confini vennero stabiliti
successivamente dal bando generale del 1622 e da quello del marzo del
1625-1626, che decretava l'aggiunta di ulteriori fondi a quelli minuziosamente
descritti per la bandita di Cafaggiolo, "che comincia al ponte di S. Piero
a Sieve e tira per la strada maestra di Bologna insino all'hosteria del Giogo, e
dal detto Giogo seguitare detto Giogo insino a dove comincia l'Astura [...],
seguitando per detta Astura insino alla dirittura del poggio delle Selve, e
caminando su per la strada di detto poggio insino al Marzuolo [...], e di lì
andando per la strada diritta infino all'osteria di Montecarelli, e di lì
calando a dirittura al Massone in su la Forcella, calando per detta Forcella
insino al mulino di Ribatta, andando a dirittura a Tigliano, luogo dell'herede
di Piero Morelli, andando a dirittura a Pruneta, luogo delle monache di
Boldrone, e da detto luogo calando a dirittura al molino di Remoli nel
Tavaiano, calando già per detto fiume insino alla Sieve, e camminando su per la
Sieve dalla bocca del Tavaiano suddetto infino alla bocca del fossato del
Fatino, e lasciando la Sieve, e pigliare detto fossato del Fatino andando su
per esso insino al fossato del Finocchieto, e seguendo per detto insino alla
chiesa di Cupo, calando giù per il fossato di Pezzatola insino nel Carlone e
per il Carlone insino alla strada maestra che va a San Piero, insino al ponte
di San Piero a Sieve" ed
impartiva disposizioni particolari, quali la possibilità di cacciare lepri e
starne per mezzo di cani, solo nel periodo dal primo ottobre al primo di
Quaresima. Ulteriori norme, emanate nel gennaio 1714, regolavano il diritto
delle guardie a controllo della tenuta di catturare ed imprigionare i
trasgressori.
Ferdinando I, grande cacciatore e
pescatore, che cacciava sempre con il suo 'sternaiolo', ed "ebbe gran
gusto a lepri, starne e coturnici",
agli inizi del Seicento introdusse nella bandita di Cafaggiolo anche i fagiani.
Dal ‘Cabreo di Cafaggiuolo’ dedicato a Ferdinando II e redatto nel 1629 si
rileva con evidenza la presenza nel possedimento delle case degli 'strozzieri',
addetti all'istruzione dei falchi da caccia, e del guardiacaccia.
Cenni storici:
La genesi e la storia di Cafaggiolo,
villa-palazzo appartenente alla tipologia di residenza signorile suburbana per
soggiorni prolungati di villeggiatura e gestione agricola delle proprietà
annesse, presenta numerose incertezze dovute alla carenza documentaria. Il
luogo, una delle più antiche proprietà medicee, è accertato proprietà dei
Medici fin dal 1359, comparendo in questa data per la prima volta nel rapporto
di ispezione di Tommaso di Buonaccorso Adimari e Ottavio Gherardini, commissari
della Repubblica fiorentina. Annotando come Cafaggiolo costituisse, con la sua
produzione di duecento moggia tra grano e biada, una fonte di abbondante
produzione agricola, i due funzionari sottolineavano anche come fossero in
essere lavori di riadattamento che giudicavano opportuni alla dignità di una
dimora signorile.
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Fig. 1. La villa di Cafaggiolo nella lunetta di Giusto Utens, MSTF
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L'esplicito riferimento ad un cantiere lascia
supporre che un decisivo intervento edilizio si ebbe a Cafaggiolo negli anni
intercorsi tra il 1359 e il 1373 quando fu aggiunta alla prima struttura una
torre quadrata che venne a collocarsi conseguentemente sul lato nord-est della
corte ovest, un contornamento lungo i lati nord, est e sud, mantenendo dunque a
ovest la perimetrazione originaria e conservando a confine esterno il primitivo
nucleo militare. Dalla successiva descrizione del Foligno, risalente al 1373,
Cafaggiolo si presenta già come un 'palagio' dotato di corte, loggia, mura e
fosso, che appare dunque preesistente, contrariamente alle affermazioni del
Vasari, all'intervento michelozziano. Risulta inoltre comprensivo di case
intorno alla piazza e di una via che, girando tutt'attorno, conduce fino al
ponte, connotazione importante che si manterrà inalterata e distintiva del
disegno del giardino nei secoli seguenti. Ulteriori notizie di Cafaggiolo
derivano da scarne descrizioni catastali risalenti al XV secolo che lasciano
supporre ulteriori lavori eseguiti dopo il passaggio della proprietà, per
estinzione della discendenza nel ramo di Averardo di Bicci, fratello di
Giovanni, al figlio di questi Cosimo il Vecchio.
Nel primo Catasto, risalente al 1427, Averardo di Francesco di Bicci de'
Medici, cugino di Cosimo, dichiara "un habituro acto a fortezza posto in
Mugiello luogho decto Chafaggiuolo, [...] et datorno fossi di decto luogho chon
più masserizie per mio uso, et più una casetta di fuore didecto luogho chon
habitura da famiglia et stalla, che da la piazza, a ij Antonio et Albizo de'
Medici, iij fossato et più ortoli per uso della chasa...".
