La villa e il contesto
paesaggistico:
La villa di Poggio Imperiale sorge a ridosso
dell'Oltrarno fiorentino sulla collina di Arcetri, all’esterno delle antiche
mura della città che comprendono il vicino giardino di Boboli. Si colloca a
circa un chilometro dal piazzale di porta Romana e a due da palazzo Pitti,
risiedendo dunque in un contesto di forte pregnanza storica nonché in un ambito
paesaggistico e panoramico di rilevante suggestione e pregio. Vi si accede
percorrendo per circa un chilometro un lungo viale, l'antico 'Stradone'
costruito per volontà di Maria Maddalena d’Austria, fiancheggiato da olmi,
lecci e cipressi, che dal Piazzale di Porta Romana, in un incremento di
suggestiva percezione prospettica della facciata, conduce alla villa.
Da Poggio Baroncelli,
nome dell’antica famiglia fiorentina che ne fu proprietaria, il sito prese il
nome di Poggio Imperiale il 23 maggio 1624 per volontà della stessa Maria
Maddalena d'Austria, vedova di Cosimo II de' Medici, che con editto granducale
elesse 'Villa Baroncelli' a 'Villa Imperiale', da cui il passaggio di Poggio
Baroncelli a Poggio Imperiale, per sottolinearne l'identità di luogo di
residenza della reggenza di stirpe imperiale, palazzo del potere regnante della
sorella dell'Imperatore Ferdinando II d'Austria e futura sede di rappresentanza
delle granduchesse di Toscana. Residenza celebrativa della legittimità del
governo transitorio della reggenza e dell'autorità dell'azione politica della
granduchessa asburgica in vece del figlio minorenne, futuro Ferdinando II,
Poggio Imperiale certamente non costituì il malinconico ritiro per la vedova
del defunto granduca, bensì una comoda ed elegante villa suburbana vicinissima
alla città dove dedicarsi, lontano dall'ufficialità della corte, all'otium
e ai sani divertimenti della vita in campagna. Essa fu infatti per tutto il
periodo dell'interregnum di Maria Maddalena e della suocera Cristina di
Lorena la residenza simbolo di quel potere politico che la granduchessa aveva a
sé avocato per l'autorità derivantele non solo dall'essere vedova di Cosimo II
de' Medici e madre del successore al trono, ma anche e soprattutto in quanto
discendente dalla famiglia degli Asburgo. Collocato in prossimità delle mura
cittadine e al centro di ampi poderi, boschi e riserve di caccia, il sito di
Poggio Imperiale offriva gli stessi vantaggi delle altre residenze di campagna
per gli eletti alla sua frequentazione, che vi potevano godere l'aria salubre
delle colline dilettandovisi anche nell'attività venatoria, rappresentando,
soprattutto dopo l’esecuzione di quei lavori decisi dalla granduchessa Maria
Maddalena, una vera e propria estensione della corte medicea, non da meno,
quanto a magnificenza, a Palazzo Pitti. Inoltre l’'ubicazione dell'edificio,
simbolicamente vicino alla sede ufficiale di Pitti, fuori dalle porte di
Firenze e in cima a un alto colle, messo in scena dallo 'Stradone' rimasto ad
oggi intatto dove ancora si legge evidente l'antica idea del Parigi di creare
un asse di proiezione della città nella campagna che avesse come fuga
prospettica la facciata della villa, ha senza dubbio contribuito a
caratterizzare il sito, trovando un'eco nella sistemazione urbanistica dei
grandi viali che tuttora si proiettano sino a sfociare in piazza di Porta
Romana.
Delle statue che formavano la scenografica soluzione urbanistica adottata per
il piazzale di Porta Romana - i quattro vivai, due di uguale forma mistilinea e
due quasi semicircolari, arricchiti dalle statue antropomorfiche dell'Arno
e dell'Arbia, furono interrati nel 1765 - rimangono la 'Lupa che
allatta due piccoli infanti', e il 'Leone che schiaccia il globo',
oggi collocati all'innesto di viale Machiavelli. Agli innesti del viale del
Poggio Imperiale sono state invece successivamente collocate, in base e in
sommità, quattro sfingi provenienti da due ponti sospesi ottocenteschi.
Anche Poggio Imperiale,
come le altre ville medicee, si collocava al centro di un grande complesso
agricolo accuratamente amministrato chiamato 'Fattoria del Poggio Imperiale',
vincolato da bandita. Nell'Archivio di Stato di Firenze si conservano ancora
libretti e giornali che riportano le entrate e le uscite di denaro per la
vendita dei prodotti agricoli e le spese di necessità alla loro coltivazione,
alla gestione del bestiame e alla manutenzione degli annessi rurali e delle
case coloniche. I terreni della bandita si estendevano dalla porta San Pier
Gattolini, attuale Porta Romana, costeggiavano parte di via Senese, l'antica
via Romana, e parte delle mura della città adiacenti al giardino di Boboli.
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Fig. 1. Veduta zenitale del complesso della villa di Poggio Imperiale, da Internet
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Raggiungevano la sommità
della collina dalla quale dominava la villa, allungandosi più indietro fino al
fiume Ema e rasentando i confini delle proprietà di alcune ricche famiglie
fiorentine.
Tra il 1618 e il 1624
l'ampia tenuta era stata ulteriormente ingrandita da Maria Maddalena d'Austria
che, acquistando cinque nuovi fondi con le relative case di campagna, era
riuscita a raggiungere quell'estensione complessiva di sedici poderi che le
avrebbe permesso di realizzare il monumentale 'Stradone' di accesso alla
residenza prediletta, per le peculiari funzioni di rappresentanza della quale
numerosi giardinieri erano vincolati ad una costante opera di manutenzione del
viale d'accesso. Come è puntualmente annotato nei registri di spese, a frequente periodica cadenza si eseguivano i lavori di potatura e
annaffiatura delle piante rimpiazzando gli esemplari ammalati, pulitura degli
'acquidocci' da terra e detriti, rimozione dei sassi e regolare aggiunta di
nuova ghiaia lungo il percorso carrabile, tondatura dei cipressi e degli olmi
attorno alla residenza, sfilatura annuale alle parti interne ed esterne degli
altofusti che costeggiavano il viale, rimozione dei nidi di insetti. Già verso
la fine del XVII secolo nella 'Pianta generale di tutti i poderi e fabbriche
della Fattoria del Poggio Imperiale" datata 1696 risultavano solo undici
poderi per la villa di Poggio Imperiale: il podere 'del Palazzo', 'di
Barbadoro', 'del Santuccio', 'del Guasto', 'della Luna', 'della Colombaia',
'delle Monache', 'del Monte', 'della Casa', 'del Titi alla Tinaia', 'del Ronco
al Titi'. Una fattoria afferente alla villa, con terreni coltivati prevalentemente a
vigneti e oliveti, comprendendo inoltre ampie aree boschive destinate alla
caccia, ospitava anche ragnaie e uccellari. Due ragnaie del tipo 'bagnato',
fiancheggiate cioè da due viottole con nel mezzo un percorso d’acqua
attraversato da ponti di frasche, raffigurate nella pianta della fattoria del
1696 come occupanti due lunghe strisce di terreno dal confine sud-est al
nord-ovest, attraversavano i quattro poderi 'di Barbadoro', 'del Palazzo', 'di
mezzo allo Stradone' e 'del Ronco e Titi'. Nei due uccellari cinti da fitte siepi,
uno a forma ottagonale nel 'podere del Palazzo', l'altro a forma circolare nel
podere 'di Barbadoro' si collocava al centro una capanna di verzura dove si
appostava l'uccellatore che attirava i volatili fischiando.
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La legislazione medicea sulla caccia e sulla pesca, che destinava alla famiglia granducale ampi territori in cui esercitare in termini di esclusività le attività venatorie, interessò, nel bando generale del 1622, anche la bandita di Poggio Imperiale. Riunendo tutte le disposizioni precedenti in materia di caccia e pesca, questa legislazione elencava anche per la Fattoria dell'Imperiale le specie cacciabili, proibendo cinghiali, cervi, daini, caprioli, lepri, fagiani, starne, colombi, nidi di volatili, regolando le modalità dell'attività venatoria e concedendo ai proprietari di fondi danneggiati del Dominio e del Distretto fiorentino la libera caccia degli animali nocivi, quali volpi, lupi, tassi, permettendo di 'cacciare e uccellare' con cani e balestre, senza però la possibilità di utilizzo di 'archibusi e munitione minuta', lacci o reti.
Imponente era l'impianto idrico che alimentava il sistema di vasche, fontane e grotte dei giardini e del viale prospiciente la villa di Poggio Imperiale.
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Fig. 2. Pianta generale dei terreni e dei fabbricati facenti parte della fattoria del Poggio Imperiale all’anno 1696, quando la villa con le sue attinenze era passata a Cosimo III per legato testamentario della madre Vittoria della Rovere con indicati gli undici poderi, ASFi, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973.
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Relazioni redatte dal 'Capo Fontaniere' e dal 'Direttore delle Fabbriche e Fontane' riguardo ai lavori da
farsi ai condotti e all'impianto di smaltimento delle acque reflue, e una
planimetria della prima metà del XVIII secolo,
probabilmente ad uso dei tecnici preposti alla manutenzione dell'acquedotto, dove
è riportata in dettaglio la rete idraulica con relativa descrizione a fianco,
forniscono preziose notizie. L'impianto di approvvigionamento idrico era
alimentato da cinque sorgenti e, incanalata in 'canne di piombo' e 'minie',
l'acqua arrivava ai bottini intermedi e alle conserve sotterranee dell’impianto
da dove, filtrata, passava ad alimentare il giardino. Per lo smaltimento delle
acque piovane erano utilizzate canalette in terracotta denominate 'acquidocci'
dislocate lungo lo 'Stradone' che venivano regolarmente pulite da foglie e da
terra per evitare che si intasassero (probabilmente è ad oggi lo stesso sistema in
funzione nel giardino a ovest dell’edificio della villa, dal quale si accede
alla grotta).
