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Il sistema delle ville medicee: caratteri distintivi e peculiarità paesaggistiche nell'approfondimento di alcuni casi studio  
Claudia Maria Bucelli*
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Aprile 2013, n. 670
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Le ville medicee, archetipi di ville-palazzo e ville-fattoria, esempi di dimore signorili suburbane nel duplice ruolo di unità agricole produttive e aristocratiche residenze di delizie, costituirono dal loro sorgere un peculiare antesignano esempio di connessione fra architettura, giardino e paesaggio contestualmente alla nuova sensibilità estetica legata all’ideale umanistico e alla ricca produzione artistica fiorentina dei primi decenni del XIV secolo.

Strutturatesi su quei segni antropici che nei secoli avevano contribuito a disegnare l’amenità dei luoghi della Toscana, a partire dalle prime realizzazioni di Trebbio, Cafaggiolo e Careggi, volute da Cosimo il Vecchio, sempre più definirono e identificarono i caratteri architettonici salienti della villa rinascimentale, progressivamente inquadrandone il valore di eminenza nel paesaggio, il rigore geometrico dell’impianto architettonico sia dell’edificio che del giardino, le volumetrie compatte, semplici e nette e le planimetrie regolari, simmetriche e modulari dell’edificio residenziale, caratterizzato in elevazione da superfici a intonaco, cornici, marcapiani e sobrie decorazioni in pietra serena. Inoltre contribuirono a sposare indissolubilmente le specificità dimensionali, distributive e architettoniche alle sistemazioni a giardino e alle qualità dell’intorno paesaggistico, modellato nei secoli dall’attività dell’uomo secondo la maglia di un tessuto agricolo, ancora oggi riconoscibile nella sua peculiarità, cui veniva declinato l’inserimento dominante delle nuove realizzazioni.

Con le ville medicee, insediamenti produttivi strutturanti il territorio assurti a dignità di architetture signorili dove per la prima volta lavorarono, come nei gentilizi palazzi urbani, grandi architetti e artisti traducendo il pensiero dei facoltosi committenti Medici nell’apporto del proprio genio, l’architettura rurale delle ville suburbane non costituì più un episodio minore dell’attività costruttiva edilizia, tanto che anche nei testamenti esse furono poi considerate bene inalienabile da trasmettere con la primogenitura, traducendo dunque nel possesso la stessa dimensione identitaria dell’appartenenza alla famiglia regnante. Divennero anzi sempre più tipologie precise e riconoscibili, raffinate residenze arricchite da tesori d’arte, dai libri antichi alla ricca mobilia ivi conservata stabilmente [1] alla statuaria, alle quadrerie, alle decorazioni ad affresco, al pari delle dimore signorili urbane. Tali residenze rurali, alla cui costituzione corrispose inizialmente un rinnovato interesse culturale ed economico per l’agricoltura in quella rivalutazione umanistica dei lavori campestri e nell’approfondimento delle scienze agronomiche ripreso sul modello dei classici, erano luoghi per la villeggiatura e il doctum otium letterario del possidente, e, anche successivamente, ameni rifugi di campagna finalizzati a svago, riposo, attività fisica, contemplazione, organizzazione di circoli culturali e di ritiri spirituali di classica memoria.

Collocate in massima parte nei dintorni di Firenze, alcune più vicine alla città, come Fiesole, Careggi, Castello, Boboli, Petraia e Poggio Imperiale, altre più lontane, nei luoghi degli antichi possedimenti della famiglia Medici in Mugello, come Trebbio e Cafaggiolo, nonché in luoghi strategici di successiva acquisizione quali Poggio a Caiano (voluta da Lorenzo il Magnifico) Collesalvetti, Cerreto Guidi, La Topaia, Serravezza (edificate dal primo Granduca Cosimo I), La Magia, Lappeggi, Pratolino (realizzate dal secondo Granduca Francesco I), Artimino, Montevettolini, Petraia, L’Ambrogiana (compiute dal terzo Granduca Ferdinando I), le ville medicee si insediarono - prototipi di residenze nobiliari sucessivamente esportati in tutta Europa, spesso impiantate su preesistenze di più antiche strutture architettoniche rinnovate nell’indirizzo di nuovi orientamenti distributivi e formali oppure costruite ex novo come Fiesole, Pratolino, Artimino - preferibilmente posizionandosi in ambiti di media collina. Si costituirono temporalmente in un intervallo di meno di duecento anni, dalla metà del XV agli inizi del XVII secolo, istituendo dalle prime, Trebbio e Cafaggiolo, alle ultime, Pratolino e Artimino, un patrimonio paesistico, architettonico, artistico, unitario, coerente e ineguagliato.