La descrizione evidenzia una struttura architettonica presumibilmente unitaria
dal punto di vista stilistico, circa la quale ben poche sono le informazioni
documentarie giunte a noi. Imperativa conseguenza procedere per ipotesi sulla
base di considerazioni storiche e raffronti stilistici, in primo luogo con la
vicina Villa del Trebbio. Cafaggiolo esplicita una maturazione architettonica e
decorativa rispetto al Trebbio. Conseguentemente sembrò inizialmente plausibile
una datazione di cantiere, e la consequenziale traduzione formale nei caratteri
distintivi del complesso, nel lasso temporale fra il 1436 e il 1438. Tuttavia
se il 18 aprile 1436 papa Eugenio IV fu ospite a Cafaggiolo, una delle tappe
del viaggio del corteo papale verso Bologna, appare plausibile che i lavori
iniziassero prima dell'ottobre 1434, prima dunque che Averardo e Giuliano
partissero per l'esilio. Un'ipotesi prevede, sulla base di tali considerazioni,
l'eventualità di una committenza diretta di Averardo di Bicci, in rapporti familiari
con Michelozzo, ma anche la possibilità che proprio Giuliano, divenuto alla
morte di Averardo erede di Cafaggiolo, anch'esso in familiarità con Michelozzo,
abbia dato il via ai lavori affidandoli all'amico architetto.
Nell'ipotesi storicamente più accreditata
tuttavia i lavori michelozziani di Cafaggiolo vengono fatti iniziare, su
committenza diretta di Cosimo il Vecchio de' Medici, fra la data in cui Cosimo
entrò di fatto in possesso della proprietà, cioé il 1443, ed il 1451, quando si
stipulò l'atto notarile che stabiliva come i beni di Cafaggiolo, il castello e
i dodici poderi, restassero al fedecommesso, si conservassero cioè intatti e si
trasmettessero in tutto ai rispettivi discendenti. L'edificio è definito
'palazzo' nel documento notarile, lo stesso appellativo dato a Careggi, i cui
lavori erano da tempo terminati, significando dunque che la nuova dimensione e
conseguente dignità ed importanza della residenza di Cafaggiolo dovesse essere
perlomeno similare. Tuttavia potrebbe anche essere attendibile che Michelozzo
intervenisse a Cafaggiolo negli anni successivi al 1451, perché, pur essendo
Cosimo di fatto proprietario da quando nel 1440 era morto Lorenzo, che aveva
lasciato il bene a Pierfrancesco, suo unico erede e ancora giovanissimo, ne era
però legalmente solo l'amministratore, gestiva cioè la porzione ereditaria del
nipote.
Solo nel 1451, al raggiungimento della maggiore
età di Pierfrancesco, si procedette alla divisione legale del patrimonio,
registrando l'ufficiale presa di possesso della villa di Cafaggiolo da parte di
Cosimo pater patriae. In questo particolare risiede il motivo che ha
spinto all'accreditata ipotesi dei lavori iniziati dal 1451. Infatti soltanto
in quell'anno Cafaggiolo è proprietà di Cosimo,
al quale Vasari attribuisce la committenza ed alla cui personalità di dotto
umanista, amante dei libri, appassionato latinista e lettore di Cicerone,
questa villa medicea è così fortemente legata. "Fece ancora Cosimo
de' Medici, col consiglio e disegno di Michelozzo, il palazzo di Cafaggiuolo in
Mugello, riducendolo a guisa di fortezza co' i fossi introno, [...]".
Sembrerebbe dunque lecito assumere il 1451 come data post quem per
l'intervento michelozziano, che tuttavia dal confronto delle descrizioni
risulta con ogni probabilità ben più rilevante negli ambienti interni,
configurandosi all'esterno più come un disegno restaurativo che come
ricostruzione.
E'
tuttavia certo che l'intervento che definì il palazzo di forma rettangolare,
disegnato e realizzato da Michelozzo intorno alla struttura preesistente,
consistette nell'edificazione del piano cantinato, del piano terreno, dei piani
primo e secondo e della copertura. I piani superiori furono ripetuti da
Michelozzo "parimenti" a quelli inferiori, a parte il camminamento
all'ultimo piano, realizzato "tutt'intorno" al palazzo com'è ora ad
eccezione della parte retrostante. Sulle logge furono realizzate sale in
successione. L'unica significativa differenza fra i vari piani furono i solai
che l'architetto realizzò nella loro attuale struttura, con volte,
prevalentemente a vela ed a botte lunettate, impostate sui peducci di pietra,
per le cantine e il piano superiore, e con travi di legno per il primo piano e
a capriate a sorreggere la copertura del secondo piano. Oltre il camminamento
tutto intorno, anche la seconda torre, il fosso con i muri, il ponte levatoio,
l'ampio spiazzo davanti circoscritto da muri sui lati est e nord, e con quel
"filare delle case", ancora oggi denominato "la manica
lunga" come scriveva il Corsini, a sud, e l'orto sul retro, furono opere
dell'ampliamento realizzato da Michelozzo. Inoltre, come riporta Vasari nelle
poche ma incisive righe dedicate a Cafaggiolo, l'opera michelozziana si estese
anche all'organizzazione de "i poderi, le strade, i giardini, le fontane
con boschi attorno, ragnaie, e altre cose da ville molto onorate"
che organizzavano nelle immediate vicinanze un paesaggio ordinato e rinnovato
con estese piantagioni d'alberi, fra cui l'introduzione di specie esotiche, per
il quale si spesero 10.000 fiorini d'oro, all'epoca una somma favolosa. Sono
ben evidenti a Cafaggiolo, villa signorile articolata in aggregazione
volumetrica, i caratteri che Michelozzo impresse ai suoi successivi cantieri:
volumetrie chiare, orizzontali, definite con rigore geometrico, superfici
intonacate nitide ritmate da finestre quadrangolari listate di pietra,
sobrietà, essenzialità, dialogo volumetrico, mancanza di decorazioni
accessorie, in seguito supporto formale di tutta l'architettura fiorentina di
campagna.
