Le ville medicee, archetipi di ville-palazzo e
ville-fattoria, esempi di dimore signorili suburbane nel duplice ruolo di unità
agricole produttive e aristocratiche residenze di delizie, costituirono dal
loro sorgere un peculiare antesignano esempio di connessione fra architettura,
giardino e paesaggio contestualmente alla nuova sensibilità estetica legata
all’ideale umanistico e alla ricca produzione artistica fiorentina dei primi
decenni del XIV secolo.
Strutturatesi su quei segni antropici che nei
secoli avevano contribuito a disegnare l’amenità dei luoghi della Toscana, a
partire dalle prime realizzazioni di Trebbio, Cafaggiolo e Careggi, volute da
Cosimo il Vecchio, sempre più definirono e identificarono i caratteri
architettonici salienti della villa rinascimentale, progressivamente
inquadrandone il valore di eminenza nel paesaggio, il rigore geometrico
dell’impianto architettonico sia dell’edificio che del giardino, le volumetrie
compatte, semplici e nette e le planimetrie regolari, simmetriche e modulari
dell’edificio residenziale, caratterizzato in elevazione da superfici a
intonaco, cornici, marcapiani e sobrie decorazioni in pietra serena. Inoltre
contribuirono a sposare indissolubilmente le specificità dimensionali,
distributive e architettoniche alle sistemazioni a giardino e alle qualità
dell’intorno paesaggistico, modellato nei secoli dall’attività dell’uomo
secondo la maglia di un tessuto agricolo, ancora oggi riconoscibile nella sua
peculiarità, cui veniva declinato l’inserimento dominante delle nuove
realizzazioni.
Con le ville medicee, insediamenti produttivi
strutturanti il territorio assurti a dignità di architetture signorili dove per
la prima volta lavorarono, come nei gentilizi palazzi urbani, grandi architetti
e artisti traducendo il pensiero dei facoltosi committenti Medici nell’apporto
del proprio genio, l’architettura rurale delle ville suburbane non costituì più
un episodio minore dell’attività costruttiva edilizia, tanto che anche nei
testamenti esse furono poi considerate bene inalienabile da trasmettere con la
primogenitura, traducendo dunque nel possesso la stessa dimensione identitaria
dell’appartenenza alla famiglia regnante. Divennero anzi sempre più tipologie
precise e riconoscibili, raffinate residenze arricchite da tesori d’arte, dai
libri antichi alla ricca mobilia ivi conservata stabilmente
alla statuaria, alle quadrerie, alle decorazioni ad affresco, al pari delle
dimore signorili urbane. Tali residenze rurali, alla cui costituzione
corrispose inizialmente un rinnovato interesse culturale ed economico per
l’agricoltura in quella rivalutazione umanistica dei lavori campestri e
nell’approfondimento delle scienze agronomiche ripreso sul modello dei
classici, erano luoghi per la villeggiatura e il doctum otium letterario del possidente, e, anche successivamente,
ameni rifugi di campagna finalizzati a svago, riposo, attività fisica,
contemplazione, organizzazione di circoli culturali e di ritiri spirituali di
classica memoria.
Collocate in massima parte nei dintorni di
Firenze, alcune più vicine alla città, come Fiesole, Careggi, Castello, Boboli,
Petraia e Poggio Imperiale, altre più lontane, nei luoghi degli antichi
possedimenti della famiglia Medici in Mugello, come Trebbio e Cafaggiolo,
nonché in luoghi strategici di successiva acquisizione quali Poggio a Caiano
(voluta da Lorenzo il Magnifico) Collesalvetti, Cerreto Guidi, La Topaia,
Serravezza (edificate dal primo Granduca Cosimo I), La Magia, Lappeggi,
Pratolino (realizzate dal secondo Granduca Francesco I), Artimino,
Montevettolini, Petraia, L’Ambrogiana (compiute dal terzo Granduca Ferdinando
I), le ville medicee si insediarono - prototipi di residenze nobiliari
sucessivamente esportati in tutta Europa, spesso impiantate su preesistenze di
più antiche strutture architettoniche rinnovate nell’indirizzo di nuovi
orientamenti distributivi e formali oppure costruite ex novo come Fiesole, Pratolino, Artimino - preferibilmente
posizionandosi in ambiti di media collina. Si costituirono temporalmente in un
intervallo di meno di duecento anni, dalla metà del XV agli inizi del XVII
secolo, istituendo dalle prime, Trebbio e Cafaggiolo, alle ultime, Pratolino e
Artimino, un patrimonio paesistico, architettonico, artistico, unitario,
coerente e ineguagliato.