Documento importante sono i coevi inventari tenuti dai giardinieri che forniscono
interessanti notizie sulle specie botaniche coltivate nei giardini di Poggio
Imperiale. La coltivazione più importante, come per il giardino di Castello,
era quella delle piante di agrumi, sia a spalliera che a boschetto che in vaso.
Nei giardini della villa si trovavano spalliere basse e bordure per le aiuole,
per la maggior parte in bosso affiancate da salvie, spighi, rosmarini, mortelle
e lentaggine, e siepi alte, piantate lungo i muri di recinzione del giardino,
di noccioli, viti, rosmarini, mortelle, peri cotogni, melograni, allori, edera,
agrifogli, lauroceraso, aranci, limoni, cedri, agrumi. Nel caso del Poggio
Imperiale erano impiegate spalliere di cedrati, arance del Portogallo, limoni,
albicocchi, viti di uva nobile, e i parterres erano bordati di bosso. I
numerosi agrumi in vaso venivano tolti dallo 'Stanzone de' vasi' in primavera e
disposti agli angoli delle aiuole e lungo i vialetti. Si trattava soprattutto
di limoni in diverse varietà: i 'limoni ordinari' (Citrus limo), i
'limoncelli di Napoli' (Citrus aurantifolia), le arance, coltivate in
vaso, di tre varietà: le 'arance forti' (Citrus aurantium), quelle
'dolci' (Citrus sinensis) e le 'arance portogalle', i cedrati, in forma
di spalliere: i 'cedri di Firenze' (Citrus medica Florentia), così
denominati perché introdotti a Firenze all'inizio del XVII secolo dalla Liguria
e subito perfettamente acclimatatisi. Oltre agli agrumi, in omaggio alla
tradizione medicea incominciata da Cosimo I, i giardini della villa ospitavano i
frutti nani, menzionati in filze del primo Settecento riguardanti spese
"per opere impiegate a vangare la proda a' frutti nani e governare detti
frutti et aggiustare la chiudenda che è attorno a detti frutti".
Accoglievano inoltre, come anche nella villa di Castello cara al primo Granduca Cosimo I,
diverse varietà di gelsomini. Il 'gelsomino ordinario' (Jasminum officinale),
spesso usato come portainnesto per altre due varietà più pregiate chiamate 'gelsomino
catalogno' (Jasminum grandiflorum) e 'mugherino' (Jasminum sambac),
assieme ad altre specie a fiore, perlopiù piantate in mezzo alle bordure di
bosso o nei parterres quali rose,
'garofali', ranuncoli, giacinti, 'geranei', 'tulippe d'Olanda' e mughetti, già
diffuse in Italia nel Cinquecento e consigliate nei trattati botanici
dell'epoca.
Cenni storici: La prima memoria storica
dell'edificio di Poggio Imperiale, identificato come dimora signorile, risale
alla portata al catasto di Jacopo di Piero Baroncelli dell'anno 1427, cui
pertineva la proprietà di "uno podere con casa da signore e con due case
dal lavoratore posto nel popolo di San Felice a Ema luogo detto palagio" e
di un altro podere contiguo. Si trattava dunque di una residenza signorile di
campagna, con annessi vari terreni che costituivano un'ampia tenuta agricola.
In seguito a gravi problemi finanziari della casata nel 1487 l'edificio e tutti
i poderi di afferenza passarono alla Famiglia Pandolfini che nel 1548 rivendeva
il palazzo e i poderi annessi a Piero Salviati. Il nuovo proprietario
intervenne con consistenti lavori di ristrutturazione che portarono l'edificio,
provvisto di una spaziosa corte porticata, a configurarsi in un corpo
principale affacciato a nord, verso la città, con una quinta architettonica
affiancata da un'appendice laterale disposta ad L intorno ad un cortile di
servizio, e a sud, verso la campagna, su un giardino murato 'a spartimenti' ad
un lato del quale si appoggiava un altro stretto fabbricato. Tutto il
complesso, perimetrato da un muro a quinta continua, fu arricchito con arredi
di notevole pregio. Venne contestualmente edificata nell'annesso podere 'del
Santuccio' una piccola cappella dove fu collocata l'Assunzione della Vergine,
pala d'altare dipinta da Andrea del Sarto nel 1523 oggi conservata presso la
Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Dall'affresco del Vasari nella Sala
Clemente VII in Palazzo Vecchio emerge chiaramente l'assetto che Poggio
Imperiale, ancora denominato Poggio Baroncelli, presentava all’epoca,
specificatamente nel 1530, in occasione dell'assedio di Firenze, quando fuori
dalle mura della città era accampato il principe Filiberto d'Orange, comandante
delle truppe imperiali: la villa era allora un edificio a corte fortificato con
cinta muraria e torri.
Nel 1565 in seguito
della confisca dei beni di Alessandro Salviati, figlio di Piero, colpevole di
lesa maestà per le proprie simpatie repubblicane e per avere appoggiato la
ribellione senese contro il potere mediceo, Poggio Baroncelli divenne proprietà
di Cosimo I de' Medici che lo donò alla figlia Isabella. Essa arricchì le sale
della villa di numerose bellezze artistiche, statuaria, quadrerie, e il
giardino di preziosi arredi scultorei, fra i quali due statue commissionate nel
1565 a Vincenzo de' Rossi, un Adone
morente e un gruppo con Bacco e un satiro, oggi ospitati
rispettivamente al Bargello e nel giardino di Boboli, ed una Venere di marmo, opera di Vincenzo
Danti, citata da Raffaello Borghini ne Il Riposo e attualmente
conservata presso il museo Casa Buonarroti a Firenze. Nel 1576 alla morte di
Isabella la proprietà passò al figlio don Virginio Orsini.
A questo periodo risale
la planimetria della villa disegnata da Giorgio Vasari il Giovane, unica
testimonianza documentaria antecedente l'ampliamento operato pochi anni dopo
dalla granduchessa Maria Maddalena d'Asburgo. Divenutane ufficialmente
proprietaria nel 1622, desiderando rendere la villa più adeguata alle funzioni
di stabile sede regale di rango imperiale, Maria Maddalena decise di ampliarla,
intraprendendo uno dei pochi rilevanti lavori edilizi, in una Firenze ormai
relegata in Europa a ruolo politico secondario, eseguiti in anni di ristagno
economico per crisi finanziaria, ricorrenti pestilenze e malgoverno. Al
concorso successivamente indetto per ingrandire e abbellire il palazzo - la
granduchessa nominò appositamente anche una commissione giudicatrice - parteciparono
eminenti nomi di architetti tutti ricordati dal Baldinucci: Giovanni Coccapani,
Gabriello Ughi, Francesco Guadagni, Gherardo Silvani, Matteo Nigetti, Cosimo
Lotto e Giulio Parigi, il cui progetto venne preferito, e che in seguito
suggerì alle esigenze celebrative dell'augusta committente l'opera di pittori e
scultori vicini alla propria visione culturale.
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Figg. 3 e 4. Giorgio Vasari, L'assedio di Firenze, 1530, Sala Clemente VII, Palazzo Vecchio, Firenze, da Internet (sinistra) e particolare con la collocazione di Poggio Baroncelli, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973 (destra)
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Nel progetto di Poggio
Imperiale il Parigi, successore di Bernardo Buontalenti nelle funzioni di
architetto delle fabbriche medicee e di allestitore delle scenografiche feste
di corte, perseguì una simmetria d'impianto ampliando il lato sinistro con un'ala
identica al corpo preesistente dove venne edificata una seconda cappella ad uso
dell’entourage granducale rendendo il cortile a giardino centrale all'intero
assetto. Progettò inoltre una nuova facciata, dominata da un'altana e
dall'ingresso principale, che, sopraelevato su scalinata e decorato in bugnato,
era affiancato da due pilastri a conci scabri a sostegno di un balcone
balaustrato soprastante. Il nuovo fronte era organizzato su tre livelli che, in
omaggio ai caratteri consolidati dell'architettura fiorentina, si definivano in
tre tipologie di aperture finestrate incise nella superficie uniforme
intonacata. Coronate da un timpano triangolare e con mensole inginocchiate al
piano terra, incorniciate a bugnato rustico come a Palazzo Pitti al primo piano, squadrate
e a mostra piatta all'ultimo. L'architetto accostò inoltre al volume principale
due basse ali sporgenti, avancorpi ad un solo piano coperti da terrazze adorne
di statue che delimitavano lo spazio coreografico di un ampio cortile
rettangolare prospiciente chiuso su tre lati cui si aggiungeva verso lo
'Stradone' un grande emiciclo delimitato da balaustra, anch'essa sormontata da
statue a soggetti silvestri alternati ad animali.
Pensato e progettato
come luogo praticabile per feste e spettacoli all'aperto, l'ampio spazio scenico
davanti alla villa, non a caso in quasi tutte le planimetrie chiamato 'Teatro',
era delimitato all'accesso da due sculture di grandi dimensioni, tuttora ivi
esistenti, un Ercole che sorregge il mondo, opera cinquecentesca di
Vincenzo de' Rossi, probabilmente commissionatagli da Cosimo I, e un Giove
che scaglia il fulmine, opera seicentesca di Felice Palma su presunta
commissione di Cosimo II.
Opera del Parigi è anche l'invenzione del grande
viale prospettico, il cosiddetto 'Stradone' lungo circa un chilometro e
costruito in prospettiva coassiale con il portone d'ingresso del palazzo. Nuovo
eminente asse urbano fiancheggiato da olmi, lecci e cipressi, per la sua
costruzione la granduchessa, non volendo che si continuasse ad andare
all'Imperiale "senza la dovuta magnificenza",
acquistò per la cifra complessiva di 47.200 fiorini altri terreni che portarono
a sedici il numero dei poderi annessi alla villa. La realizzazione di questo
monumentale accesso richiese il taglio di un tratto di collina utilizzando il
terreno di scavo per riempire l'avallamento in un altro tratto onde garantire
costante il pendio del lungo percorso rettilineo che, in una decisamente
innovativa concezione dello spazio urbano, iniziava da porta Romana tra vasche
e sculture e saliva fino alla sommità di Arcetri, scoprendo gradatamente, nel
paesaggio agrario dei campi coltivati e delle case coloniche, la magnifica
residenza granducale. Sempre al Parigi si deve la sistemazione dell'ingresso
alla villa da Porta San Pier Gattolini, oggi Porta Romana, con la creazione di
quattro vivai ornati delle statue di una Lupa che allatta due piccoli
infanti, un Leone che schiaccia il globo, i fiumi Arno e Arbia ai quali l'acqua giungeva
da tre sorgenti poste fuori dalla Porta San Pier Gattolini. All'innesto del
monumentale asse viario, collocati su piedistalli, si disponevano due Aquile
Imperiali, opera dello scultore Simone Cioli, raffiguranti in corpo lo
stemma mediceo, alle quali si richiamava un'altra aquila bicipite, posta in
facciata alla villa.