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Fig. 2. Veduta del fronte principale della villa di Cafaggiolo (Fotografia © Claudia Maria Bucelli 2012)
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Tali
caratteri contribuiscono a caratterizzare il castello di Cafaggiolo, primo
esempio di complesso che riunisce le funzioni di villa, palazzo signorile,
fattoria di campagna, designato a dimora di rango aristocratico per la
villeggiatura, il riposo, lo studio, alla cura delle attività agricole del
ricco committente ma anche a punto di riferimento visuale, ordinativo e
gestionale per una vasta estensione di possedimenti extraurbani, prototipo e modello
di residenza per i soggiorni in villa nell'età dell'Umanesimo.
Morto Cosimo il Vecchio nel 1464, suo
figlio Piero il Gottoso ereditò la proprietà, indivisa, a metà con il cugino
Pierfrancesco. Nell'inventario dei beni posseduti da Piero de' Medici nel
Mugello nell'anno 1468, alla morte del padre Cosimo, la proprietà di Cafaggiolo
è così descritta: "Un abituro grande edificato a guisa di fortezza con
fossi murati introno e con antemuri, et con due torri entrovi 4 colombaie e con
altri edifici dentro ad esso, sicondo s'aspetta a tale abitazione, posto nel
piviere e popolo di S. Giovanni a Petrojo, vocato Cafaggiolo, con piaza grande
dinanzi murata intorno da due lati, et dall'altro più abitazioni murate a una
dirittura et lunghezza pe' bisogni e comodità di detto abituro, overo
fortezza".
Alla morte del Gottoso il bene passò a Lorenzo il Magnifico e a Giuliano, suo
fratello. Anni dopo, il 22 novembre 1485, per il fallimento di uno dei suoi
banchi il Magnifico trasferì la proprietà della propria metà del possedimento
di Cafaggiolo ai cugini Lorenzo e Giovanni il Popolano, figli di Pierfrancesco
Vecchio, ricevendone a conguaglio quattro poderi a Poggio a Caiano, dove fece
costruire l'omonima villa. Il lodo divisorio fra il Magnifico e i cugini
descrive "un Palagio de Signori in Fortezza con fussi intorno con orto,
con tre loggie, antimuro et due torri, et altre sue appartenenze, et con uno
filare di case in su la piazza dinanzi dove sono granai, stalle, vendemmia,
capanne, forno, habitation di fattore, et alcune case che s'appigionano".
Il bene venne in seguito ereditato per metà da Giovanni delle Bande Nere,
figlio di Pierfrancesco Vecchio, per poi passare con tutti i beni di famiglia,
finita la discendenza di Cosimo il Vecchio con l'assassinio del duca
Alessandro, al ramo del figlio di Giovanni nella figura di Cosimo I.
La villa di Cafaggiolo è forse nota molto
più ai cultori della storia della famiglia Medici che non agli storici
dell'arte. A Cafaggiolo sono evidentemente legate le leggendarie origini della
casata che ha così fortemente inciso sulle vicende fiorentine e toscane. Nel
1436 questa avita residenza, preferita da Cosimo il Vecchio ed in seguito amata
ed abituale località delle villeggiature estive di Giuliano e Lorenzo
giovinetti e poi dei figli di Lorenzo accompagnati dai loro tutori, ospitò
Clarice Orsini e i figli nei giorni turbolenti successivi alla congiura dei
Pazzi. Accolse papa Eugenio IV e la sua corte in viaggio per Ferrara, e nel
1459 ospitò papa Pio II ed il suo seguito, che proprio a Cafaggiolo emanò una
bolla d'indulgenza. Giovanni de' Medici, poi divenuto papa Leone X, di
passaggio a Firenze nel dicembre 1515 volle tornare a Cafaggiolo per qualche
giorno, nonostante la rigida stagione, per ritrovarsi nei luoghi cari
all'infanzia. Fu inoltre nelle chiacchiere e negli ozi della villeggiatura
mugellana a Cafaggiolo che Lorenzo il Magnifico scrisse Nencia da Barberino
e Luigi Pulci Beca da Dicomano. Bernardo Pulci, inviando in dono al
Magnifico un suo canzoniere lo fece precedere da una dedica poetica:
"Sonetto mio a Cafaggiolo andrai, / Paese bel che siede nel Mugello, /
Dove tu troverai Lorenzo nostro".