Per la loro distribuzione sul territorio le
ville medicee vennero a costituirsi inoltre quali elementi di coordinamento
alla sua gestione e governo. Vere e proprie emergenze referenziali nel compatto
e variegato tessuto dei loro poderi e degli ambiti circostanti, per i quali
costituivano obbligato riferimento, stante le disposizioni granducali, per la
cura e la manutenzione di viabilità, canali e corsi d’acqua, ponti, declivi a
terrazzamenti, le ville vincolavano anche alla regolamentazione delle plurime
attività produttive e venatorie sui luoghi di afferenza. Costituivano dunque un
sistema di nodi territoriali tra i quali si tesseva l’organizzazione produttiva
agricola, fondata sulla mezzadria, nonché la rete degli itinerari ed attività
della corte granducale per spostamenti di viaggi, soggiorni, villeggiature,
cacce, in una rievocazione cavalleresca e cortese del modello della corte
itinerante e del privilegio del signore al libero diporto e all’attività
venatoria nelle terre del suo dominio.
Intese quali prototipi architettonici,
artistici, paesistici, generate da singolari connubi tra committenti e artisti,
capaci di definire nuove modalità estetiche, visive, insediative, fruitive,
funzionali, e connotanti la dimensione territoriale del ‘paesaggio culturale
mediceo’ pervenuto sostanzialmente fino a oggi, le ville medicee furono inoltre
estrinsecazione di quella politica di coordinamento degli investimenti della
famiglia Medici nel contado nella costituzione di una rete di ampie proprietà
terriere concepite come unicum, un
sistema coerente e integrato divenuto elemento caratterizzante il paesaggio
toscano. Esse contemporaneamente si qualificarono nell’ambito di quello stesso
paesaggio, in esso incastonandosi nei singolari e peculiari contesti geografici
e paesistici sui quali si adagiarono, ognuna nella propria specificità
strutturale, ulteriormente distinguendoli per la propria presenza. Tali
residenze extraurbane definirono conseguentemente anche un nuovo rapporto
estetico, oltre che economico, con e nel paesaggio toscano, connotandolo quale
risultato culturale dell’interazione di forze naturali e antropiche in un percorso
storico sulla cui stratificazione esse stesse trovarono collocazione, in tal
modo ulteriormente caratterizzandolo e contribuendo a tramandarlo fino ad oggi.
Contestualmente identificarono una nuova sensibilità del bello legata al
sentimento della natura, al paesaggio quale natura integrata all’attività
umana, alla percezione dei luoghi, alla veduta panoramica connessa
all’architettura edificata della tipologia di villa, assurta contemporaneamente
sia al ruolo di privilegiato punto panoramico che di oggetto percettivo.
Le ville medicee si legarono inoltre alla
suggestione dei paesaggi e dei giardini loro afferenti, spesso disposti, quale
‘natura architettata’, a mediazione fra l’architettura costruita della
residenza e il paesaggio circostante. I giardini delle ville spesso erano, e
tuttora sostanzialmente tali sopravvivono, organizzati su terrazzi digradanti e
concepiti quali balconi affacciati sulla veduta panoramica nel dominio visivo
dell’intorno, parafrasi di quello politico ed economico della famiglia Medici
sui territori assoggettati al suo governo. Non a caso fu precipuamente con le
ville medicee che si specificarono in progressivamente distintivi formalismi i
caratteri degli spazi della ‘natura architettata’ dei giardini quali loci amoeni, chiusi da muri, decorati
con aiuole in regolarità di impianto bordate di siepi geometriche allineate
lungo un asse centrale connesso all’architettura della villa, davanti alla
quale spesso si apriva lo spazio del ‘prato’ cui si univano fontane, conserve
d’acqua, ragnaie, padiglioni di verzura, nicchie verdi con sedute, uccelliere,
pergolati, statuaria, topiaria, frequenti collegamenti verticali dei dislivelli
e aree ad orto. Gli stessi spazi a giardino, riferibili ad attività culturali
ed estetico contemplative, le circostanti estensioni produttive coltivate,
relative alle operosità agrarie, il bosco o ‘salvatico’ finalizzato alle
attività venatorie e al rifornimento di legna, possono costituire un richiamo
culturale letterario alla terza, seconda, prima natura su modello di Plinio e
della classicità poi ripreso nel XVI secolo da Bartolomeo Taegio e Jacopo
Bonfadio nella traduzione coeva di un nuovo rapporto uomo-natura basato sul
protagonismo antropico che assoggetta la creazione al genio e all’arte,
felicemente trasposto proprio in quel sistema culturale che prese vita nelle
ville medicee.
