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Carlo Saraceni 1579 – 1620. Un veneziano tra Roma e l’Europa: una recensione

 

Giulia Chellini
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 25 Marzo 2014, n. 709
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Area Mostre

Il Museo Nazionale di Palazzo Venezia ha ospitato dal 29 novembre 2013 al 2 marzo 2014 la prima mostra monografica su Carlo Saraceni (Venezia 1579 - 1620), ideata da Rossella Vodret, allora soprintendente del Polo museale di Roma e curata da Maria Giulia Aurigemma, professore ordinario dell’Università “G.D’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Il percorso espositivo si articola in otto sale attraverso circa 60 opere provenienti da chiese romane, musei, collezioni private ed istituzioni internazionali con l’intento di ricostruire l’intera vicenda biografica dell’artista, alla luce di nuove scoperte e di attribuzioni confermate, scandendone cronologicamente le principali tappe sebbene le datazioni di alcune opere rimangano ancora oggi dubbie.

L’artista viene solitamente collocato, spesso in modo troppo sbrigativo, tra i seguaci di Caravaggio trascurando le ulteriori componenti che concorrono a rendere il suo linguaggio del tutto autonomo.

Senza dubbio Saraceni fu legato fortemente al Merisi: giunse a Roma intorno al 1598 [1] , ventenne, proprio negli anni in cui lo scenario artistico si preparava ad accogliere i cambiamenti apportati dal naturalismo rivoluzionario di Caravaggio.

A sottolineare questo legame, apre la mostra la pala Il transito della Vergine proveniente dalla chiesa di Santa Maria della Scala a Roma, nel ruolo di opera chiave attraverso cui Saraceni si impose nello scenario romano. Essa è stata esposta per la prima volta insieme alla replica su rame proveniente da New York e alla versione non autografa da Monserrat; un soggetto che ottenne grande successo, replicato in numerose versioni autografe e non, anche nel formato ridotto. La commissione giunse all’artista in seguito al rifiuto della pala di Caravaggio, ritenuta non idonea nell’iconografia, tant’è che anche la prima versione del Saraceni venne rifiutata, fino all’attuale compromesso visibile in mostra. [2]

Gli esordi del successo romano ebbero un'eco internazionale, soprattutto verso la Spagna: Saraceni fu impegnato nella realizzazione delle pale per la cattedrale di Toledo, tra cui la Santa Leocadia in prigione (Toledo, Cattedrale) in mostra, fortemente suggestiva per l’effetto di penombra generato da una candela verso cui le due figure protendono, creando un gioco misterioso di ombre; questi effetti luministici si rintracciano in maniera più evidente nell’Adorazione dei pastori (Lucca, collezione privata), in cui spicca il virtuosismo delle tre fonti di luce, ricordando molto da vicino i notturni correggeschi.

Inserito nell’ambiente romano, in contatto con l’Accademia dei Lincei da poco fondata, Saraceni maturò il legame con l’artista tedesco Adam Elsheimer attraverso il quale fece propria la tipica caratterizzazione nordica del paesaggio, arioso e profondo, in cui la natura viene studiata scientificamente e non solo presentata come cornice d’azione delle figure.

Caratteristiche queste ben visibili ne  Il riposo durante la fuga in Egitto (Frascati, Eremo Camaldolese), che, alla luce del legame con le ricerche atmosferiche di Elsheimer (in mostra un San Girolamo con l’angelo, di un seguace) si svincola dall’invadente termine di paragone caravaggesco della Galleria Pamphilj che ritorna alla mente nell’immediato.

La raffinatezza e la delicatezza dedotte dal linguaggio nordico si riflettono nei piccoli oli su rame della serie mitologica realizzata per i suoi primi grandi protettori, i Farnese. Tra di essi le tre scene con la storia di Icaro, Arianna abbandonata, Il ratto di Ganimede, Andromeda incatenata liberata da Perseo, oggi al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli e Marte e Venere (Madrid, Carmen Thyssen-Bornemisza Collection); ricondotti al Saraceni grazie a Longhi nel 1913 [3] , fino a quel momento erano stati attribuiti ad Elsheimer: evidenziano la piena conquista del linguaggio di matrice nordica, che si fonde, in questo caso, alla tipica resa veneta di primo Cinquecento; siamo di fronte a quel ‘giorgionismo’ individuato da Longhi nel sublime languore e nelle calde tonalità delle carni. [4]

Nel secondo decennio la pittura di Saraceni subì una svolta in senso caravaggesco. In questi anni l’artista riceve numerose commissioni pubbliche, ovvero il Martirio di San’Agapito (Palestrina, Cattedrale),  il Martirio di Sant’Erasmo (Gaeta, Museo Diocesiano), le due pale di Santa Maria dell’Anima a Roma, il Martirio di San Lamberto e San Bennone recupera le chiavi della città di Meissen, nonché l’Ostensione del Sacro Chiodo con San Carlo Borromeo (Roma, San Lorenzo in Lucina). [5]

Tali opere, collocate in un’unica sala e databili intorno al 1616-18, permettono di cogliere il cambiamento cruciale avvenuto in questi anni attraverso la meditazione sul modello caravaggesco, tradotto nella monumentalità della composizione di solido impianto e nella tensione emotiva, conservando tuttavia l’abituale freschezza compositiva.