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Fig. 5. Giuseppe Ruggeri (?) Veduta dei Vivai che sono avanti allo Stradone della Real Villa del Poggio Imperiale, vi si notano due dei quattro vivai ornati delle statue dei fiumi Arno e Arbia, e Veduta della Real Villa del Poggio Imperiale, con l'ampio spazio scenico davanti alla villa, in quasi tutte le planimetrie chiamato 'Teatro', delimitato circuitalmente da varie sculture e presso l’ingresso da Ercole
che sorregge il mondo, Giove che scaglia il fulmine, 1737, ASF, Mannelli Galilei Riccardi 315 n. 3, in Mignani Galli D., Un'idea di giardino moderno per un giardino prospettico, in Il giardino romantico, a cura di Alessandro Vezzosi, Firenze, Alinea, 1986.
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I lavori durarono quasi
due anni, e si erano da poco conclusi, anche per la parte relativa all'arredo,
quando nel maggio del 1624 la famiglia granducale si stabilì nella nuova
sontuosa residenza da allora chiamata 'Villa Imperiale'.
I nuovi appartamenti di Ferdinando II e Maria Maddalena comportarono la
decorazione di quelle stanze, già descritte come 'migliori', secondo un
programma celebrativo delle famiglie Medici ed Asburgo. Di esse le cinque al
piano terreno, gli appartamenti granducali, la grande sala già dell'Udienza e
le quattro stanze contigue furono affrescate nelle volte e nelle lunette da
Matteo Rosselli e dai suoi aiuti nel 1623. In un'altra stanza, un piccolo
ambiente voltato a botte, detto la volticina, che ospitava "otto statue di
marmo nelle nicchie di pietra",
venivano celebrate in nove scomparti ovali e quadrangolari, ad opera di Ottavio
Vannini, la vita e le gesta del defunto Cosimo II.
Una delle fonti più
preziose delle specificità che Poggio Imperiale assunse durante la reggenza di
Maria Maddalena d'Austria è certamente il diario di corte, prezioso documento
inedito, di Cesare Tinghi, guardarobiere ed aiutante di camera di Ferdinando II.
Fra i numerosi rilevanti eventi nella ricca cronaca del manoscritto, dove il
Tinghi annota come "volendola abitare per suo deporto la fece molto bene
restaurare et agiungervi nuova fabrica et con molte stanze, et con molte belle
piture et con nuovi giardini et fatto molti belli paramenti di camere, con
molti belli letti di molta spessa con gran quantità di quadri et fighure di
marmo antiche, et molto bene adobato et abrilliato ogni cosa",
sono riportate notizie importanti circa la storia della villa. Le perplessità della
granduchessa e del suo entourage per il costoso progetto dell'architetto
di corte Giulio Parigi e l'editto con il quale la stessa Maria Maddalena
decretava che la villa dovesse assumere, una volta divenuta sede ufficiale dei
regnanti, il nome di 'Poggio Imperiale', chiaro riferimento al lignaggio di
colei che l'aveva elevata a propria residenza. Gli acquisti da parte di Maria
Maddalena di numerose opere d'arte per arricchire ed impreziosire la propria
futura residenza con "gran quantità di quadri et fighure di marmo
antiche",
costituendovi una pregiata ed eclettica collezione. I dettagliati resoconti
degli intrattenimenti teatrali e musicali, dei balletti, dei combattimenti
militari, tornei e giostre, delle masquerades, processioni e riti
religiosi che erano messi in scena con l'opera dei più famosi architetti e
scenografi nell'ampio spazio esterno alla villa in occasione di eventi,
celebrazioni e visite di stato. Per la festa dal Corpus Domini del 1624 la
facciata del palazzo venne decorata con tappezzerie, quadri e festoni. Vennero
collocate all'entrata due fontane che offrivano vino rosso ghiacciato, e
all'interno del cortile un altare con baldacchino, ornato di vasi, candelabri e
fiori, poi portato in processione fino alla vicina chiesa di San Felice a Ema,
dove si celebrò una messa.
Nel 1631, alla morte di
Maria Maddalena d'Austria, il figlio Ferdinando II, erede di tutti i beni
materni, negò la volontà espressa in vita dalla madre di riservare la fattoria
e il palazzo di Poggio Imperiale a dimora alla granduchesse di Toscana. Sua moglie
Vittoria della Rovere per potervi abitare la riacquistò dunque dal marito nel
1659, cedendo in cambio i suoi diritti sull’eredità della madre Claudia de’
Medici. Appena divenutane proprietaria Vittoria, donna energica e risoluta, più
colta della suocera e in amicizia con il cardinale Leopoldo, rivelò una netta
predilezione per Poggio Imperiale proseguendone l'opera di abbellimento e
abitandovi per lunghi periodi.
Fu per volontà di
Vittoria della Rovere che dal 1681 ripresero lavori ed attività legati all'architettura
della villa, con la realizzazione di un nuovo braccio verso sud, che fece
assumere all'edificio un impianto a T, comprendente vari ambienti di
rappresentanza, due vaste sale, una a piano terreno, adibita a galleria di
sculture, e una al piano nobile, destinata a quadreria, a lato delle quali
erano altri ambienti, tra cui due cappelle oggi scomparse, opera degli
architetti Giacinto (Diacinto) Maria Marmi per il progetto e Ferdinando Tacca
per la direzione dei lavori. Presentato in sei varianti con differenze
sostanziali le une dalle altre, il progetto del Marmi nella stesura definitiva
prevedeva al piano terreno una grande sala, poi ricordata come Sala di Vittoria
della Rovere.
Nettamente allineata ai
caratteri spaziali e alle modalità decorative del Barocco europeo nel taglio
allungato e nell'effetto di dilatazione dello spazio affidato alla decorazione
pittorica della volta e delle pareti, la sala fu ornata con un ciclo allegorico
tra il 1683 e il 1686 da quel Francesco Corallo pittore che Vittoria della
Rovere fece venire appositamente da Roma, cui possono forse attribuirsi altre
decorazioni presenti nella villa. Ricca è la documentazione iconografica
riguardante la facciata della Villa di Poggio Imperiale ideata dal Parigi che
mostra l'elegante, quasi scenografico prospetto, dai chiari riferimenti
barocchi amalgamati agli austeri motivi medicei della superficie intonacata
ritmata dalle aperture e dai sobri elementi decorativi in pietra serena,
elegantemente collocato fra le due basse ali laterali.
La villa vi emergeva
nella propria precipua relazione al paesaggio circostante, che prevedeva una
progressione di naturalità architettonica nei giardini, poi agricola e poi
boschiva, e nella mediazione, in prossimità dell'architettura, della balaustrata
sormontata da statue che girava tutto attorno al prato semicircolare antistante
l'ingresso principale.
Un'acquaforte del 1625,
realizzata da Alfonso Parigi, dopo circa un anno dalla fine dei lavori alla
villa condotti dal padre Giulio, la Giostra di cavalli davanti alla Villa
del Poggio Imperiale, illustrava in particolare un evento di spicco per la
corte medicea, la raffigurazione di uno degli spettacoli celebrati in onore del
principe Ladislao di Polonia nipote della reggente Maria Maddalena d'Austria,
svoltisi proprio nel piazzale-teatro antistante la villa, dopo la messa in
scena del balletto La liberazione di Ruggiero dall'Isola di Alcina, musicato
da Francesca Caccini, probabilmente la prima opera composta da una donna, con
scenografie e macchine teatrali di Giulio e Alfonso Parigi.
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Fig. 6. Giuseppe Ruggeri (?) Pianta della Reale villa del Poggio Imperiale e i suoi giardini annessi,
ASFi, Mannelli Galilei Riccardi, 315, da Mignani
Galli D., Un'idea di giardino moderno per un giardino prospettico,
in Il giardino romantico, a cura di Alessandro Vezzosi, Firenze, Alinea,
1986.
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Pochi anni prima, nel 1621, la villa di Poggio
Imperiale aveva ospitato un avvenimento di rilievo per la corte medicea, i festeggiamenti
di nozze della principessa Claudia de' Medici con il principe di Urbino
Guidobaldo Federico della Rovere, corredati da un ricco banchetto con gli
effimeri 'capricci' realizzati su progetto di Pietro Tacca.
Altre raffigurazioni illustrano l'accesso
monumentale al viale del Poggio Imperiale dalla parte della città, appena fuori
Porta Romana. Sia un affresco alla villa La Quiete, sia un'incisione
settecentesca di Georg Mer su disegno del Werner rappresentano l'entrata
scenografica, degna di una dimora imperiale, del lungo 'Stradone' ornato ai
lati di cipressi, adornato all'ingresso da quattro statue su basi in pietra.
Due aquile imperiali con in corpo stemmi medicei, opera di Simone Cioli, una Lupa
che allatta due piccoli infanti, simbolo dello stato senese, un Leone
che schiaccia il globo, simbolo dello stato fiorentino. Ad esse si
aggiungevano quattro vasche monumentali, due delle quali, contornate da
ringhiere in ferro, erano sormontate dalle statue colossali in spugna dell'Arno
e dell'Arbia, ed un ponte levatoio.
