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Fig. 1. Veduta della villa del Trebbio (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)
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La villa e
il contesto paesaggistico:
Collocata a nord-est di Firenze, ad
alcuni chilometri a ovest di San Piero a Sieve, la villa del Trebbio fu
edificata sui resti di un'antica fortificazione turrita longobarda ad uso
difensivo nella vallata mugellana. Situata in sommità della collina ai piedi
della quale si colloca anche la villa di Cafaggiolo, Trebbio deteneva
un'indubbia posizione strategica di dominio visivo per vasta parte di
territorio circostante, e conseguentemente un'evidente funzione di controllo,
soprattutto della viabilità che da Firenze conduceva a Bologna. Si inquadrava
inoltre all'interno del contesto strategico nel triangolo
Trebbio-Cafaggiolo-San Martino, presidi a difesa della valle e della viabilità
verso nord, importanti non solo in ordine alla gestione difensiva per un eventuale
tentato accesso da parte di eserciti invasori, ma indispensabili per
l'approvvigionamento della città di Firenze.
Toponomasticamente Trebbio deriva
dal latino Trivium, trivio, composto da tri, per tres,
tre, e via, via, indicante un crocicchio di tre vie, uno snodo viario
dove fanno capo tre strade che nel caso specifico era presumibilmente situato
sull'antica via Bolognese. La politica fondiaria e agricola intrapresa dai
Medici fin dal '300 impose un consistente sistema di investimenti proprio nell'area
più prossima al Trebbio per giungere a realizzare, attorno al nucleo centrale
dell'originario castello medievale, una compatta maglia di possessioni, poderi
strutturati in una vasta tenuta agricola e boschi afferenti la residenza, resi
accessibili dall'efficace sistema della rete viaria territoriale.
Sorto come probabile sede difensiva
per una piccola guarnigione militare a presidio della strada da Firenze a
Bologna, il castello del Trebbio conserva pressoché inalterato l'aspetto
serrato e chiuso di fortificazione medioevale nella massività del corpo di
fabbrica a corte con pozzo centrale, basso e compatto, dominato da un robusto
torrione angolare a pianta quadrangolare. Il complesso, primo signorile esempio
di residenza del dotto umanista, nonché abile banchiere e investitore, Cosimo
il Vecchio, che nei suoi possedimenti extraurbani si dilettava allo studio e
alla pratica dell'agricoltura, ricercando lontano dagli oneri della vita
pubblica, su modello dei classici antichi, l'equilibrio fra vita attiva e
contemplativa, si colloca su un'altura
appoggiandosi ad una subcostruzione in pietra che in parte sfrutta i dislivelli
dell'orografia circostante ed in parte costituisce il risultato di ingenti
lavori cantieristici, integrandosi con la morfologia del suolo grazie ad una
serie di larghi terrapieni merlati e di aggetti, in prossimità degli angoli,
che mitigano gli scoscendimenti della disuniforme isometria locale.
Nella legislazione medicea sulla
caccia e sulla pesca, che nei secoli seguenti molto interessò le terre
mugellane e fra queste i possedimenti di Trebbio, ricca bandita di caccia
prossima a quella di Cafaggiolo e Panna, è evidente la volontà di riservare
alla famiglia granducale ampi territori interessati alla tutela e difesa del
patrimonio faunistico in cui esercitare in termini di esclusività le attività
venatorie, condividendole solo in alcuni casi con le comunità locali, il clero
ed i grandi proprietari fondiari.
Il bando generale del 1622, inerente
dunque anche la bandita di Trebbio, riunì tutte le disposizioni precedenti in
materia di caccia e pesca, concedendo ai proprietari di fondi danneggiati del
Dominio e del Distretto fiorentino la libera caccia degli animali nocivi,
volpi, lupi, tassi senza però l'uso di archibugi o di reti.