Non a caso numerose ville furono oggetto, in quanto sistema unitario e coerente
di proprietà appartenenti alla famiglia regnante, nonché organico prodotto
culturale, di una interconnessa e ‘unificante’ raffigurazione pittorica con la
serie di lunette commissionate da Ferdinando I a Giusto Utens quale inventario
delle proprietà fondiarie urbane ed extraurbane della famiglia granducale. Le
lunette furono dipinte per quella villa, Artimino, che simbolicamente
rappresentava il centro territoriale da cui idealmente si espandeva la
percezione visuale sull’estensione dell’intero Granducato, essendovi non a caso
esposte in un unico ambiente, nella raffigurazione, misuratamente uniformata e
tendente ad esaltarne i caratteri comuni, della loro precipua relazione al
paesaggio con progressione di naturalità dai giardini, in diretta mediazione
con l’edificio cui spesso si associavano le logge, verso quella più lontana
agricola e poi boschiva.
Trebbio
e Cafaggiolo, le due più antiche residenze della famiglia Medici, si collocano
a nord di Firenze, nelle terre mugellane lungo la viabilità verso Bologna, in
sommità e ai piedi della stessa collina. Possedimenti consolidati della
famiglia Medici già dal XIII secolo, centri gestionali di una ricchissima
produzione agraria aggregati a numerose fattorie progressivamente accumulate
dalla politica fondiaria della famiglia, appaiono nelle lunette di Giusto Utens
recintate e tuttavia integrate con il paesaggio circostante. Nella maglia
formale dei loro horti conclusi viene
evocata l’arte della coltivazione praticata nei campi attorno e nel perimetro
del muro di cinta si estrinseca la funzione di ville-fattorie funzionali al
tranquillo isolamento finalizzato a doctum
otium del possidente, permanendo ancora il distintivo carattere di
residenze-castelli fortificati, essendo ciononostante a tutti gli effetti
efficienti nuclei direttivi di ampie proprietà terriere extraurbane con annessi
agricoli, stalle, fienili, cantine, case per contadini e addetti alla loro
conduzione. Vengono raffigurate inoltre caratterizzate dalla successione di
giardino, paesaggio agricolo e selvatico in quella finalità contemplativa,
produttiva e venatoria dell’attività che fu anche e soprattutto di Cosimo il
Vecchio per il quale, gestore in prima persona, sul modello ciceroniano del
rifugio dalle fatiche della vita pubblica nella tranquillità della vita
agreste, delle attività produttive di villa, narra il Vasari come a Cafaggiolo
venisse realizzato “un vastissimo parco per la selvaggina, intramezzato da
giardini, orti, ragnaie e fontane (…) (riordinando) i poderi e le strade (…)
(aggiungendo) nuove piantagioni e aumentando notevolmente l’estensione dei
boschi”.