Per la loro distribuzione sul territorio le ville medicee vennero a costituirsi inoltre quali elementi di coordinamento alla sua gestione e governo. Vere e proprie emergenze referenziali nel compatto e variegato tessuto dei loro poderi e degli ambiti circostanti, per i quali costituivano obbligato riferimento, stante le disposizioni granducali, per la cura e la manutenzione di viabilità, canali e corsi d’acqua, ponti, declivi a terrazzamenti, le ville vincolavano anche alla regolamentazione delle plurime attività produttive e venatorie sui luoghi di afferenza. Costituivano dunque un sistema di nodi territoriali tra i quali si tesseva l’organizzazione produttiva agricola, fondata sulla mezzadria, nonché la rete degli itinerari ed attività della corte granducale per spostamenti di viaggi, soggiorni, villeggiature, cacce, in una rievocazione cavalleresca e cortese del modello della corte itinerante e del privilegio del signore al libero diporto e all’attività venatoria nelle terre del suo dominio.

Intese quali prototipi architettonici, artistici, paesistici, generate da singolari connubi tra committenti e artisti, capaci di definire nuove modalità estetiche, visive, insediative, fruitive, funzionali, e connotanti la dimensione territoriale del ‘paesaggio culturale mediceo’ pervenuto sostanzialmente fino a oggi, le ville medicee furono inoltre estrinsecazione di quella politica di coordinamento degli investimenti della famiglia Medici nel contado nella costituzione di una rete di ampie proprietà terriere concepite come unicum, un sistema coerente e integrato divenuto elemento caratterizzante il paesaggio toscano. Esse contemporaneamente si qualificarono nell’ambito di quello stesso paesaggio, in esso incastonandosi nei singolari e peculiari contesti geografici e paesistici sui quali si adagiarono, ognuna nella propria specificità strutturale, ulteriormente distinguendoli per la propria presenza. Tali residenze extraurbane definirono conseguentemente anche un nuovo rapporto estetico, oltre che economico, con e nel paesaggio toscano, connotandolo quale risultato culturale dell’interazione di forze naturali e antropiche in un percorso storico sulla cui stratificazione esse stesse trovarono collocazione, in tal modo ulteriormente caratterizzandolo e contribuendo a tramandarlo fino ad oggi. Contestualmente identificarono una nuova sensibilità del bello legata al sentimento della natura, al paesaggio quale natura integrata all’attività umana, alla percezione dei luoghi, alla veduta panoramica connessa all’architettura edificata della tipologia di villa, assurta contemporaneamente sia al ruolo di privilegiato punto panoramico che di oggetto percettivo.

Le ville medicee si legarono inoltre alla suggestione dei paesaggi e dei giardini loro afferenti, spesso disposti, quale ‘natura architettata’, a mediazione fra l’architettura costruita della residenza e il paesaggio circostante. I giardini delle ville spesso erano, e tuttora sostanzialmente tali sopravvivono, organizzati su terrazzi digradanti e concepiti quali balconi affacciati sulla veduta panoramica nel dominio visivo dell’intorno, parafrasi di quello politico ed economico della famiglia Medici sui territori assoggettati al suo governo. Non a caso fu precipuamente con le ville medicee che si specificarono in progressivamente distintivi formalismi i caratteri degli spazi della ‘natura architettata’ dei giardini quali loci amoeni, chiusi da muri, decorati con aiuole in regolarità di impianto bordate di siepi geometriche allineate lungo un asse centrale connesso all’architettura della villa, davanti alla quale spesso si apriva lo spazio del ‘prato’ cui si univano fontane, conserve d’acqua, ragnaie, padiglioni di verzura, nicchie verdi con sedute, uccelliere, pergolati, statuaria, topiaria, frequenti collegamenti verticali dei dislivelli e aree ad orto. Gli stessi spazi a giardino, riferibili ad attività culturali ed estetico contemplative, le circostanti estensioni produttive coltivate, relative alle operosità agrarie, il bosco o ‘salvatico’ finalizzato alle attività venatorie e al rifornimento di legna, possono costituire un richiamo culturale letterario alla terza, seconda, prima natura su modello di Plinio e della classicità poi ripreso nel XVI secolo da Bartolomeo Taegio e Jacopo Bonfadio nella traduzione coeva di un nuovo rapporto uomo-natura basato sul protagonismo antropico che assoggetta la creazione al genio e all’arte, felicemente trasposto proprio in quel sistema culturale che prese vita nelle ville medicee [2] . Non a caso numerose ville furono oggetto, in quanto sistema unitario e coerente di proprietà appartenenti alla famiglia regnante, nonché organico prodotto culturale, di una interconnessa e ‘unificante’ raffigurazione pittorica con la serie di lunette commissionate da Ferdinando I a Giusto Utens quale inventario delle proprietà fondiarie urbane ed extraurbane della famiglia granducale. Le lunette furono dipinte per quella villa, Artimino, che simbolicamente rappresentava il centro territoriale da cui idealmente si espandeva la percezione visuale sull’estensione dell’intero Granducato, essendovi non a caso esposte in un unico ambiente, nella raffigurazione, misuratamente uniformata e tendente ad esaltarne i caratteri comuni, della loro precipua relazione al paesaggio con progressione di naturalità dai giardini, in diretta mediazione con l’edificio cui spesso si associavano le logge, verso quella più lontana agricola e poi boschiva.

