PREMESSE PER LA COSTRUZIONE DEL MUSEO
«Il CIAC nasce da un’esigenza di documentare
l’arte contemporanea in questa città che ha una sua piccola, ma molto
significativa e penetrante, tradizione del NUOVO».
Con
queste parole Italo Tomassoni,
curatore dello spazio espositivo del Centro di Arte Contemporanea (CIAC) di
Foligno, ha aperto il nostro colloquio sul nuovo e importante complesso
museale di Arte Contemporanea del centro Italia.
Come
spiega Tomassoni, infatti, la gestazione per avere un vero e proprio centro
dedicato all’arte nella città di Foligno è stata lunga e comincia nel 1967
quando, con il titolo Lo spazio
dell’immagine si aprì la mostra che ispirò apertamente la Biennale di Venezia del 1968, in quanto
rivoluzionò, da quel momento, tutto ciò che era la concezione dell’arte
staccando i quadri dalle pareti per metterli in un contesto spaziale.
Purtroppo
la mostra passò quasi inosservata dalla città di Foligno, ancora priva di una
coscienza culturale in grado di apprezzare quelle cose così innovative.
La
seconda occasione per instaurare una “tradizione del Nuovo” e anche un certo
modesto protagonismo per la città arrivò con la mostra inaugurata nel 1982 a
cura di Tomassoni e di Maurizio Calvesi: Il
Tempo dell’Immagine. Venne, così, rovesciato il paradigma dello spazio in
quello del tempo, in un momento nel quale si stavano rivalutando e riproponendo
delle istanze figurative e narrative che andavano, in qualche modo, di
contrario avviso rispetto all’andamento generale dell’avanguardia spinta,
creando così, secondo Tomassoni: «una ripresa della
figurazione, una ripresa del racconto, una citazione della storia dell’arte, un
ripensamento della funzione del museo e della funzione della figurazione nella
storia dell’arte». Tutti questi fermenti culturali si riassunsero nella
mostra Il Tempo dell’Immagine, che
vide molti illustri visitatori, a partire da Giulio Carlo Argan, che ne scrisse
al riguardo.
Se
possiamo affermare che questa fosse la situazione di partenza per la creazione
di un centro catalizzatore di arte contemporanea, non bisogna tralasciare il
ruolo di quel sistema di persone interessate all’arte, di collezionisti, di
frequentazioni che in questa città erano latenti e che forse aspettavano il
momento per trovare una loro manifestazione materiale.
«Quando la Fondazione Cassa di Risparmio di
Foligno ritenne di affidare la propria storia ad un’iniziativa che non fosse
transeunte, ma segnasse qualcosa che rimanesse nella storia della città, e
forse anche nella Storia dell’Arte, si pensò di creare un Centro di Arte
Contemporanea».
Questo
Centro ha avuto una lunga gestazione anche sul piano concettuale per riuscire a
capire che cosa si sarebbe voluto fare. Finalmente si è capito che ci si doveva
muovere nella direzione per fare entrare questa città in quello che veniva
definito, e che tutt’ora può definirsi, Sistema dell’Arte.
«Questo abbiamo fatto attraverso una prima
mostra inaugurale che sostanzialmente ricordò
doverosamente le due mostre di cui abbiamo parlato prima, arricchendole
con la situazione che si era nel frattempo creata in Italia e in Europa e,
successivamente, anche attraverso una serie di mostre di importanti artisti e
di importanti eventi che portavano a inserire, gradualmente e inesorabilmente,
questa città in un contesto di Sistema dell’Arte Contemporanea».
Questo
sistema è stato, oltretutto, molto reputato, perché ha promosso mostre di
grande importanza: quella di Vincenzo Agnetti (Milano 1926- Milano 1981), di
Giuseppe Uncini (Fabriano 1929 – Trevi 2008) e poi su tutto, naturalmente,
l’ombra immanente di Gino De Dominicis (Ancona 1947- Roma 1998), che è non
soltanto un artista che aveva un rapporto molto forte con questa città (come
spiega Tommassoni, dati anche gli stretti rapporti personali con lui), ma che sostanzialmente
ha visto in questo luogo il crearsi dell’Associazione Gino de Dominicis, nata
proprio per divulgare la sua opera e tutelarla dalle molte falsificazioni che
tutt’ora imperversano in Italia.