Più di un’opera inedita è stata proposta in mostra, dalla Giuditta e la fantesca (Madrid, collezione privata) al Diluvio Universale (Massa Lubrense, Monastero delle Suore Benedettine di San Paolo), riemerso recentemente dall’oblio di un convento di clausura, in cui l’artista attraverso una rappresentazione cupa e fosca con bagliori sullo sfondo, estremizza il naturalismo fino al grottesco, soffermandosi sulle reazioni umane al terrore.

Nelle ultime sale viene approfondita la figura del “Pensionante del Saraceni”, seguace anonimo, probabilmente francese, così denominato da Roberto Longhi [6] ; ad egli era stata inizialmente attribuita la Negazione di Pietro (Pinacoteca Vaticana), mentre oggi ci si muove maggiormente verso l’autografia in virtù dell’impostazione vicina ad altre opere dallo stesso soggetto e di mano indubbia.

A tal proposito il suo modus operandi atto a replicare le opere più riuscite e richieste oppure a riprodurre su piccoli rami le tele più grandi, è indicativo, oltre del successo riscosso, anche della formazione di un vero e proprio atelier all’interno del quale molti furono i suoi seguaci; primo fra tutti l’allievo Jean Leclerc, di cui in mostra è esposto il Concerto notturno (Roma, Unicredit Art Collection); egli completò la grande tela della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Venezia che Saraceni aveva iniziato una volta fatto ritorno in laguna all’apice del successo nel 1620 ma che era rimasto incompiuto per la prematura morte dell’artista. [7]

Al termine della mostra Carlo Saraceni non verrà più ricordato solo come uno dei più grandi seguaci di Caravaggio bensì come una personalità complessa che ha saputo armonizzare la trattazione nordica del paesaggio con il colore veneto e applicare agli esiti della sua ricerca gli insegnamenti caravaggeschi, inondando le sue opere di una luce più dolce e giungendo così ad esiti del tutto originali.

 

 

  


NOTE

[1] AURIGEMMA 1995, p. 119.

[2] Ibidem.

[3] MARINI 1999, p. 102.

[4] Riportato in OTTANI CAVINA 1968, p. 136.

[5] PALLUCCHINI 1963, p. 180.

[6] AURIGEMMA 1995, p. 131.

[7] Riportato in OTTANI CAVINA 1968, p. 121.





BIBLIOGRAFIA 

AURIGEMMA 1995
MARIA GIULIA AURIGEMMA, Carlo Saraceni:un veneziano a Roma in S. Danesi Squarzina, Caravaggio e il caravaggismo, Roma 1995, pp. 117-138. 

MARINI 1999
MAURIZIO MARINI, Gli esordi di Carlo Saraceni e la “sua maniera un poco fiacca” tra colore e natura in Pittura veneziana dal Quattrocento al Settecento, Venezia 1999, pp.99-104

OTTANI CAVINA 1968
ANNA OTTANI CAVINA, Carlo Saraceni, Milano 1968.

PALLUCCHINI 1963
RODOLFO PALLUCCHINI, L’ultima opera del Saraceni in Arte veneta, 1963, 17, pp.178-182.




Santa Leocadia in prigione

Fig. 1
CARLO SARACENI, Santa Leocadia in prigione,
olio su tela, cm. 186 x 149
Toledo, Cattedrale

Seppellimento di Icaro

Fig. 2
CARLO SARACENI, Seppellimento di Icaro,
olio su rame, cm. 40 x 52,5
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

Diluvio universale

Fig. 3
CARLO SARACENI, Diluvio universale,
olio su tela, cm. 113,5 x 95
Sant'Agata sui Due Golfi (Massa Lubrense), Monastero delle Suore Benedettine di San Paolo

San Bennone recupera le chiavi della città di Meisen

Fig. 4
CARLO SARACENI, San Bennone recupera le chiavi della città di Meisen,
Roma, Chiesa di Santa Maria dell'Anima



	
Foto cortesia dell'Ufficio Stampa della Mostra




	

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