Trebbio e Cafaggiolo, le due più antiche residenze della famiglia Medici, si collocano a nord di Firenze, nelle terre mugellane lungo la viabilità verso Bologna, in sommità e ai piedi della stessa collina. Possedimenti consolidati della famiglia Medici già dal XIII secolo, centri gestionali di una ricchissima produzione agraria aggregati a numerose fattorie progressivamente accumulate dalla politica fondiaria della famiglia, appaiono nelle lunette di Giusto Utens recintate e tuttavia integrate con il paesaggio circostante. Nella maglia formale dei loro horti conclusi viene evocata l’arte della coltivazione praticata nei campi attorno e nel perimetro del muro di cinta si estrinseca la funzione di ville-fattorie funzionali al tranquillo isolamento finalizzato a doctum otium del possidente, permanendo ancora il distintivo carattere di residenze-castelli fortificati, essendo ciononostante a tutti gli effetti efficienti nuclei direttivi di ampie proprietà terriere extraurbane con annessi agricoli, stalle, fienili, cantine, case per contadini e addetti alla loro conduzione. Vengono raffigurate inoltre caratterizzate dalla successione di giardino, paesaggio agricolo e selvatico in quella finalità contemplativa, produttiva e venatoria dell’attività che fu anche e soprattutto di Cosimo il Vecchio per il quale, gestore in prima persona, sul modello ciceroniano del rifugio dalle fatiche della vita pubblica nella tranquillità della vita agreste, delle attività produttive di villa, narra il Vasari come a Cafaggiolo venisse realizzato “un vastissimo parco per la selvaggina, intramezzato da giardini, orti, ragnaie e fontane (…) (riordinando) i poderi e le strade (…) (aggiungendo) nuove piantagioni e aumentando notevolmente l’estensione dei boschi” [3] .


Fig. 1 Fig. 2
Fig. 1 La villa medicea di Trebbio nelle lunette di Giusto Utens, MSTF Fig. 2 La villa medicea di Cafaggiolo nelle lunette di Giusto Utens, MSTF

Proprio Trebbio e Cafaggiolo, e poco dopo Careggi, amatissima da Lorenzo il Magnifico, anch’essa contraddistinta dai peculiari caratteri architettonici michelozziani, più vicina delle precedenti a Firenze e quindi utilizzata, con il suo famoso giardino aperto come un terrazzo sulla visuale del paesaggio agrario circostante e ricco di agrumi e spalliere di gelsomino, quale dimora alternativa per brevi soggiorni, luogo di convalescenza [4] , di rappresentanza in circostanze ufficiali e rifugio eletto per gli studi umanistici cari a Cosimo - che decretò che Marsilio Ficino ivi istituisse l’Accademia Platonica nel 1459 - costituiscono le prime tipologie di residenze di campagna per il ricco signore appassionato di agricoltura e dedito in prima persona ai lavori agricoli. Il dotto umanista che si allontanava dall’agone politico urbano riposandosi dalle fatiche in civitas nei suoi possedimenti extra moenia, dedicandovisi allo studio dei classici, delle scienze agronomiche e all’umile lavoro nei campi, sul modello di equilibrio fra vita attiva e contemplativa declinato dall’antichità, era pienamente rappresentato in Cosimo il Vecchio. Egli, amante della vita in campagna e dell'umile lavoro della terra, vi trascorreva infatti lunghi periodi di riposo durante i quali si dedicava a gestire in prima persona le attività che vi si svolgevano. I biografi tramandano come il pater patriae fosse esperto della nestatura e potatura degli alberi da frutto secondo una tecnica di cui era "intenditissimo", e in una lettera del settembre 1446 un suo fattore informava di essere impegnato a tagliare legna insieme al padrone in previsione dell'inverno. E specificamente Trebbio, Cafaggiolo e Careggi, volute da Cosimo, rappresentano i primi esempi di ville medicee in cui si definirono i nuovi caratteri architettonici distributivi e decorativi di residenza signorile suburbana codificati da Michelozzo. Costituite su preesistenze difensive quali dimore signorili, turrite, chiuse e fortificate, vennero uniformate dalle superfici intonacate che ne fanno tuttora risaltare gli aggetti volumetrici e l’alternanza dei pieni e dei vuoti delle aperture modanate e della merlatura coperta a falde [5] . Esse realizzarono il felice risultato di quella peculiare collaborazione tra architetto e committente, qui estrinsecata in Michelozzo e Cosimo il Vecchio, poi rinnovata in eterogenea dualità nei cantieri delle successive ville di proprietà della famiglia Medici, pervenendo alla definizione di una nuova tipologia residenziale signorile extraurbana.