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Fig. 1 La villa medicea di Trebbio nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 2 La villa medicea di Cafaggiolo nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Proprio
Trebbio e Cafaggiolo, e poco dopo Careggi, amatissima da Lorenzo il Magnifico,
anch’essa contraddistinta dai peculiari caratteri architettonici michelozziani,
più vicina delle precedenti a Firenze e quindi utilizzata, con il suo famoso
giardino aperto come un terrazzo sulla visuale del paesaggio agrario
circostante e ricco di agrumi e spalliere di gelsomino, quale dimora
alternativa per brevi soggiorni, luogo di convalescenza,
di rappresentanza in circostanze ufficiali e rifugio eletto per gli studi
umanistici cari a Cosimo - che decretò
che Marsilio Ficino ivi istituisse l’Accademia Platonica nel 1459 -
costituiscono le prime tipologie di residenze di campagna per il ricco signore
appassionato di agricoltura e dedito in prima persona ai lavori agricoli. Il
dotto umanista che si allontanava dall’agone politico urbano riposandosi dalle
fatiche in civitas nei suoi
possedimenti extra moenia,
dedicandovisi allo studio dei classici, delle scienze agronomiche e all’umile
lavoro nei campi, sul modello di equilibrio fra vita attiva e contemplativa
declinato dall’antichità, era pienamente rappresentato in Cosimo il Vecchio.
Egli, amante della vita in campagna e dell'umile lavoro della terra, vi
trascorreva infatti lunghi periodi di riposo durante i quali si dedicava a
gestire in prima persona le attività che vi si svolgevano. I biografi
tramandano come il pater patriae fosse esperto della nestatura e
potatura degli alberi da frutto
secondo una tecnica di cui era "intenditissimo",
e in una lettera del settembre 1446 un suo fattore informava di essere
impegnato a tagliare legna insieme al padrone in previsione dell'inverno. E
specificamente Trebbio, Cafaggiolo e Careggi, volute da Cosimo, rappresentano i
primi esempi di ville medicee in cui si definirono i nuovi caratteri
architettonici distributivi e decorativi di residenza signorile suburbana
codificati da Michelozzo. Costituite su preesistenze difensive quali dimore
signorili, turrite, chiuse e fortificate, vennero uniformate dalle superfici
intonacate che ne fanno tuttora risaltare gli aggetti volumetrici e
l’alternanza dei pieni e dei vuoti delle aperture modanate e della merlatura
coperta a falde.
Esse realizzarono il felice risultato di quella peculiare collaborazione tra
architetto e committente, qui estrinsecata in Michelozzo e Cosimo il Vecchio,
poi rinnovata in eterogenea dualità nei cantieri delle successive ville di
proprietà della famiglia Medici, pervenendo alla definizione di una nuova
tipologia residenziale signorile extraurbana.
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Fig. 3 Giuseppe Zocchi, La Real Villa di Careggi, GDSU
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Fig. 4 scorcio panoramico verso la conca fiorentina dai giardini di Villa Medici a Fiesole (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012 ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte)
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La
villa medicea di Fiesole, come Careggi collocata nelle immediate vicinanze di
Firenze e ugualmente caratterizzata da sobrietà decorativa e dimensioni
contenute, assolveva analoghe funzioni di residenza deputata a brevi soggiorni
familiari o a ritrovi intellettuali pur costituendo sotto molti aspetti una
novità assoluta, una decisiva svolta rispetto all’architettura rurale della
Toscana del XV secolo. Fiesole fu la prima villa fiorentina di tipo umanistico
impostata ex novo secondo i nuovi criteri di razionalità e luminosità su
impianto modulare quadrato in contemporaneità temporale al giardino, nella
primaria finalità di contemplazione estetica di uno splendido quadro
paesaggistico. Per la prima volta una villa suburbana, praticamente avulsa da
produttività agrarie, vedeva i propri fondativi valori, eminentemente
produttivi ed economici, surclassati dai valori ideologici e puramente
estetico-contemplativi finalizzati ad ammirare una bella veduta, ad essa
associando elevazione spirituale e produzione intellettiva. Emerito prototipo
della villa rinascimentale, primo esempio di villa oggetto di rappresentazione
artistica e soggetto di veduta panoramica,documentato
dai pittori del tempo,
Fiesole sembra riproporre tutte le indicazioni codificate dall’Alberti nel De Re Aedificatoria,
aprendosi ai giardini che la circondano con due logge inglobate nel volume
dell’architettura e relazionandosi al panorama circostante con l’affaccio dei
terrazzamenti, cerniere tra architettura e paesaggio nella visuale verso
Firenze, sullo splendido panorama della valle dell’Arno, in un afflato
culturale e letterario fiorito sul sostrato dei valori estetici e umanistici e
dei topoi letterari virgiliani e
petrarcheschi.