Cenni
storici:
Il Trebbio, antico castello posto su
un colle dal quale domina il Mugello, costituisce il primo nucleo di dimora
attorno alla quale cominciarono a espandersi, per iniziativa di Giovanni di
Bicci de' Medici che l'aveva ereditato nel 1386, gli interessi fondiari della
celebre famiglia. Per mancanza di documenti prima del XIV secolo si può parlare
di questa proprietà solo come preesistenza identificabile con uno di quei tanti
'abituri' simili a fortezze assai numerosi in tutta la vallata mugellana, anche
se per la politica fondiaria e agricola dei Medici, che già dal Trecento mirava
ad acquisire aree limitrofe alla collina del Trebbio, potrebbe essere
ipotizzabile l'eventuale edificazione di un presidio a controllo di tali
possedimenti.
Trebbio compare per la prima volta
nella 'portata al catasto' del 1427 come dichiarazione delle entrate e delle
proprietà fatta al governo fiorentino a fini fiscali, in cui il patriarca delle
fortune medicee, Giovanni di Bicci, dichiarava di possedere "in Mugello uno
luogo adatto a fortezza per mia abitazione con più masserizie a uso della casa
[...] luogo detto Trebbio, con orto, prato, corte e con due pezzi di
vigna". Mancano notizie circa
l'esistenza della torre, forse richiamata nella dichiarazione 'adatto a
fortezza'. La descrizione si ripete sostanzialmente immutata nei documenti
successivi del 1446 e 1451, e gli annessi elencati, identici, orto, prato,
corte e due pezzi di vigna, suggerisce un'invarianza della sistemazione
esterna, rimasta sostanzialmente immutata, definendo presso la torre
preesistente, in origine a funzione di avvistamento e cui venne successivamente
affiancato un ampio edificio fortificato dotato di fossato e di ponte levatoio,
un giardino murato con aiuole regolari e due lunghi pergolati a vite a colonne
in muratura con capitelli lapidei. Presso la villa di Trebbio si rifugiarono i
membri della famiglia Medici allo scoppio dell'epidemia di peste del 1430, e
sempre a Trebbio fu il breve esilio della famiglia decretato dalla Repubblica
fiorentina negli anni 1433 e 1434. E' quindi fuor di dubbio che avanti a queste
date l'edificio fosse completato, ed è plausibile l'esistenza non di una torre
isolata, al più corredata da ambienti di supporto, ma di una residenza compiuta
strutturalmente e pienamente fruibile. Ancora nel 1433 è lo stesso Cosimo a
ricordare i suoi soggiorni al Trebbio assieme al fratello Lorenzo. La sequenza
di queste circostanze induce a credere che la ristrutturazione sia avvenuta
avanti al 1433, e che anzi, probabilmente già dal 1427 il complesso edificato
avesse acquisito la propria definitiva fisionomia. Le posizioni assunte in
proposito dagli studiosi, complessivamente non molto divergenti, tendono a
collocare l'intervento di ristrutturazione del Trebbio proprio entro gli anni
1427/1436.
Alla morte di Giovanni di Bicci il
bene passò ai suoi due figli maschi, Cosimo e Lorenzo, e nel 1440, alla morte
di Lorenzo, la sua quota ereditaria passò al giovanissimo figlio Pierfrancesco.
Tutore del nipote, Cosimo il Vecchio si ritrovò dunque a gestire da solo,
dovendo amministrare anche la parte prima appartenuta al fratello, l'intero
ingente patrimonio accumulato dal padre. La tenuta di Trebbio fu dunque
governata per oltre un decennio da Cosimo, appassionato di agricoltura e dedito
in prima persona ai lavori campestri e all'approfondimento delle scienze
agronomiche nella ricerca emulativa dei classici di equilibrio fra vita
contemplativa e attiva. Egli, amante della vita in campagna e dell'umile lavoro
della terra, vi trascorreva lunghi periodi di riposo durante i quali si
dedicava a gestire in prima persona, sul modello ciceroniano del rifugio dalle
fatiche della vita pubblica nella tranquillità della vita agreste, le attività
che vi si svolgevano. I biografi tramandano come il pater patriae fosse
esperto della nestatura e potatura degli
alberi da frutto secondo una tecnica di cui era "intenditissimo",
ed in una lettera del settembre 1446 un suo fattore informava di essere
impegnato a tagliare legna insieme al padrone in previsione dell'inverno. Solo
nel 1451 fu effettuata la divisione patrimoniale che sancì l'appartenenza del
Trebbio e annessi beni al ramo cadetto di Pierfrancesco, mentre in virtù dello
stesso atto a Cosimo il Vecchio rimaneva Cafaggiolo con l'ampia proprietà
congiunta.