Fra i molti viaggiatori
del Grand Tour che nel XVII secolo visitarono l'Italia, registrando le proprie
impressioni visive ed emozionali in preziosi taccuini di viaggio, Georg Andrea
Böckler, allievo di Joseph Furtenbach il Vecchio, pubblicò nel 1664 Architectura Curiosa Nova, importante
raccolta di incisioni su opere e architetture del Bel Paese, fra le cui
numerose tavole era ospitata una rappresentazione della villa di Poggio
Imperiale. Riproposta iconograficamente nella teatrale fuga prospettica del
nuovo asse viario voluto dalla reggente Maria Maddalena d'Austria, quello
'Stradone' che dall'innesto a porta Romana, scenografica soluzione di quattro
vasche con statuaria antropomorfica, zoologica ed araldica, giungeva alla
monumentale architettura della residenza granducale, la villa medicea vi era
presentata inquadrata in lontananza. L'aulica facciata appariva infatti in
prospettiva coassiale all'imponente viale alberato proponendo all'attenzione
dei colti europei appassionati del modello culturale italiano un nuovo esempio
di dimora suburbana di corte, un complesso architettonico e paesaggistico di
reggia celebrativa, nei nuovi rapporti spaziali e connettivi alla città, del
prestigio dei granduchi e rappresentativa del potere della famiglia Medici.
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Figg. 7. 8. Alfonso Parigi, La villa del Poggio Imperiale e il ‘balletto a cavallo’ a cui assistette il principe Sigismondo di Polonia il 3 febbraio 1625, GDSU (sinistra) in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973; Stefano della Bella, Gara di pallamaglio alla villa del Poggio Imperiale, GDSU (destra).
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Altri preziosi documenti
inediti coevi sono le precise descrizioni inventariali degli arredi della villa
di Poggio Imperiale che recuperano agli studiosi la nozione dell'originaria
magnificenza degli ambienti della dimora medicea permettendo, in alcuni casi,
la sicura identificazione con mobili e dipinti ora presenti nelle collezioni di
palazzo Pitti e degli Uffizi. Nell'inventario del 1624
redatto al termine degli ampliamenti eseguiti dal Parigi sono ricordati quadri,
bronzi e marmi, tra cui statue e busti detti 'antichi'. In una nota del
Giornaletto di Galleria datata 1651 sono ricordate
"settecentosessantaquattro medaglie di bronzo antiche di più grandezze
[...] cavate di Galleria", consegnate al Guardaroba del Poggio Imperiale.
Un'altra nota dello
stesso Giornaletto ci informa che sei busti di marmo, fra cui uno detto di Lucio
Vero, uno di Adriano, un altro di Marco Aurelio giovane, un altro ancora di
Marco Aurelio adulto, collocati nella "sala della serenissima arciduchessa
a terreno”,
furono trasferiti alla villa nel 1677, in cambio di quattro busti di Tiberio,
Albino, Ottone e Plotina, passati nelle collezioni di Galleria. In due
inventari redatti nel 1691
sono poi riportati tutti gli incrementi di Vittoria della Rovere alla
collezione artistica della villa: dipinti moderni, numerose preziose
suppellettili, ed anche le variazioni di destinazione d'uso di alcuni ambienti.
Ancora alla fine del '700 tra i dipinti figurava la magnifica Adorazione dei
Magi di Botticelli, opera oggi agli Uffizi, dipinta nei primi anni '70 del '400
per decorare un altare in Santa Maria Novella e tra le sculture alcuni marmi
antichi scelti tra quelli che Ferdinando de' Medici aveva lasciato nella sua
villa romana dopo il ritorno a Firenze nel 1587.
Un altro prezioso
documento inventario, un manoscritto autografo ed inedito coevo di Giovanni
Cinelli, conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze,
descrive nel dettaglio le collezioni della villa di Poggio Imperiale non
limitandosi ad elencare succintamente i pezzi, ma disponendo identificazioni e
giudizi qualitativi, arrivando talvolta a segnalare i nomi degli autori.
Preziose informazioni riguardano la minuta descrizione della Loggia, dove erano
esposti anche busti antichi che Cinelli descrive come "un Marco Aurelio
testa antica maggiore del naturale con busto moderno. Nell'angolo è un Giove
figura intera col fulmine in mano, opera del Novelli, poi segue un'altra testa
maggiore del vivo, come quasi tutte le teste di questo cortile tali sieno, ed a
questa ne segue un Augusto testa antica col busto moderno, e nell'angolo una
statua che un Ercole giovanetto ed un'Arpia sotto a' piedi in atto di
conculcarla di mano del Bandinello; a questa segue un'altra testa che di
Galieno è figura, ed un altra pur reale, e nell'altr'angolo, una statua d'una
Flora di mano del Caccini; in quest'altra facciata sono due teste che l'una di
Faustina, l'altra d'Augusto è figura, e nell'ultimo canto una statua di Judith,
ch'ha il teschio d'Oloferne, ed una testa antica col busto moderno danno al n.
delle statue di questo luogo il compimento".
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Fig. 9. Giuseppe Zocchi, La Real Villa detta il Poggio Imperiale, incisione del 1744, GDSU.
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Sotto il regno degli
ultimi Medici, Cosimo III e Giangastone, non si registrano eventi di
particolare rilievo per la storia artistica del complesso monumentale di Poggio
Imperiale. Le cronache riportano come uno degli ultimi anni in cui la corte
medicea vi soggiornò fu probabilmente il 1718, quando Cosimo III vi trascorse
un breve periodo di riposo insieme alla figlia Anna Maria Luisa, tornata a
Firenze dopo la morte del marito, l'Elettore Palatino. Nella seconda decade del
XVIII secolo Anton Francesco Gori, erudito fiorentino, scrisse una relazione
inedita sulle 'antichità più considerabili' della villa del Poggio Imperiale
redatta nel 1738 e conservata in un manoscritto della Biblioteca Marucelliana,
elencandovi, in un taglio topografico-descrittivo, le opere ivi custodite.
Con l'estinzione della
dinastia medicea e il passaggio alla casa lorenese anche Poggio Imperiale
confluì nei beni della corona asburgica sotto l'amministrazione dello Scrittoio
delle RR Fabbriche. Nell'aprile del 1765 il Maresciallo Botta Adorno fece
riempire i vivai che concludevano la prospettiva dello stradone per ampliare la
piazza di Porta Romana in cui vennero collocati alcuni lampioni. Nel 1772,
prima che il nuovo granduca Pietro Leopoldo ampliasse le collezioni con
l'aggiunta di nuovi marmi, il Direttore della Galleria, Giuseppe Querci, e il
pittore Giuseppe Magni si recarono alla villa di Poggio Imperiale per valutare
e scegliere i quadri e altri oggetti d'arte meritevoli di figurare nelle
raccolte degli Uffizi. Furono compilati in questa occasione alcuni elenchi da
sottoporre all'approvazione di Pietro Leopoldo, in uno dei quali si trovano segnati
il busto di Lucio Vero e le statuette dello Spinario, Minerva, Giunone e Bacco,
una Leda col cigno, un Adone, un Ganimede seduto sull'aquila, tre urne iscritte
e centotrentacinque bronzetti, che assieme ai quadri entrarono l'anno seguente
nella galleria degli Uffizi mentre le sculture restarono alla villa fino al
1780, anno in cui l'Adone e lo Spinario furono ceduti alla Galleria e la
Minerva e altri 10 busti furono rimandati al Guardaroba Generale. Alla fine dei
lavori lorenesi alla villa, durati fino al 1783, e dopo ulteriori incrementi di
opere d'arte seguiti a quelli del 1780 e 1781 in cui pervennero
complessivamente alla villa trentasei busti, ventuno statue e un numero
considerevole di rilievi antichi e moderni cui si aggiunsero altri sei busti in
marmo provenienti dalla villa di Artimino, venne redatto nel 1784 un altro
inventario di oltre mille pagine,
una chiara documentazione della consistenza raggiunta dalla collezione
dell'Imperiale nel Settecento, che ammontava a circa 240 pezzi di marmi antichi
e moderni, con busti, statue, rilievi.
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Fig. 10. Baccio del Bianco, La villa del Poggio Imperiale vista dalla parte posteriore dopo l'ampliamento del Parigi, GDSU, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in
"Antichità Viva", 5, 1973.
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A quasi un secolo di
distanza dagli ultimi lavori la residenza venne nuovamente trasformata quando
Pietro Leopoldo, appena tre giorni dopo essere giunto a Firenze nel 1765,
recatosi a Poggio Imperiale, per la bellezza degli ambienti e della
posizione che faceva del sito quasi una 'delizia continuata' del giardino di
Boboli e un'eccellente località per le villeggiature estive e autunnali decise
di eleggerla a propria residenza. Il nuovo regnante stabilì ulteriori
ampliamenti, realizzati fra il 1768 e il 1783, migliorandone inoltre i servizi
con la costruzione di una ghiacciaia e di una cantina.
Pietro Leopoldo dispose
anche che tutti gli ambienti interni fossero rinnovati secondo il gusto
dell'epoca, incaricandone l’architetto Niccolò Gaspero (Gaspare) Maria Paoletti.
Il Paoletti trasformò l'originario impianto planimetrico a T in un grosso
volume rettangolare compatto dotando la villa di due grandi cortili, simmetrici
a quello centrale antico, costruiti in luogo dei preesistenti giardini murati.
Il cortile di sinistra
di ordine tuscanico e ionico fu eretto nel 1768-1771 in corrispondenza
dell'antico "boschetto degli aranci"; il cortile di destra, anch'esso
di ordine tuscanico e ionico, fu costruito nel 1776 in luogo del già esistente
"giardino dei fiori". I nuovi spazi furono entrambi chiusi
tutt'attorno dal perimetro architettonico dell'edificio, aggiungendo quelle
numerose e luminose sale che, intorno ai cortili nuovi, riquadrarono il
perimetro in direzione sud-est e sud-ovest, aumentando di più del doppio il
volume originario. Contestualmente venne edificato anche l'attiguo edificio
delle scuderie, fu costruita la nuova facciata sul fronte posteriore e
realizzato un salone delle feste al piano nobile, in corrispondenza degli
ambienti prima ideati dal Marmi. Le nuove stanze attorno al cortile di destra
furono tutte affrescate e ricercando una piena continuità con gli antichi
affreschi del Rosselli il Paoletti intervenne anche dipingendo gli ambienti
nella parte terminale dell'ala destra di facciata, dove la distribuzione degli
spazi era rimasta quella preesistente alla ristrutturazione del Parigi.