Per
quanto riguarda De Dominicis, e nel quadro dei programmi del CIAC, fu
immediatamente immaginato di poter trovare una collocazione al suo capolavoro Calamita cosmica che, nel frattempo, la
Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno era riuscita ad acquisire,
rivendicandolo da un malinteso diritto del Museo Capodimonte di Napoli.
Così,
continua a spiegare Tomassoni, sempre nel quadro dei programmi del
Contemporaneo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno ha, insieme con il
Comune di Foligno, realizzato una Joint
venture, in base alla quale la Chiesa dell’Annunziata, gioiello
architettonico in via di demolizione, è stato rimesso completamente a nuovo.
Riproposta la struttura con una
soluzione architettonica impeccabile dal punto di vista della conservazione e
del restauro, è stato posizionato in questa chiesa il capolavoro di De
Dominicis, che sta li come in una sorta di funzione destinale. L’opera è
infatti lunga 24 metri rispetto ai 26 totali della chiesa, e il coccige dello
scheletro tocca il pieno centro del pavimento dal quale si diramano le decorazioni.
«È entrata con quella grande testa dentro
la porta del principale ingresso della chiesa, con 2 cm di gioco a sinistra e a
destra e, fatto non secondario, il notaio che fece l’atto pubblico alle monache
clarisse quando acquistarono questa chiesa, si chiamava De Dominicis!”
Questo, afferma il Professore, «l’abbiamo
saputo dopo, ma ovviamente è stato un segno del destino, soprattutto per un
artista così singolare com’è stato Gino De Dominicis !».
Questo
capolavoro è stato poi esposto a Milano, sul sagrato di Piazza del Duomo, a
Parigi nella reggia di Versailles, ad Ancona (per dovere nei confronti della
città natale di questo grande artista), nella Mole Vanvitelliana, al Grand
Hornu di Bruxelles, tutti luoghi compatibili con la grandezza dell’opera e che
hanno riportato importanti successi di carattere internazionale, facendo della
città di Foligno un crocevia di eventi abbastanza curiosi e sostanzialmente
molto interessanti.
Una
volta creata la personalità del museo, bisognava certamente affacciarsi in una
dimensione più internazionale. Questo è stato possibile grazie alle varie
mostre che si sono susseguite nel CIAC, a partire da quella su Carlo Maria
Mariani che ha esposto opere solamente prodotte a New York negli ultimi dieci
anni, quella di Chiara Dynys, di Giuseppe Gallo, di Julian Schnabel e del
fotografo statunitense Edward Weston, che hanno avuto un grandissimo successo.
La
mostra, attualmente in corso al CIAC, su Luciano Fabro conclude in qualche modo
questa volontà di inserimento in una situazione di “cultura di sistema” e si prepara ad affrontare la seconda fase
dell’Arte: il progetto culturale che sta dietro al museo, che è quello di
aprirsi ad una dimensione internazionale e di illustrare le grandi situazioni
della contemporaneità, cioè i grandi temi contemporanei che possono essere
l’ambiente, la fame, la politica, le banche, l’economia, ovvero qualcosa che
contribuisca a dare un’identità al museo che già se la sta guadagnando sul
campo.
Afferma
Tomassoni «per questo abbiamo stretto un
rapporto molto forte, di carattere internazionale, con il Palais de Tokio di
Parigi. Il presidente del Palais de Tokyo di Parigi, il grande Loisy, è venuto
qui a Foligno, proprio in questo studio e ci siamo riuniti insieme alla
commissione scientifica per programmare e riesaminare una serie di progetti che
saranno attuati a partire dal 2015.