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Fig. 5 La villa medicea di Poggio a Caiano nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 6 La villa medicea di Castello nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Ancora
più incisivamente di Fiesole, Poggio a Caiano, dove Lorenzo il Magnifico fece
costruire in sodalizio artistico con l’architetto e appassionato classicista
Giuliano da Sangallo la propria dimora, visivamente dominante e artisticamente
evocativa della magnificenza del casato e di quell’ordine politico ed economica
prosperità finalmente ripristinati, rappresentò il prototipo di villa
rinascimentale nell’ideale traduzione dei caratteri antichi sul filtro delle
teorie albertiane. Le posteriori residenze cinquecentesche, edificate nella
campagna toscana dai Medici, ormai stabilmente insediati al potere e con
diritto di trasmissione del titolo, ne riprenderanno la compatta
classicheggiante tipologia rivolgendo particolare attenzione ai sempre più
splendidi giardini, nature architettate in finalità scenografiche e
rappresentative poi elevati, nei peculiari caratteri di nitidezza,
riconoscibilità e celebrazione, a modello internazionale e imitati in tutta
Europa. Fra questi il primo fu il giardino di Castello in cui Cosimo I
amplificherà la volontà encomiastica già esternata da Lorenzo il Magnifico, realizzando
nella sua villa preferita un disegno complessivo unitario sia architettonico
che paesaggistico, dominante l’assialità, plurima e gerarchica, in cui la
localizzazione della villa si sposerà all’ampia estensione a verde. Proprio il
disegno del giardino, strettamente legato all’architettura dell’edificio che
fungeva da fondale scenico per la ricca successione di episodi artistici in
narrazione allegorica, costituirà il prototipo di una tipologia formale
rappresentativa e celebrativa della stirpe medicea e del potere politico del
regnante.
Due
significative realizzazioni successive, esempi fra i più eminenti del giardino
manierista, furono Boboli, voluto dalla moglie di Cosimo I Eleonora di Toledo,
e Pratolino, costruito dal figlio primogenito Francesco I succeduto al padre
sul trono granducale. Entrambi riecheggiano gli elementi evocati in Castello,
declinandoli alle necessità rappresentative e gestionali delle nuove dimore
degli augusti committenti, ed evolvendoli in nuovi prototipi narrativi, figurativi
e iconici, poi assurti, ancor più del precedente cosimiano, a emblemi. Come
Cosimo I a Castello, anche sua moglie Eleonora volle costruire a Boboli un
luogo di rappresentanza del potere e del fasto della famiglia regnante. Un
giardino di reggia su modalità classiche – vedi il richiamo alla forma
dell’ippodromo dell’anfiteatro, le citazioni archeologiche della villa pliniana
e i riferimenti neo imperiali di matrice umanistica – che rappresentò anche
l’esempio originale di un recupero paesaggistico della cava di pietra forte
utilizzata per il palazzo che venne trasformata in giardino. Poi divenuto con i
successivi Granduchi, suo figlio Ferdinando I e i successori Cosimo II e
Ferdinando II, allestimento scenografico per le quotidianità rappresentative
della vita di corte nella formalità regolata dall’etichetta, nonché luogo di
allestimenti teatrali, balletti a cavallo, battute di caccia in occasioni di
festeggiamenti di matrimoni, visite ufficiali, ricorrenze religiose - episodi
ai quali erano particolarmente organici gli spazi della piazza antistante il
palazzo, il cortile interno e l’anfiteatro - Boboli doveva essere tale da poter
competere con lo splendore dei paradisi napoletani dei viceré che Eleonora di
Toledo aveva vissuto in gioventù nei possedimenti paterni. Accanto alla valenza
celebrativa la Granduchessa aspirava anche a costruire un giardino terapeutico,
un luogo salubre e benefico per lei sofferente di tisi e amante della vita in
villa, tanto da ricreare “la villa in città”
nel primo esempio toscano di villa suburbana collocata entro la cerchia muraria
e dotata di un giardino la cui estensione ed importanza assumeva, ancora più
che a Castello, un ruolo dominante rispetto all’architettura e allo stesso
impianto urbanistico della città di Firenze.