Per la decorazione dei
nuovi ambienti vennero chiamati a corte i più illustri pittori toscani, che
contribuirono a definire la villa nei termini di uno degli esempi più
significativi del neoclassicismo fiorentino. Nel 1768 e nel 1769 mentre
Giuseppe del Moro realizzava i finti ordini architettonici alle pareti Tommaso
Gherardini e Giuliano Traballesi intervennero, su soggetto storico romano, nei soffitti,
e dipinsero l'intera ala sud. Al Gherardini in particolare si deve la
decorazione in stile pompeiano, eseguita nel 1776, della quarta stanza d'angolo
della stessa ala. Alcune sale degli appartamenti nobili furono decorate a
stucchi bianchi a rilievo in motivo rocaille su disegni francesi venuti
da Vienna e neoclassico sui loro propri dai fratelli Grato e Giocondo
Albertolli. In particolare nella 'Galleria' costruita sull'area dell'antica
terrazza ovest Giocondo disegnò e realizzò nel 1771 un elegante ornato di
girali di foglie e canefore, mentre in un successivo intervento, quattro anni
dopo, disegnò gli stucchi per il salone delle feste, poi realizzati dal fratello
Grato fra il 1781 e il 1782.
Nello stesso periodo
altre sale furono dipinte con paesaggi e scene di genere da Antonio Cioci,
Gesualdo Ferri e Filippo Tarchiani. Accanto al neoclassico rigore degli ornati
alcuni ambienti, cinque nuove sale sul lato verso ponente ed altre sei sul lato
opposto furono decorate con parati e dipinti cinesi su carta e su seta
raffiguranti paesaggi e scene di vita quotidiana secondo la moda coeva del
gusto orientale.
Nel 1777 Giuseppe Fabbrini affrescò su soggetto allegorico mecenatistico la
stanza dell'ala ovest destinata a segreteria di Pietro Leopoldo. Il nuovo
granduca lorenese vi era presentato alla Toscana da Minerva con il motto
virgiliano "Tuus iam regnat Apollo" accompagnato dalle figure
rappresentanti l'Agricoltura, la Pastorizia, il Commercio, la Pittura, la
Scultura, l'Architettura, Apollo, le Muse e i Poeti dipinte sulle pareti. Nello
stesso anno Gian Maria Terreni lavorò alla personificazione delle Stagioni
nello sfondo della sala adiacente, mentre Giuseppe Cricci dipinse un'allegoria
della caccia nella sala destinata al biliardo. Le sale costruite al piano
nobile furono invece tutte decorate nel 1770 con stucchi bianchi su intonaci
color pastello dai fratelli ticinesi Giocondo e Grato Albertolli. Questi stessi
ambienti vennero ulteriormente arricchiti da trentadue soprapporte dipinte da
Gesualdo Ferri, Antonio Ciofi, Stefano Amigoli, da camini e da specchiere
veneziane.
Il granduca avrebbe
desiderato completare la trasformazione della villa con il riordinamento
dell'antica facciata principale. Tuttavia il progetto del Paoletti che, più
volte sollecitato dal sovrano, era stato finalmente presentato nell'agosto del
1779, e che non è ricordato ne’ da Vincenzo Follini ne’ da Giuseppe del Rosso,
suoi attenti biografi, non fu realizzato ne' prima della partenza di Pietro
Leopoldo ne' durante il primo periodo di regno del figlio Ferdinando III di
Lorena, il quale a sua volta nel 1799 dovette abbandonare Firenze essendo la
Toscana stata occupata dai Francesi.
Quando poi nel 1801
Ludovico I di Borbone ricevette il titolo di re di Etruria e prese la reggenza
della Toscana, e gli subentrò Maria Luisa di Borbone, regina d'Etruria dal
1802, il rifacimento della facciata nel gusto neoclassico fu commissionato nel
1806 a Pasquale Poccianti, allievo del Paoletti. Del suo progetto, che
prevedeva anche la ricostruzione dei due avancorpi laterali con destinazione
uno a teatro e uno a cappella, venne realizzato entro il 1807, anno in cui
anche Maria Luisa fu costretta a lasciare il trono, soltanto il portico
centrale in bugnato a cinque arcate e rampe laterali che serviva di riparo a
chi vi accedeva in carrozza. Agli anni in cui, tornata la Toscana a essere
granducato, ne resse la corona Elisa Bonaparte Baciocchi, risale l'ultima
trasformazione della Villa di Poggio Imperiale che fu allora sede di ripetuti
festeggiamenti in onore delle vittorie del fratello della regnante, Napoleone
Bonaparte.
Il Cacialli elevò il piano superiore del portico
d'ingresso sul prospetto anteriore costruendo una loggia con cinque arcate e
mezze colonne di ordine ionico, chiusa da vetrate e sormontata da un frontone
triangolare con il fregio e due Vittorie in stucco a bassorilievo che
sorreggono un orologio, in luogo di quella loggia aperta con quattro colonne
corinzie architravate che era stata prevista dal Poccianti.
Fu un altro allievo del Paoletti, Giuseppe
Cacialli, ingegnere aggregato dello Scrittoio, che venne incaricato di
riprendere e portare a termine la ricostruzione della facciata secondo quei
disegni, eseguiti da Pasquale Poccianti per Maria Luisa di Borbone, che vennero
tuttavia liberamente reinterpretati. Di questo interessante progetto di
impostazione neoclassica-imperiale fu tuttavia eseguito solo il portico
centrale anteriore e alcuni aggiustamenti interni.
La variante del Cacialli ampliava il piano
nobile aggiungendovi un ambiente luminoso, l'attuale peristilio, decorato con
stucchi dallo Spedulo e dal Marinelli e con quattro paesaggi a tempera,
allegorici delle Stagioni, attribuiti a Giuseppe Gherardi. I lavori terminarono
nel 1810 con la sostituzione della balaustra con le statue del pratello
antistante, che venne rimpiazzata da una cancellata intervallata con tronchi di
colonne mentre nei pilastroni d'accesso si ricavarono le garitte per le
sentinelle. Il riordino della restante parte di facciata rimase in sospeso,
come del resto il progetto di un grande giardino pittoresque che la
Baciocchi aveva commissionato a Giuseppe Manetti nel 1801 e che avrebbe dovuto
occupare tutta l'area del 'Giardino Grande' a ovest del complesso e quella del
terreno del 'podere il Palazzo',
senza però intaccarne altri. Spiegava infatti il Manetti esservi "molti
oggetti esterni, vicini e lontani che presentano una gran varietà e dei
pittoreschi punti di vista, i quali entrano per così dire nella composizione
del nuovo giardino, disimpegnano dall'occupare una superficie maggiore".
In questo interessante
progetto, conservato presso l'Archivio di Stato a Firenze, nell'intenzione di
una diffusa naturalità il Manetti aveva previsto la collocazione degli Orti di
Esculapio, di un Parterre di Agrumi, di Tempietti, di Grotte, di un Sepolcreto
dei Poeti, di un Romitorio, di una Piramide e di una Colonna che avrebbe dovuto
celebrare la "Virtù antica" e la "Virtù moderna",
traducendo in una rievocazione di temi classici affiancati a istanze romantiche
un disegno ancora prossimo al formalismo dei giardini toscani pur nell'orientamento
al parco inglese.
Era infatti prevista la
realizzazione di un laghetto con cascate e un torrente verso il confine sud,
provvedendo poi, ulteriore tocco di rusticità, a far pascolare liberamente
delle mucche nei prati. Nella relazione esplicativa del progetto esecutivo,
indirizzata a 'Monsieur le Baron Petiet Intendant des Biens de la Couronne en
Toscane' presentato in diverse varianti e poi nella stesura definitiva, più
semplificata, nel 1812, il Manetti descriveva dettagliatamente le opere da
realizzare, le specie botaniche da piantare, le fasi costruttive, per le quali
prevedeva un periodo di lavori della durata di sei anni, ed anche i costi
necessari, considerevoli. Forse proprio per questo la proposta, giudicata
onerosa dalla commissione di Parigi dalla quale durante il dominio napoleonico
dipendevano le fabbriche granducali, venne lasciata in sospeso, e quando,
eclissata nel 1814 la meteora napoleonica, la granduchessa Baciocchi lasciò
Firenze e la dinastia lorenese venne restaurata sul trono, fu definitivamente
accantonato.
Ripristinato nel 1814 il
trono di Ferdinando III d'Asburgo, l'architetto Giuseppe Cacialli ebbe
l'incarico di portare a termine il rifacimento della facciata principale della
villa, mentre allo scultore Pietro Bellini fu affidato il compito di restaurare
e pulire i marmi della collezione. Per la prima volta in questa occasione si trova
attestato il nome di un restauratore chiamato a prestare la sua opera
direttamente nella villa. In precedenza, infatti, i marmi e gli altri oggetti
bisognosi di interventi venivano rimandati al guardaroba generale, dove gli
amministratori provvedevano ai restauri. Il Bellini attese all'incarico tra il
1817 e il 1823, intervenendo in termini conservativi su 68 busti. Fra il 1810 e
il 1818 è documentata la vendita di alcune opere della collezione considerate
di scarto e il trasferimento al giardino di Boboli di "una statua di marmo
rappresentante una Venere".
I nuovi lavori
comportarono la sostituzione delle due ali costruite ben due secoli prima da
Giulio Parigi con gli attuali massicci avancorpi con portici, entro i quali
furono ricavati un teatro, poi corpo di guardia e tepidario per le piante, e
una nuova cappella a tribuna semicircolare, divisa in tre navate, ornata con
statue di Virtù nelle nicchie laterali, opera di Francesco Carradori,
con fregi in stucco di Bertel Thorwaldsen a perimetro, affreschi di episodi
biblici sulle pareti e sul soffitto, e una Assunzione della Vergine a
tempera, opera di Francesco Nenci.