Noi già avevamo un
rapporto molto stretto con i principali direttori dei musei di tutta Europa,
perché della nostra commissione scientifica fa parte anche Laurent Le Bon, che
è attualmente il conservatore del Beaubourg di Metz, ma che precedentemente era
stato uno dei curatori del Beaubourg di Parigi. Nel nostro comitato c’è anche
Bruno Corà, che è stato direttore dei Musei di Lugano e del Pecci di Prato; fa
parte del comitato scientifico Anna Mattirolo, direttrice del MAXXI di Roma e
adesso è entrato nel comitato anche Jean de Loisy, presidente del Palais De
Tokyo.
La situazione è in
evoluzione: i progetti del CIAC nell’immediatezza sono, dopo quella di Fabro,
una mostra omaggio al territorio che lo ospita, del quale il centro è
espressione, per una sorta di ricognizione Umbria, o ricognizione Umbra, che
vorrà documentare le ricerche di artisti viventi, operanti nel territorio,
anche se non necessariamente umbri» .
È
stato già varato il programma per il 2015 che vedrà realizzata anche la prima
mostra in collaborazione con il Palais De Tokyo.
FUNZIONALITA’
DEL MUSEO
Alcune
note sulla costruzione del CIAC
L’idea
di progettare finalmente il museo nasce addirittura alla fine degli anni
Novanta, ma solamente nel Novembre del 2009 sarà inaugurato il Centro di Arte
Contemporanea di Foligno.
Il
museo viene in questi anni costruito con l’idea architettonica di un grande
artista italiano, Getulio Alviani (Udine 1939-), che ha una lunga storia alle
sue spalle, anche in riferimento a questa città per le sue frequentazioni
costanti e per il contributo dato a questo museo.
Come
spiega Tomassoni, sembrava in un primo momento, che si dovesse creare questo
museo per ospitare stabilmente la sua grandissima collezione, cosa che poi non
è stata possibile per difficoltà di natura logistica, perché Alviani abita a
Milano e, naturalmente, «un museo non si
costruisce con i fax o con le email».
Ci
sono poi state delle divergenze di natura non architettonica strutturale, ma
estetica, perché Alviani avrebbe voluto che il museo fosse tutto bianco, cioè
costruito con marmo di Carrara, cosa non accettabile per la difficoltà di
amalgamarsi con il contesto, cosa invece molto più possibile grazie all’acciaio
Corten. Questo ha fatto si che la collaborazione con Getulio Alviani si
riducesse e si rendesse necessario incaricare un architetto del posto che, da
questa idea iniziale di cubo senza finestre con la luce che proviene dall’alto,
seguisse materialmente il progetto.
L’architetto
Giancarlo Partenzi (operante a Foligno) ha, così, materialmente realizzato in
tutti i dettagli questo museo, che ha una serie di accorgimenti di natura
tecnologica assolutamente d’avanguardia e attuali: sia per quanto riguarda
l’illuminazione, sia per quanto riguarda la praticabilità (come l’ascensore per
i disabili).
Il
complesso architettonico è costituito da un parallelepipedo rivestito in Corten,
privo di finestre, che si sviluppa su tre piani prendendo luce da un lucernario
centrale posto su pilastri che scandiscono la volumetria degli interni.
Ma
la cosa più importante per il museo, secondo quanto ci riporta Tomassoni, è
l’idea di avere uno spazio che ha un rispetto formidabile per le opere che
contiene e «posso dire e garantire, con
la massima onestà intellettuale, non c’è stata una mostra che abbia accusato la
difficoltà di essere collegata con il museo !».
Continua
Tomassoni «Le dico questo perché, quando
abbiamo organizzato la grande mostra retrospettiva di Gino De Dominicis, con la
quale si è inaugurato il MAXXI, io e Achille Bonito Oliva abbiamo sofferto
veramente delle pene notevoli per poter rapportare le opere con la struttura
del museo, che è un problema attuale e purtroppo ancora vivente. Il MAXXI è un
museo che io trovo straordinario ma che purtroppo presenta dei problemi di
natura tecnica con riferimento alle opere».