A Cafaggiolo soggiornarono Angelo
Poliziano, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Lucrezia Tornabuoni, Maria
Salviati e Giovanni delle Bande Nere, Cosimo I, Francesco, Lorenzino e
Ferdinando de' Medici, Donatello, Amerigo Vespucci, Matteo Franco, Caterina de'
Medici, futura regina di Francia, che vi ricevette il 18 aprile 1533, con 12
nobili giovani nobili fiorentine, Margherita d'Austria, figlia dell'Imperatore
Carlo V sposa promessa del Duca Alessandro, e, saltuariamente, venne usata come
casino da caccia da Francesco I e Bianca Cappello. Altre future spose dei
Medici fecero tappa a Cafaggiolo nel viaggio nuziale verso Firenze: Giovanna
d'Austria promessa sposa di Francesco I vi venne ricevuta il 1 novembre 1565 da
nobili rampolli fiorentini capeggiati da Alamanno Salviati e Lorenzo Ridolfi.
Il 15 ottobre 1608 vi giunse il corteo nuziale dell'arciduchessa Maria
Maddalena d'Austria, promessa sposa al principe Cosimo, futuro Cosimo II,
figlio di Ferdinando I e Cristina di Lorena, che qui incontrò per la prima
volta la sposa. A Cafaggiolo morì poi
Dianora, detta Leonora o Eleonora di Toledo, figlia di Don Garzia, fratello di
Eleonora moglie di Cosimo I, sposata a Don Pietro de' Medici, uccisa, soffocata
con un 'asciugatoio',
dal marito nella villa di Cafaggiolo l'11 luglio 1576 per vendetta di un
tradimento extraconiugale e seppellita nelle cappelle medicee della sagrestia
nuova di San Lorenzo a Firenze, anche se per volontà dei Medici nessuna
iscrizione la ricorda.
Quando Cosimo I entrò in possesso della
proprietà ingrandì l'edificio inserendo sul fronte orientale un corpo di
fabbrica ben leggibile, di sviluppo inferiore al fronte preesistente, con
stanze a piano terra coperte da volte a crociera fortemente ribassata e travi a
vista e con al piano superiore un vasto salone a soffitto ligneo decorato, a
cui verrà posteriormente aggiunta una loggetta.
Ampliò inoltre la proprietà fino a raggiungere complessivamente la dimensione
di 30 poderi, un mulino, nove casette, vari casolari, un'osteria, tre
fornaci e 895 staia di terreno boschivo, facendovi
anche realizzare un grande barco murato, una riserva di caccia privata dove
introdusse animali rari, mentre sulla sinistra della villa fece costruire le
scuderie. Cosimo donò in seguito il possesso di Cafaggiolo al figlio Don
Pietro, e, morto questi senza eredi, la proprietà tornò alla famiglia regnante
nella figura del Cardinale Ferdinando de' Medici, salito al trono granducale
dopo la morte di Francesco I e di Bianca Cappello come Ferdinando I. Il
granduca Ferdinando era solito passare i mesi autunnali a Cafaggiolo, la più
ricca e vasta tenuta di proprietà della corona, con una bandita di caccia
ricchissima di uccellagione, e dal 1600 al 1607 vi passò quasi senza
interruzione i mesi di settembre e ottobre, trasformandola, nei tempi della sua
presenza, nella sede ufficiale della reggia dove facevano sosta ambasciatori,
cardinali, principi e personaggi illustri.
Era proprio con l'antico possesso di
Cafaggiolo, sito di provenienza della famiglia e toponimo distintivo del ramo
che unificò sotto il suo scettro la Toscana, che iniziavano le 17 lunette
commissionate dallo stesso granduca Ferdinando I come inventario dei
possedimenti della casa regnante e realizzate fra il 1599 e il 1602 dal pittore
fiammingo Giusto Utens. Nella celebre lunetta la villa è raffigurata come
presumibilmente, salvo piccoli cambiamenti, doveva essere ai tempi dello stesso
Lorenzo il Magnifico. Un 'palagio' di campagna circondato da dipendenze
agricole, chiuso in una vallata. Una architettura a coronatura di merli su
archetti con tetto sporgente caratterizzata da due torri, delle quali la più
bassa, sul davanti, in corrispondenza del portale d'accesso con ponte levatoio,
dall'aspetto di fortilizio, stretto dalle basse e massicce mura quadrate di
cinta, merlate e immorsate con torrioni angolari, attorno all'antico fossato,
poi terrapieno, e arricchito anche da un'ampia estensione a parco per la
selvaggina intramezzato da giardini riportati dall'Utens con abbondanza di
particolari. Giardini quattrocenteschi di carattere rustico abbelliti di
padiglioni e fontane ed un grande 'horto' nella parte posteriore, un ampio
spazio riparato da muri, siepi e steccati, con pergolati di vigne e aiuole
regolari bordate da siepi, chiusi verso il torrente sul lato sinistro dove era
un piccolo attracco per le imbarcazioni, il 'porto di Cafaggiolo', collegamento
fluviale con la vicina Sieve, da una ragnaia.