Fig. 3 Fig. 4
Fig. 3 Giuseppe Zocchi, La Real Villa di Careggi, GDSU Fig. 4 scorcio panoramico verso la conca fiorentina dai giardini di Villa Medici a Fiesole (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012 ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte)

La villa medicea di Fiesole, come Careggi collocata nelle immediate vicinanze di Firenze e ugualmente caratterizzata da sobrietà decorativa e dimensioni contenute, assolveva analoghe funzioni di residenza deputata a brevi soggiorni familiari o a ritrovi intellettuali pur costituendo sotto molti aspetti una novità assoluta, una decisiva svolta rispetto all’architettura rurale della Toscana del XV secolo. Fiesole fu la prima villa fiorentina di tipo umanistico impostata ex novo secondo i nuovi criteri di razionalità e luminosità su impianto modulare quadrato in contemporaneità temporale al giardino, nella primaria finalità di contemplazione estetica di uno splendido quadro paesaggistico. Per la prima volta una villa suburbana, praticamente avulsa da produttività agrarie, vedeva i propri fondativi valori, eminentemente produttivi ed economici, surclassati dai valori ideologici e puramente estetico-contemplativi finalizzati ad ammirare una bella veduta, ad essa associando elevazione spirituale e produzione intellettiva. Emerito prototipo della villa rinascimentale, primo esempio di villa oggetto di rappresentazione artistica e soggetto di veduta panoramica, documentato dai pittori del tempo [6] , Fiesole sembra riproporre tutte le indicazioni codificate dall’Alberti nel De Re Aedificatoria [7] , aprendosi ai giardini che la circondano con due logge inglobate nel volume dell’architettura e relazionandosi al panorama circostante con l’affaccio dei terrazzamenti, cerniere tra architettura e paesaggio nella visuale verso Firenze, sullo splendido panorama della valle dell’Arno, in un afflato culturale e letterario fiorito sul sostrato dei valori estetici e umanistici e dei topoi letterari virgiliani e petrarcheschi.


Fig. 5 Fig. 6
Fig. 5 La villa medicea di Poggio a Caiano nelle lunette di Giusto Utens, MSTF Fig. 6 La villa medicea di Castello nelle lunette di Giusto Utens, MSTF

 

Ancora più incisivamente di Fiesole, Poggio a Caiano, dove Lorenzo il Magnifico fece costruire in sodalizio artistico con l’architetto e appassionato classicista Giuliano da Sangallo la propria dimora, visivamente dominante e artisticamente evocativa della magnificenza del casato e di quell’ordine politico ed economica prosperità finalmente ripristinati, rappresentò il prototipo di villa rinascimentale nell’ideale traduzione dei caratteri antichi sul filtro delle teorie albertiane. Le posteriori residenze cinquecentesche, edificate nella campagna toscana dai Medici, ormai stabilmente insediati al potere e con diritto di trasmissione del titolo, ne riprenderanno la compatta classicheggiante tipologia rivolgendo particolare attenzione ai sempre più splendidi giardini, nature architettate in finalità scenografiche e rappresentative poi elevati, nei peculiari caratteri di nitidezza, riconoscibilità e celebrazione, a modello internazionale e imitati in tutta Europa. Fra questi il primo fu il giardino di Castello in cui Cosimo I amplificherà la volontà encomiastica già esternata da Lorenzo il Magnifico, realizzando nella sua villa preferita un disegno complessivo unitario sia architettonico che paesaggistico, dominante l’assialità, plurima e gerarchica, in cui la localizzazione della villa si sposerà all’ampia estensione a verde. Proprio il disegno del giardino, strettamente legato all’architettura dell’edificio che fungeva da fondale scenico per la ricca successione di episodi artistici in narrazione allegorica, costituirà il prototipo di una tipologia formale rappresentativa e celebrativa della stirpe medicea e del potere politico del regnante.