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Fig. 2 Veduta della villa del Trebbio emergente dalla corona boschiva di cipressi e querce sempreverdi che lo circonda (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)
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La scarsissima fortuna critica e
iconografica del Trebbio trova forse una sua giustificazione proprio nell'atto
del '51 che lo relega su un piano secondario rispetto a Cafaggiolo o a Careggi,
rammentandolo più come residenza di Giovanni delle Bande Nere che per la sua
architettura o per i suoi fasti.
Anche Pierfrancesco trascorse lunghi periodi al Trebbio, amministrandone le
proprietà e dilettandosi di caccia e di cavalli. Quando poi i due rami della
famiglia giunsero ad aperto conflitto nel 1494, il figlio di Pierfrancesco,
Giovanni, fu confinato proprio al Trebbio. Sempre a Trebbio, nel primo decennio
del '500, trascorse l'infanzia suo figlio, il celebre condottiero omonimo del
padre, Giovanni dalle Bande Nere che vi soggiornò poi a lungo anche in seguito
con la moglie Maria Salviati. Al Trebbio soggiornarono anche i figli di
Pierfrancesco de' Medici, in particolare Lorenzo,
che nei tempi incerti del governo repubblicano si trasferì prudentemente fuori
città. In quel periodo, nel 1495, Lorenzo minor commissionò a Sandro
Botticelli le decorazioni di alcune stanze della villa, purtroppo perdute.
Inoltre entro il 1499 lo stesso Botticelli con la sua bottega dipinse una pala per la cappella del Trebbio
raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Domenico, Cosma, Damiano,
Francesco, Lorenzo e Giovanni Battista, ora ospitata a Firenze nella Galleria
dell'Accademia. Nel 1476 la villa ospitò anche Amerigo Vespucci, trasferito in
campagna per sfuggire al contagio della peste che infestava Firenze. Al Trebbio
crebbe il Cosimo I,
figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, dunque nipote di
Giovanni di Pierfrancesco, e nel 1537 proprio da Trebbio il giovane Medici
partì con urgenza, sollecitato dalla madre Maria Salviati, per entrare a
Firenze ed essere eletto dal senato dei Quarantotto 'capo e primario del
governo della città di Firenze e suo dominio', assumendo dunque la corona
ducale in vece di Alessandro de' Medici, appena assassinato.
Il carattere medievale della
villa di Trebbio, peraltro giustificato sia dalla volontà di adattarsi alla
torre preesistente che dall'esigenza di mantenere una struttura difensiva, è
stato spesso eletto a carattere probatorio dubitativo di un intervento dell'architetto
Michelozzo, peraltro da sempre identificato quale responsabile della villa
sulla scorta delle notizie riportate da Giorgio Vasari, che specificava come
egli "al Trebbio medesimamente fece, come si vede, molti altri
acconcimi". E' tuttavia anche vero
che informazioni fornite dal Vasari sono scarse, fondamentalmente riferibili
agli "acconcimi", presumibile allusione a lavori di ripristino e
comunque non ad un intervento di
completo rifacimento. Ad oggi non sussistono notizie sufficienti per
identificare con precisione né il committente né l'architetto del Trebbio.
Un'ipotesi accreditata è che Giovanni di Bicci, fondatore delle fortune
bancarie medicee e colto mecenate, abbia potuto avvalersi facilmente della
professionalità di Michelozzo per un intervento nella sua proprietà mugellana,
dove peraltro già abitava nel 1427.
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Fig. 3 Particolare della villa e del giardino del Trebbio nella
lunetta di Giusto Utens, (MSTF)
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Fig. 4 veduta del superstite pergolato a vite (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)
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Del resto Vespasiano da Bisticci,
attento biografo di Cosimo il Vecchio, del quale riecheggia dettagliatamente
l'intera committenza architettonica, non menziona alcun intervento al Trebbio,
registrando invece sia quello di Cafaggiolo che Careggi. Una consolidata
tradizione, appoggiandosi all'attribuzione vasariana, propende comunque ad
assegnare la ristrutturazione dell'edificio medievale del castello di Trebbio,
la prima, in ordine di tempo, delle grandi ville medicee cui l'artista avrebbe
lavorato, a Michelozzo su commissione di Cosimo il Vecchio, che ne entrò
praticamente in possesso nel 1428 e che forse ebbe in animo di continuare
l'opera iniziata dal padre.