La villa è legata
anche al mondo della tecnica. Accanto al castello, infatti, esisteva una
fabbrica di celebri maioliche già dai tempi di Lorenzo il Magnifico. Risulta
dagli atti notarili, datati 1485, la cessione della proprietà a Lorenzo e
Giovanni di Pierfrancesco in cui è citata per la prima volta la fabbrica di ceramiche,
"una casa ad uso di stovigliaio in su la piazza di Cafaggiuolo tienla a
pigione Nanni di Turi di Bartolo".
In un altro documento del 1506 si legge ancora "una casa con una fornace
da stariglie (stoviglie) dirietro posta in su la piazza di Cafaggiuolo nel
filare delle case di detta piazza. Tienla a pigione Pietro e Sthefano di
Fhilippo, da Monte Lupo".
Nei cabrei pubblicati da Leonardo Ginori Lisci è riportato il disegno di un
edificio con adiacenti capannoni formati da pilastri che sostengono il tetto e
sotto la scritta "Fornace" circoscritta da ornamenti e fregi con
teste di drago sputafuoco.
La costruzione riprodotta nel cabreo corrisponde
a quella ancora esistente, non lontano dalla villa, tuttora chiamata 'la
fornace'.
Lo sviluppo e la celebrità della fabbrica, che aveva due forni, uno per la
produzione corrente ed uno per fabbricazioni di raffinata qualità, crebbero
grazie agli artisti toscani che vi lavorarono, favoriti dallo stimolante clima
culturale della villa di Cafaggiolo e dal circolo di intellettuali ivi raccolto
da Lorenzo il Magnifico. Il colto patronato dei Medici garantì a lungo la
presenza di ceramisti affermati che seppero tradurre nei loro lavori le nuove
istanze dell'arte fiorentina, sensibile alle idee neoplatoniche di Marsilio
Ficino e Agnolo Poliziano.
Dal secondo Quattrocento in poi il nome di Cafaggiolo si impose infatti nella
storia della maiolica per la raffinatezza artistica e l'alta qualità delle sue
opere, espressioni fra le più nobili del Rinascimento italiano, che vide la
produzione di autentici capolavori, alcuni attualmente esposti ora al
Fitzwilliam Museum di Cambridge e al British Museum di Londra, destinati anche
alla famiglia regnante e a istituzioni cittadine e famiglie nobili.
L'affermarsi di un sempre più raffinato modus
vivendi da parte dei ceti più abbienti favorì infatti la richiesta di
serviti istoriati e di piatti con lo stemma gentilizio. Gli Strozzi, i Buonarroti,
i Pitti e altre famiglie nobili fiorentine commissionarono alla fabbrica
medicea maioliche con le loro insegne, continuando anche dopo la morte di
Lorenzo a perseguire gli ideali culturali della corte medicea, facendosi dunque
sostenitrici di un'arte particolarmente colta.
In particolare gli anni compresi fra l'ultimo decennio del Quattrocento e il
1530 furono i più felici per la manifattura, e videro fiorire una produzione di
alta qualità artistica per il suo accostamento a ornati di cultura classica,
alterando motivi orientali ad altri desunti dall'oreficeria italiana, al gusto
statuario, ideologico riferimento alla dimensione politica e culturale della
classe dominante.
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Fig. 3. Giuseppe Zocchi, La Real Villa di Cafaggiolo, GDSU, Firenze
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Dopo la morte, nel 1525, di Pierfrancesco
de' Medici, la fabbrica iniziò un lento declino, continuando tuttavia le
lavorazioni. Infatti nel XVI secolo, tra i beni di Cosimo I e di Don Pietro suo
figlio, sono descritte la casa, bottega e fornaci ad uso di vasellai tenute a
pigione da Iacopo di Stefano. Sotto Cosimo I, preoccupato per la difficile
situazione politica di Firenze e poco incline ad occuparsi della manifattura,
Cafaggiolo conobbe il definitivo declino e le produzioni di ceramiche cessarono
definitivamente alla fine del '500. Subito dopo, per volontà di Ferdinando I, i
laboratori vennero adibiti a fabbrica di specchi alla maniera di quelli
francesi. Il granduca affidò ai suoi ingegneri la costituzione di una fornace e
di un laboratorio completo di ogni attrezzatura necessaria per la lavorazione
del vetro alloggiandolo negli ambienti della vecchia fabbrica di maioliche,
chiamando alle proprie dipendenze operai francesi con i quali iniziò
un'attività che ancora perdurava dopo la sua morte, il 7 febbraio 1609.
All'inizio del Seicento il giardino attorno alla
villa di Cafaggiolo venne trasformato come appare dal disegno del cabreo del
1629 dedicato a Ferdinando II.
Gli spartimenti regolari, prima destinati con ogni probabilità a erbaggi e
piante aromatiche, pur mantenendo identica la struttura, vennero ridisegnati
con preziose broderies, mentre sul prato davanti alla villa comparve una
giostra a motivi fantastici. Dai rilievi planimetrici di Alessandro Foller,
risalenti al 1746, risultava anche un giardino pensile ricavato sul bastione
nell'angolo Nord-Ovest nel quale si collocava una cappella dedicata ai patroni
dei Medici, i Santi Cosimo e Damiano.