Questo intervento chiuse
definitivamente l'avvicendamento degli interventi alla villa che, prima
barocca, assunse l'attuale connotazione neoclassica. I progetti
dell'ammodernamento voluto da Ferdinando III, che comportarono anche la
ridistribuzione di ambienti interni al piano nobile, successivamente ridecorati
e arricchiti di mobili, argenti e porcellane fatti giungere appositamente da
Parigi, affrescati da Domenico Nani detto l'Udine e con decorazioni
paesaggistiche da Giorgio Angiolini, vennero nel 1823 pubblicati con dedica al
principe di Metternich riportandovi anche alcuni ambienti che, morto il
granduca nel 1824, non furono in realtà mai realizzati. Le vicende posteriori,
che non comportarono ulteriori interventi di interesse architettonico o
artistico, videro la villa divenire prima residenza dell'ultimo granduca di
Toscana, Leopoldo II, poi, negli anni fra il 1849 e il 1855, il quartiere dello
stato maggiore del generale austriaco Von Wimpfen. Per tutto il XIX secolo
furono frequenti le visite dei funzionari della Galleria o di esperti da loro
incaricati per scegliere e valutare gli oggetti più pregevoli da trasferire o
acquistare per le collezioni degli Uffizi. In una prima ricognizione del 1850
fu redatta una sommaria classificazione della collezione con nota sugli oggetti
da trasferire agli Uffizi, cui ne seguirono altri nel 1850 e nel 1865. Nel
marzo 1865 Aurelio Gotti, Direttore della Galleria, chiese al Prefetto di
Firenze l'autorizzazione a trasportare in Galleria alcune statue
dell'Imperiale, "una vestale statua di nero antico di scalpello greco
romano; un genio in marmo bianco di scultura romana; altro come sopra; un Bacco
giovinetto come sopra; un busto d'Alessandro scolpito in porfido nel secolo
XVI; altro come sopra; una copia in piccola dimensione del Mosé di Michelangelo".
L'ultimo inventario della villa pervenuto ai nostri giorni fu redatto nel 1872.
Vi sono annotate complessivamente centodiciotto sculture, fra le quali sono
ancora annoverati i busti di Alessandro, Bacco, la copia di Mosé, quasi tutte
le opere antiche e pseudoantiche della collezione odierna, più diversi busti di
marmo nel 1889 venduti agli Uffizi.
Conclusa la lunga
parentesi asburgica si affacciò la necessità di decidere una definitiva e
appropriata destinazione per il complesso monumentale della Villa Imperiale.
L'architetto Giuseppe Martelli nel 1861 stilò un progetto, mai realizzato,
proponendola come asilo per invalidi di guerra. In seguito venne invece
destinata a collegio femminile e nel 1864, nell'imminenza del trasferimento
della capitale da Torino a Firenze, il governo la cedette, in cambio di un
edificio in via della Scala, poi adibito a Ministero dei Lavori Pubblici,
all'Educandato Femminile della Santissima Annunziata di Firenze.
In questa occasione fra i due ordini dell'avancorpo della facciata principale
vennero aggiunte le lettere in ferro inserite nella muratura nella dicitura
'Villa del Poggio Imperiale collegio statale della SS Annunziata'.
Ufficialmente trasferito nel marzo del 1865 presso il Poggio Imperiale, il
collegio chiuse la propria sede al pubblico, ma per un accordo raggiunto in
seguito ai lavori di restauro eseguiti dalla Soprintendenza ai Monumenti di
Firenze negli anni fra il 1972 e il 1975, i quartieri monumentali vennero riaperti
a visite guidate.
Caratteri
tipologici e architettonici:
Una ricca documentazione
archivistica e l'apporto iconografico aiutano a leggere e interpretare la
preziosa antologia architettonica ed artistica che è il complesso
dell'Imperiale, estensione della corte medicea in speculare duplicità alla
residenza ufficiale di Pitti, a ridosso delle mura della città, proponendolo all'attenzione degli studiosi quale eminente testimonianza dei programmi
artistico-celebrativi che, legandoli ad una finalizzata politica di immagine, la
corte fiorentina portò avanti nel corso di ben tre secoli. L’edificio si presenta attualmente in impianto
planimetrico a U, con il compatto blocco centrale rettangolare ordinato su tre
cortili chiusi e i due massicci avancorpi laterali, a volume unico, perpendicolari al fronte
principale.
Il nucleo più antico
dell'architettura di Poggio Imperiale è il cortile quadrato che si incontra
subito dopo l'ingresso, attualmente chiuso da vetrate disegnate dal Foggini,
attorno al quale si snodano i quattro corridoi perimetrali che ospitano una
significativa collezione di sculture, fra cui busti di imperatori
dell'antichità romana collocati su piedistalli e inseriti in cornici, nicchie e
volute di epoca settecentesca, in parte provenienti dalla collezione di Maria
Maddalena d'Austria, in parte portate a Firenze da Vittoria della Rovere, ultima
erede dei Duchi d’Urbino e moglie del granduca Ferdinando II. Gli altri due
cortili interni, simmetrici al primo, dove sorgevano un tempo due giardini, si presentano
relativamente omogenei, ritmati da doppie lesene doriche nella parte inferiore
e ioniche nella parte superiore, e con aperture finestrate. Entrambi sono
caratterizzati da un porticato in colonne doriche, con tre ordini di aperture
nel cortile di sinistra, costruito dal Paoletti negli anni 1768-1771 e quattro
in quello di destra, risalente al 1776, cui si aggiunge una balaustrata in
ferro e un balcone al piano nobile.
Il fronte principale di
nord-ovest si presenta a impianto simmetrico con corpo centrale porticato e ali
laterali, cui sono innestati perpendicolarmente i due avancorpi sporgenti.
L’avancorpo di sinistra, oggi chiesa parrocchiale della SS. Annunziata al
Poggio Imperiale, è un ambiente a tre navate con tribuna semicircolare che
conserva intatta la decorazione settecentesca. Avanti il prospetto principale,
il primo concepito e realizzato in funzione dell'inquadramento prospettico
assiale dello 'Stradone', lungo viale alberato d'accesso nonché primo esempio
europeo di monumentale asse viario urbano e scenografico cannocchiale
prospettico focalizzato sull'architettura della villa, si apre un vasto prato
semicircolare. Tale ampio spazio frontale è oggi contornato da un filare di
cipressi disposti a mezzaluna, collocati all'interno della panchina continua in
pietra che lo delimita in sostituzione dell'antica balaustrata sormontata da
statue. A filo dei due avancorpi laterali si colloca ancora la cancellata in
ferro, già documentata nella fotografie Alinari del primo Novecento, che
attualmente impedisce il libero accesso alla villa e forma un ulteriore piazzale
rettangolare, suddiviso in due aiuole ellittiche a prato con bordure di rose
con al centro due Cedri del Libano, chiuso sui tre lati dall'edificio e sul
quarto dalla stessa cancellata. L’ingresso al prato semicircolare è
fiancheggiato dai gruppi scultorei di Ercole che sorregge il cielo di
Vincenzo de’ Rossi e Giove che scaglia il fulmine di Felice Palma, che
poggiano sulle due garitte in pietra. I locali dove erano ubicate le scuderie, a
sinistra della facciata principale, ospitano oggi una caserma della Polizia di
Stato. La facciata principale neoclassica è caratterizzata da un loggiato
centrale a due ordini. Al piano superiore un loggiato di quattro colonne
ioniche incornicia cinque finestroni ad arcate a tutto sesto sovrastati da
trabeazione a dentelli decorata dai bassorilievi di due Vittorie ai lati
di un orologio centrale. Al piano inferiore cinque arcate in bugnato su
pilastri sono affiancate da due nicchie con statue antiche, copie romane di
opere greche. Altre statue marmoree, Mosè di Gaetano Grazzini e Aronne
di Stefano Ricci, ornano l’avancorpo di sinistra. La facciata posteriore di
sud-ovest, con la scalinata scenografica a doppia rampa che incornicia
l'accesso alla grotta, è ritmata da lesene nel corpo centrale e regolata da tre
ordini di aperture finestrate in quelli laterali. Sul fianco destro di colloca
un giardino formale a quattro spartimenti con fontana al centro perimetrato da
muri e dall'antico edificio della limonaia ed affiancato da una macchia di
sempreverdi.
La parte retrostante la
villa, forse la più suggestiva di tutto il complesso, ha mantenuto l'antico
aspetto, con l'originaria facciata settecentesca, mai modificata, il prato, e
soprattutto il paesaggio circostante, rimasto invariato, e ancora oggi
caratterizzato da oliveti, pascoli, campi coltivati. L'ampio edificio è
attualmente sede dell'Educandato femminile della Santissima Annunziata. Gli
ambienti del piano terra sono adibiti ad uffici, scuola, refettorio e cappella.
Al primo piano si trovano le aule, le sale di studio e le camere da letto,
mentre al piano secondo si collocano esclusivamente camere. Il sottotetto è
adibito ad infermeria, con qualche camera ad uso del personale. La cucina e
tutti i magazzini si collocano al piano seminterrato.
Quasi tutti gli ambienti interni
sono coperti a volte realizzate in mattoni disposti a spina, sia a vela con
unghiature che a padiglione che a crociera, e in particolare negli ambienti
superiori predominano le volte a vela unghiate. Le coperture a padiglione sono
rette da capriate.
Il piano terreno include uno dei più importanti
cicli pittorici seicenteschi fiorentini, promosso nel 1622 da Maria Maddalena
d’Austria - appena divenuta reggente con Cristina di Lorena per il giovane
figlio Ferdinando II, all’indomani della morte del marito, il granduca Cosimo
II - e concluso nel 1623. Tramite le storie inserite in lunette e accompagnate
da iscrizioni esplicative si è inteso determinare un percorso pittorico
simbolicamente coerente, celebrativo di due case regnanti contemporaneamente, i
Medici e gli Asburgo, elogiativo della granduchessa madre, Maria Maddalena,
figura femminile di spiccata personalità appartenente per nascita alla Casa
d’Austria e per vincolo matrimoniale acquisita ai granduchi di Toscana.
Le pitture sono state eseguite da Matteo Rosselli, artista tra i più richiesti
a Firenze in quel periodo relativamente all'esecuzione di cicli decorativi per la sua
perizia tecnica e il suo legame con la tradizione rinascimentale, e da Michelangelo
Cinganelli, che vi lavorarono insieme ad Anastagio Fontebuoni, Domenico
Pugliani, Filippo Tarchiani, Ottavio Vannini.