Michelozzo intervenne rendendo omogenee le strutture preesistenti, aggiungendo
locali di nuova edificazione, inserendo nuovi elementi tradotti dalla
tradizione antica ed armonizzati al linguaggio medievale delle preesistenze. Il
risultato fu la compatta semplicità di una signorile residenza agreste, già
netto orientamento alla nuova concezione della villa signorile, dotata di ampie
aree a giardino, "uno orto [...] murato intorno con pergole e alberi
fruttiferi" e prato, corte e due pezzi
di vigna, menzionati nella dichiarazione catastale fatta nel 1427 da Giovanni
di Bicci, e ancora più tardi presenti nella lunetta di Giusto Utens, ma sempre
dotata di fossato e ponte levatoio, mantenendo dunque l'inevitabile funzione
difensiva legata alla topografia del luogo.
La struttura dell'edificio
rimase sostanzialmente immutata dall'intervento michelozziano fino al granduca Ferdinando
I, che nel tardo Cinquecento ne commissionò all'Utens la riproduzione in
lunetta accanto alle altre sedici, relative ad altri possedimenti medicei di
villa, per la residenza di Artimino.
Successivamente suo nipote Ferdinando
II dei Medici vendette l'intera proprietà, che all'epoca comprendeva un
complesso agricolo composto da 51 poderi e relative abitazioni con annessi,
cantine ed una notevole quantità di bestiame, a Giuliano Serragli, che in morte
la donò ai padri Filippini dell'oratorio di San Firenze, vincolandoli
all'edificazione, con le rendite derivanti, oltre 3000 scudi annui,
dell'attuale oratorio ed edificio annesso in Firenze. Fra la fine del '700 e
gli inizi dell''800 la proprietà passò a Marcantonio Del Rosso, che la lasciò
in eredità al fratello, canonico del Duomo di Firenze, morto il quale il bene
fu incamerato alle proprietà ecclesiastiche.
Quando nel 1865 il Governo
Italiano deliberò l'incameramento dei beni ecclesiastici l'intera proprietà fu
posta all'asta ed acquistata dalla famiglia Colibò che la rivendette
successivamente al principe Marcantonio Borghese. All'epoca la villa-castello
risultava ancora intatta nelle sue forme originali: il giardino quattrocentesco
ancora integro, la cappella, ad oggi sopravvissuta, e gli annessi ancora nella
loro originaria ubicazione. Solo il piazzale antistante appariva trasformato,
con la piantagione libera di numerosi cipressi. Divenuto in seguito proprietà
della famiglia Scaretti, Trebbio fu interessato negli anni 1936-37 da alcuni
interventi di restauro che riportarono alla luce il loggiato sul cortile,
interessando anche le decorazioni pittoriche dei soffitti lignei, che vennero
ripulite. Le case rurali, che disposte su un'unica fila prospettavano sullo
slargo antistante il fronte principale del Trebbio, erano già state
probabilmente demolite fra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, ma
l'annesso di servizio prossimo all'edificio, una costruzione articolata di
rilevanti dimensioni appoggiata sul fianco sud-est, fu abbattuto in occasione
dei restauri degli anni '30. Le fotografie d'epoca mostrano infatti come tale
costruzione, in comunicazione diretta con la villa, persistesse fino all'inizio
dei lavori. Conseguenza diretta di questi interventi fu l'isolamento
perimetrale dell'edificio che da una parte modificò quella che era la sua
organizzazione, non solo strettamente volumetrica e spaziale, ma anche
gestionale, e dall'altra permise la minuziosa conoscenza di ogni dettaglio
perimetrale, supportando conseguentemente la comprensione delle interessanti
soluzioni adottate per superare gli oggettivi condizionamenti orografici del
sito.