Due significative realizzazioni successive, esempi fra i più eminenti del giardino manierista, furono Boboli, voluto dalla moglie di Cosimo I Eleonora di Toledo, e Pratolino, costruito dal figlio primogenito Francesco I succeduto al padre sul trono granducale. Entrambi riecheggiano gli elementi evocati in Castello, declinandoli alle necessità rappresentative e gestionali delle nuove dimore degli augusti committenti, ed evolvendoli in nuovi prototipi narrativi, figurativi e iconici, poi assurti, ancor più del precedente cosimiano, a emblemi. Come Cosimo I a Castello, anche sua moglie Eleonora volle costruire a Boboli un luogo di rappresentanza del potere e del fasto della famiglia regnante. Un giardino di reggia su modalità classiche – vedi il richiamo alla forma dell’ippodromo dell’anfiteatro, le citazioni archeologiche della villa pliniana e i riferimenti neo imperiali di matrice umanistica – che rappresentò anche l’esempio originale di un recupero paesaggistico della cava di pietra forte utilizzata per il palazzo che venne trasformata in giardino. Poi divenuto con i successivi Granduchi, suo figlio Ferdinando I e i successori Cosimo II e Ferdinando II, allestimento scenografico per le quotidianità rappresentative della vita di corte nella formalità regolata dall’etichetta, nonché luogo di allestimenti teatrali, balletti a cavallo, battute di caccia in occasioni di festeggiamenti di matrimoni, visite ufficiali, ricorrenze religiose - episodi ai quali erano particolarmente organici gli spazi della piazza antistante il palazzo, il cortile interno e l’anfiteatro - Boboli doveva essere tale da poter competere con lo splendore dei paradisi napoletani dei viceré che Eleonora di Toledo aveva vissuto in gioventù nei possedimenti paterni. Accanto alla valenza celebrativa la Granduchessa aspirava anche a costruire un giardino terapeutico, un luogo salubre e benefico per lei sofferente di tisi e amante della vita in villa, tanto da ricreare “la villa in città” [8] nel primo esempio toscano di villa suburbana collocata entro la cerchia muraria e dotata di un giardino la cui estensione ed importanza assumeva, ancora più che a Castello, un ruolo dominante rispetto all’architettura e allo stesso impianto urbanistico della città di Firenze.


Fig. 6
Fig. 7 Palazzo Pitti e il giardino di Boboli nella lunetta ‘Belveder con Pitti’ di Giusto Utens, MSTF

Un tale hortus urbano, parco-giardino inerpicato sulla collina dominante l’Oltrarno, a ridosso di Firenze, era un’estensione isolata dal contesto circostante, un giardino chiuso e produttivo divenuto nel tempo ricchissima raccolta d’arte en plain air, un museo all’aperto nelle collezioni di statuaria antica e contemporanea accumulate dalla famiglia regnante, il più grande fino allora costruito dai Medici, che racchiudeva in sé le modalità della prima, seconda, e terza natura nella definizione dell’estensione boschiva, produttivo-agricola e formale-geometrica dei giardini collocati in prossimità alla struttura architettonica. Qui le visuali, orientate verso l’interno ma con fughe prospettiche e ampi scorci verso la città e il profilo dell’orizzonte - la percezione verso la città e il paesaggio avviene soprattutto percorrendo in ascesa il giardino dietro il palazzo - ne abbracciavano l’ampio respiro paesaggistico e la misura fortemente espansa che, arricchita anche di numerose ragnaie, vigne di moscatello e frutteti, armonicamente dialogava con il tessuto agricolo dell’intorno. In questo enorme spazio scenografico concluso dai limiti fisici dei suoi confini murari, lo stesso Tribolo aveva riproposto, ultima sua opera, il protagonismo dell’acqua. In ortogonalità mediana all’architettura della residenza medicea aveva previsto un asse prospettico, che era anche asse baricentrico dell’intero complesso, risalendo dalla piazza antistante il palazzo, attraverso l’architettura della residenza (la cui modularità fornisce la misura del cortile retrostante) poi attraverso il primo anfiteatro, o ‘Prato’ con al centro la Fontana dell’Oceano, fino alla sovrastante peschiera, inserita nella maglia geometrica delle partizioni ad altifusti, terminando nel secondo successivo anfiteatro in terrazzamenti verdi.