Estintasi la casa medicea in Giangastone
nel 1737, Cafaggiolo passò agli Asburgo-Lorena che imposero importanti
mutamenti al complesso. Negli stessi anni la villa fu oggetto di accurata
descrizione, documento unico nel suo genere ed inedito, nelle sue parti esterne
ed interne dal fattore Andrea Corsini nel 1743, anno della stesura, riferendosi
allo stato di fatto dell'anno 1740.
Un disegno realizzato da Louis-Pierre
Baltard
ci informa che nel 1786-88 Cafaggiolo non aveva più alcuna cinta difensiva.
Appare dunque chiaro quali furono gli interventi dei nuovi granduchi, che
colmarono i fossati allo scopo di prosciugarli, senza tuttavia abolirli, non
facendo arrivare il riempimento di terra a livello del suolo circostante.
Ben nota era l'avversione di Pietro
Leopoldo per le acque stagnanti, serbatoi di malaria, tanto da imporre a se
stesso l'impegnativa impresa delle bonifiche maremmane, il prosciugamento della
piana di Montecatini e persino la soppressione delle grandi peschiere davanti
alla villa di Castello.
E' dunque fortemente ipotizzabile che proprio Pietro Leopoldo decidesse di
colmare il fossato e di trasformare in termini di utilità l'antico castello.
Cafaggiolo si trovava ad una giusta distanza da Firenze, e permetteva una sosta
provvidenziale a chi doveva affrontare i valichi appenninici e a chi li aveva
faticosamente valicati.
L'architettura venne dunque adeguata a locanda, alle cui quotidiane necessità
provvedevano le possessioni agricole e l'attigua riserva di caccia e di pesca,
e a posta, installata negli annessi della villa medicea. Del resto lo stesso
Pietro Leopoldo nel settembre 1765 vi aveva fatto tappa prima dell'ingresso
nella capitale, e successivamente vi aveva soggiornato ripetutamente nei suoi
viaggi verso la Romagna Toscana, ritornandovi ancora per un soggiorno con la
moglie Maria Luisa ed ospitandovi più volte principi e regnanti. Nel 1769, nel
1775, nel 1778 e poi nel 1783 il granduca accolse proprio a Cafaggiolo suo
fratello, l'imperatore Giuseppe II, di lì muovendosi poi con lui verso Firenze.
Nel 1825 vi furono alloggiati anche i reali di Napoli, giunti in visita.
Nel 1864, all'indomani dell'annessione
del Granducato al Regno d'Italia, Cafaggiolo fu acquistata ad un'asta demaniale
dal principe Marcantonio Borghese che decise alcune modifiche sia all'edificio,
imprimendovi l'attuale disposizione e affidando i lavori all'ingegnere Giovanni
Piancastelli, che al giardino, trasformato in piccolo parco romantico
arricchito da piante esotiche. Nel 1887 il principe fece anche affrescare sullo
stile neo-rinascimentale - su disegni e motivi del contado, dietro accurata
ricerca storica da parte dello stesso Piancastelli e del pittore Samoggia da
Bologna, dagli artisti mugellani di Borgo San Lorenzo Leto Chini e suo fratello
- alcune sale al piano terreno. Oltre ai fregi ornamentali furono inventati di
sana pianta anche motti ed emblemi di famiglie e città, e in omaggio forse
all'antica fabbrica locale di maioliche furono posti sopra i peducci delle
volte numerosi stemmi colorati. In concomitanza con i lavori alla fabbrica
principale furono costruite in questo frangente anche le botteghe a sinistra
dell'edificio, presso l'antico fossato, poi deviato e coperto per rendere più
facile l'accesso dalla parte di mezzogiorno. Vennero anche demolite le antiche
mura di difesa e realizzata una costruzione esterna di servizio adibita a
scuderie, granai, tinaie, ancora oggi esistente.
Fu a lungo attribuito al principe
Borghese l'abbattimento della massiccia torre centrale. Tuttavia se
dall'incisione dello Zocchi della metà del XVIII secolo la torre appare ancora
presente e la vista della villa dimostra che per quasi un secolo e mezzo, dalla
data del dipinto dell'Utens, la residenza medicea aveva subito modifiche solo
marginali, una veduta degli incisori Magazzari e Rosaspina, attribuita agli
anni 1800-1825, rappresenta Cafaggiolo senza torre, anticipando dunque la data
della demolizione alla prima metà dell'Ottocento.
Una testimonianza ulteriore, emersa in
tempi recenti, ha permesso di anticipare la data della demolizione ancora più
addietro, riconducendola alla seconda metà del XVIII secolo. Sulla base infatti
del disegno di Louis-Pierre Baltard riproducente il Castello di Cafaggiolo e
datato 1824 possiamo asserire che negli anni del viaggio di Baltard in Italia,
1786-88, Cafaggiolo era già privo del torrione centrale e del ponte levatoio
nonché della cinta merlata dei bastioni e del fossato, ed il corpo
dell'edificio si levava dal terreno spianato, richiamando alla mente una
magione agricola coronata da un ballatoio, assumendo l'unica torre superstite
il carattere di una grande piccionaia da signori.