A Marjory Scaretti sono
riconducibili alcune modifiche attorno alla casa e nel giardino. Davanti alla
casa, dove si trovava il prato con i padiglioni di verzura riportati nella
lunetta dell'Utens, venne costruito negli '30 del secolo scorso un giardino
formale con spartimenti di piante sempreverdi - cipresso, alloro, bosso -
arricchiti da rose. Un disegno traduzione di quella che era la visione del
giardino rinascimentale toscano accreditata dagli storici inglesi della seconda
metà dell'800 e mantenutasi fino al secondo conflitto mondiale. Sulla destra,
al posto degli edifici addossati al corpo della torre, prese forma un rock
garden adiacente al muro perimetrale dell'architettura, di gusto
tipicamente inglese, e più a destra un altro frutteto. Sul retro venne creato
un prato chiuso da una quinta di cipressi e ritagliata un'area adibita a giochi
all'aperto. Si deve probabilmente all'iniziativa di Marjory Scaretti anche la
piantagione dei cipressi attorno all'edificio, nonché l'incremento della
cipresseta cinquecentesca.
In corrispondenza della parete del
pergolato e della terrazza inferiore l'intervento appare più modesto, limitato
ad una doppia siepe di cipressi con bordi di rose e lavanda a sottolineare la
continuità delle rampe di scale. Il lungo pergolato di vite - testimonianza
diretta degli elementi originali del giardino mediceo con un'aiola rialzata di
rose e piante erbacee perenni da fiore al basamento delle colonne - è rimasto
inalterato e così l'orto con gli otto spartimenti destinati a erbaggi, ben
riconoscibili nella lunetta dell'Utens, uno dei quali era ed è ancora oggi, al
di sotto del livello di calpestio, una conserva d'acqua per irrigare.
Immediatamente sopra il pergolato poi un parterre arborato richiama, per la
presenza di alberi da frutto, l'antica destinazione di area destinata a
pomario.
Caratteri
tipologici e architettonici:
Sorto come probabile sede difensiva
per una piccola guarnigione militare a presidio della strada da Firenze a
Bologna, il castello del Trebbio conserva pressoché inalterato l'aspetto
serrato e chiuso di fortificazione medioevale nella massività del corpo di
fabbrica a corte con pozzo centrale, basso e compatto, dominato da un robusto
torrione angolare a pianta quadrangolare.
Il complesso, primo signorile
esempio di residenza finalizzata allo studio, al colto riposo e alla pratica
agricola per diletto di un dotto umanista quale Cosimo il Vecchio, si colloca
su un'altura
integrandosi grazie ad ingenti lavori cantieristici che implicarono anche una
subcostruzione in pietra, agli scoscendimenti dell'articolata isometria locale.
Appare a prima vista improntato a chiara omogeneità proporzionale e
volumetrica, quasi a sottolineare l'unitarietà della matrice e del processo
costruttivo.
La torre e l'edificio, entrambi a
superfici intonacate continue, benché nella torre non a tutta altezza, si
presentano infatti come una struttura unitaria nonostante l'irregolare
planimetria, con un coronamento perimetrale continuo di beccatelli di
differenti dimensioni nella torre e nel corpo più basso, sovrastato da un ballatoio merlato attribuito a Michelozzo,
coperto da tetto a
due falde in coppi. I due tipi di beccatelli, nella torre lunghi ed alti, come
il tipo usato a Cafaggiolo dopo il 1451, nel corpo a corte con doppia mensola
stondata del tipo uguale a quello usato a Careggi intorno al 1457, derivano da
esempi trecenteschi.
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Fig. 5 Veduta della parte superiore dell'edificio e della torre della villa del Trebbio. In evidenza i beccatelli e i ballatoi merlati (Fotografia © Claudia Maria Bucelli, 2012)
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Dal punto di vista formale il
Trebbio sembra essersi mantenuto invariato, pur connotandosi ad oggi come un
edificio isolato, essendo invece, originariamente, un articolato complesso che
affiancava alla residenza padronale case di contadini e strutture gestionali di
supporto quali il rilevante fabbricato appoggiato sul fianco sud-est, in
adiacenza della torre, andato distrutto. Permane ancora a tutt'oggi la
chiesetta ad aula unica, anch'essa attribuita a Michelozzo su commissione di
Cosimo il Vecchio, recante all'interno una lapide che, facendone risalire la
fondazione al 1364, la dichiara coeva alla villa.