La personalità di Francesco I, figlio primogenito di Cosimo ed Eleonora, ci è tramandata in Boboli nella costruzione, tra il 1583 e il 1587, su progetto del Buontalenti, della Grotta Grande, piena espressione del gusto manierista fiorentino. Tuttavia ben altra impronta darà il nuovo Granduca alla realizzazione di quel personalissimo paesaggio culturale che fu il complesso di Pratolino dove per la prima volta in Toscana veniva destinata un’estensione di 24 ettari a un solo giardino concepito come un grande parco moderno, una natura architettata e tradotta, per il tramite di innumerevoli artifici, in una sorta di bosco incantato, un complesso quasi fiabesco [9] , creato anche in finalità produttiva e venatoria, nell’enorme riserva di caccia della ‘bandita di Pratolino’ [10] . Paesaggio artificiale chiuso da un recinto murato che precludeva la percezione del paesaggio naturale al di fuori dei suoi confini, se non da privilegiati punti di vista, la nuova residenza granducale era luogo di rappresentanza e cassa di risonanza della politica medicea in Europa, sosta obbligata per i principi e gli ambasciatori stranieri che si recavano a Firenze [11] e misura del distacco del Granduca dalla città, percepita solo in lontananza dal nuovo buen retiro granducale, da cui era dominata dall’alto e dalla distanza.


Fig. 8
Fig. 8. La villa medicea di Pratolino nella lunetta di Giusto Utens (dx) MSTF

Vi si realizzarono ampi bacini, grandi vivai, e una sequenza di gamberaie a sostituzione della tazza delle fontane che ornavano i più tradizionali esempi di giardino all’italiana, in primis Castello e Boboli. Si moltiplicarono gli episodi, i riferimenti allegorici, le figure, le evocazioni, i percorsi, le grotte, i giochi d’acqua, le statue nella indefinita frammentazione dello spazio, falsato, dilatato, ingannevole, in cui presero forma e consistenza quegli ‘ingegni magnifici’, quelle ‘opere miracolose’, quegli ‘stupendi artifici’ che celebrarono Pratolino quale ‘giardino delle meraviglie’ per lo stupore della musica offerta dagli organi idraulici e dello spettacolo profuso dai numerosi teatrini di automi azionati dall’acqua, creatori di un mondo fantastico addirittura superiore alla varietà naturale [12] .

Ferdinando I de’ Medici, divenuto Granduca alla morte del fratello, incaricò Bernardo Buontalenti della costruzione di una villa ex novo in tipologia di fortezza su un poggio di fronte al borgo medioevale di Artimino. Chiamata ‘La Ferdinanda’ e fortemente dominante nella sua massiva architettura dalle pendici del Montalbano verso l’Arno, aperta in ampia visuale verso la vallata del fiume e la piana pistoiese fino alle Apuane, fu l’ultima residenza costruita dai Medici. Intesa come affermazione dell’ormai raggiunto e consolidato potere della famiglia e rappresentativa, nell’emersione percettiva e nel dominio visivo a 360°, della volontà di Ferdinando I di pieno controllo nell’intera zona del Montalbano, la villa sostituiva al giardino una vasta bandita di caccia che si estendeva per 4000 ettari, comprendente un parco venatorio privato, il Barco Reale, perimetrato da un muro come il parco di Pratolino. Voluta parafrasi del fermo dominio granducale su tutte le proprietà della corona e le stesse ville medicee, che ne costituivano i nodi nevralgici, la Ferdinanda ne ospitava non a caso la riproduzione in 17 lunette - delle quali solo 14 si sono preservate fino ad oggi - dipinte dal pittore fiammingo Giusto Utens [13] proprio per essere conservate in questa simbolicamente rappresentativa dimora, centro da cui idealmente si irradiava la percezione visiva del Granducato e dove le eminenze medicee erano pertanto pittoricamente enucleate. La scelta di Ferdinando per la villa di Artimino proseguiva e consolidava quella politica medicea di governo del territorio che con gli insediamenti di villa strutturava i luoghi nella viabilità e nella gestione colturale e produttiva delle terre arricchite anche da quelle ville cosiddette ‘minori’, costruite principalmente in finalità venatoria, che non erano circondate da splendidi giardini ma si innestavano nella viva realtà del territorio dominandolo dall’alto con nitida visuale e costituendo tappa per gli spostamenti stagionali dei Granduchi, spesso accompagnati dall’intera corte alla sequela dei flussi migratori della selvaggina. Una politica già perseguita, con le progressive e costanti annessioni terriere alla corona, dal padre di Ferdinando, Cosimo I, che nel 1564 fece edificare la villa di Cerreto Guidi su probabile progetto del Buontalenti, a cui si attribuiscono i ponti medicei, oltre che quelle di Collesalvetti, La Topaia e Serravezza (voluta quale dimora di campagna fortificata, collocandosi presso il confine dello stato, finalizzata a presidio territoriale, attività venatorie ma anche a sovraintendere alle estrazioni di ricchi giacimenti di marmi e minerali), e da suo fratello Francesco I che nel 1585 fece realizzare da Bernardo Buontalenti La Magia, posta sulle pendici settentrionali del Montalbano dove si attuò un importante intervento a scala territoriale scavando un lago presso la residenza per richiamare cacciagione sia silvestre sia palustre, e poi mise mano a Lappeggi oltre che alla meraviglia di Pratolino. Tale politica fu poi perseguita da lui stesso, oltre che in Artimino, alla Petraia, a Montevettolini e a L’Ambrogiana.