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Fig. 7 Palazzo Pitti e il giardino di Boboli nella lunetta ‘Belveder con Pitti’ di Giusto Utens, MSTF
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Un
tale hortus urbano, parco-giardino inerpicato sulla collina dominante
l’Oltrarno, a ridosso di Firenze, era un’estensione isolata dal contesto
circostante, un giardino chiuso e produttivo divenuto nel tempo ricchissima
raccolta d’arte en plain air, un
museo all’aperto nelle collezioni di statuaria antica e contemporanea
accumulate dalla famiglia regnante, il più grande fino allora costruito dai
Medici, che racchiudeva in sé le modalità della prima, seconda, e terza natura
nella definizione dell’estensione boschiva, produttivo-agricola e
formale-geometrica dei giardini collocati in prossimità alla struttura
architettonica. Qui le visuali, orientate verso l’interno ma con fughe
prospettiche e ampi scorci verso la città e il profilo dell’orizzonte - la
percezione verso la città e il paesaggio avviene soprattutto percorrendo in
ascesa il giardino dietro il palazzo - ne abbracciavano l’ampio respiro
paesaggistico e la misura fortemente espansa che, arricchita anche di numerose
ragnaie, vigne di moscatello e frutteti, armonicamente dialogava con il tessuto
agricolo dell’intorno. In questo enorme spazio scenografico concluso dai limiti
fisici dei suoi confini murari, lo stesso Tribolo aveva riproposto, ultima sua
opera, il protagonismo dell’acqua. In ortogonalità mediana all’architettura
della residenza medicea aveva previsto un asse prospettico, che era anche asse
baricentrico dell’intero complesso, risalendo dalla piazza antistante il
palazzo, attraverso l’architettura della residenza (la cui modularità fornisce
la misura del cortile retrostante) poi attraverso il primo anfiteatro, o
‘Prato’ con al centro la Fontana
dell’Oceano, fino alla sovrastante peschiera, inserita nella maglia
geometrica delle partizioni ad altifusti, terminando nel secondo successivo
anfiteatro in terrazzamenti verdi.
La
personalità di Francesco I, figlio primogenito di Cosimo ed Eleonora, ci è
tramandata in Boboli nella costruzione, tra il 1583 e il 1587, su progetto del
Buontalenti, della Grotta Grande, piena espressione del gusto manierista
fiorentino. Tuttavia ben altra impronta darà il nuovo Granduca alla
realizzazione di quel personalissimo paesaggio culturale che fu il complesso di
Pratolino dove per la prima volta in Toscana veniva destinata un’estensione di 24 ettari a un solo
giardino concepito come un grande parco moderno, una natura architettata e
tradotta, per il tramite di innumerevoli artifici, in una sorta di bosco
incantato, un complesso quasi fiabesco,
creato anche in finalità produttiva e venatoria, nell’enorme riserva di caccia
della ‘bandita di Pratolino’.
Paesaggio artificiale chiuso da un recinto murato che precludeva la percezione
del paesaggio naturale al di fuori dei suoi confini, se non da privilegiati
punti di vista, la nuova residenza granducale era luogo di rappresentanza e
cassa di risonanza della politica medicea in Europa, sosta obbligata per i
principi e gli ambasciatori stranieri che si recavano a Firenze e
misura del distacco del Granduca dalla città, percepita solo in lontananza dal
nuovo buen retiro granducale, da cui era dominata dall’alto e dalla distanza.
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Fig. 8. La villa medicea di Pratolino nella lunetta di Giusto Utens (dx) MSTF
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Vi
si realizzarono ampi bacini, grandi vivai, e una sequenza di gamberaie a
sostituzione della tazza delle fontane che ornavano i più tradizionali esempi
di giardino all’italiana, in primis
Castello e Boboli. Si moltiplicarono gli episodi, i riferimenti allegorici, le
figure, le evocazioni, i percorsi, le grotte, i giochi d’acqua, le statue nella
indefinita frammentazione dello spazio, falsato, dilatato, ingannevole, in cui
presero forma e consistenza quegli ‘ingegni magnifici’, quelle ‘opere
miracolose’, quegli ‘stupendi artifici’ che celebrarono Pratolino quale
‘giardino delle meraviglie’ per lo stupore della musica offerta dagli organi
idraulici e dello spettacolo profuso dai numerosi teatrini di automi azionati
dall’acqua, creatori di un mondo fantastico addirittura superiore alla varietà
naturale.