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Fig. 11. Veduta della facciata della villa di Poggio Imperiale, (Fotografia © Claudia Maria Bucelli 2012).
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Le raffigurazioni narrative, inquadrate in
un’orditura decorativa coeva fatta eccezione per le grottesche delle pareti
appartenenti a una redazione successiva, si snodano nelle prime cinque stanze
dell’ala posta a destra rispetto all’ingresso della villa. Nei primi due
ambienti, l’anticamera e la camera da letto del granduca, viene esaltata la
dinastia imperiale da cui discendeva Maria Maddalena, attraverso le imprese di
Carlo V e del fratello imperatore Ferdinando II d’Asburgo; sono quindi evocate
le gesta di Rodolfo I, che aveva portato alla regalità gli Asburgo, e di
Massimiliano I, artefice dell’espansione asburgica in Europa. Nelle sale
successive, l’anticamera e la camera da letto di Maria Maddalena, la
decorazione è indirizzata alla celebrazione di insigni figure femminili, nel
cui solco si intendeva porre simbolicamente Maria Maddalena nell’intento di
rafforzare il proprio potere tramite l’avocare alla propria figura le virtù di
eroine bibliche, sante e martiri cristiane, esaltando in questi termini la propria
devozione religiosa e lo stretto vincolo ideologico a tali illustri esempi.
Particolare rilievo ha, nell’ambito di questa
fase seicentesca, la sala dell’Udienza, stanza a carattere ufficiale, dominata
nella volta da un’Allegoria del potere spirituale e temporale, la cui struttura
decorativa, con i due grandi stemmi d’Austria, è dovuta a Michelangelo
Cinganelli. Le vedute di ville medicee affrescate sulle pareti, riprese dalle
incisioni dello Zocchi, sono state inserite nel XIX secolo.
Trionfano nella sala regine e imperatrici, donne
che come Maria Maddalena si erano distinte nella difesa dello Stato e dei
giovani figli, nella tutela della Chiesa e del papato.
A questa stessa fase appartiene lo studiolo, la cosiddetta Volticina, affrescata
da Ottavio Vannini, con scene riferite alla figura dello scomparso granduca
Cosimo II e alla sua politica di equilibrio. Questa stanza, allo scopo di
sottrarla alla distruzione, è stata traslata due volte, in relazione ai lavori
di ammodernamento del complesso, prima in epoca leopoldina, poi durante il
regno di Ferdinando III, alla fine del secondo decennio dell’Ottocento, quando
alle pitture della volta fu aggiunta la lunetta affrescata sovrastante la porta
di ingresso, eseguita da Antonio Marini e raffigurante Galileo che offre i
Sidera Medicea al granduca Cosimo II. Questo ciclo pittorico di committenza
medicea costituisce una delle imprese murali a carattere corale e antologico di
maggiore rilievo per la storia dell’arte fiorentina dei primi decenni del
secolo XVII, espressiva del coevo gusto della corte e caratterizzata da una notevole
coerenza stilistica sia nell’impianto generale che negli ornati e nelle
componenti di figura e di storia.
Le decorazioni pittoriche degli ambienti del
piano terreno poste in successione sono invece riferite alla fase delle
trasformazioni promosse da Ferdinando III nel terzo decennio del secolo XIX, su
progetto di Giuseppe Cacialli. Si tratta della Sala di Achille, affrescata da
Domenico Nani, del bagno neoclassico e della cosiddetta Sala Verde, decorata da
Giorgio Angiolini con pitture di paesaggio rispecchianti il gusto della
Restaurazione. Seguono stanze in infilata tutte appartenenti all’epoca
leopoldina, al tempo della realizzazione delle trasformazioni progettate dal
Paoletti, il cui lavoro di decorazione copre qui un arco di tempo che va dal
1768 al 1777. Si tratta della sala delle Opere e dei Giorni, affrescata da
Giuseppe Maria Terreni con raffinati cammei di tipo pompeiano, la sala di Diana
dipinta da Giuseppe Gricci, la sala delle Stagioni dipinta dal Terreni, la
segreteria del granduca, nella quale Giuseppe Fabbrini ha celebrato in
raffigurazioni allegoriche il governo illuminato di Pietro Leopoldo, la sala
dei Putti affrescata dal Gherardini e oggi adibita a sede di un piccolo Museo
dell’Educandato.
Si pongono di seguito gli altri ambienti facenti
parte dell’ala leopoldina - i primi a essere decorati - la cui continuità è
però allo stato attuale interrotta dalla chiusura della porta di comunicazione
dal momento che le stanze successive ospitano le aule del liceo
dell’Educandato. Si tratta della sala dedicata a Costantino imperatore,
affrescata dal Gherardini, della sala celebrativa di Augusto decorata da
Giuliano Traballesi, e delle due sale successive affrescate dal Gherardini con
l’Allegoria dell’Impero Romano e con vedute paesaggistiche. Le pitture di questi
ambienti testimoniano un classicismo agli albori, espressione dei legami della
cultura fiorentina al tempo di Pietro Leopoldo con i più avanzati centri
culturali italiani dell’epoca - quali Milano e Parma - in contatto con la
cultura europea più aggiornata sul nuovo gusto, in particolare di area francese
e austriaca.
Alla fase seicentesca appartiene invece la
grandiosa sala di Vittoria della Rovere oggi adibita a Refettorio, dipinta nel
1681-82 dal pittore romano Francesco Corallo, celebrativa della granduchessa
attraverso richiami mitologici e cristiani e caratterizzata dall’impronta
fastosa propria del gusto di Vittoria. Il percorso descritto, dato
dall’apparato decorativo di queste stanze della villa, consente di individuare
cicli pittorici di grande pregio allusivi al Governo della Toscana, nell’arco
di due secoli.
Alla fase leopoldina si riferiscono invece gli
apparati decorativi della maggior parte delle stanze del piano nobile. Di
particolare risalto è il grande Salone degli Stucchi, paragonabile alla Sala
Bianca di Palazzo Pitti, progettato dal Paoletti e decorato tra il 1781 e il
1782 ad opera degli stucchinai parmensi Grato e Giocondo Albertolli, autori
dell’assetto di gran parte delle stanze di epoca lorenese.
Vi sono ancora conservate le sedie
settecentesche a cabriolet appositamente realizzate dal mobiliere Giovanni
Toussaint. Sulla destra del Salone si snodano le stanze del quartiere
granducale, caratterizzate anch’esse dalla presenza di stucchi, specchiere,
dipinti su tela con funzioni di sovrapporte alloggiate all’interno di cornici.
Cinque delle otto stanze di questo quartiere sono rivestite con preziosi parati
tessili orientali settecenteschi. I dipinti - eseguiti nel 1771 da Antonio
Cioci, Gesualdo Ferri e Stefano Amigoli - scandiscono nei soggetti raffigurati
(marine, galanterie, scene pastorali, il riposo dei cacciatori, scene
mitologiche) un percorso modernamente innovativo perfettamente coerente con il
tono d’insieme delle stanze, con richiami al clima e al carattere delle corti europee
e specifici riferimenti a uno ‘stile’ di vita, appropriato all’impronta della quotidianità
del granduca in questa sua residenza estiva. Si tratta di un ciclo unitario dal
tono lieve che non trova riscontro in altri esempi fiorentini. Si segnala l’esposizione
di sei sovrapporte del Poggio Imperiale alla mostra Il fasto e la ragione.
Arte del Settecento a Firenze, presso la Galleria degli Uffizi. Di
particolare rilievo è inoltre la cosiddetta Galleria degli Stucchi, realizzata
nel 1776 e che reca negli stucchi degli Albertolli un’impronta più neoclassica,
rispecchiata anche nelle sovrapporte raffiguranti marine eseguite da Antonio
Cioci. Tutto l’apparato decorativo di questo quartiere costituisce una
testimonianza eccezionale dell’impronta cosmopolita propria della corte
leopoldina. Alla stessa fase si riferiscono gli ambienti posti a sinistra del
Salone: il cosiddetto Quartiere cinese, con le quattro stanze dalle pareti
rivestite di carte cinesi settecentesche, in una delle quali è conservato un
prezioso stipo con paesaggi, in legno tinto di nero e commessi in pietre
tenere, appartenuto a Vittoria della Rovere, del terzo quarto del XVII secolo.
Al primo piano si trovano anche pregevoli ambienti risalenti all’epoca di Elisa
Baciocchi e a quella di Ferdinando III. Di particolare risalto è il Peristilio,
edificato per volontà di Elisa Baciocchi da Giuseppe Cacialli, dal 1807 al
1814, sopra il loggiato di ingresso realizzato dal Poccianti. La decorazione
pittorica, di ispirazione classico mitologica, è opera dello Spedulo per gli
stucchi e del Marinelli per le pitture. Vi sono inoltre conservati arredi tra i
più rari, tra i quali due tavolini con i piani impiallacciati in tartaruga e
intarsiati in avorio, della fine del secolo XVII, in origine posti nell’appartamento
di Vittoria della Rovere. Vi si trovano anche i comò intarsiati con motivi alla
raffaellesca eseguiti nel 1781 da Francesco Sebastiani e un tavolino da lavoro
realizzato dall’ebanista di corte Salvatore Landi nel 1770. Vero e proprio
capolavoro è il piano cinquecentesco in marmo, alabastro, madreperla e
incisioni su carta di scuola raffaellesca con soggetti mitologici e grottesche
proveniente da Villa Medici a Roma. Il piano è stato esposto alla mostra Art
of the Royal Court. Treasures in Pietre Dure
from the Palaces of Europe, presso il Metropolitan Museum
di New York.