Alla fine del Cinquecento Cosimo II e poi suo figlio Ferdinando II intervennero a Boboli nella necessità di adeguare la residenza di famiglia al prestigio e al rango acquisito per i vincoli con la dinastia imperiale degli Asburgo in conseguenza al matrimonio tra Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria. Cosimo II, colto e raffinato intellettuale appassionato di architettura, fu con ogni probabilità il progettista dell’ampliamento del giardino tradotto in realtà da Gherardo Mechini e Giulio Parigi, già collaboratore di Buontalenti. La novità del nuovo progetto scaturiva dalla successione di elementi compositivi e singoli episodi focalizzati alla resa prospettica e articolati in successione lungo un imponente viale rettilineo, un ulteriore asse longitudinale di simmetria, perpendicolare al primo, centrato sul palazzo, chiamato anche ‘viale dei Cipressi’ o ‘Viottolone’, un percorso ad esclusivo uso della corte medicea allineato secondo la bisettrice del grande cuneo contenente gli spazi acquisiti dall’ampliamento.


Fig. 9 Fig. 10
Fig. 9 La villa medicea di Collesalvetti nelle lunette di Giusto Utens, MSTF Fig. 10 La villa medicea di Serravezza nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
Fig. 11 Fig. 12
Fig. 11 La villa medicea di Lappeggi nelle lunette di Giusto Utens, MSTF Fig. 12 La villa medicea di La Magia nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
Fig. 13 Fig. 14
Fig. 13 La villa medicea di Petraia nelle lunette di Giusto Utens, MSTF Fig. 14 La villa medicea di L'Ambrogiana nelle lunette di Giusto Utens, MSTF

Con un analogo ‘viottolone’, incernierato al primo nella piazza di Porta Romana, enormemente ampliato di scala e assurto al ruolo di cannocchiale prospettico urbano nella successiva sistemazione di Poggio Imperiale, voluta dalla vedova di Cosimo II Maria Maddalena d’Austria, si tradurrà lo ‘Stradone’ di accesso alla nuova ed alternativa reggia medicea dell’Imperiale ampliata e abbellita dalla Granduchessa asburgica e stabilmente abitata nel periodo in cui con la suocera Cristina di Lorena assunse la reggenza durante la minore età del figlio Ferdinando. Poggio Imperiale era fra le ville medicee la più prossima a Firenze, collocandosi oltretutto vicino alla sede ufficiale di Palazzo Pitti, in cima al colle di Arcetri, poi caratterizzato dallo ‘Stradone’ rimasto ancora oggi inalterato, dove permane evidente la lettura del progetto di Giulio Parigi che in accordo con l’augusta committente volle creare un asse di proiezione della città nella campagna [14] lungo circa un chilometro, finalizzato a prospettiva assiale con il portone d’ingresso del palazzo, costruendo il primo monumentale viale alberato chiuso dalle quinte sempreverdi dei cipressi e riservato al passaggio dei Granduchi e delle loro corti.


Fig. 15
Fig. 15. Giuseppe Zocchi, La Real Villa detta il Poggio Imperiale, incisione del 1744, GDSU

La realizzazione di questo monumentale accesso richiese il taglio di un tratto di collina, rimodellata in costante pendenza ai fini della resa scenografica del percorso che, iniziando da porta Romana tra vasche e sculture marmoree, saliva fino in sommità scoprendo gradatamente la residenza granducale in una sontuosa ascesa lungo la quale si muovevano elegantemente le carrozze e i seguiti [15] secondo una attenta regia in ossequio alle formalità dell’etichetta che proseguiva poi nelle ricche stanze della villa, rinnovate nell’iconografia celebrativa delle virtù di eroine e martiri bibliche e cristiane avocate dalla Granduchessa Maria Maddalena sulla propria persona a fini politici e autorappresentativi, ulteriore quinta teatrale allo spettacolo dell’ossequio cortigiano.

 

 

ABBREVIAZIONI

MSTF = Museo Storico Topografico "Firenze com'era", Firenze.

GDSU = Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.