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Fig. 4. Veduta della villa di Cafaggiolo da Louis-Pierre Baltard, A fortified villa in an Italian landscape, with figures conversing and children playing in the foreground, 1824, propr. priv., riprodotta nel Catalogo d'asta Nineteenth Century European Paintings Sculpture and Master Drawings, New York, Christie's, 22 maggio 1996, nr. 21, da VERTOVA L., Cafaggiolo sotto i Lorena, in "Artista", 1999
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Appare evidente che l'abbattimento della
torre originaria dovette con ogni probabilità avvenire almeno prima del 1788.
Del resto se il potenziale difensivo dell'avamposto medievale di Cafaggiolo era
già apparso nullo ai primi granduchi medicei, che avevano fatto erigere in sua
vece la fortezza di San Martino dominante i passi meridionali del Mugello da
un'altura sopra San Piero a Sieve, è lecito supporre che la demolizione del
torrione centrale della villa medicea sia stata decisa da Pietro Leopoldo per
un analogo impulso di utilitarismo progressista
più che per motivi di instabilità causati da eventuali scosse telluriche,
ipotesi, questa, più volte ripetuta, ma non fondata su notizie accertate né su
lesioni in altre parti dell'edificio, ed ad oggi più che mai ritenuta
improbabile.
In seguito a vendita fallimentare il
castello passò successivamente alla famiglia Gerini e nel 1936 fu acquistato
all'asta giudiziale da un privato. La proprietà pervenne poi dalla
Congregazione dei Frati Trappisti di Roma che adattarono l'architettura a
convento, asilo e fabbrica di formaggi. Nel 1965, con atto del 1 giugno,
Cafaggiolo fu trasferito ad un ecclesiastico ed in seguito alla grande
alluvione del 1966 fu nuovamente trasferito, con decreto del Giudice del
Tribunale di Firenze, ad una società privata, dal 1970 proprietaria, e
successivamente ad un’altra società privata. Dopo un trentennio di chiusura, a
riaprire i saloni di Cafaggiolo ci ha pensato nel 1999 un’altra società privata
che ha a lungo gestito da affittuaria parte degli spazi del castello come
percorso museale tematico per visite guidate e aprendoli ad eventi d’ogni tipo,
dai matrimoni ai ricevimenti in costume ai corsi di cucina rinascimentale.
Recentemente la proprietà è passata a un’ulteriore società della quale ancora
non si conoscono progetti ed intenzioni, che lo ha nuovamente chiuso alle
visite.
Caratteri
tipologici e architettonici:
L'architettura di Cafaggiolo, chiamata
dal Vasari 'palazzo', sembra corrispondere più alla definizione di
villa-castello, come il vicinissimo Trebbio. Del resto questa villa nasce
attorno ad una preesistente torre a pianta quadrata, in origine presumibilmente
isolata. Essendo il luogo fin dall'epoca romana punto strategico di grande
importanza per il controllo della viabilità da Firenze a Bologna, passo
obbligatorio nella vallata della Sieve ed unico passaggio verso l'Emilia
Romagna, appare fondatamente ipotizzabile che il nucleo originario fosse una
torre romana o longobarda di guardia e di difesa. Tale preesistenza oggi scomparsa,
che permetteva un controllo ad ampio raggio del territorio circostante, fu
dunque la struttura attorno alla quale si sviluppò l’edificio, prima con la
costruzione di un'abitazione, poi con l'intervento di Michelozzo,
successivamente con l'ampliamento di Cosimo I.
La facciata principale della villa,
un’architettura in muratura mista continua, come risulta da alcuni attuali
cedimenti di intonaco, si compone di due blocchi laterali e di un massiccio
torrione centrale collegati in continuità dalla coronatura merlata su cui si
innesta la copertura a falde in orditura lignea. Sporgente rispetto al filo del
muro, il tetto disegna un complesso gioco di ombre nella successione dello
scuro dello spazio vuoto e del bianco del pieno intonacato della merlatura, in
un netto contrasto col sottostante alternarsi delle ombre lunate degli
archetti. Questa ininterrotta fascia di coronamento, che conclude l'edificio su
tre lati, conferisce al complesso un effetto di unitarietà nonostante la
diversità delle facciate e dei piani sfalsati, unificandolo in un insieme
articolato ma omogeneo. Dal torrione, intatto nelle proporzioni anche se
percettivamente differente per il livellamento e riempimento del fossato, con
conseguente scomparsa della scarpa sotto il materiale di riporto che avanza per
quasi tutta la lunghezza rispetto al fronte principale, si accede all'interno
della costruzione. E' probabile che il portone di ingresso dovesse avere
originariamente, in luogo dell'odierno bugnato fortemente marcato, una cornice
più semplice. Il muro merlato che collega il torrione con il braccio laterale
nord è stato quasi eliminato da una grande apertura semicircolare. Si tratta di
un intervento presumibilmente successivo all'unificazione d'Italia, legato
probabilmente ad un progetto demaniale in seguito abbandonato, che prevedeva di
utilizzare Cafaggiolo come caserma, del quale sussistono ancora le carte
conservate a Firenze nel Museo Storico Topografico "Firenze com'era".