Non
si può non notare come, in effetti, tutte le mostre che si sono susseguite al
CIAC presentino caratteristiche di capacità di ambientazione veramente eccezionali,
senza alcun difetto o riduzione, ma con un’esaltazione formidabile delle opere
che vi si espongono. Questo è un dato che è stato riconosciuto al museo da
tutti, a partire dagli artisti che sono i
più sofisticati nel rapportarsi con lo spazio, che potrebbe diventare
poi lo spazio di ospitalità per le loro opere.
È
nota a tutti la controversia che, soprattutto negli ultimi anni, ha riguardato
il Museo: Spazio espositivo o opera d’arte ?
Sul
finire degli anni Sessanta infatti, come ci hanno insegnato i Concettuali, «i
testi invasero le gallerie d’arte e la distinzione tra spazi espositivi e
luoghi di pubblicazione cessò di esistere».
Se nell’Arte Concettuale si tratta di testi sulle pareti, su specchi, tavoli e
sedie, che rompono la barriera tra opera d’arte e museo, oggi lo stesso
imponente ruolo è giocato dall’architettura.
Ci
si trova di fronte ad architetti - artisti, come nel caso di Zaha Hadid,
che vogliono far fluire liberi i propri pensieri scegliendo come foglio le
pareti del museo. Ed è così che la struttura prende il posto dell’opera,
divenendo spesso ingombrante e poco funzionale come spazio espositivo.
È
di questa funzionalità che parla Tomassoni descrivendo il Ciac, sottolineando
come in questo caso, invece, il museo si inserisca armoniosamente anche nel
progetto urbanistico della città di Foligno.
Un
adattamento straordinario dal punto di vista logistico perché ci troviamo di
fronte ad un museo che sta in pieno centro storico, a due passi dal corso
principale, che si ambienta molto bene e armonicamente con l’abside della
chiesa di San Francesco, le palazzine Art
Deco che si trovano alla sua sinistra, diventando un organismo che non
offende il tessuto urbano della zona, anzi lo esalta.
Questo
blocco compatto senza finestre, completamente muto ed ermetico, dall’esterno
crea una grande suggestione per tutti quelli che l’hanno visitato, dando
dimostrazione di condivisione.
Le
presenze dei visitatori dimostrano, infatti, come questo complesso sia stato
metabolizzato pienamente nonostante la forte impronta medievale della città.
Circa 50 persone al giorno visitano, nei giorni di apertura, il CIAC e la ex
Chiesa dell’Annunziata dove si trova la calamita
cosmica. E questo è quasi un miracolo in una città come Foligno, un po’
distratta, che doveva costruirsi una coscienza culturale più estesa.
Per
promuovere questa “chiamata alla cultura”
sono state promosse delle iniziative che potessero essere di supporto
all’attività espositiva che brutalmente viene imposta dal momento in cui si
aprono le porte del museo. Questo è stato realizzato attraverso due iniziative
collaterali che si chiamano Più arte per
tutti, e Incontri con l’artista.
Grazie
a quest’ultima si sono aperti importanti scambi con personalità internazionali
come Liliane Lijn (New York 1939-) e Rä di Martino (Roma 1975-), giovane
artista torinese che vive più che altro a New York.
Con
Più arte per tutti, invece, sono
stati mobilitati direttori di museo, direttori di giornali, grandi critici,
grandi storici dell’arte, che sono venuti con una serie di contributi veramente
incredibili.
È
anche grazie a queste due iniziative che si è creato uno scambio e un’influenza
con gli altri musei: il CIAC merita attenzione a prescindere dai rapporti che
intercorrono tra i singoli, perché si è creato una reputazione per la quale
anche gli altri poli museali vogliono collaborare nei suoi progetti.
Una
forte interazione con il territorio che ha coinvolto le classi intellettuali,
come gli insegnanti di Storia dell’Arte nei Licei e nelle Scuole.
«Foligno ha reagito molto positivamente a
questi incontri. Non solo le autorità, quindi il Sindaco, gli Assessori, gli
esponenti della scuola ecc., ma anche la città stessa. Abbiamo 40/ 50 persone
al giorno che visitano il museo e, adesso, la Fondazione Cassa di Risparmio di
Foligno ha acquistato un complesso monumentale dove sarà possibile organizzare
anche amministrativamente il polmone vitale del museo».
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