Il fronte posteriore della villa di Poggio
Imperiale affacciava anticamente su due giardini murati di cui il 'Giardino
Nuovo', o 'Giardino degli Aranci', o 'Giardino dell'Imbrecciato', per il tipo
di pavimentazione dei vialetti, realizzato per fare da pendant al
'Giardino Segreto' o 'Giardinetto dei Fiori', già riportato nella pianta del
Vasari, e dunque preesistente all'intervento del Parigi, cui si aggiunse il
'Giardino Grande' realizzato nel 1655 a ponente, in testa all'ala destra. Il
'Giardino Segreto', il primo ad essere realizzato, era costituito da quattro
spartimenti circondati da un bordo di bosso e tagliati da due sentieri
perpendicolari che formavano il classico impianto a croce con una fontana al
centro, dove trovavano collocazione numerose statue in marmo. Nelle due nicchie
a lato dell'ingresso erano posti, al tempo di Vittoria della Rovere, due orsi
in pietra, uno dei quali commissionato dalla granduchessa al Marcellini per
accompagnare l'altro, preesistente. Anche il 'Giardino degli Aranci', o
'Boschetto degli Aranci', era costituito da quattro spartimenti coltivati, una
quadripartizione data dai due percorsi assiali perpendicolari, caratterizzati
da una fontana in marmo al centro, arricchito da aranci da fiore in vaso, che
venivano riparati durante l'inverno nello 'Stanzone de' vasi'. Era anch'esso
ricco di molte statue in nicchie, tra cui tre putti, una Venere e un Amorino.
Il 'Giardino Grande' fu realizzato a posteriori rispetto ai due precedenti e
sussiste a tutt'oggi, seppure con qualche modifica. L'impianto originario era
di forma rettangolare, costituito da otto spartimenti ulteriormente suddivisi a
raggiera e contornati di bosso, distribuiti entro un'orditura ortogonale
formata dai vialetti, dei quali i due principali si incontravano al centro
dov'era collocata una vasca. L'asse trasversale parallelo alla villa, il più
corto, proseguiva in un adiacente boschetto di lecci, un 'Salvatico', di forma
rettangolare con alti alberi sempreverdi e cespugli, situato ad una quota più
bassa rispetto al giardino, cui era tangente lungo il lato lungo. Il dislivello
di cinque metri era risolto dalle ali simmetriche di due rampe di scala alla
base delle quali si collocava una grotta, l'attuale ninfeo ancora esistente ed
integro. Proprio quell'unico asse trasversale che lo attraversava collegava
questo ampio recesso verde, ne è testimonianza l'ancora ben visibile porta di
accesso, oggi murata, alla strada per San Felice a Ema. Villa Imperiale
possedeva un altro 'Salvatico', chiamato 'Salvatico delle Stalle' per la
vicinanza alle stalle di corte, posizionato a sinistra dell'edificio, ricco di
allori, cipressi e lecci, dalla forma irregolare derivata dalla collocazione
fra la villa e la viabilità verso Arcetri. Nella pianta del Ruggeri del 1737
risulta dotato di una fontana all'incrocio dei due dei molti vialetti che nel
complesso formano lungo tutta l'estensione una maglia ortogonale. Attorno al
1766 le nuove 'Scuderie Reali' costruite su progetto dell'architetto Gaspare
Paoletti presero il posto di gran parte del 'Salvatico delle Stalle' di cui
rimase solo un piccolo scampolo.
A sud l'ampio spazio verde del 'Giardino
Grande', chiuso da muri su tutti i lati e abbellito ulteriormente da una ricca
statuaria, era delimitato da una costruzione, lo 'Stanzone dei vasi',
utilizzata per il ricovero degli agrumi in inverno, ed era ornato lungo tutta
la parete rivolta a mezzogiorno da spalliere di albicocchi e uva nobile. Anche
gli altri muri perimetrali erano abbelliti da alte spalliere su cui poggiavano
gelsomini, allori e vari agrumi. Dal cambiamento di destinazione d'uso da
dimora granducale a collegio, avvenuto nel 1865, l'edifico non ha subito
modifiche nella distribuzione interna e neppure negli esterni, che rimangono
invariati dagli ultimi interventi risalenti all'Ottocento, mantenendo
l'originaria facciata settecentesca retrostante, mai modificata. Nel 1972 la
Soprintendenza ai Monumenti di Firenze dispose un intervento di restauro della
Villa di Poggio Imperiale e dell’annessa chiesa, in previsione anche
dell’apertura al pubblico degli ambienti monumentali e di rappresentanza
dell’edificio e dell’apertura a manifestazioni di carattere artistico-culturale
delle sale al primo piano, oltre che per garantire la normale attività
dell’Educandato. I lavori, iniziati nel 1972 e ultimati nel 1975, riguardarono
interventi di consolidamento strutturale, con l’eliminazione delle
superfetazioni, di liberazione di ambienti adibiti a magazzino e di restauro di
tutti gli elementi di decorazione, soprattutto degli stucchi nonché dell’antica
orditura lignea dei soffitti, scoprendo i quali è stato possibile ritrovare il
colore originale, alteratosi altrove nel corso del tempo, riproponendolo in
corso d'opera.
A partire dal 2004 sono stati avviati presso la villa del Poggio Imperiale, con
fondi statali, sistematici lavori di restauro di apparati decorativi e opere
d’arte. I primi interventi hanno riguardato due piccole opere scultoree
appartenenti alla preziosa raccolta di sculture antiche fatta qui confluire da
altre sedi statali inclusa la Galleria degli Uffizi, prima da Vittoria della
Rovere, poi da Pietro Leopoldo. Si tratta di Artemis (tipo Atena), di
età tardo antonina, in marmo bianco di Carrara a grana fine e breccia verde e
dell’Amazzone, di età imperiale, in marmo bianco. Con fondi non statali
sono stati restaurati numerosi busti e, recentemente, la monumentale Cariatide
in marmo proveniente dal Foro di Augusto a Roma, degradata per la prolungata
esposizione all’esterno, esposta ad Haltern am See in Germania alla mostra Impero
Conflitto e Mito promossa sotto l’egida della Cancelleria tedesca.
Si prevede la musealizzazione della scultura, al
rientro dalla mostra, in una delle stanze del piano terreno. Nel 2005 è stato
effettuato il restauro, preceduto da un risanamento delle coperture curato
dalla Soprintendenza ai Monumenti, del ciclo di bassorilievi costituenti il
fregio in stucco della Cappella neoclassica. Ma soprattutto negli anni dal 2006
al 2009 è stato attuato, grazie anche alla disponibilità dei fondi del lotto,
un sistematico piano di recupero indirizzato alle stanze delle due ali
leopoldine del piano nobile. L’intervento ha avuto inizio con un integrale
restauro delle carte che rivestono le stanze del Quartiere
cinese, promuovendo contemporaneamente la rimozione di una canna fumaria che
aveva danneggiato il parato della parete di una stanza. I restauri eseguiti in
passato, a carattere parziale, risalgono ai primi anni settanta, alla metà
degli anni ottanta, agli anni novanta del Novecento. È stato inoltre
effettuato, con fondi ordinari, il restauro dei quadri cinesi di vario formato
e soggetto (fiori, uccelli, casamenti, manifatture del tè, della seta, del riso
e della ceramica) - centotrentasette più piccoli e quattordici più grandi - che
rivestivano per intero le pareti della prima stanza, smantellati in epoca
imprecisata. I dipinti sono stati inoltre dotati di vetri anti riflesso e di un
sistema di ancoraggio non invasivo che consentirà di ricollocarli a parete,
recuperando l’allestimento della stanza secondo l’assetto leopoldino. Dal 2010 è tuttora in corso presso la villa un capillare intervento
conservativo sui parati tessili del quartiere di Pietro Leopoldo. I tessuti
hanno subito nel tempo danni legati alla fragilità dei materiali e soprattutto
al fattore luce, che ne ha irrimediabilmente alterato la cromia. Era stato nel
1981 svolto un lavoro di ricerca da parte dell’Opificio delle Pietre Dure,
accompagnato da interventi di riparazione localizzati e dall’applicazione di
una rete di sostegno degli strappi, con prove di fermatura e con l’aggiunta
di tende ignifughe a protezione delle stoffe. Alla conclusione delle indagini
era stato ipotizzato, per lo stato di degrado, un intervento definitivo di
smontaggio degli originali, da sostituire tramite parati provvisti di
caratteristiche analoghe sia sotto l’aspetto estetico che sotto quello materico
e strutturale. L’apporto di nuove tecnologie consente oggi di mantenere queste
tappezzerie orientali, tra le pochissime in Europa rimaste ancora esposte nel
luogo originario. A oggi sono stati recuperati, per quanto la cromia ne sia
ormai irrimediabilmente alterata, i tessili di due delle cinque stanze. I
tessuti, una volta fermati e spolverati, sono stati smontati e trasportati in
laboratorio. Sono stati quindi effettuati la pulitura e il trattamento antibatterico
e antitarmico, procedendo poi con l’asciugatura. I tessuti lacerati sono stati
consolidati, individuando quindi un crespo di seta del colore idoneo a
costituire il sottofondo neutro. La parete è stata predisposta tramite
l’applicazione di una foderatura sulla quale è stato montato un mollettone. I
parati restaurati sono stati quindi ricollocati, protetti per mezzo di un tulle
e tramite il tendaggio già esistente.
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BM
= Biblioteca Marucelliana, Firenze.
BG
= Biblioteca della Galleria degli Uffizi, Firenze.
ASFi =
Archivio di Stato di Firenze.
BNCF =
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
GDSU
= Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
Le
fonti iconografiche sono riportate nelle didascalie in fondo alle immagini e
dove non espressamente indicato sono da intendersi di proprietà dell’autore.
* Architetto,
Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, dal 2008 Cultrice della
Materia presso la cattedra di Storia del Giardino e del Paesaggio, Prof. Luigi
Zangheri, Università degli Studi di Firenze.
©
Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la
fonte.
NOTE
Cascio Pratilli G. Zangheri L., La legislazione medicea sull'ambiente, Firenze, Olschki, 1994, p. 76.
BM, ms. 197, 14., in La
villa del Poggio Imperiale, a cura di G. Capecchi, L. Lepore, V. Saladino,
Roma, Bretschneider, 1979, ivi, p. 28.
Il 2 aprile 1770, poco
dopo il passaggio della villa di Poggio Imperiale ai nuovi regnanti, il giovane
Wolfgang Amadeus Mozart vi tenne l'unico suo concerto eseguito in Firenze, come
ancora oggi ricorda una targa nel portico d'ingresso.
continua
nei numeri precedenti:
nei prossimi numeri:
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