 

 

* Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, studiosa di paesaggio e di storia e simbologia dei giardini

 


NOTE

[1] Era uso precedente infatti trasferire nelle dimore in campagna anche i mobili che al ritorno in città della famiglia gentilizia venivano, al seguito, riportati nei palazzi urbani.

[2] Cfr. sulla nascita del concetto di Terza Natura J. Dixon Hunt, The greater perfection. The practice of garden theory, London, Thames and Hudson, 2000, pp. 32- 33.

[3] Giorgio Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma, Newton Compton, 1991, p. 366.

[4] Proprio nella villa di Careggi morirono Cosimo il Vecchio nel 1462, Piero il Gottoso nel 1469 e Lorenzo il Magnifico nel 1492.

[5] Cfr. M. Ferrara F. Quinterio, Michelozzo di Bartolomeo, Firenze, Salimbeni, 1984, pp. 168-173.

[6] Nell’Annunciazione di Biagio d’Antonio all’Accademia di San Luca di Roma, di qualche anno più tarda rispetto all’affresco della Dormitio Virginis di Domenico Ghirlandaio commissionato nel 1487 nella cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella, è evidente questo peculiare rapporto tra villa, punto focale della composizione, e contesto paesaggistico. La residenza medicea appare dietro le arcate della loggia, incastonata nell’esteticità diffusa di un paesaggio ideale, astrazione speculare di quello fiesolano.

[7] Nel trattato De Re Aedificatoria, pubblicato nel 1485 con il patrocinio di Lorenzo il Magnifico, nipote di Giovanni di Cosimo, ma scritto intorno alla metà del secolo e concluso nel 1452, dunque nello stesso periodo dell’edificazione della villa fiesolana, trattando nel V capitolo della villa di campagna e del giardino suburbano Alberti prescriveva, abbandonando decisamente il modello della residenza fortificata, che le residenze da signori nel contado si dovessero caratterizzare, per collocazione, poco fuori la città, in posizione panoramica, ad un’altezza dominante del sito, caratterizzandosi per luminosità ed espansione all’esterno tramite terrazzo e loggie, mediazione fra l’architettura e i giardini attorno, relazionandosi al panorama circostante con l’affaccio degli splendidi terrazzamenti, cerniera tra l’architettura e il paesaggio verso Firenze.

[8] A. Sardelli, La città e il giardino: uso pubblico di Boboli all’inizio del Novecento in Boboli 90, Atti del convegno internazionale, a cura di Cristina Acidini Luchinat, Maria Adriana Giusti, Elvira Garbero Zorzi, Firenze, Edifir, 1991, pp. 359-369.

[9] L. Zangheri, Lo splendore di Pratolino e Francesco I de’ Medici, in Il giardino d’Europa. Pratolino come modello nella cultura europea, Milano, Mazzotta, 1986, p. 17.

[10] D. R. Edward Wrigth, Some Medici gardens of the fiorentine Renaissance: an essay in post-aesthetic interpretation, in The Italian Garden. Art, design and culture, a cura di John Dixon Hunt, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, p. 51.

[11] L. Zangheri, Pratolino, la grande macchina del cosmo, in Il giardino e la memoria del mondo, a cura di Giuliana Baldan Zenoni Politeo, Antonella Pietrogrande, Firenze, Leo S. Olschki, 2002, p. 44.

[12] Cfr. L. Zangheri, Pratolino il giardino delle meraviglie, Edizioni Gonnelli, Firenze, 1979, pp. 25, 43, 44.

[13] Le lunette di Giusto Utens, vedute documentarie del territorio nella modalità simil cartografica a volo d’uccello, costituivano una raccolta completa della consistenza del patrimonio terriero della corona medicea alla fine del Cinquecento, vennero infatti dipinte fra il 1599 e il 1602, costituendo una vera e propria sintesi iconografica rappresentativa delle proprietà medicee sul suolo del Granducato ed evocativa di una nuova immagine del potere, quello del Granduca che con la sua presenza itinerante all’interno del proprio stato ricalcava annualmente percorsi consolidati negli spostamenti stagionali per le cacce e nelle occasioni ufficiali di visite o incontri, per i quali il sistema complessivo delle ville, stazioni di sosta durante cacce e diporti, siti per festeggiamenti e intrattenimenti e conseguentemente sedi temporanee di residenza ufficiale, erano identificate quale complesso unitario di proprietà e valido supporto di dominio territoriale.

[14] La villa del Poggio Imperiale, a cura di G. Capecchi, L. Lepore, V. Saladino, Roma, Bretschneider, 1979.

[15] O. Panichi, Villa Mediceo-Lorenese del Poggio Imperiale in L. Zangheri, Ville della provincia di Firenze. La città, Milano, Rusconi, 1989, pp. 148-169.



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