Il fianco ovest dell'edificio
presenta un andamento verticale a due livelli fuori terra, con il piano
superiore caratterizzato da ampie finestrature regolari, listate lateralmente a
stipiti squadrati di pietra serena, in quella tipologia poi divenuta una
costante nel Rinascimento. Evidenti i segni di interventi diversi, ben
leggibili per le cadute di intonaco, che rivelano la muratura di numerose
finestre medievali, ben evidenti dall'incastonatura, nella conseguentemente
disomogenea cortina muraria, delle riquadrature a conci di pietra. I lati est e
nord rivelano analogie con la facciata principale, anche se lungo il fianco
nord l'insieme delle aperture lucifere disegna una palese irregolarità,
conseguenza dello sviluppo sfalsato, e temporalmente diacronico, dei livelli
interni.
Il piano terreno della torre ospita
un vano rettangolare che nel soffitto si suddivide in quattro vele maggiori
dimezzate da lunette simmetriche. Lungo l'ala est si sviluppano tre ampie sale,
destinate a cucina e relativi annessi, voltate con crociere fortemente
schiacciate e senza peducci.
A fianco della torre si colloca
l'ingresso principale, a ridosso della linea d'innesto con l'edificio a corte,
che presenta una specchiatura ad arco a tutto sesto e chiave mistilinea, ed una
incorniciatura, evidentemente successiva, che però si adatta alle dimensioni
nel modulo quattrocentesco. Invece il portoncino e le due finestre del pianterreno,
a sinistra dell'ingresso principale, appaiono chiaramente modificate intorno
alla seconda metà del '600. Dall'ingresso principale si giunge ad un corridoio
a sesto ribassato che in prossimità del cortile interno si raccorda all'analogo
d'ingresso da sud, voltato a vele differenziate, poggianti su peducci di
fattura elementare. Due arcate a sesto separano il cortile da un adiacente
locale voltato a crociera dove la decorazione di uno stemma evoca le imprese di
Medici e Sforza in inquadratura araldica invertita.
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Fig. 6 Pianta del piano terreno della residenza medicea del Trebbio in Mugello, da GORI SASSOLI 1975
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Fig. 7 Pianta del piano primo della residenza medicea del Trebbio in Mugello, da GORI SASSOLI 1975
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La corte interna, lastricata in
pietra serena e con pozzo a pianta ellittica centrale, ospita una loggia con
vetratura collocata in tempi relativamente recenti, inframmezzata da tre
pilastri ottagonali lapidei in semplici capitelli a foglia, all'interno della
quale si trova una scala, attribuita a Michelozzo, addossata alla parete
settentrionale e riparata da una tettoia.
Tramite questa scala si accede ad
una loggetta che introduce alle sale superiori, affacciate sulla corte,
restaurate nel 1936 e attualmente ben conservate, fra le quali quella che si
ritiene essere stata la camera di Cosimo de' Medici. Disimpegnate queste sale,
la scala rettilinea del cortile prosegue fino al piano nobile del fianco est
dove, attraverso una modesta anticamera ed una grande sala, raggiunge un vano
attiguo, in angolo con il fianco sud.
Questa ala si caratterizza per un nuovo innalzamento del piano di
calpestio, ed in elevazione presenta al primo piano un locale analogo al vano
sottostante, voltato a vele dimezzate innestate su peducci triangolari.
I livelli superiori risultano invece serviti da una scala in legno
attestata all'orditura del solaio, mentre una modesta scala conduce al
ballatoio merlato adiacente alla torre. Una sequenza di locali sotterranei
coperti a volte, di altezza variabile lungo il lato est viene illuminata da
un'alta finestratura. In loro corrispondenza si snodano gli ambienti superiori.