I fronti a nord e a sud, su quest'ultimo
si colloca l'unico accesso alternativo all'ingresso principale risalente
presumibilmente all'intervento michelozziano, non presentano elementi di
particolare qualità, a parte alcune finestre per le quali non è possibile, dati
i numerosi interventi succedutisi nel tempo con rapida frequenza, fornire una
datazione sicura. Il piano terra presenta invece, a fianco della torre, due
grandi finestre inginocchiate chiuse da grate con mostre in pietra, risalenti
ai consistenti lavori della fine del Cinquecento.
L'ala occidentale dell'edificio prospetta
sull'ampio giardino retrostante e si presenta come un corpo di fabbrica
distinto, addossato al nucleo architettonico originale. Tale addizione
cinquecentesca esibisce infatti caratteri morfologici diversi, soprattutto
nelle dimensioni in altezza e larghezza. L'edificio si sviluppa intorno ad un
vasto cortile centrale in andamento planimetrico a L, occupato lungo il fianco
ovest dalle strutture murarie volute da Cosimo in sostituzione dell'iniziale
muro merlato che delimitava il "giardino segreto", e attorno ad un
cortile minore, rettangolare, che si estende oltre il muro merlato della
facciata e sul quale si elevava la grande torre poi demolita. L'ingresso
monumentale e la più piccola porta a sud immettono nell'ampia corte a L
attraverso due lunghi androni con disposizione perpendicolare. La prima
galleria, di forma allungata, è caratterizzata da una volta a botte con
inserimento di tre vele triangolari. Tali locali delimitano una serie di ampie
sale voltate a vela caratterizzate negli angoli da specchiature dimezzate.
L'addizione cinquecentesca ospita al
piano terra locali con volte a crociera ribassate. Un ambiente in angolo con il
fianco sud, in cui si colloca un importante camino in pietra serena, si
caratterizza per un semplice soffitto in legno a travi a vista. Al primo piano
di questa porzione di edificio si colloca un salone monumentale a soffitto
ligneo che presenta una particolare decorazione a ovuli, dentelli e cordonature.
All'intersezione fra il fianco ovest e l'ala nord una loggia a pianta
rettangolare, voltata a crociera, si apre verso l'esterno in quattro arcate a
tutto sesto sorrette da pilastri in pietra a base quadrata. In asse si snoda un
largo corridoio che percorre l'ala nord per l'intera lunghezza, dilatandosi
infine in un'anticamera di servizio a due ampie sale con volte a sesto
ribassato e lunette raccordate con unghiature su peducci. Alla fine
dell'Ottocento tali locali si arricchirono di tempere e decorazioni in stile
neo-rinascimentale con stemmi, medaglioni, motti ed emblemi di famiglie e città
toscane, e, sopra i peducci, stemmi delle Arti Maggiori fiorentine, realizzati
in maiolica da manifattori locali, mentre sulle volte si disegnò un'alternanza
di decorazioni geometriche e coloriture monocrome.
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Fig. 4. Pianta del piano terreno della residenza medicea di Cafaggiolo in Mugello in un disegno di Giorgio Vasari il Giovane, GDSU, 4920 A, in Ferrara M. Quinterio F., Michelozzo di Bartolomeo, Firenze, Salimbeni, 1984
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Il
collegamento verticale rimane affidato a rampe di scale situate in posizione
simmetrica rispetto all'assetto distributivo dell'edificio. In particolare la
scala disposta lungo il fianco meridionale presenta al piano terreno un piccolo
vano quadrato con volta a crociera sulla quale s'innesta la volta a botte
ribassata posta a copertura della prima rampa. Un andito rettangolare
disimpegna il primo piano, quasi interamente voltato a crociera, e quindi il
piano ammezzato, dal quale parte l'ultima rampa.
Il
mezzanino presenta un soffitto ad orditura lignea, in parte sorretto da un
pilastro in pietra a fusto ottagonale e capitello quadrato che collabora con
due mensole lignee a foglia d'acqua scanalata.
Alla
villa si aggiunge un giardino pianeggiante anteriore, di forma quadrilatera
irregolare, privo di disegno formale e di vegetazione arborea e arbustiva, a
parte due grossi cedri simmetrici rispetto all'ingresso principale, senza assi
e percorsi principali o secondari, organizzato semplicemente come ampio prato
tutto attorno all'edificio. Sul retro si colloca un esteso parco con alberi
secolari, fra i quali alcune conifere isolate ed un denso perimetro di
latifoglie d'altofusto. Presumibilmente l’assetto del parco attuale è quello
che, senza grandi cambiamenti, fu costituito dai mutamenti decisi dal principe
Borghese. Si tratta di un progetto di impianto paesaggistico-scenografico con importanti
esemplari collocati nell’area centrale del parco e affiancate da una densa
fascia arborata perimetrale associata ad arbusti con due vasche in muratura,
una voliera, un finto pozzo e i resti di una fontana. Narra la tradizione che
una sequoia vi fosse portata e piantata da Giovanni da Verrazzano.
Non esistono preesistenze, salvo il perimetro, costituito da un muro in pietra,
rimasto immutato.
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MSTF
= Museo Storico Topografico "Firenze com'era", Firenze.
GDSU
= Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
*
Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, studiosa di
paesaggio e di storia e simbologia dei giardini.
©
Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la
fonte.
continua
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