Ferdinando
I de’ Medici, divenuto Granduca alla morte del fratello, incaricò Bernardo
Buontalenti della costruzione di una villa ex
novo in tipologia di fortezza su un poggio di fronte al borgo medioevale di
Artimino. Chiamata ‘La Ferdinanda’ e fortemente dominante nella sua massiva
architettura dalle pendici del Montalbano verso l’Arno, aperta in ampia visuale
verso la vallata del fiume e la piana pistoiese fino alle Apuane, fu l’ultima
residenza costruita dai Medici. Intesa come affermazione dell’ormai raggiunto e
consolidato potere della famiglia e rappresentativa, nell’emersione percettiva
e nel dominio visivo a 360°, della volontà di Ferdinando I di pieno controllo
nell’intera zona del Montalbano, la villa sostituiva al giardino una vasta
bandita di caccia che si estendeva per 4000 ettari, comprendente un parco
venatorio privato, il Barco Reale, perimetrato da un muro come il parco di
Pratolino. Voluta parafrasi del fermo dominio granducale su tutte le proprietà
della corona e le stesse ville medicee, che ne costituivano i nodi nevralgici,
la Ferdinanda ne ospitava non a caso la riproduzione in 17 lunette - delle
quali solo 14 si sono preservate fino ad oggi - dipinte dal pittore fiammingo
Giusto Utens
proprio per essere conservate in questa simbolicamente rappresentativa dimora,
centro da cui idealmente si irradiava la percezione visiva del Granducato e
dove le eminenze medicee erano pertanto pittoricamente enucleate. La scelta di
Ferdinando per la villa di Artimino proseguiva e consolidava quella politica
medicea di governo del territorio che con gli insediamenti di villa strutturava
i luoghi nella viabilità e nella gestione colturale e produttiva delle terre
arricchite anche da quelle ville cosiddette ‘minori’, costruite principalmente
in finalità venatoria, che non erano circondate da splendidi giardini ma si
innestavano nella viva realtà del territorio dominandolo dall’alto con nitida
visuale e costituendo tappa per gli spostamenti stagionali dei Granduchi,
spesso accompagnati dall’intera corte alla sequela dei flussi migratori della
selvaggina. Una politica già perseguita, con le progressive e costanti
annessioni terriere alla corona, dal padre di Ferdinando, Cosimo I, che nel
1564 fece edificare la villa di Cerreto Guidi su probabile progetto del
Buontalenti, a cui si attribuiscono i ponti medicei, oltre che quelle di
Collesalvetti, La Topaia e Serravezza (voluta quale dimora di campagna
fortificata, collocandosi presso il confine dello stato, finalizzata a presidio
territoriale, attività venatorie ma anche a sovraintendere alle estrazioni di
ricchi giacimenti di marmi e minerali), e da suo fratello Francesco I che nel
1585 fece realizzare da Bernardo Buontalenti La Magia, posta sulle pendici
settentrionali del Montalbano dove si attuò un importante intervento a scala
territoriale scavando un lago presso la residenza per richiamare cacciagione
sia silvestre sia palustre, e poi mise mano a Lappeggi oltre che alla
meraviglia di Pratolino. Tale politica fu poi perseguita da lui stesso, oltre
che in Artimino, alla Petraia, a Montevettolini e a L’Ambrogiana.
Alla
fine del Cinquecento Cosimo II e poi suo figlio Ferdinando II intervennero a
Boboli nella necessità di adeguare la residenza di famiglia al
prestigio e al rango acquisito per i vincoli con la dinastia imperiale degli
Asburgo in conseguenza al matrimonio tra Cosimo II e Maria Maddalena d’Austria.
Cosimo II, colto e raffinato intellettuale appassionato di architettura, fu con
ogni probabilità il progettista dell’ampliamento del giardino tradotto in
realtà da Gherardo Mechini e Giulio Parigi, già collaboratore di Buontalenti.