Dagli intonaci caduti risultò
invece come le merlature del corpo della fabbrica fossero realizzate in
laterizio nello stesso modo in cui lo erano quelle della torre, evidente
indicazione di unitarietà di fattura. Ben netta è anche la differenza delle
cornici delle finestre, che nel corpo principale sono risolte nella limpida
linearità di semplici liste lapidee mentre nel corpo della torre sono conci di
pietra squadrata collocati a spina poggianti su una lista di pietra e concluse
da piattabanda pressoché triangolare. Si può quindi attendibilmente supportare
l'ipotesi che la torre sia una preesistenza all'adiacente fabbrica, anche se
risulta comunque difficile distinguere le preesistenze dall'intervento
quattrocentesco. Non sono di grande aiuto a questo fine neppure le descrizioni
delle varie portate al Catasto, che, probabilmente ricalcate le une sulle altre
in volontaria finalità semplificativa, orientata ad un contenimento delle
tasse, risultano pressoché uguali. Tuttavia emergono inequivocabili gli
elementi michelozziani concordemente riconosciuti: la loggia nel cortile, la
scala che conduce al piano superiore, quanto resta della "cisterna
lateritia" e degli spartimenti dell'hortus
conclusus, l'eminente realizzazione del pergolato, dalle rustiche colonne
laterizie decorate a capitelli lapidei che ben rievocano quella classicità,
ripresa dalle attitudini del dotto committente che si rigenerava nella
semplicità della vita agreste, riprodotta nella rarefatta scansione di elementi
antichi presenti nelle architetture che Cosimo il Vecchio condivise lungo
l'intera esistenza con i circoli umanistici fiorentini.
L'edificio prospetta nel suo
fronte principale su un altro giardino formale a perimetro irregolare a siepi
di bosso e rose, anche se è visibile in alcuni tratti il gusto inglese che lo
ha ispirato nei resti di un rock garden sul lato ovest, e dalla
viabilità prevalentemente rettilinea perlopiù legata alla geometria delle
aiuole e degli elementi presenti: vasche in pietra, sedili, un abbeveratoio
circolare ed una fontana. Sul lato nord-est un prato circondato da cipressi con
una vasca circolare, un pallaio, cespugli sparsi ed un'area rettangolare
delimitata da un cordolo in pietra destinata al gioco, collegata al livello del
castello da una rampa in pietra e mattoni ed alla zona est, il giardino delle
piante da frutto tramite un'altra rampa in pietra. Il complesso è circondato da
boschi di cipressi e querce sempreverdi e caducifoglie, campi coltivati e
pascoli, un paesaggio di notevole spessore estetico.
Il pergolato a vite, che per
il suo valore formale e soprattutto storico rappresenta l'elemento
architettonico e vegetale di maggior pregio, costituisce l'unico esempio di
pergolato originario di un impianto di giardino umanistico-rinascimentale ad
oggi sopravvissuto e appartiene a quelle soluzioni a giardino che si componevano
attorno all'edificio. Appartiene alla parte più antica del giardino, un'area rettangolare isolata da una bassa recinzione cui si accede attraverso
un cancello in legno ai lati del quale si collocano sedili in pietra. Questa
zona costituisce un esempio prezioso
di modello quattrocentesco di hortus conclusus a terrazzamenti,
di forma rettangolare suddivisa in otto spartimenti di aiuole di cui una è la
cisterna d'acqua, separata dall'estensione della campagna attorno. E' appunto delimitata
dall'unico pergolato rimasto dei due
originari ivi presenti, come esplicitato nella lunetta dell'Utens, che è ritmato
da 24 colonne in laterizio con capitelli in pietra arenaria di varie forme
riducibili a tre tipologie principali: ionico di tipo michelozziano, a foglie
d'acqua di sapore più arcaico e un terzo tipo più complesso a foglie d'acqua
con scanalature, sui quali si arrampicano piante di Vitis vinifera
collocate in cassette laterali di muratura. La pergola presenta capitelli
simili a quelli del Bosco ai Frati, potendo quindi ipotizzarsi una datazione
attorno al 1430.
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Pozzana M., Il Giardino di Trebbio,
in Giardini Medicei. Giardini di palazzo e di villa nella Firenze del
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cura di Gianni Venturi e Francesco Ceccarelli, Firenze, Olschki, 2008.+
ASFi = Archivio di Stato di Firenze.
GDSU = Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.
MSTF = Museo Storico Topografico "Firenze com'era",
Firenze.
* Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica,
studiosa di paesaggio e di storia e simbologia dei giardini.
Per le fotografie © copyright di Claudia M. Bucelli è consentito l'uso purché sia correttamente citata la fonte.
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