La novità del nuovo progetto scaturiva dalla successione di elementi
compositivi e singoli episodi focalizzati alla resa prospettica e articolati in
successione lungo un imponente viale rettilineo, un ulteriore asse
longitudinale di simmetria, perpendicolare al primo, centrato sul palazzo,
chiamato anche ‘viale dei Cipressi’ o ‘Viottolone’, un percorso ad esclusivo
uso della corte medicea allineato secondo la bisettrice del grande cuneo
contenente gli spazi acquisiti dall’ampliamento.
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Fig. 9 La villa medicea di Collesalvetti nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 10 La villa medicea di Serravezza nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 11 La villa medicea di Lappeggi nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 12 La villa medicea di La Magia nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 13 La villa medicea di Petraia nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Fig. 14 La villa medicea di L'Ambrogiana nelle lunette di Giusto Utens, MSTF
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Con
un analogo ‘viottolone’, incernierato al primo nella piazza di Porta Romana,
enormemente ampliato di scala e assurto al ruolo di cannocchiale prospettico
urbano nella successiva sistemazione di Poggio Imperiale, voluta dalla vedova
di Cosimo II Maria Maddalena d’Austria, si tradurrà lo ‘Stradone’ di accesso
alla nuova ed alternativa reggia medicea dell’Imperiale ampliata e abbellita
dalla Granduchessa asburgica e stabilmente abitata nel periodo in cui con la
suocera Cristina di Lorena assunse la reggenza durante la minore età del figlio
Ferdinando. Poggio Imperiale era fra le ville medicee la più prossima a
Firenze, collocandosi oltretutto vicino alla sede ufficiale di Palazzo Pitti,
in cima al colle di Arcetri, poi caratterizzato dallo ‘Stradone’ rimasto ancora
oggi inalterato, dove permane evidente la lettura del progetto di Giulio Parigi
che in accordo con l’augusta committente volle creare un asse di proiezione
della città nella campagna
lungo circa un chilometro, finalizzato a prospettiva assiale con il portone
d’ingresso del palazzo, costruendo il primo monumentale viale alberato chiuso
dalle quinte sempreverdi dei cipressi e riservato al passaggio dei Granduchi e
delle loro corti.
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Fig. 15. Giuseppe Zocchi, La Real Villa detta il Poggio Imperiale, incisione del 1744, GDSU
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La
realizzazione di questo monumentale accesso richiese il taglio di un tratto di
collina, rimodellata in costante pendenza ai fini della resa scenografica del
percorso che, iniziando da porta Romana tra vasche e sculture marmoree, saliva
fino in sommità scoprendo gradatamente la residenza granducale in una sontuosa
ascesa lungo la quale si muovevano elegantemente le carrozze e i seguiti
secondo una attenta regia in ossequio alle formalità dell’etichetta che
proseguiva poi nelle ricche stanze della villa, rinnovate nell’iconografia
celebrativa delle virtù di eroine e martiri bibliche e cristiane avocate dalla
Granduchessa Maria Maddalena sulla propria persona a fini politici e
autorappresentativi, ulteriore quinta teatrale allo spettacolo dell’ossequio
cortigiano.
ABBREVIAZIONI
MSTF =
Museo Storico Topografico "Firenze com'era", Firenze.
GDSU
= Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
*
Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, studiosa di
paesaggio e di storia e simbologia dei giardini
NOTE
Cfr. sulla nascita del
concetto di Terza Natura J. Dixon Hunt,
The greater perfection. The practice of
garden theory, London, Thames and Hudson, 2000,
pp. 32- 33.
Cfr. M. Ferrara F. Quinterio, Michelozzo di Bartolomeo, Firenze,
Salimbeni, 1984, pp. 168-173.
A. Sardelli, La
città e il giardino: uso pubblico di Boboli all’inizio del Novecento in
Boboli 90, Atti del convegno internazionale, a cura di Cristina Acidini
Luchinat, Maria Adriana Giusti, Elvira Garbero Zorzi, Firenze, Edifir, 1991,
pp. 359-369.
La villa del Poggio
Imperiale, a cura di G. Capecchi, L. Lepore, V. Saladino, Roma,
Bretschneider, 1979.
continua
nei prossimi numeri:
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